domenica 13 settembre 2015

LA MIGRAZIONE LESSEPSIANA



La migrazione lessepsiana è l'ingresso e la stabilizzazione di specie animali e vegetali dal Mar Rosso nelle acque del Mar Mediterraneo attraverso il Canale di Suez. Il nome deriva da quello di Ferdinand de Lesseps, progettista del canale che unisce i mari Rosso e Mediterraneo.

A partire dal 1869, anno di apertura al traffico del Canale, alcune centinaia di specie appartenenti a tutti i principali gruppi di organismi marini, sia vegetali sia animali, sono state ritrovate nel Mediterraneo.

Nei primi anni di apertura l'immigrazione fu contenuta. Le teorie a spiegazione di ciò sono diverse, ma non necessariamente si escludono a vicenda. Una è l'originaria forte salinità dei cosiddetti Laghi amari del canale di Suez, che impediva la migrazione delle specie marine verso il Mediterraneo. Dopo alcuni anni dall'inizio della navigazione, il flusso d'acqua mossa dal traffico marittimo avrebbe fatto sì che il contenuto salino dei laghi si uniformasse. Un'altra tesi è che l'acqua dolce trasportata dal Nilo, la cui foce è a pochi chilometri dallo sbocco del canale di Suez, abbia formato un'importante barriera fino alla costruzione della diga di Assuan, nella seconda metà del XX secolo, la quale ha ridotto la portata del Nilo e, di conseguenza, l'apporto di acque dolci al delta del Nilo.

Mentre numerosissime specie del mar Rosso si sono diffuse in Mediterraneo formando molto spesso popolazioni stabili e, non di rado, soppiantando le specie atlanto-mediterranee, la migrazione inversa dal Mediterraneo al Mar Rosso è stata di entità molto inferiore. Si suppone che la causa di questo sia da ascriversi nella povertà di specie nel Mediterraneo orientale dovuta a una incompleta ricolonizzazione di questo bacino a seguito della crisi di salinità del Messiniano, le specie eritree hanno quindi trovato molte nicchie ecologiche libere che hanno prontamente occupato. C'è da dire che i bacini est del Mediterraneo sono fortemente caratterizzati in senso subtropicale e quindi la colonizzazione da parte degli organismi, principalmente di origine temperata, del bacino occidentale è stata spesso modesta. In effetti solo poche specie lessepsiane hanno raggiunto le regioni occidentali del Mediterraneo, maggiormente occupate da specie atlantiche e quindi, con meno nicchie ecologiche vacanti.



Testimonianza di questi continui mutamenti sono le caverne presenti nei fondali, sommerse grazie ai cambiamenti del livello delle acque. Non è raro, infatti, imbattersi in caverne con stupende sculture naturali costituite da stalattiti e stalagmiti, tanto belle e superbe da essere paragonate a cattedrali subacquee, dove la natura si è sbizzarrita a modellare forme suggestive.

A questo fenomeno di mutamenti non si sono sottratte la flora e la fauna che nel corso dei secoli si sono succeduti sui fondali del mar Mediterraneo.
Da qualche tempo stiamo assistendo alla comparsa di specie “aliene”, ossia di specie tipiche di altre regioni del mondo e di altri mari che iniziano a fare la loro comparsa nel Mediterraneo o di altre che vi si sono stabilite da tempo.

Essenzialmente sono due i fattori che hanno determinato il proliferare di tale fenomeno:
i cambiamenti climatici con il relativo innalzamento della temperatura delle acque e la migrazione lessepsiana (dal nome di Ferdinand De Lesseps) attraverso il canale di Suez.
C’è da dire che quest’ultimo fattore risulta particolarmente rilevante per la migrazione di molte specie; questi “migranti” non sono solo pesci ma anche vegetali come la Caulerpa racemosa o nudibranchi, molluschi senza conchiglia, come il Chromodoris quadricolor.

Tale “invasione” contaminante può essere il retaggio di un passato geologicamente prossimo in cui esisteva solo la Tetide, unico oceano di acqua abbastanza calda in cui sguazzavano e vivevano specie tipiche dei reefs tropicali e del mar Rosso o piuttosto una conseguenza dei veloci cambiamenti climatici di cui ogni angolo del nostro pianeta è affetto.

Con la creazione del canale di Suez terminò l’isolamento del mar “chiuso” Mediterraneo ed iniziò una lenta migrazione dal mar Rosso; sono poche le specie che hanno percorso il tragitto inverso sia a causa delle correnti che spingono verso nord per la quasi totalità dell’anno sia per l’enorme quantità di diversità presente nel mar Rosso che non permette fenomeni di colonizzazioni.
Ecco che nelle acque della Calabria e della Sicilia appaiono i pesci Pappagallo (Sparisoma cretense), pesci Balestra (Balistes capriscus), Barracuda (Sphyraena sphyraena) vivere accanto ed in sintonia con specie nostrane. Proprio osservando il proliferare di tali specie “aliene” ci sorprende la straordinaria capacità di adattamento a queste continue e veloci trasformazioni da parte del Mediterraneo.
Anche in forza di tali fenomeni si parla sempre più spesso di tropicalizzazione delle acque del Mediterraneo.



Elemento determinate di tali mutamenti della biodiversità e dei cambiamenti climatici è l’attività dell’uomo; con l’apertura del canale di Suez per favorire le rotte commerciali, si sono favorite le vie di migrazioni di specie tipiche dell’oceano Indiano come la Melibe fimbriata, osservabile sui fondali della costa calabrese del Reggino e del canale di Sicilia. Altre specie giungono, sempre attraverso il canale di Suez, attraverso le navi che vi transitano divenendo i mezzi di locomozione come per la Oculina patagonica che si può trovare nel mar Ligure.

Le continue immissioni in atmosfera di gas serra contribuiscono notevolmente all’innalzamento della temperatura delle acque del mar Mediterraneo ed alla sua relativa tropicalizzazione diventando l’habitat ideale e quasi endemico della Donzella pavonina (Thalassoma pavo) o la Bursatella leachi un simpatico nudibranco dal corpo ricco di crescenze dalle dimensioni di circa 8 cm che è ormai diffuso anche nelle aree settentrionali del Mediterraneo.

Paradossalmente si può parlare di ricolonizzazione da parte di queste specie tropicali ed Indo-Pacifiche perché milioni di anni fa, quando esisteva solo la Tetide, queste erano già presenti come testimoniano rinvenimenti fossili in alcune aree dell’Italia del Nord.
Queste specie, dette lessepsiane, entrano nel Mediterraneo attraverso questa “porta aperta” e trovando acque con temperature simili alla loro provenienza trovano un habitat favorevole alla loro permanenza. Al momento la presenza di queste specie non rappresenta un problema in quanto la loro quantità non è tale, se si esclude qualche specie come la Donzella pavonina, da indurre a parlare di fenomeni di colonizzazione.

Un fenomeno naturalmente tutt’altro che limitato al nostro mare, ma piuttosto molto diffuso e quanto mai accresciuto negli ultimi anni per effetto dell’incremento esponenziale della densità del traffico marittimo commerciale. In termini probabilistici, il singolo essere vivente è difficile che riesca a sopravvivere adattandosi all’ambiente nuovo in cui viene a trovarsi quando le acque vengono scaricate, ma il numero molto elevato di “tentativi” certamente alza le probabilità di sopravvivenza e adattamento delle specie, con elevati rischi di alterazione delle catene alimentari e di sopravvivenza per le specie indigene. Con una eccezione piuttosto ovvia, quella del Mare del Nord, dove l’habitat è certamente molto ostile per la maggior parte delle specie non indigene.


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