giovedì 17 settembre 2015

LO STRETTO DI MESSINA



"Noi siamo sempre pronti, facciamo questo di mestiere, ci piacerebbe farlo, è una bella cosa, lo dico sempre che il Ponte è una risorsa per il Sud, è importante per il Paese" e per questo "spero che si faccia e continuo a crederci". Lo ha detto l'ad di Salini Impregilo, Pietro Salini commentando le parole del ministro dell'Interno Angelino Alfano, che nei giorni scorsi ha annunciato un Ddl sulla grande opera.

L'infrastruttura "può avere una grande valenza per lo sviluppo del Sud - ha aggiunto Salini - non possiamo lasciare il Sud in mano alla criminalità, dobbiamo investire in quell'area del Paese. Penso che sia un grandissimo investimento per tutti, è una grande fonte di lavoro e un'occasione di rivedere un Paese che pensa in termini di programmi, di visione del futuro".

Lo Stretto di Messina, situato al centro del Mediterraneo, separa la Sicilia dalla penisola Italiana e costituisce il collegamento tra i bacini Ionico e Tirrenico. Dal punto di vista morfologico lo Stretto può essere paragonato ad un imbuto che rivolge verso Nord la parte più stretta, situata tra Capo Peloro e Torre Cavallo (dove presenta l’ampiezza di 1,7 miglia), mentre verso Sud si apre gradatamente (fino a raggiungere una larghezza di 7,5 miglia) tra Capo Scaletta e Punta Pellaro. In corrispondenza della congiungente Ganzirri-Punta Pezzo è presente una soglia la cui parte più elevata si trova a circa 80 metri dalla superficie. A partire da questa sezione il fondale degrada rapidamente fino a raggiungere circa 2000 metri nel tratto antistante Capo dell’Armi (Mar Ionio) e 500 metri nel Mar Tirreno.

Lo Stretto di Messina presenta caratteristiche di unicità che si manifestano principalmente nella ricchezza di vita delle sue acque. Tale condizione di unicità è correlata principalmente con le sue peculiari caratteristiche idrodinamiche. Nello Stretto di Messina confluiscono i due mari Ionio e Tirreno, che presentano fasi opposte di marea, per cui al massimo livello nel Mar Ionio corrisponde il minimo nel Tirreno e viceversa. Per compensare la differenza di livello dei due bacini si genera un flusso d’acqua diretto per circa sei ore della giornata dallo Ionio verso il Tirreno (corrente “montante”) e poi per altre sei ore dal Tirreno verso lo Ionio (corrente “scendente”); entrambe le correnti determinano controcorrenti litorali, denominate refoli o bastardi. Inoltre persiste una corrente stazionaria, con direzione costante e intensità variabile fino ad un nodo, che va nel senso della scendente nello strato compreso tra 0 e 30 metri, mentre al di sotto di tale quota le acque fluiscono in senso inverso. Al termine di ciascuna fase di corrente segue un breve intervallo di stanca, cui subito succede un ribollimento delle acque lungo una fascia trasversale dello Stretto. Il fenomeno, detto “taglio”, è individuabile per il frangente che si genera e si sposta verso Sud, lungo l’asse delle Stretto, in entrambe le fasi di corrente. Successivamente le acque cominciano a scorrere con velocità crescente, raggiungendo il valore massimo (fino a oltre sei nodi in periodi di sigizie) dopo circa tre ore, secondo la nuova direzione assiale. Dal conflitto di queste acque si generano i famosi vortici di cui i vari classici greci e latini tramandarono un pauroso ricordo nella leggenda dei mostri di Scilla e Cariddi.

L’intensità delle correnti e la particolare conformazione delle coste e dei fondali dello Stretto di Messina determinano costanti fenomeni di upwelling, cioè rimonta di acque profonde ricche di nutrienti in superficie. In specifiche zone dello Stretto, dove i fenomeni di risalita sono più intensi, è addirittura possibile reperire organismi batifili, che di solito vivono a profondità comprese tra i 200 ed i 900 metri, sospinti in superficie ancora in vita dall’azione delle correnti.

Per quanto si riferisce al profilo sottomarino dello stretto, esso può essere paragonato ad un monte, il cui culmine è la "sella" (lungo la congiungente Ganzirri-punta Pezzo), i cui opposti versanti hanno pendenze decisamente differenti. Nel mar Tirreno, infatti, il fondo marino digrada lentamente fino a raggiungere i 1.000 m nell’area di Milazzo e, per trovare la batimetrica dei 2.000 m, si deve oltrepassare l’isola di Stromboli. Nella parte meridionale (mare Ionio), invece, il pendio è molto ripido ed a pochi chilometri dalla "sella" è possibile registrare la profondità di 500 m tra le città di Messina e Reggio, oltrepassare ampiamente i 1.200 m poco più a sud (punta Pellaro), per raggiungere i 2.000 m al centro della congiungente ideale capo Taormina - capo d'Armi.

La minore ampiezza (3.150 metri nel punto più stretto) si riscontra lungo la congiungente Ganzirri-punta Pezzo cui corrisponde a livello del fondo una "sella" sottomarina ove si riscontrano le minori profondità (80–120 m). In questo tratto i fondali marini presentano un solco mediano irregolare, con profondità massima di 115 m, che divide una zona occidentale (in prossimità di Ganzirri) caratterizzata da profonde incisioni, da quella orientale di Punta Pezzo, più profonda e pianeggiante.

Caratteristica del settore settentrionale dello stretto è l'ampia valle di Scilla, con una parte più profonda e ripida (circa 200 m). La valle comincia poi ad appiattirsi e ad essere meno acclive verso il mar Tirreno dove prende il nome di bacino di Palmi. Le pareti laterali della valle, profonde e scoscese, si elevano bruscamente conferendo alla sezione trasversale una forma ad "U". Un'ampia ed irregolare depressione, meno incisa (valle di Messina), avente anch’essa sezione ad "U", si riscontra nella parte meridionale. A profondità superiori ai 500 m, la valle di Messina si stringe divenendo più profonda e dando origine ad un ripido canyon sottomarino (canyon di Messina) che si protende fino alla piana batiale dello Ionio.

Tralasciando gli aspetti mitologici, la cui influenza ha permeato per secoli la visione anche artistica dello stretto di Messina i primi studi di carattere scientifico sulle correnti dello stretto di Messina si devono a Ribaud, vice-console francese a Messina, che nel 1825 pubblica un compendio di quanto noto all'epoca su tale argomento. Le sue osservazioni hanno rappresentato un punto fermo per quasi un secolo. Da segnalare anche la pubblicazione nel 1882 di un "manuale pratico" molto dettagliato da parte di F. Longo, comandante di navi mercantili particolarmente esperto dello stretto.



Finalmente, a distanza di quasi un secolo dalle osservazioni di Ribaud, il particolare regime delle correnti dello stretto fu studiato per la prima volta con grande dettaglio scientifico mediante la raccolta sistematica di dati mirati ad una conoscenza completa dei fenomeni, durante le campagne di studio della Nave Marsigli della Marina Militare, svolte durante gli anni 1922 e 1923 sotto la direzione del prof. Vercelli (fisico, direttore dell’Istituto geofisico di Trieste); furono indagate anche le caratteristiche fisico-chimiche di quelle acque grazie alle analisi condotte da Picotti (chimico dello stesso istituto).

Dall’insieme dei risultati raccolti vennero costruite le "Tavole di Marea" dello stretto, tuttora edite dall’Istituto idrografico della Marina (I.I.M. Pubbl. n° 3133), dalla cui lettura è possibile conoscere le previsioni della corrente (velocità e direzione) in due punti (punta Pezzo in Calabria e Ganzirri in Sicilia); è inoltre possibile calcolare, grazie a formule molto semplici, le previsioni di corrente in altri 9 punti.

Nel corso degli anni sono state effettuate periodiche verifiche di tali misure, con strumenti sempre più sofisticati, che hanno di fatto confermato l’ottimo lavoro svolto nel 1922-1923. Anche le ulteriori elaborazioni di Defant (1940) hanno contribuito all’aumento delle nostre conoscenze ed alla migliore comprensione dei fenomeni dinamici dello stretto di Messina.

Nel 1980, al fine di valutare la possibilità di uno sfruttamento delle correnti dello stretto per la produzione di energia, è stata condotta dall’OGS (Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale) di Trieste una campagna di misure su lungo periodo per conto dell’ENEL, con il posizionamento in 9 punti dello stretto, nell’area di minore ampiezza compresa tra le congiungenti Ganzirri-Punta Pezzo e Capo Peloro-Scilla, di una serie di catene correntometriche con 3 moderni correntometri ciascuna, per un totale di 27 strumenti di misura operativi in situ per un periodo di 4-6 mesi.

A partire dalla metà degli anni 80, la Ponte di Archimede S.p.A. inizia ad interessarsi del problema con un diverso approccio (posizionamento in superficie su struttura galleggiante ed asse verticale) e con la collaborazione di una ditta specializzata in propulsori per la navigazione ad asse verticale (VOITH GmbH).

I primi esperimenti iniziano nel 1986, passano dal brevetto per la turbina idraulica ad asse verticale KOBOLD nel 1998, per giungere all’impianto pilota ENERMAR posto in attività nello stretto nel marzo 2002 e collegato alla rete elettrica nazionale nel mese di marzo 2006.

La piattaforma, ancorata 150 m al largo di Ganzirri (Sicilia), ha un diametro di 10 m, è dotata di elica a tre lame alta 5 m ed è in grado di erogare 100 kW con una velocità della corrente di 3 m/s. I risultati sperimentali indicano in circa 22.000 kWh l'energia utile estraibile annualmente. In questo sito, considerata l'area interessata dalle correnti, l'energia totale estraibile dallo stretto di Messina sarebbe pari a 538 GWh.

In aree marine lontane dallo stretto di Messina, il mar Tirreno è mediamente più freddo e meno salato del mare Ionio, mentre, lungo tutta la costa siciliana compresa tra capo Taormina e Messina, i fenomeni di upwelling, portando in superficie acque di profondità, determinano che le acque ioniche presenti negli strati superficiali dello stretto siano sensibilmente più fredde di quelle riscontrabili alla medesima quota in altre zone del mar Ionio. Per le acque di superficie estive le temperature nello stretto sono mediamente più basse di 4 - 10 °C. Delle masse d’acqua del mar Mediterraneo (superficiali, levantine intermedie, profonde), e quindi del mar Ionio e del mar Tirreno, soltanto quelle superficiali e levantine intermedie sembrano entrare in gioco nello stretto di Messina, come confermato dalle misure di salinità nell’arco di 24 ore effettuate davanti a Ganzirri.

Dall’esame di questi dati si può osservare che acque sottostanti la Levantine Intermediate Water (LIW) non raggiungono lo stretto, infatti l’isoalina di 38,7 e sporadici valori di 38,8 indicano nella LIW il confine inferiore delle acque che possono rimontare dal mar Ionio. È possibile affermare, inoltre, che dal mar Tirreno provengono esclusivamente acque superficiali.

Secondo Defant (1940), solo metà dell’acqua ionica risalita nello stretto passerebbe nel mar Tirreno ove, in accordo ai dati di Vercelli e Picotti (1926), sarebbe condizionata nel suo movimento (orizzontale verso NW e verticale verso il fondo) sia dalla maggiore densità, rispetto a quella delle acque tirreniche, sia dalle stesse acque che da tale bacino fluiscono a sud parallelamente alla costa calabrese sia, infine, da un vortice stabile a rotazione ciclonica centrato a nord dell’ingresso settentrionale dello stretto.

Il transito nello stretto di Messina delle diverse masse d’acqua, in funzione del regime di corrente, determina quindi l’incontro di acque tra di loro non immediatamente miscibili. Poiché solo una parte delle acque che si presentano sulla sella riesce a passare nel bacino contiguo e di queste una parte cospicua, perdendo velocità, staziona ai confini dello stretto per ritornarvi nuovamente con il successivo flusso, è possibile riscontrare con frequenza corpi d’acqua che, cambiando bacino, vanno ad occupare quote diverse da quelle originarie in funzione di un nuovo equilibrio dinamico negli strati d’acqua del bacino ricevente. Questo continuo spostamento e lento mescolamento di acque è un fattore ulteriore di vivificazione dell’area dello stretto di Messina. Infatti, i sali di azoto e fosforo trasportati negli strati superficiali dalle acque profonde ioniche non riescono ad essere utilizzati immediatamente dal fitoplancton nelle zone di grande turbolenza, mentre ciò può avvenire ai margini dello stretto, ove la velocità della corrente si riduce notevolmente.

Il modello semplificato risultante può essere così riassunto: arricchimento nell’area della "sella"; massimo di clorofilla e produzione di sostanza organica qualche chilometro a sud (punta Pellaro), degradazione e mineralizzazione della sostanza organica (prima prodotta a nord) nella parte più meridionale dello stretto (capo dell’Armi).

Le correnti di upwelling fanno sì che le acque dello stretto siano nettamente più ricche di plancton rispetto a quelle dei mari adiacenti, il che favorisce una maggiore diversità ittica.

Le condizioni idrologiche dello stretto di Messina sono straordinarie, e del tutto peculiari e speciali sono i popolamenti che esso ospita. Infatti, l’intenso idrodinamismo e le caratteristiche chimiche delle acque dello stretto sono in grado di condizionare gli organismi che in esso vivono e, anzi, riescono ad influenzare l’intero assetto biologico dell’ambiente determinando uno straordinario ecosistema, unico nel mar Mediterraneo per biocenosi ed abbondanza di specie; lo stretto di Messina, quindi, costituisce un fondamentale serbatoio di biodiversità.

Le intense ed alterne correnti, la bassa temperatura e l’abbondanza di sali di azoto e fosforo trasportati in superficie dalle acque profonde determinano la disponibilità di una grande quantità di sostanza organica utilizzata sia dagli organismi pelagici sia, soprattutto, dai popolamenti bentonici costieri. Tutto ciò, insieme ai fenomeni associati, determina un vero e proprio riarrangiamento ecologico che nelle specie a prevalente distribuzione occidentale tende a simulare una condizione di tipo "atlantico". Infatti, numerose specie prettamente atlantiche, come ad esempio le laminarie (grandi alghe brune), pur se presenti in qualche altra zona del mar Mediterraneo solo nello stretto di Messina  riescono a formare comunità ben strutturate formando delle vere foreste sottomarine a riprova delle ottimali condizioni ambientali.

È importante segnalare a questo proposito che sia le laminarie di bassa profondità (Sacchoryza polyschides), sia i popolamenti profondi a Laminaria ochroleuca, e le comunità vegetali associate, sono strettamente dipendenti dalle caratteristiche fisiche e biologiche del substrato. Come è noto, infatti, per completare il loro ciclo vitale, questi organismi richiedono un substrato solido già colonizzato da rodoficee calcaree, in assenza delle quali l’insediamento non può avere luogo.



Lo stretto di Messina, confine fra i due bacini occidentale ed orientale del mar Mediterraneo, è un punto importante di osservazione dei flussi migratori delle specie che si trovano nei due bacini. In quest’area pervengono o transitano comunità planctoniche, anche di lontana origine sia orientale sia atlantica. Fra le specie bentoniche, di particolare rilevanza è la presenza di Pilumnus inermis, in precedenza considerato esclusivamente atlantico, che rappresenta una delle specie più rilevanti nell’associazione a Errina aspera (idrozoo), noto endemismo dello stretto di Messina, su cui vive un Mollusco cipreide (Pedicularia sicula), riscontrabile a livello della sella fra 80 e 110 m, ove sono presenti numerose altre specie fra cui l’ofiura Ophiactis balli ed i crostacei Parthenope expansa e Portunus pelagicus (immigrato lessepsiano). Da segnalare ancora il dente di cane gigante (Pachylasma giganteum). Grande importanza biologica ed ecologica è anche da ascrivere alle già citate Laminariales dello stretto (Sacchoryza polyschides e Laminaria ochroleuca). Infine, sembra doveroso evidenziare sia la presenza di Albunea carabus e di cospicui insediamenti di Pinna nobilis sia, per quanto si riferisce invece ai popolamenti vegetali, la presenza di Rodoficee calcaree e di vaste praterie di Posidonia oceanica, ampiamente distribuite per areale e per profondità. Degna di nota, sempre per gli organismi vegetali, è anche la presenza di Phyllariopsis brevipes, Phyllariopsis purpurascens, Desmarestia dresnayi, Desmarestia ligulata, Cryptopleura ramosa specie che sono da ritenersi di estrema importanza perché presenti solo in quest’area o in poche altre aree molto ristrette del mar Mediterraneo.

Dal punto di vista faunistico lo stretto di Messina è considerato da sempre il paradiso degli zoologi, per l’enorme biodiversità che lo caratterizza. Le specie di invertebrati bentonici sono quelle che destano maggiore interesse. Il fondale è arricchito da una grande varietà di forme e colori dovute all’abbondanza di celenterati (attinie, madrepore e coralli).

Un chiaro esempio sono le "foreste" di gorgonie gialle e rosse (Paramuricea clavata) dei fondali di Scilla. Queste, aderendo al substrato, creano un vero e proprio bosco, ambiente ideale ad ospitare numerose altre specie bentoniche.

Le specie ittiche sono ben rappresentate da cernie, saraghi, dentici, castagnole, leccie, ricciole ed in periodo invernale dagli splendidi Zeus faber conosciuti anche come pesce San Pietro.

Indubbiamente lo stretto di Messina, trovandosi lungo una delle principali direttrici migratorie del mar Mediterraneo, è un punto fondamentale di transito per la migrazione di numerose specie. Certamente le più conosciute e rilevanti, da un punto di vista economico ed ambientale, sono i grandi pelagici, cioè tonno rosso (Thunnus thynnus), alalunga (Thunnus alalunga), palamita (Sarda sarda), aguglia imperiale (Tetrapturus belone) ed il pescespada (Xiphias gladius).

Le caratteristiche idrodinamiche e la ricchezza dello stretto determinano il transito in acque superficiali di questi pesci che possono essere catturati con le particolari barche chiamate feluche o passerelle, attive solo in questa parte del mar Mediterraneo. Inoltre, solo nello stretto, pur se con attrezzi diversi, è possibile catturare il tonno in tutto l’arco dell’anno e di tutte le classi d’età (dalle forme giovanili agli organismi adulti) perché sarebbe presente una popolazione stanziale che periodicamente si muove tra i due mari limitrofi: il Tirreno e lo Ionio.

Da considerare ancora che lo stretto di Messina è un punto di passaggio obbligato per le migrazioni dei cetacei, probabilmente il più importante nel mar Mediterraneo in termini di diversità di specie. Degni di segnalazione, oltre a tutte le specie di delfini presenti in Mediterraneo, sono le balenottere e particolarmente i capodogli che attraversano lo stretto per andare nell’area delle Isole Eolie probabilmente a fini riproduttivi.

Infine, è da evidenziare la presenza di alcuni importanti selacei che migrano attraverso lo stretto di Messina, quali Carcharodon carcharias (squalo bianco, il quale è attratto dai delfini e tonni che qui sono più abbondanti rispetto ad altre zone del Mediterraneo ) ed Hexanchus griseus, conosciuto come squalo capopiatto.

Altra peculiarità dello stretto di Messina è la presenza di una varia e numerosa fauna batipelagica (comunemente chiamata anche fauna abissale) che, trasportata in superficie dalla corrente proveniente da Sud (corrente montante), può essere facilmente catturata ancora in condizioni vitali nei punti di maggiore turbolenza (vortici o scale di marea), o trovata spiaggiata lungo la riva in particolari condizioni meteo-marine. Esempi classici da menzionare sono Chauliodus sloani (pesce vipera), Argyropelecus hemigymnus (pesce accetta o ascia d’argento) e Myctophum punctatum (pesce diavolo).

Tali organismi batipelagici, che vivono in grandi quantità nelle profondità del mar Mediterraneo (tra i 300 ed i 1.000 m ed anche oltre), pur non avendo alcun valore commerciale sono una fondamentale risorsa trofica per l'ecosistema marino in genere e per lo stretto in particolare. Alcune specie non vengono trasportate in superficie dalle correnti in maniera totalmente passiva, ma effettuano ben definiti movimenti verticali, risalendo in superficie soprattutto durante la notte (migrazioni nictimerali).

La gran parte di questi pesci dall'aspetto mostruoso, in maggioranza dotata di particolari organi luminosi chiamati fotofori, è facilmente reperibile nello stretto.

La loro abbondante presenza, segnalata in ambito scientifico dall’ittiologo messinese Anastasio Cocco, richiamò a Messina tra la seconda metà del XIX secolo e l'inizio del XX secolo scienziati provenienti da tutta Europa che potevano trovare, in modo relativamente semplice, il materiale più vario ed abbondante per i loro studi. Krohn, per primo definì lo stretto di Messina come il paradiso degli zoologi. Per ricordare i più importanti tra questi studiosi, furono presenti a Messina per svolgere ricerche di zoologia, anatomia ed embriologia il già ricordato Krohn, Ruppel, Muller, Claus, Kolliker, Gegenbaur, Keferstein, Metschnikoff, Hertwig, Foll, ed Anton Dohrn, che in quegli anni fondò la Stazione Zoologica di Napoli, ancora oggi prestigioso centro di ricerca di livello internazionale, a lui intitolato in anni recenti.

Lungo le coste siciliane e calabresi dello stretto è presente un biotopo costiero di notevole interesse, costituito da un complesso biocenotico che, per la sua particolare origine e struttura, non può passare inosservato (infatti, nella sponda siciliana, rientra nei confini della Riserva naturale Lagune di capo Peloro). Si tratta di un tratto esteso di costa compreso tra capo Peloro e S. Agata, interessato dalla presenza di una panchina rocciosa che, dalla linea di spiaggia, si porta fino ad alcuni metri di profondità.

Questa formazione, interpretabile come una beach rock, si situa in una posizione di raccordo tra il piano mesolitorale e la frangia superiore del piano infralitorale. Tale struttura rappresenta l’unico substrato duro naturale per le comunità bentoniche all’interno di questa fascia batimetrica, lungo il versante siciliano dello stretto.

Inoltre, per la sua particolare morfologia, per la distribuzione topografica, ed in funzione dei particolari condizionamenti determinati dal regime idrodinamico dello stretto, la struttura ospita comunità bentoniche del tutto originali, rispetto a quanto noto per la generalità dei biotopi mediterranei affini. Oltre al suo rilevante interesse in termini di documentazione geologica (testimonianza di età tirreniana) e antropologica (anticamente utilizzata come cava per macine da mulino), la struttura è di grande importanza in quanto ospita estese formazioni a Vermetus, cioè un biotopo protetto a livello comunitario. Tali formazioni rappresentano inoltre un caso unico nel mar Mediterraneo, in quanto ubicate sulla superficie del conglomerato, anziché disposte nella tipica formazione a trottoir.

Le due province che si affacciano sullo stretto sono Messina e Reggio Calabria. Nel secondo dopoguerra si impose l’idea di porre rimedio all’arretratezza e al sottosviluppo meridionale tramite la creazione di grandi poli industriali, che richiedevano a loro volta la realizzazione di grandi infrastrutture di collegamento, che nel caso dello stretto di Messina sarebbe stato l'attraversamento stabile. In questo clima, alla fine degli anni ‘60 venne approvato il cosiddetto “Progetto 80” ovvero il programma economico nazionale 1971-1975, che tra le altre, prevedeva la creazione dell’Area Metropolitana dello stretto di Messina, da realizzarsi attorno all’attraversamento stabile. Tale previsione veniva condivisa dai piani regolatori generali di Giuseppe Samonà e Quaroni/Castelli come una proiezione pianificatoria di ampio respiro, mentre non ebbe successo a livello regionale, tanto che gli strumenti di programmazione regionale successivi non solo non proponevano uno sviluppo unificato dell’area dello stretto, ma al contrario prevedevano uno sviluppo infraregionale, in cui era prevista una espansione preferenziale verso l’entroterra dei grandi centri.

L'attraverso ferroviario avviene imbarcando il treno nel traghetto. Il tempo totale impiegato dalle Ferrovie dello Stato per la traversata e i suoi preparativi è di quasi 2 ore (calcolato come il tempo che intercorre tra l'arrivo del treno a Villa S. Giovanni e il momento in cui il treno è in grado di ripartire da Messina)
Reggio Calabria - Messina (11 km):
un tempo veniva svolto l'intero traffico tra le due regioni fino alla costruzione dell'approdo di Villa San Giovanni che ha consentito lo spostamento dell'intero traffico ferroviario e la maggior parte del traffico automobilistico, ciò ha permesso di alleggerire il traffico nel porto di Reggio sfruttando la minore distanza tra le due coste che intercorre a nord;
oggi tra i due porti di Reggio e Messina si svolge parte del traffico di traghetti che permettono di trasportare persone e automobili tra le due città dello stretto;
si svolgono collegamenti veloci tra i due porti tramite navette ed aliscafi che permettono di trasportare persone tra le due città;
Reggio Calabria - Tremestieri (ME) (11 km):
si imbarca dal porto di Reggio verso il nuovo approdo di Tremestieri, inaugurato nel 2005 nella zona Sud di Messina;
Villa San Giovanni (RC) - Tremestieri (ME) (14 km):
gran parte del traffico pesante si svolge dall'approdo di Villa San Giovanni verso il nuovo approdo di Tremestieri. È in progetto l'ampliamento dell'approdo siciliano con la costruzione di nuovi invasi, che serviranno a liberare totalmente il porto di Messina dal traffico con destinazione l'attraversamento dello stretto.




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