domenica 30 agosto 2015

L'ARAGOSTA



L'aragosta è un crostaceo estremamente pregiato. Fin dall'antichità, l'aragosta è stata pescata e destinata al consumo dal ceto medio-alto anche se, in alcuni periodi storici, le sono stati attribuiti significati anche negativi. Tuttavia, ad oggi l'aragosta rappresenta il prodotto della pesca più ambito tra tutti e, com'è deducibile, ciò ne ha determinato un prelievo intensivo. Tutte le specie di aragosta vengono pescate col metodo del tramaglio o della nassa, che di per sé non hanno un impatto ambientale particolarmente dannoso. D'altro canto, l'aragosta è una specie stanziale e gregaria, pertanto l'individuazione anche di un solo esemplare può determinare la concentrazione del prelievo e il conseguente abbattimento di un'intera colonia.
Secondo la Convenzione di Berna - Appendice III (legge n. 503 del 5 agosto 1981), l'aragosta mediterranea è una specie protetta; inoltre, come previsto dall'articolo 132 del D.P.R. 1639/68, l'aragosta mediterranea è soggetta a fermo pesca nel periodo che va' dal 1 gennaio al 30 aprile, quando verosimilmente raggiunge la maturità riproduttiva. Fortunatamente, l'aragosta è una specie soggetta ad allevamento, dal quale proviene la maggior parte degli esemplari reperibili sul mercato.

L'aragosta mediterranea è un crostaceo dell'ordine Decapoda che vive nei fondali del mar Mediterraneo e dell'oceano Atlantico orientale.

Ha una taglia medio-grande con una lunghezza media di 20-40 cm e massima di 50 cm ed un peso fino a 8 kg. Il corpo è di forma sub-cilindrica, rivestito da una corazza che durante la crescita cambia diverse volte per ricrearne una nuova. Il carapace è diviso in due parti - il cefalotorace (parte anteriore) e l'addome (parte posteriore) - con una colorazione da rosso-brunastro a viola-brunastro ed è cosparso di spine a forma conica. L'addome è formato da 6 segmenti mobili.

Anteriormente presenta due antenne più lunghe del corpo, ripiegate all'indietro, gialle e rosse a tratti, che hanno la funzione di organi sensoriali e di difesa; sulla fronte sono anche presenti due spine divergenti a V.

L'ultimo segmento del pleon, il telson, assieme agli pleopodi del sesto segmento, forma il ventaglio caudale, utile per il nuoto. Possiede diverse zampe, ma solo una parte vengono utilizzate per camminare.

Essendo un Palinuro non possiede zampe chelate.

Durante tutta la sua vita non smette mai di crescere ed è un animale piuttosto longevo: può infatti vivere anche fino a 70 anni.

È diffusa nel mar Mediterraneo e nell'oceano Atlantico orientale. Vive nei fondali rocciosi dai 20 m fino ai 150 m di profondità.

È una specie gregaria e piuttosto sedentaria, si trovano spesso insieme numerosi esemplari.

Si nutre di plancton, alghe, spugne, anellidi, echinodermi, briozoi, crostacei e pesci, a volte anche carcasse di questi.



La riproduzione avviene a fine estate e in inverno nascono le larve, le quali raggiungono subito i fondali che le ospiteranno per il resto della loro vita.

L'acquisto dell'aragosta richiede tutti gli accorgimenti specifici degli altri crostacei; in virtù della deperibilità precoce, anche l'aragosta necessita un consumo a ridosso della sua morte, dopo la quale si avvia un velocissimo processo di liberazione di gruppi azotati (percepibile con un più o meno intenso aroma di ammoniaca). Ciò significa che, per mangiare una buona aragosta, questa dovrebbe essere acquistata "viva" anche se non esiste alcun obbligo di cuocerla viva; è pur logico che, nel caso la si voglia preparare bollita, sopprimerla con l'utilizzo di un coltello significa comprometterne il contenuto di liquidi fisiologici racchiusi della testa (ricchi di sapore).
Sono molto diffuse le aragoste congelate, anche se - come (e ancor più) il resto dei crostacei - non possiedono lo stesso gusto del fresco.
L'aragosta si presta a tutte le preparazioni ma, in virtù del sapore delicato e caratteristico, è consigliabile consumarla: cruda, bollita o meglio al vapore. Altri metodi di cottura comprometterebbero notevolmente le caratteristiche organolettiche e gustative del prodotto.

L'aragosta ha una notevolissima quantità di scarto e la parte edibile è limitata a meno di 1/3 del totale.
L'aragosta è ricca di proteine ad alto valore biologico, è povera di lipidi (la maggior parte dei quali sono grassi polinsaturi o grassi buoni) e contiene tracce di zuccheri; l'aragosta è un alimento proteico assolutamente ipocalorico e si presta anche a regimi alimentari dimagranti. Per contro, a causa del relativo contenuto di colesterolo, rappresenta un alimento poco consigliabile alla dieta contro l'ipercolesterolemia.
L'aragosta è ricca di vitamine idrosolubili, soprattutto tiamina, riboflavina e niacina, ma non sono disponibili i valori relativi alle vitamine liposolubili; l'aragosta potrebbe essere ricca anche di retinolo equivalenti.
Il contenuto in ferro è discreto e "dovrebbe" apportare anche buone quantità di potassio (valore non reperibile).
Il guscio dell'aragosta è ricco di chitosano, un polisaccaride trattato industrialmente con soluzioni alcaline al fine di ricavarne la chitina; quest'ultima molecola, frequentemente impiegata nella formulazione di integratori alimentari, dovrebbe vantare la caratteristica di legare i grassi alimentari e impedirne l'assorbimento intestinale. I risultati effettivi di questa applicazione sono comunque inconcludenti.



In alcune ricette viene applicato il metodo della cottura a vivo in acqua bollente, in quanto è opinione diffusa che gli invertebrati non percepiscano il dolore. Al riguardo il governo norvegese ha richiesto nel 2005 uno studio scientifico che ha confermato come il loro sistema nervoso non è in grado di elaborare tali sensazioni. Nel febbraio 2013 è stato pubblicato uno studio di ricercatori irlandesi secondo il quale invece i movimenti del crostaceo al momento dell'immersione non sarebbero dovuti a riflessi automatici, ma a reale percezione del dolore.

L'alto contenuto di emocianina nella loro emolinfa - circolazione comune di sangue e linfa - dà la colorazione viola, la quale però è mantenuta soltanto quando l'aragosta resta in profondità. Alla luce del sole o in superficie il colorito viola svanisce. Spesso l'aggiunta di ammoniaca ai crostacei fissa la colorazione rossa o viola.

Le aragoste soffrono, così come accade a granchi e crostacei, quando vengono immerse ancora vive nell’acqua bollente. La scoperta, pubblicata sul “Journal of Experimental Biology”, contraddice quanto si è creduto finora, ossia che i loro movimenti fossero semplicemente dei riflessi automatici.

A dimostrare che, proprio come i mammiferi, i crostacei possono provare ed esprimere un’autentica sofferenza è l’esperimento condotto dai biologi Elwood e Barry Magee, dell’irlandese Queen’s School of Biological Sciences. Il risultato è la conferma definitiva di quanto gli stessi ricercatori avevano osservato in passato studiando gamberi e paguri. L’esperimento è stato condotto su decine di granchi comuni che, sottoposti ad una piccola scossa elettrica, hanno cercato di evitare la seconda nascondendosi: per gli autori della ricerca è un comportamento che smentisce decisamente quanto si è creduto finora, ossia che i crostacei non provassero dolore. I ricercatori non hanno dubbi in proposito: “L’esperimento”, spiega Elwood “ è stato progettato in modo da poter distinguere chiaramente le reazioni dovute al dolore da quelle generate da un movimento riflesso chiamato nocicezione”. Quest’ultima è una reazione generata dalle terminazioni nervose periferiche. Mentre la prima è una reazione consapevole, la seconda è una sorta di automatismo.

I ricercatori sono convinti che la loro scoperta non potrà non avere conseguenze sul modo in cui aziende alimentari e chef trattano granchi, gamberi e aragoste. E gli chef attendono adesso ulteriori indicazioni dal mondo della ricerca. “Ho sempre saputo che immergendo in acqua bollente dalla testa un’aragosta non sente dolore. Nessuno vuol far male agli animali e io sono sempre stato molto scrupoloso”, commenta lo chef Heinz Beck. “Se non va bene quanto da sempre insegnato nelle scuole di cucina” aggiunge, “aspettiamo ora dai ricercatori indicazioni su metodi indolori di soppressione dei crostacei”.
Beck afferma di avere “sempre rifiutato metodi crudeli che uccidono gli esemplari vivi tagliandoli a metà con un colpo di coltello. È atroce, e io non l’ho mai fatto. Ma se non va bene la tradizionale cottura in acqua bollente, ci diano indicazioni per una dolce morte perché la clientela continua a chiedere, anche in tempi di crisi, i crostacei”. Nel frattempo, conclude, “rimango scrupoloso, ma continuerò a portali a tavola”.


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