martedì 11 agosto 2015

IL CASTELLO DI MAREDOLCE



Il castello di Maredolce alla Favara, mantiene ancora oggi, nelle sue rovine, il fascino dell’antico splendore.

Dal punto di vista artistico rientra nel grande quadro dell’architettura siciliana del periodo arabo e normanno e rispecchia la cultura del tempo in cui è stato concepito. È il segno evidente della sintesi delle grandi tradizioni culturali ed architettoniche isolane che hanno caratterizzato la Sicilia fino alla realizzazione della fabbrica: quella bizantina, quella araba e quella normanna.

Si inserisce all’interno del vasto Parco Normanno della Fawarah ("sorgente che bolle") che si estende dalle pendici del monte Grifone fino al mare, in un luogo particolarmente ricco di acque, come testimonia Ibn Hawqal, che nel 937 scrive: «...nell’angolo della montagna (il monte Grifone) che sovrasta a Sud la città di Palermo erano due fawwàra, cioè due sorgenti una grande ed una piccola». Proprio questa abbondanza d’acqua permise al normanno re Ruggero la realizzazione di un bacino artificiale sul quale si specchiava il palazzo ricreando dei suggestivi effetti scenici tanto cari alla cultura artistica araba e normanna.

Una delle prime notizie di questo Palazzo è quella riportata da Romualdo Salernitano nel suo Chronicon, secondo il quale Maredolce non è da considerarsi una fabbrica ex novo, quanto una ricostruzione voluta da Ruggero II sul precedente palazzo dell’emiro Giafar.

Sotto i re normanni, a cui piacquero la posizione e l’organizzazione del complesso architettonico, ed in particolare con Ruggero II, il castello  subisce un vasto intervento di trasformazione e di ampliamento, diventando così uno dei“solatii regii”, i luoghi di delizia dei sovrani normanni. Sempre al primo re normanno di Sicilia va attribuita la realizzazione della bella peschiera  chiamata con  termine arabo “Albehira”, che  era alimentata da una copiosa fonte esistente ai piedi del Monte  (la sorgente della Fawwarah), che sgorgava da tre grandi fornici ad arco acuto e da li veniva incanalata.
L’edificio primitivo infatti, come ancora può vedersi, era circondato per tre lati dall’acqua di un lago artificiale che per le sue grandi dimensioni prese il nome di “Maredolce”, nella quale furono immessi, provenienti da diverse regioni, pesci di svariate specie, come si sa dalle cronache coeve.

Il lago veniva navigato dal re e dalla sua corte per soddisfare i loro momenti di piacere personale , ed era anche utilizzato, data la gran quantità di pesci, come riserva di pesca.
Celebri rimangono i versi del poeta arabo nato a Trapani nel XII secolo,’Abd’ar Rahman:
”Ho quanto è bello il lago delle due palme e la penisola nella quale s’estolle il gran palagio!
L’acqua limpidissima delle due polle somiglia a liquide perle e il bacino a un pelagio.
Par che i rami degli alberi si allunghino per contemplare il pesce nell’acqua e gli sorridano.
Nuota il grosso pesce in quelle chiare onde e gli uccelli tra que’ giardini modulano il canto.”
Al centro del lago sorgeva una piccola isola artificiale di forma irregolare, piantata ad agrumi e con un palmeto, dove il re si recava per stare immerso nelle delizie.



L'edificio ha pianta quadrangolare, e possiede al centro un cortile molto spazioso, dotato in origine di un portico con volte a crociera, del quale rimane solo qualche traccia. L'esterno è formato da blocchi di tufo con arcate a sesto acuto. Nel lato non bagnato dal lago artificiale si aprono quattro entrate, due delle quali portano alla grande Aula regia e alla cappella palatina, di forma rettangolare ad una sola navata coperta da due volte a crociera, con transetto sormontato da una cupola semisferica e dedicata ai santi Filippo e Giacomo già dal XIII secolo.

La struttura dell'adiacente hammam è dal XIX secolo inglobata in una palazzina, ed è riconoscibile con difficoltà.

Il prospetto principale del complesso è quello di nordovest, l’unico che non era bagnato dalle acque del lago, dove si aprono quattro varchi che consentono  l’accesso nell’edificio, il primo immette nell’Aula Regia, il secondo nella cappella, il terzo all’interno del grande cortile mentre l’ultimo ingresso è tamponato. In questa parte del castello, che oggi troviamo in miglior stato di conservazione, si trovavano gli spazi destinati alla rappresentanza, mentre gli ambienti privati erano disposti lungo i lati meridionale, orientale ed occidentale. Una simile distribuzione degli spazi è stata assimilata e confrontata con quella dei “ribat” dell’architettura islamica, veri e propri conventi fortificati che ospitavano i combattenti della fede mussulmana.

La cappella della Favara  collocata  forse sullo stesso luogo della originaria moschea privata dell’emiro, è formata da una nave unica di forma rettangolare con due campate coperte con volte a crociera e da un piccolo transetto non aggettante che attraversa il presbiterio, che si conclude nell’abside. Il centro del presbiterio è coperto da una piccola cupola semisferica, posta su un alto tamburo ottagonale che si raccorda alla nave mediante nicchie angolari pensili. Nelle pareti si conservano ancora le tracce di affreschi , purtroppo andati perduti, ma ancora visibili ai tempi del Mongitore e del Di Giovanni ( XVIII-XIX sec.).
La cappella riprende i temi tradizionali dell’architettura ecclesiale bizantina. Di chiara impronta bizantina è infatti la tipologia dell’impianto ad unica navata, ma anche la sua disposizione, essa ha infatti l’abside rivolto ad oriente secondo la tradizione della chiesa di Bisanzio.

All’esterno del palazzo molti storici citano la presenza  di un complesso termale (Vincenzo Auria lo raffigura come una struttura coperta da cupole in un disegno del XVII secolo e Gaspare Palermo lo vede ancora nel 1816), ciò conferma che l’antica” Portae Thermarum” (Porta Termini), aveva preso questo nome , non per la città di Termini, ma per le terme di Maredolce, che si trovavano  distanti qualche miglio dalla città.

Durante la sua plurisecolare vita il castello della Favara ha registrato vari cambi di proprietà, che ne hanno determinato continue manomissioni. Infatti, estinta la dinastia normanna, il castello appartenne al demanio regio fino a quando, nel 1328, Federico II d’Aragona lo cedette all’Ordine dei Cavalieri Teutonici della Magione, che lo trasformarono in ospedale, utilizzando le acque termali a fini terapeutici.
Nella prima metà del XV secolo fu concesso in enfiteusi alla potente famiglia dei Bologna cui appartenne fino alla fine del XVI secolo, che vi impiantò un’azienda agricola. Nel secolo XVII passato in proprietà del duca di Castelluccio Francesco Agraz, mantiene la stessa funzione, fin quando tra il 1777 e il 1778 si riduce a caseggiato agricolo opportunamente adattato a tale scopo dall’architetto Emanuele Cardona. Negli anni successivi  l’edificio cadde in abbandono, le sue strutture andarono in rovina, e tutto il complesso cadde nell’oblio al punto che fu utilizzato come ricovero di animali meritandosi l’appellativo di “Castellaccio”.
Acquisito infine al demanio regionale, la Soprintendenza ai BB.CC. e AA. di Palermo ha condotto un esteso e impegnativo restauro del castello eliminando tutte le superfetazioni che nel tempo avevano cambiato la fisionomia del manufatto, avviando anche, un programma di recupero dell’intera area così da poter essere restituita alla pubblica fruizione.
Poco o quasi nulla rimane però del grande lago, ormai prosciugato da tempo e sostituito da un agrumeto.




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