mercoledì 19 agosto 2015

GLI ICEBERG



Prima dell’aprile 1912 non c’erano sistemi di monitoraggio degli iceberg che mettessero in guardia le navi sul pericolo di possibili collisioni. La tragedia dell’affondamento del Titanic, avvenuta il 15 aprile di quell’anno, che provocò la morte di circa 1.500 dei suoi 2.223 passeggeri, diede una forte spinta all'istituzione di organismi di sorveglianza degli iceberg. La marina americana pattugliò le acque monitorando i flussi di ghiaccio, fino a quando nella Conferenza Internazionale sulla Sicurezza in Mare del novembre 1913, tenutasi a Londra, venne decisa la nascita di un ente di osservazione permanente degli iceberg: nel giro di tre mesi sarebbe nata la International Ice Patrol (IIP) con il compito di raccogliere dati meteorologici e oceanografici nell'Atlantico settentrionale, misurandone le correnti, i flussi di ghiaccio, la temperatura e i livelli di salinità. Nel XX secolo molti altri enti scientifici sono stati istituiti per studiare e monitorare gli iceberg tra cui il NIC, National Ice Center, nato nel 1995.

La formazione di iceberg in Antartide e nei mari che circondano il Polo Nord, è un evento assai comune; di eccezionale possono esserci, a volte, le dimensioni delle masse di ghiaccio che si staccano, che possono essere di parecchie migliaia di km.
Gli iceberg si formano in due condizioni:
1) quando ghiacciai terrestri scendono fino al mare, la parte finale della lingua di ghiaccio, a contatto con l’acqua marina, inizia a galleggiare, per un fenomeno detto “calving”: il ghiaccio, infatti, è più leggero dell’acqua. Questo provoca la formazione di fratture nella massa di ghiaccio e il conseguente distacco di porzioni più o meno grandi. La forma di questo tipo di iceberg è in genere irregolare, con una superficie frastagliata e tormentata. 
2) quando ghiacciai molto ampi confluiscono tra loro allo sbocco in mare, l’unione delle lingue finali origina piatti tavolati di ghiaccio galleggiante, le cosiddette piattaforme (da non confondere con la banchisa, originata da ghiaccio formatosi per congelamento di acqua marina). Grandi piattaforme circondano il continente antartico: la piattaforma di Ross, nel mare omonimo, e di Ronne, nel Mare di Weddell, sono le più estese. I movimenti di correnti e maree nell’acqua sottostante, insieme alla costante spinta esercitata dai ghiacciai che alimentano le piattaforme, causano la fratturazione e la frammentazione delle piattaforme stesse, che ogni anno perdono in questo modo tra i 1450 e i 2000 km3 di ghiaccio (un volume equivalente a circa la metà dell’acqua potabile consumata in un anno nel mondo). Gli iceberg di questo tipo hanno in genere la forma di piatti tavolati dalla superficie relativamente liscia e regolare.



Questi ultimi sono tipici della zona antartica, mentre gli iceberg del primo tipo si formano più facilmente nei mari artici, dove le terre emerse non sono circondate da piattaforme di ghiaccio galleggiante e i numerosi ghiacciai terrestri possono perciò sfociare direttamente in mare.
Essendo il ghiaccio meno denso dell’acqua, gli iceberg galleggiano sulla superficie marina: la parte immersa è quindi circa 7- 10 volte (a seconda della differenza di densità tra acqua e ghiaccio) più alta di quella emersa. Se si considera che alcuni iceberg possono essere alti, rispetto alla superficie del mare, parecchie decine di metri, si comprende bene come l’appellativo di “montagne di ghiaccio” sia particolarmente indicato: un iceberg che mostra una parete di 30 metri, continua, per esempio, sotto il livello del mare, fino a una profondità di più di 200 metri.

L’iceberg più grande mai avvistato è un iceberg antartico, osservato nel 1956, che misurava 335 x 97 km, con una superficie di 31.000 km2, pari a quella del Belgio.
Dopo la frammentazione di B-15, grande come l’Abruzzo, attualmente il primato di gigante dei mari spetta all’iceberg C-19A, più grande della Liguria.

Essendo costituiti da ghiaccio di ghiacciaio, originato, quindi, dalla trasformazione di neve, gli iceberg sono fatti per la gran parte da acqua dolce. Hanno rappresentato in passato un’importante riserva di acqua potabile per le popolazioni dell’estremo Nord, come gli Inuit. Anche ora vengono periodicamente riproposti progetti per lo sfruttamento di queste preziose risorse, per esempio rimorchiando iceberg in prossimità di coste di Paesi con scarsità d’acqua potabile, tuttavia per ora i costi di queste operazioni risultano ancora molto superiori ai benefici.

Una volta staccatisi dal ghiacciaio o dalla piattaforma, gli iceberg vengono sospinti alla deriva dai venti, dalle correnti e dalle maree. L’erosione operata dal vento e dalle onde e la progressiva fusione a cui vanno incontro spostandosi verso latitudini più calde ne riducono le dimensioni, insieme a ulteriori frammentazioni a causa, per esempio, di violente tempeste o collisioni tra loro o con la terraferma. Il destino degli iceberg è quindi quello di ridursi di dimensioni fino a scomparire, ma la loro vita può essere anche di parecchi anni.
A causa della fusione che subiscono con l’aumentare delle temperature, gli iceberg si osservano soltanto ad alte latitudini. Gli iceberg antartici, per esempio, normalmente non si spingono oltre la cosiddetta “convergenza antartica”, una fascia a 45-55 ° di latitudine Sud, ma qualche eccezione è sempre possibile: l’iceberg più “giramondo” mai osservato, nel 1894, si è spinto fino ad una latitudine di 26°30’ Sud, nell’Oceano Atlantico.



Gli iceberg di maggiori dimensioni (i più interessanti da studiare, ma anche i più pericolosi per la navigazione) sono costantemente seguiti e tenuti sotto controllo dai satelliti (ora anche con l’uso di GPS). Per facilitarne l’identificazione, il NIC (National Ice Center degli USA, che dipende dal Dipartimento della Difesa e dalla NOAA, National Oceanic and Amtosferic Administration, nonchè dalla Guardia Costiera statunitense) attribuisce un nome a ciascuno dei nuovi iceberg avvistati.
In Antartide, i nomi degli iceberg sono costituiti da una lettera, che identifica la zona di provenienza, e da un numero, che indica il numero progressivo di avvistamento a partire dal 1976, anno in cui è stato istituito il servizio di vigilanza, mentre un’altra lettera identifica i “figli” di successive frammentazioni.








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