martedì 1 settembre 2015

LO TSUNAMI



Il maremoto è la conseguenza di un terremoto sottomarino, misurato con la scala Richter. La velocità di propagazione delle onde dipende anche dalla profondità del mare: è di circa 100 metri al secondo se la profondità è di mille metri. Il maremoto non viene avvertito in mare aperto ma lungo le coste, dove il fondo marino si alza. Qui le onde crescono in altezza e diminuisce la distanza tra l’una e l’altra. Tra i più disastrosi maremoti si ricorda quello di Miyako (Giappone) del 1896, con onde alte 28 metri. Quello di Messina del 1908 provocò onde alte una decina di metri.

Di solito un maremoto si genera in mare aperto dove l'onda rimane poco intensa e poco visibile e concentra la sua forza in prossimità della costa quando l'onda si solleva e si riversa più o meno dentro l'entroterra (una barca in mare aperto può anche non accorgersi del passaggio di un'onda di maremoto).

L'intensità di un maremoto dipende dalla quantità di acqua spostata al momento della formazione del maremoto stesso, intensità valutabile quando l'onda raggiunge le coste: in generale un'onda di maremoto che lungo il litorale non supera 2,5 m in altezza non provocherà grandi danni e i suoi effetti non saranno pericolosi, mentre un'onda di oltre 4–5 m in altezza sarà distruttiva per il litorale investito.

Anche a seguito dello tsunami dell'Oceano Indiano del 2004, è invalso nel mondo l'uso del termine giapponese tsunami come sinonimo di maremoto (composto di mare e moto sul modello di terremoto). Tale espressione è diffusamente utilizzata dai mezzi di comunicazione e dalla comunità scientifica.

L'evidenza sperimentale suggerisce però che un forte sisma non genera necessariamente un maremoto ed allo stesso tempo sismi della stessa magnitudo non generano necessariamente tsunami della medesima intensità: l'occorrenza del maremoto dipende infatti dalle modalità con cui si modifica/altera il fondale oceanico nei dintorni della faglia, cioè dal tipo di scorrimento della crosta oceanica in corrispondenza della frattura tra placche tettoniche.



Alcuni maremoti possono innescarsi anche se l'epicentro del sisma non è localizzato al di sotto della superficie oceanica bensì nell'entroterra costiero a pochi chilometri dalla costa: generalmente ciò avviene con terremoti di intensità elevata o catastrofica, in grado di produrre comunque grandi spostamenti d'acqua anche ad una certa distanza dal mare per semplice propagazione delle onde sismiche dall'entroterra verso la superficie d'acqua o per il moto dell'intera placca.

Lo spostamento d'acqua prodotto si propaga progressivamente in superficie creando onde superficiali molto lunghe (aventi cioè una lunghezza d'onda tipicamente di qualche centinaia di chilometri) e quindi di lungo periodo (qualche decina di minuti) in condizioni di mare aperto. Per confronto le normali onde marine hanno lunghezze d'onda di pochi metri e un periodo di solo qualche secondo, mentre le onde di tempesta hanno lunghezze al massimo 150 m e periodo di una decina di secondi: la lunghezza, l'estensione e il periodo delle onde di un maremoto sono quindi molto superiori a quelle delle comuni onde marine, da cui il nome di onda lunga, mentre solo l'altezza dei due tipi di onda può essere paragonabile tra loro. Inoltre nelle comuni onde marine solo il volume d'acqua degli strati superficiali dell'oceano è direttamente mosso dal vento, mentre nel maremoto il fenomeno dell'onda coinvolge l'intera colonna d'acqua, dal fondale alla superficie.

In virtù di ciò la pericolosità e la devastazione generata da un'onda di tsunami non dipende quindi dalla sua ampiezza sulla superficie marina, quanto dal volume globale di massa d'acqua interessata dal fenomeno, in quanto trattasi di onda molto estesa in profondità. Per questo motivo la massa d'acqua coinvolta in un'onda di tsunami è enormemente maggiore di una qualunque onda di tempesta. Quest'onda può essere semplificata come fenomeno composto da un inviluppo di onde; la lunghezza d'onda di decine di chilometri si riduce notevolmente nei pressi della costa, dove la riduzione della profondità del fondale non permette più l'"accomodamento" del volume d'acqua lungo un'onda con ampiezza ridotta: in altre parole il mantenimento del moto dell'onda e del volume di acqua coinvolto produce una forte crescita in altezza dell'onda, che non viene in alcun modo fermata dalla linea di costa o da eventuali barriere artificiali, progettate sulle dimensioni delle onde di tempesta, riversandosi pesantemente nell'entroterra costiero.

La forza distruttiva di un maremoto è quindi proporzionale al volume d'acqua sollevato e dunque un terremoto avvenuto in pieno oceano può essere estremamente pericoloso per le zone costiere limitrofe se in grado di sollevare e spostare tutta l'acqua presente al di sopra del fondale marino anche solo di pochi centimetri. Per questo motivo, a parità di magnitudo, terremoti sottomarini che si originano al di sotto di superfici d'acqua profonde, al limite nei pressi di fosse oceaniche, generano tsunami più devastanti rispetto a sismi che si originano sotto superfici marine meno profonde.

Quando un maremoto si origina e si propaga nei pressi della linea costiera, lo si definisce locale. Altri maremoti riescono invece a propagarsi per migliaia di chilometri attraversando interi oceani: questi sono generalmente di origine tettonica, poiché gli scivolamenti del terreno in acqua e le esplosioni vulcaniche causano di solito onde di minore lunghezza che si attenuano velocemente. La velocità di propagazione dell'onda di maremoto in alto oceano è elevata, dell'ordine delle centinaia di chilometri orari, potendo raggiungere i 500–1000 km/h, con lunghezze d'onda di centinaia di chilometri e altezze centimetriche poco osservabili se non con particolari e apposite strumentazioni. Possono manifestarsi anche effetti non lineari nella propagazione, con fenomeni anti-dispersivi (propagazione solitonica) e su lunghe distanze l'onda subisce inevitabili, ma lenti fenomeni di attenuazione, che tuttavia non evitano la crescita di ampiezza dell'onda al suo frangimento sulla costa. Se la frattura della crosta terrestre è estesa per decine, centinaia, o anche migliaia di km, tendono a generarsi onde piane che hanno un'attenuazione inferiore alle onde sferiche o circolari: esse sono capaci, quindi, di coprire distanze notevolmente maggiori fino ad attraversare interi oceani.

Una volta generata, l'energia dell'onda di maremoto è costante e funzione della sua altezza e velocità, a meno delle attenuazioni sopradette. Come avviene per la comune propagazione ondosa nel mare, quando l'onda si avvicina alla costa incontra un fondale marino sempre più basso e rallenta il suo fronte a causa dell'attrito col fondo oceanico diventando così più corta e, per il principio di conservazione dell'energia, la diminuzione della profondità del fondale di propagazione causa una trasformazione da energia cinetica ad energia potenziale, con sollevamento o crescita in altezza/ampiezza dell'onda (shoaling). In conseguenza di tutto ciò le onde di maremoto in prossimità delle coste rallentano fino a circa 90 km/h con lunghezze d'onda tipiche di vari chilometri, diventando onde alte molti centimetri o addirittura molti metri, fino a raggiungere altezze in alcuni casi anche di decine di metri quando raggiungono la linea costiera.

Nessuna barriera portuale è in grado di contrastare un'onda di questo tipo, che appunto i giapponesi chiamano "onda di porto": i maremoti possono causare dunque gravi distruzioni su coste e isole con perdite di vite umane. Le onde create dal vento, invece, muovono solo le masse d'acqua superficiali, senza coinvolgere i fondali, e si infrangono sulle barriere portuali. Ecco perché anche onde alte diversi metri, perfino una decina di metri (sono numerose sulle coste del Pacifico), provocate dal vento, non trasportano abbastanza acqua da penetrare nell'entroterra. Viceversa un maremoto può rivelarsi devastante, perché la quantità d'acqua che trasporta subito dietro il fronte d'onda gli permette di riversarsi fino a centinaia di metri (talvolta anche per chilometri) nell'entroterra. La penetrazione nell'entroterra è chiaramente facilitata se la superficie è piana e senza barriere naturali come rilievi, colline.

Le zone più a rischio maremoto sono quindi quelle costiere in prossimità di aree sismogeniche, quali quelle presenti vicino ai confini di placche tettoniche dove si registrano i terremoti più forti della Terra: questo corrisponde sostanzialmente all'intera area della cintura di fuoco circumpacifica, su ciascuna costa occidentale ed orientale, e a quella dell'Oceano indiano, meno frequentemente nell'Oceano Atlantico e nel Mar Mediterraneo.



Circa 8000 anni fa un maremoto devastò il Mediterraneo interessando le coste della Sicilia orientale, l'Italia meridionale, l'Albania, la Grecia, il Nord Africa dalla Tunisia all'Egitto, spingendosi sino alle coste del vicino Oriente, dalla Palestina, alla Siria e al Libano. La causa fu lo sprofondamento in mare di una massa di 35 chilometri cubi di materiale, staccatasi dall'Etna, in seguito a un sisma di eccezionale magnitudo. L'onda iniziale che si generò era alta più di 50 metri e raggiunse le propaggini estreme del Mediterraneo orientale in 3 o 4 ore, viaggiando alla velocità di diverse centinaia di chilometri orari. Tale sconvolgimento determinò la scomparsa improvvisa di numerosi insediamenti costieri di epoca neolitica, come è stato dimostrato dai ritrovamenti archeologici sulle coste di Israele. Lo studio che ha portato alla dimostrazione di questo evento cataclismico è stato condotto dall'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, con finanziamento del Dipartimento di Protezione Civile, nel 2006.

In epoca abbastanza recente varie fonti riferiscono di un maremoto a seguito del Terremoto del Val di Noto, del 1693, quando una gigantesca ondata devastò le coste orientali della Sicilia dopo che il mare si era ritirato di centinaia di metri. In questo caso l'epicentro del sisma si ritiene fosse situato sotto il fondo del mare, una trentina di chilometri al largo di Augusta.

Il terremoto di Messina del 1908 innescò un maremoto di impressionante violenza che si riversò sulle zone costiere di tutto lo Stretto di Messina con ondate devastanti stimate, a seconda delle località della costa orientale della Sicilia, da 6 m a 12 m di altezza. Lo tsunami in questo caso provocò migliaia di vittime, aggravando il bilancio dovuto al terremoto.

Un movimento dell'acqua di dimensioni più contenute si verificò nel dicembre 2002 nel Mar Tirreno. L'onda generata dal crollo in mare di un costone del vulcano Stromboli, alta alcuni metri, distrusse parte delle zone costiere abitate dell'isola di Stromboli causando danni e disagi anche alla navigazione.

Preoccupazioni in tal senso sono state espresse più volte dall'INGV riguardo a possibili eruzioni del vulcano sottomarino Marsili nel Tirreno meridionale in grado di generare potenziali e devastanti tsunami sulle coste tirreniche dell'Italia centro-meridionale.

Mentre per i sismi è possibile attuare efficaci procedure di prevenzione attiva del territorio attraverso la realizzazione di infrastrutture ed edifici con rigorose norme e tecniche antisismiche, per il maremoto non è possibile una protezione diretta in quanto, trattandosi di un onda lunga ad enorme portata, qualunque ragionevole barriera eretta lungo la costa verrebbe sopraffatta e scavalcata dall'immensa forza dell'onda. Non potendo quindi evitare efficacemente alcun tipo di danno materiale la sola possibile forma di prevenzione contro i maremoti è la protezione passiva ovvero sistemi di previsione e successiva allerta delle popolazioni potenzialmente vittime cercando quindi di abbattere almeno la perdita di vite umane.

In particolare un evento sismico potenzialmente tsunami-genico può essere predetto da vari istituti di sismologia in varie parti del mondo, tuttavia sperimentalmente si osserva che non tutti i sismi sottomarini ad elevata energia liberata causano un movimento del fondo oceanico tale da innescare poi effettivamente un maremoto con numerosi possibili falsi allarmi.

Pur essendo in corso numerosi esperimenti volti alla determinazione di un modello fisico-matematico affidabile capace di correlare in maniera certa ed efficace il verificarsi di un maremoto, non esiste al momento alcun tipo di modello affidabile in questo senso. Altri studi previsionali sono fatti tramite simulazioni al calcolatore per studiare gli effetti del frangimento di eventuali onde anomale generate da maremoto sulle coste fornendo mappe di pericolosità.

L'unico modo efficace a tutt'oggi per rilevare l'effettiva generazione di un maremoto da parte di un sisma sottomarino è la misurazione diretta della variazione del livello marino subito dopo la rilevazione del terremoto. Attualmente misurazioni per l'inoltro di allarmi precoci, con il necessario livello di attendibilità, possono essere effettuate soltanto tramite l'impiego di sistemi posizionati sul fondo marino e capaci di trasmettere in tempo reale i dati acquisiti. A causa dell'elevata velocità di propagazione del maremoto sugli alti fondali e, supponendo di voler disporre di almeno un'ora di preavviso, è necessario dunque dispiegare piattaforme di rilevazione dell'onda ad una distanza di circa mille chilometri dalla costa che si intende proteggere/allertare. Naturalmente in questo caso la sorgente dovrà necessariamente localizzarsi ad una distanza maggiore.

In nessun caso però eventuali e raffinati modelli teorici di previsione e sistemi di misurazione del livello del mare sarebbero in grado di proteggere da un maremoto se questo fosse invece innescato da un fenomeno sismico molto vicino alla linea di costa in quanto risulterebbe vano ogni tentativo di allertare in tempo la popolazione. In questi particolari casi di rischio come unica, ma efficace misura di prevenzione attiva sarebbe quella di non costruire insediamenti di alcun tipo lungo le coste fino a qualche km nell'entroterra.

Molte città che si affacciano sull'oceano Pacifico, principalmente in Giappone ma anche nelle Hawaii, possiedono già da tempo sistemi di allarme e testate procedure di evacuazione in caso di gravi tsunami, mentre altre zone costiere a rischio risultano ancora scoperte.

A seguito degli eventi catastrofici del 26 dicembre 2004, quando uno tsunami generato da un terremoto sul fondo dell'oceano ha provocato profonde devastazioni e centinaia di migliaia di vittime in diversi paesi costieri del Mar delle Andamane e dell'Oceano Indiano, il governo tailandese ha immediatamente approvato all'unanimità una proposta di intervento per la prevenzione di tali disastri ed ha formulato un programma sistematico per l'evacuazione delle aree nelle province litoranee sul Mar delle Andamane di Thailandia. Il programma d'evacuazione ha previsto l'installazione di un sistema pubblico di allarme immediato e l'indicazione dei punti di riunione ed itinerari per l'evacuazione più brevi dalla zona della spiaggia. In un progetto pilota, un sistema di allarme immediato è stato installato in tre punti strategici lungo la spiaggia di Patong. Successivamente, l'installazione dei sistemi di allarme immediato è stata realizzata in ciascuna delle sei province della Thailandia del sud, tra le quali Krabi. I dati sull'intensità di una possibile onda provocata da un ipotetico terremoto o maremoto saranno elaborati e trasmessi al sistema d'allarme immediatamente via satellite e nel caso in cui ci sia un'alta probabilità di occorrenza di uno tsunami, sarà lanciato un immediato allarme alle zone ad elevato rischio intorno alla Thailandia. Sistemi di avvertimento ed allarme composti da sirene, luci lampeggianti rosse, oltre a messaggi audio-registrati in varie lingue, entreranno immediatamente in funzione. Il sistema d'allarme sarà coadiuvato dalle stazioni radiofoniche (FM 169.696) e dall'invio automatico di oltre 20 milioni di messaggi SMS. L'agenzia meteorologica tailandese, a completamento del sistema, ha installato verso la fine del 2007, tre stazioni abissali nel Mar delle Andamane per la misurazione in tempo reale degli tsunami, al fine di evitare che il possibile reiterarsi di probabili falsi allarmi induca la popolazione costiera a dubitare dell'efficacia del sistema. Gli allarmi generati soltanto sulla scorta di dati sismologici devono, infatti, essere considerati soltanto come "avvisi di probabile Tsunami" e non come allarmi veri e propri.




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