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martedì 7 marzo 2017

MARE DEL NORD



Il mare del Nord è situato sulla piattaforma continentale europea.

I suoi fondali sono poco profondi: in media tra i 90 e i 100 m; maggiori profondità si hanno lungo le coste della Norvegia, dove si superano i 600 m. Le maree hanno escursione variabile da 2,4 a 4 m sulle coste meridionali e occidentali; sono più ridotte invece lungo le coste norvegesi. La temperatura delle sue acque, nella zona centrale, varia in media dai 6 °C nei mesi più freddi ai 14 °C nei mesi più caldi; in prossimità delle coste l’escursione termica è maggiore. Anche la salinità varia da luogo a luogo; passa dal 35‰ nella zona centrale e occidentale al 20‰ in prossimità delle foci dei grandi fiumi, numerose in particolare sulle coste sud-orientali (Schelda, Mosa, Reno, Ems, Weser, Elba). Numerose le isole o i gruppi di isole (le maggiori sono le Orcadi e le Shetland al N e le Frisone a SE); molto frastagliate le coste, dove si trovano diversi porti, tra i maggiori del mondo (Amburgo, Brema, Amsterdam, Rotterdam, Anversa, Londra).

Il Mare del Nord ha ricchi giacimenti di petrolio e di gas naturale; il primo rinvenimento importante si ebbe nel 1965, al largo delle coste orientali inglesi: a circa 70 miglia dalla foce del fiume Humber fu individuato un giacimento di gas naturale a circa 3000 m sotto il fondale marino. Nel 1969 venne scoperto il primo giacimento di petrolio e nel 1975 ebbe inizio lo sfruttamento dei giacimenti situati in gran parte nei settori britannico (petrolio di Forties e Brent; gas naturale di Leman Bank e Indefatigable) e norvegese (gas naturale e petrolio di Ekofisk, petrolio di Statfjord). Economicamente il Mare del Nord è importante anche per la pesca (soprattutto dell’aringa e del merluzzo).

Lo sviluppo della civiltà europea è stato fortemente influenzato dal traffico marittimo nel mare del Nord. I Romani prima e i Vichinghi poi cercarono di estendere i loro territori in tutto il mare. Più tardi sia la Lega Anseatica che i Paesi Bassi hanno cercato di dominarne il commercio marittimo e utilizzarlo come ponte per accedere ai mercati del resto del mondo.

Lo sviluppo della stessa Gran Bretagna nel passato come potenza marittima dipendeva fortemente della sua posizione dominante all'interno mare del Nord, dove s'affacciavano alcune delle potenze sue rivali, in primo luogo i Paesi Bassi e la Germania, ma anche le nazioni scandinave e in misura minore la Russia attraverso il vicino mar Baltico. Le imprese commerciali, l'aumento della popolazione e la presenza di risorse limitate, sono tutti fattori che hanno portato le nazioni che si affacciavano sul mare del Nord a desiderarne il controllo degli accessi per interessi commerciali, militari, o come collegamento indispensabile verso le colonie d'oltremare.

La sua importanza si è andata trasformando da militare a economica. Le attività economiche tradizionali, quali la pesca e il trasporto marittimo, hanno continuato a crescere, e altre di nuove si sono aggiunte e sono state sviluppate, come ad esempio le estrazioni di combustibili fossili e l'energia eolica.

Il nome di “mare del Nord” deriva originariamente dal suo rapporto alla terra dei frisoni. La Frisia si trova direttamente a sud del mare del Nord, a ovest del mare Orientale (Oostzee, il Mar Baltico), a nord dell'ex mare Meridionale (Zuiderzee, l'odierno Lago d'IJssel, la propaggine interna dei Paesi Bassi del mare del Nord). Il nome "mare del Nord" venne utilizzato nelle regioni centro-settentrionali della Germania (che effettivamente possiede parti delle coste meridionali del mare), probabilmente mutando il termine dato dai frisoni. Anche fra i primi nomi dati dagli spagnoli vi fu Mar del Norte.

Dal punto di vista della città anseatiche tedesche del Medioevo, il mare ad est era chiamato il "mare Orientale" (il mar Baltico in tedesco è letteralmente l'Ostsee), così come il mare a nord era il mare del Nord. La diffusione delle mappe utilizzate da mercanti anseatici favorì il diffondersi di questo nome nel resto dell'Europa.

I primi cenni al traffico marittimo nel mare del Nord provengono dall'Antica Roma, che cominciò ad esplorare il mare già nel 12 a.C. La Gran Bretagna venne formalmente invasa nel 43 d.C. e le sue regioni meridionali incorporate all'Impero Romano, cominciarono quindi in quel tempo gli scambi commerciali tra il mare del Nord e il Canale della Manica. I Romani abbandonarono successivamente il sud della Gran Bretagna nel 410 e nel vuoto di potere, popolazioni germaniche quali gli Angli e i Sassoni, iniziarono una grande migrazione attraverso il mare del Nord scacciando e soppiantando le popolazioni celtiche native delle isole.

L'espansione vichinga ebbe inizio nel 793 con l'attacco a Lindisfarne e nel successivo quarto di millennio i Vichinghi dominarono il mare del Nord creando colonie e avamposti lungo le coste.

Con il tramonto dell'era vichinga il commercio nel mare del Nord venne dominato dalla Lega Anseatica. La Lega, anche se centrata sul mar Baltico, ebbe importanti avamposti in questo mare. Merci provenienti da tutto il mondo attraversavano il mare del Nord lungo le rotte per la città anseatica.

Dal 1441 i Paesi Bassi, da un punto di vista economico e navale, iniziarono a configurarsi come la potenza rivale della Lega. Nel XVI secolo erano la principale potenza economica e il mare del Nord divenne crocevia del commercio tra le lontane colonie e i mercati di tutta Europa.

Il potere olandese durante la sua epoca di massimo splendore fu ragione di crescente preoccupazione per l'Inghilterra, che vedeva il suo futuro nella marina mercantile e nelle colonie d'oltremare. Ciò fu alla base delle primi tre guerre anglo-olandesi tra il 1652 e il 1673. Alla fine della Guerra di Successione spagnola nel 1714, gli olandesi non erano più un attore fondamentale della politica europea.

La supremazia navale della Gran Bretagna, prima del XX secolo, vedeva come unici seri contendenti solo la Francia napoleonica e i suoi alleati continentali. Nel 1800 un'unione di potenze navali minori, chiamata Lega di neutralità armata, si formò per proteggere il commercio neutrale nel corso del conflitto tra Gran Bretagna e Francia. La Marina britannica sconfisse le forze unite della Lega di neutralità armata nella battaglia di Copenaghen del 1801 nel Kattegat. La Gran Bretagna successivamente sconfisse la marina francese nella battaglia di Trafalgar al largo delle coste della Spagna.

Le tensioni nel Mare del Nord si aggravarono nel 1904 con l'incidente del Dogger Bank, in cui in navi da guerra russe scambiarono delle navi da pesca britanniche per navi giapponesi e sparato su di esse. L'incidente, che avveniva in uno scenario caratterizzato da un'alleanza tra la Gran Bretagna e il Giappone combinato con una guerra russo-giapponese in atto, portò ad un'intensa crisi diplomatica. La crisi si ridimensionò con la sconfitta russa ad opera dei giapponesi e il pagamento di indennizzi per i pescatori.

Durante la Prima guerra mondiale la marina della Gran Bretagna e quella della Germania (la Kaiserliche Marine) si fronteggiarono sul Mare del Nord facendolo diventare il principale teatro della guerra per superficie di azione. La marina britannica, con una flotta maggiore, fu in grado di stabilire un efficace blocco navale per la maggior parte del periodo bellico, limitando così l'approvvigionamento di risorse indispensabili agli Imperi centrali. Le principali battaglie furono la Battaglia di Helgoland Bight, la Battaglia di Dogger Bank, la Battaglia dello Jutland e la Seconda Battaglia di Helgoland Bight.

Anche la Seconda guerra mondiale ha visto operazioni nel Mare del Nord, anche se prevalentemente limitato alla caccia con sottomarini e a navi di più ridotte dimensioni. Il 9 aprile 1940 i tedeschi avviarono l'Operazione Weserübung in cui la quasi totalità del flotta tedesca si concentrò a nord verso la Scandinavia tra lo Skagerrak e il Kattegat. Durante l'occupazione tedesca della Norvegia, l'operazione Shetland Bus collegò segretamente la Gran Bretagna alla Norvegia.

Negli ultimi anni della guerra e nell'anno immediatamente successivo, enormi quantità di armi furono smaltite o affondate nelle acque del mare del Nord, rappresentate principalmente da granate, mine terrestri e navali, bazooka, cartucce, e armi chimiche. Anche se le stime variano ampiamente, centinaia di migliaia di tonnellate di munizioni furono qui disperse.

Dopo la guerra il Mare del Nord perse molto del suo significato militare, perché circondato esclusivamente da paesi membri della NATO. Acquisì però una notevole importanza economica a partire dagli anni sessanta con l'inizio dello sfruttamento petrolifero e dei giacimenti di gas metano.

Il letto del Mare del Nord forma due bacini. Il più settentrionale si trova a nord di un crinale tra Norfolk e la Frisia, e ha avuto la sua origine nel Devoniano. Il bacino meridionale si spinge verso lo Stretto di Dover e da là verso il Canale della Manica. Questo bacino risale al Carbonifero.

Nel corso della più recente glaciazione gran parte del bacino settentrionale fu coperto dai ghiacci, e il resto, compreso il bacino meridionale, si ricoprì di tundra. Durante il periodo interglaciale si creò una diga naturale di gesso, il “Weald-Artois Anticline”. Anche se la cresta probabilmente collassò, costituito la parte più alta del ponte di terra che collegò momentaneamente l'Europa continentale con la Gran Bretagna.



Gli Storegga Slides furono una serie di frane sottomarine, in cui un pezzo della piattaforma continentale norvegese scivolò nel Mare di Norvegia. Le immense frane si verificarono tra il 8150 a.C. e 6000 a.C., e provocarono uno tsunami alto fino a 20 metri che attraversò il Mare del Nord abbattendosi maggiormente sulla Scozia e sulle Isole Fær Øer.

Il Mare del Nord si trova sopra quello che era la giunzione fra tre placche tettoniche continentali risalenti all'inizio dell'Era Paleozoica. Successivamente, nel Mesozoico, si formò una faglia con andamento nord-sud al centro del Mare del Nord. Questa faglia che corre dal Canale della Manica causa terremoti occasionali, che possono anche provocare danni alle strutture sulla terraferma. Il terremoto che avvenne nello Stretto di Dover del 1580 è tra i primi terremoti storici registrati che provocarono ingenti danni sia in Francia che in Inghilterra, a cui si associò anche un maremoto. Il più grande terremoto mai registrato nel Regno Unito avvenne nel 1931 al largo delle sue coste verso il Dogger Bank, e misurò 6,1° sulla scala Richter e ha provocato uno tsunami che inondò parti della costa britannica.

Le tre placche continentali formate nel corso dell'Era Paleozoica sono l'Avalonia, la Laurentia e la Baltica. La placca Baltica forma ora la costa orientale, e s'affaccia verso i paesi scandinavi; Avalonia consiste nella costa meridionale e occidentale del Mare del Nord lungo l'Inghilterra, il nord della Germania e la Francia; Laurentia segna il perimetro settentrionale del Mare del Nord con l'Oceano Atlantico.

Lo scambio di acqua salata tra il Mare del Nord e Atlantico si verifica attraverso il Canale della Manica, come pure nella zona settentrionale del Mare del Nord, lungo la costa scozzese e attraverso il Mare di Norvegia. Il Mare del Nord riceve acqua dolce non solo dal flusso dei fiumi, ma anche dalla bassa salinità del Mar Baltico che ne è collegato attraverso lo Skagerrak. Il bacino idrografico dei fiumi che si gettano nel Mare del Nord misura una superficie di 841.500 km² e fornisce un volume di 296–354 km³ di acqua dolce ogni anno. Il bacino idrografico che getta nel Mar Baltico misura una superficie quasi doppia (1.650.000 km²) e contribuisce con 470 km³ di acqua dolce ogni anno.

A Skagen, nello Jutland, punta più estrema del Nord della Danimarca, dove si trova la penisola sabbiosa della  lingua di terra di Grenen (a nord di Skagen) due mari si imbattono e le onde sulla spiaggia bagnano i piedi sia da sinistra che da destra.
Le onde del Mar Baltico e del Mare del Nord si incontrano, provenendo da opposte direzioni, senza potersi mescolare a causa della loro diversa densità, formando in tal modo un’increspatura costante che dalla costa si allontana pendicolarmente all’orizzonte.
Tutto ciò  origina perenni turbolenze e violente correnti che impediscono la balneazione e la navigazione.
Delle semplici leggi idrodinamiche (branca della fisica che si occupa di descrivere il moto dei fluidi) sottostanno a questa strana manifestazione naturale che risulta  provocata  da una barriera che si interpone fra i due mari, generando due moti ondosi contrapposti che si scontrano allontanandosi reciprocamente nelle 2 rispettive direzioni opposte.
Questa barriera che divide il Mare del Nord e il Mar Baltico è dovuta alla differente temperatura, salinità e densità di ciascuno dei 2 mari.
Anche se in maniera più riduttiva ciò che accade in Danimarca si può spiegare meglio prendendo in esempio l’incontro tra il mar Mediterraneo e l’Oceano Atlantico.
E’ noto che l’acqua del mar Mediterraneo è calda, salata e più densa rispetto all’acqua dell’Oceano Atlantico, che quindi risulta essere più “leggera”.
A livello dello stretto  di Gibilterra, quando le acque del Mediterraneo e dell’Atlantico si mischiano, le diverse correnti marine (moti convettivi) si muovono per diverse centinaia di chilometri, una più in profondità, e una più superficialmente, pur mantenendo le proprie peculiari caratteristiche chimiche e fisiche.Tutto ciò fa in modo che non accada nessuna separazione tra l’uno e l’altro, e si può osservare un continuum marino.

Se fra i due mari esistesse invece una barriera come quella tra lo Skagerrak e il Kattegat, le diverse correnti non potrebbero mescolarsi a diverse profondità e si scontrerebbero come avviene in Danimarca.

Circa 185 milioni di persone vivono nei bacini idrografici dei fiumi che si gettano nel Mare del Nord. Questi bacini ricoprono gran parte dell'Europa occidentale: un quarto della Francia, tre quarti di Germania, quasi tutta la Svizzera, una piccolissima porzione d'Italia, metà dello Jutland, la totalità dei Paesi Bassi e del Belgio, la parte meridionale della Norvegia, il bacino del Reno dell'Austria occidentale, e la parte orientale della Gran Bretagna. Questa area contiene una delle più grandi concentrazioni industriali del pianeta.

Il principale movimento delle acque all'interno del Mare del Nord è in senso anti-orario lungo le coste. L'acqua dalla Corrente del Golfo entra nel mare attraverso due direzioni: per il Canale della Manica verso la Norvegia, e aggirando a nord la Gran Bretagna e seguendone successivamente le coste verso sud. Questi movimenti generano altre piccole correnti che si dirigono verso est nella parte centrale del Mare del Nord. Un'altra corrente spazia a sud nella parte orientale del mare. Questa trasporta acqua fredda dal Nord Atlantico e nel periodo tra primavera e inizio dell'estate rinfresca le acque superficiali al largo dell'Inghilterra, mentre al largo delle Paesi Bassi e della Germania inizia una fase di riscaldamento. L'acqua che esce del Mar Baltico sale verso nord lungo la costa norvegese ritornando nell'Atlantico in quello che è chiamata Corrente norvegese.

Il tempo di permanenza medio dell'acqua all'interno del Mare del Nord è compresa tra 1 e due anni. Le acque più a nord sono scambiate più rapidamente, mentre per quelle meridionali possono passare anni prima di raggiungere le regioni settentrionali e fuoriuscirne verso l'Atlantico.

Fronti d'acqua basati sulla temperatura, salinità, nutrienti, e inquinamento possono essere chiaramente identificate, anche se con più facilità nel periodo estivo rispetto a quello invernale. Fra i principali si identificano il Fronte delle Frisone, che divide l'acqua proveniente dal Nord Atlantico da quella originaria della Manica, e il Fronte danese, che divide le acque costiere meridionali da quelle della parte centrale del Mare del Nord.

L'afflusso di acqua proveniente dai grandi fiumi si mescola molto lentamente con l'acqua marina. Le acque del Reno e dell'Elba, ad esempio, possono ancora essere chiaramente distinte in mare al largo della costa nord-ovest della Danimarca.

Le coste occidentali sono frastagliate, risultato dell'azione dei ghiacci durante le ere glaciali. I litorali lungo la parte meridionale sono più morbidi, ricoperti con i resti di depositati morenici che sono stati a loro volta scaricati in mare. Le montagne norvegesi si tuffano direttamente in mare e le coste sono caratterizzati da numerosi fiordi e arcipelaghi. A sud di Stavanger la costa si ammorbidisce e le isole si presentano in numero inferiore. La costa orientale scozzese è simile, anche se meno marcata rispetto a quella della Norvegia. A partire da Flamborough Head nel nord-est dell'Inghilterra, le scogliere diventano più basse e sono composte da minori depositi morenici, e le coste, erose più facilmente si presentano con contorni più arrotondati. Nei Paesi Bassi, nel Belgio e nell'Inghilterra orientale (East Anglia) il litorale è basso e paludoso. La costa orientale e sud-orientale del Mare del Nord (mare dei Wadden) hanno coste che sono principalmente di tipo sabbioso.

Le coste settentrionali portano ancora il segno degli immensi ghiacciai le ricoprivano durante le ere glaciali, creando il frastagliato paesaggio costiero. I fiordi sono nati dall'azione dei ghiacciai, che nel loro lento movimento verso il mare hanno raschiato e scavato profonde fenditure nel suolo. Con il ritirarsi dei ghiacci, l'innalzamento del livello dell'acqua tali solchi sono stati invasi dal mare. Il paesaggio si presenta spesso con coste ripide e le insenature marine possono essere anche profonde. I fiordi sono particolarmente comuni nella costa della Norvegia.

I firths sono simili ai fiordi, ma sono generalmente poco profondi e presentano baie più ampie all'interno delle quali possono essere presenti piccole isole. I ghiacciai hanno insistito qui su un'area più estesa e hanno scavato aree più ampie. I firths si trovano soprattutto nella Scozia settentrionale e lungo le coste inglesi.

Verso sud i firths cedono il passo alle scogliere, formatesi dalle morene glaciali. L'impatto delle onde sulla costa dà luogo a fenomeni di erosione. Il materiale eroso diviene fonte importante di sedimenti per la distese fangose che si trovano dall'altra parte del Mare del Nord. Il paesaggio delle scogliere è interrotta dai grandi estuari fluviali con i loro corrispondenti depositi di detriti, in particolare modo quelli del fiume Humber e Tamigi nel sud dell'Inghilterra.

Nel sud della Norvegia, come pure sulla costa svedese dello Skagerrak, si trovano fenomeni simili ai fiordi e ai firths. Qui l'azione dei ghiacci ha insistito e scavato su regioni ancora più vaste. Verso le coste si trovano dolci declivi che scendono dalle montagne e che si estendono per chilometri, tuffandosi poi sotto il mare, ma rimanendo ad una profondità di soli pochi metri.

Le scarsa profondità delle acque e la linea della coste meridionali e orientali fino alla Danimarca sebbene formate anch'esse dall'azione dei ghiacci nelle ere glaciali, devono maggiormente la loro forma all'azione del mare e al deposito dei sedimenti. Il mare dei Wadden che si estende tra Esbjerg nella Danimarca del nord e Den Helder nei Paesi Bassi deve la conformazione del suo paesaggio alla forte influenza esercitata dall'azione delle maree. La zona costiera presenta acque poco profonde e il costante apporto di sedimenti. Grandi opere di bonifica hanno interessato questa regione, soprattutto ad opera degli olandesi. Il più grande progetto di questo tipo è stata la bonifica del IJsselmeer.

Le zone costiere meridionali, inizialmente, erano soggette ai capricci del mare. I territori limitrofi alle coste, costituite da un innumerevole intrico di canali, isolotti, delta fluviali e zone umide venivano regolarmente allagati e sommersi. In settori particolarmente vulnerabili alle mareggiate, le persone tendevano allora ad insediarsi su terreni rialzati e più protetti. Già nel 500 a.C., gli insediamenti iniziarono ad essere costruiti su delle colline artificiali, alte anche diversi metri. Fu solo intorno agli inizi del Medioevo nel 1200 che si è iniziato a collegare tra loro piccole dighe in linea lungo l'intera costa, rendendo quindi permanenti e definite le zone di terra da quelle di mare.

Dighe in senso moderno hanno iniziato a prendere forma nel XVII e XVIII secolo, costruite da imprese private nei Paesi Bassi. I costruttori olandesi hanno quindi esportato i loro disegni e modelli verso altre regioni del Mare del Nord.

Le alluvioni verificatesi sulle coste del Mare del Nord nel 1953 e nel 1962 sono state ulteriore impulso per l'innalzamento delle dighe, la sostituzione delle vecchie dighe in linea, il recupero di terreni e sbarramenti fluviali, in modo da ottenere da poca superficie interessata un grande risultato nella lotta contro il mare e le tempeste. Attualmente il 27% dei Paesi Bassi è sotto il livello del mare e protetto da argini e dune.

La conservazione costiera oggi consiste di vari livelli. La pendenza delle dighe riduce l'energia del mare in entrata, in modo che la diga stessa non riceva il pieno impatto. Alcune dighe che si trovano direttamente in mare e queste sono particolarmente rafforzata. Nel corso degli anni sono state più volte sollevate, a volte anche di 10 m, e sono diventate più orizzontali, al fine di meglio ridurre l'erosione delle onde. Le moderne dighe possono raggiungere un'altezza anche di 100 m. Dietro la diga solitamente è presente una strada di accesso e, in generale, l'area più prossima è scarsamente abitata. In molti luoghi un altro sistema di dighe è presente verso l'entroterra dopo diversi chilometri.

Dove le dune sono sufficienti per proteggere la terra dall'avanzata del mare viene seminata dell'erba che cresca nella sabbia, in modo da proteggere le dune stesse dall'erosione del vento, dell'acqua e dal traffico a piedi.

Tra le specie che popolano questo mare e che per riprodursi risalgono i fiumi che sfociano in esso è da ricordare la cheppia (Alosa fallax).

Le spiagge e le acque costiere del Mare del Nord sono popolari destinazioni per il turismo balneare. In particolare modo le attività sono sviluppate lungo la costa belga, olandese, tedesca e danese, come pure su quella britannica.

Il windsurf e la vela sono sport popolari favoriti dai forti venti, ma anche la pesca sportiva e le immersioni subacquee. Un'altra attività praticata è il mudflat hiking che consiste nel camminare sul fango che viene a galla dal mare durante i periodi di bassa marea in alcune zone geografiche particolari.



sabato 2 gennaio 2016

IL MAR TIRRENO



Il mar Tirreno è compreso fra la Corsica, la Sardegna, la Sicilia, la Calabria, la Basilicata, la Campania, il Lazio e la Toscana; è collegato al mar Ionio tramite lo Stretto di Messina ed è diviso dal mar Ligure dall'isola d'Elba, con il Canale di Corsica a ovest e il Canale di Piombino a est. Il confine fra mar Tirreno e mar Ligure è quindi costituito dalla linea immaginaria che congiunge Capo Corso all'isola d'Elba e al canale di Piombino, lungo il 43º parallelo. Questa suddivisione è ritenuta valida dall'Istituto Idrografico della Marina Militare Italiana, che usa perlopiù Mar Ligure nei portolani relativi alla costa toscana settentrionale.

Tuttavia nella percezione comune e secondo una tradizione radicata, prevale l'idea che il confine settentrionale tra il mar Ligure e il mar Tirreno sia situato alla foce della Magra, in Liguria, e che quindi tutta la costa toscana si affacci sul Tirreno. Questa versione tradizionale dei confini ha portato a varie conseguenze: vicino a Pisa negli anni trenta è stata fondata una località balneare denominata Tirrenia; il quotidiano di Livorno si chiama Il Tirreno e Viareggio e Castiglioncello sono popolarmente definite le Perle del Tirreno. Occorre tuttavia considerare che nelle carte dell'Ottocento il mare che bagnava la Toscana era talvolta chiamato semplicemente Mare Toscano.

L'Organizzazione idrografica internazionale, in un suo documento del 1953, adotta come confine la linea che congiunge Capo Corso (in Corsica) con l'isola Tinetto (nel golfo di La Spezia). Pertanto tutta la costa toscana e il golfo di La Spezia farebbero parte del mar Tirreno. Questo confine è in via di ridefinizione: infatti la stessa Organizzazione ha pubblicato nel 1985 una bozza del documento definitivo sui limiti dei mari che fa coincidere il confine sud-orientale del mar Ligure con quello lungo il 43º parallelo da Capo Corso a Piombino.

Il confine fra il Mar Tirreno e il Mar Mediterraneo è costituito dalla linea immaginaria che congiunge Capo Boeo a Marsala in Sicilia con Capo Teulada in Sardegna.

Prende il nome dall'antico popolo dei Tirreni (Tyrsenoi o Tyrrhenoi), meglio noti come Etruschi i cui territori nell'VIII secolo a.C. a nord si estendevano fino alla foce dell'Arno nei pressi di Pisa, e che nei due secoli successivi ampliarono il loro raggio d'azione fino alla foce del fiume Magra in Liguria, mentre a sud si estendevano fino alla Campania, detta per questo anche Etruria Campana.

Narra infatti lo storico greco Erodoto nelle sue Storie di come il re della Lidia (attuale Turchia occidentale) dopo anni di carestia avesse deciso di far emigrare una metà del suo popolo alla ricerca di una nuova patria. Guidati dal principe Tirreno, i Lidi sbarcarono quindi sulle coste occidentali della penisola italiana e, preso possesso della nuova terra, mutarono il loro nome in Tirreni dal nome dell'eroe eponimo che li aveva guidati. Costoro, secondo il racconto greco, non sarebbero altri che gli Etruschi. Dal loro nome greco fu quindi detto Tirreno il mare che dominarono per secoli (talassocrazia etrusca).

Secondo altre fonti, Tyrrhenoi sarebbe l'epiteto con il quale i greci chiamavano i pirati che nel mediterraneo occidentale abbordavano con piccole e veloci imbarcazioni chiunque vi si avventurasse.

La storia geologica del bacino è intimamente legata a quella di tutto il Mediterraneo, la cui origine va ricercata nell'ampia Tethis, delle più antiche età del Paleozoico. Le caratteristiche forme di questo antico bacino sono state esposte nelle linee generali; conviene notare la presenza, nell'area tirrenica, di un antico massiccio ercinico del quale oggi rimangono solo scarsi avanzi (Arcipelago Toscano, Sardegna, Calabria, Peloritani). Tale conformazione si mantiene quasi intatta fino al periodo del movimento alpino, manifestando notevoli e alterne vicende che interessano però più la zona periferica della Tethis e poco riguardano la zona mediterranea e in particolar modo la tirrenica, per la quale tuttavia secondo alcuni si hanno mutamenti notevoli che riguardano l'area siciliana, raggiunta dal mare. Nel Trias si notano le prime variazioni valevoli di questo mare che dànno luogo, nelle età successive, a trasformazioni più radicali per effetto di trasgressioni e regressioni successive, che portano alla scomparsa quasi totale delle zolle più antiche. In seguito al movimento orogenetico alpino si ha una nuova fisionomia del Mediterraneo, interessante più propriamente anche il bacino tirrenico che però non subisce, per la parte attualmente occupata da questo mare, modificazioni importanti, all'infuori di una più precisa delimitazione che va, nei successivi periodi, sempre più avvicinandosi a quella attuale, raggiunta nel Quaternario, durante il quale si manifestano poderosi fenomeni di sollevamento, specie sulle coste calabre (terrazzi fino a 1200 m.). Anche il clima del bacino ha subito variazioni notevoli, come lasciano supporre i numerosi e frequenti (Sicilia) resti di grossi mammiferi della fauna africana, che fanno pensare a ponti peninsulari sommersi in epoca a noi assai vicina, ma che non interessano il vero e proprio Tirreno. Recenti e di carattere del tutto locale sono invece i fenomeni vulcanici, di cui però si trovano imponenti e frequenti manifestazioni.

Le conoscenze sulle condizioni batimetriche del Tirreno non possono dirsi soddisfacenti nonostante le ripetute campagne oceanografiche italiane e straniere. Tra le prime sono particolarmente degne di ricordo quelle della R. Nave Washington al comando dell'ammiraglio Magnaghi (1881-91), accompagnate talora da ricerche talassografiche ricche di risultati, poi varie altre campagne dell'Istituto idrografico della R. Marina nel 1898-99, e nel 1901-03; tra le straniere la spedizione, magnificamente organizzata, della nave danese Thor.

Ciò nondimeno gli scandagli a grandi profondità sono assai scarsi: 27 soltanto superiori a 3000 m. e 16 superiori a 3500. Risulta in ogni modo che il Tirreno è uno dei bacini più profondi di tutto il Mediterraneo.

Lo zoccolo continentale che sostiene la piattaforma sulla quale poggiano la penisola italiana e la Sicilia da un lato e quella, assai più antica, su cui. si allineano Sardegna e Corsica presenta fianchi ripidissimi, che se non raggiungono i valori delle forti pendenze della costa marocchina del M. Esperico, sono tuttavia da ritenersi tra i massimi valori che si riscontrano nel Mediterraneo. Ne consegue uno sviluppo assai ristretto e angusto della fascia litorale di piccola e media profondità, interessante lo sfruttamento peschereccio; essa infatti si riduce assai fortemente, soprattutto là dove le coste sono alte e scoscese. Abbastanza ampia risulta verso N., dove affiorano le isole dell'Arcipelago Toscano. Il resto del Tirreno, cioè la zona centrale, è limitato da una ripida scarpata che porta rapidamente alla zona di massima profondità, solo interrotta dalle piattaforme di sostegno delle isole Pontine ed Eolie; mentre le Lipari sorgono su quella zona poco profonda che collega la Sicilia con l'Africa settentrionale.

I sedimenti che occupano questa parte del Mediterraneo sono stati studiati soprattutto per opera della spedizione danese. I caratteri generali si differenziano alquanto da quelli dei tipici sedimenti oceanici; presentano colore bruno chiaro, consistenza argillo-sabbiosa con circa il 50% di limo per i sedimenti lontani dalla terraferma; gli elementi inorganici sono in sovrabbondanza specialmente nelle sabbie, mentre scarsi e assai localizzati sono gli elementi vulcanici. La differenziazione per grandezza è legata, come in tutti i mari, alla distanza dalle coste e nei depositi di gran fondo vi è una preponderanza fortissima degli elementi con meno di 0,05 mm. di diametro. Carattere peculiare dei depositi mediterranei e soprattutto tirrenici, oltre alla presenza di elementi d'origine vulcanica, è l'alto tenore in CaCO3 e la presenza in una certa abbondanza di alcuni minerali caratteristici; il primo presenta delle variazioni locali, ma la percentuale è sempre molto forte e raggiunge una media che sta intorno al 50%, con oscillazioni più o meno grandi intorno a questo valore; i minerali più comuni sono calcite, gluconite, dolomite, pirite e gesso. La presenza di organismi è naturalmente evidente, benché non si raggiungano le alte percentuali degli oceani; vi sono notevolmente abbondanti i Foraminiferi e Pteropodi e anche abbastanza frequenti nelle zone di minor profondità sono le formazioni coralline, sia di C. rubrum, sia di altri generi: Desmophyllum, Dendrophyllia, Amphifellia, ecc.



Le proprietà fisico-chimiche del Tirreno sono legate a due fattori principali: da un lato l'intima e stretta relazione con il restante bacino mediterraneo e con le sue peculiari caratteristiche e dall'altro con le sue condizioni idrografiche. La mancanza di corsi d'acqua d'importanza e di entità tale da influire sul complesso di queste proprietà risulta evidente; anche i maggiori tributarî del Tirreno (Arno, Tevere, Volturno, ecc.) esercitano solo un influsso locale. Alcune proprietà fisiche, quali la trasparenza e il colore, cui è collegata intimamente anche la penetrazione delle radiazioni calorifiche e luminose, sono influenzate sia dall'assenza di forti apporti di acque dolci, sia dalla povertà della vita planctonica. Per la trasparenza sono state fatte misure già da tempo per opera sopra tutto di Secchi e Cialdi, dalle cui osservazioni risulta che il valore massimo per il Tirreno è di m. 42,5.

La zona di Capri è naturalmente tra le più trasparenti di tutto il Mediterraneo, superata solo dalla trasparenza del mare di Rodi. Il colore, misurato con la scala Forel, è paragonabile ai primi gradi, essendo nettamente azzurro (2-3 Forel), alquanto meno intenso di quello del bacino orientale (Creta e Cipro).

Strettamente legata alla trasparenza e al colore è la penetrazione delle radiazioni nelle acque, i cui studî sono stati ripresi per il mare di Capri recentemente dal Vercelli, il quale ha potuto dimostrare che, sia per la penetrazione totale sia per quella a varie lunghezze d'onda, si debbono modificare in parte i dati acquisiti. Secondo il Vercelli il limite massimo per la penetrazione della radiazione solare totale è di 500-600 metri; per la penetrazione selettiva le sue ricerche avrebbero stabilito che le radiazioni più penetranti non sono le violette, bensì quelle della zona del verde.

In diretta relazione con i due fattori su menzionati, oltre che con le condizioni climatiche del bacino mediterraneo, sono le condizioni di temperatura, che nelle linee generali sono comuni a quelle del Mediterraneo. Per quanto riguarda la temperatura di superficie si osserva che essa nell'inverno è alquanto superiore nelle medie a quella dell'aria sovrastante, mentre nella stagione estiva avviene il contrario. È questa una delle nozioni risultanti dalle abbastanza numerose osservazioni fatte dall'epoca di Marsigli fino ad oggi. Per il Tirreno si osserva che tali valori possono toccare 2°-3° di eccedenza nell'estate (marzo-settembre) in favore della temperatura dell'aria, mentre nell'inverno (ottobre-aprile) avviene il contrario con valori anche di 5°-6 (Napoli: superficie 13°,2, aria 5°,8). Ancor più caratteristico è il comportamento della temperatura in profondità, riconosciuto già da Aimé per tutto il Mediterraneo e così enunciato: "la temperatura minima degli strati profondi del Mediterraneo è uguale alla media delle temperature invernali in superficie". E ciò è comprensibile quando si tien conto che alla massima profondità dello stretto di Gibilterra corrisponde nell'Atlantico un livello termico con valori non inferiori a quelli invernali di superficie del Mediterraneo. L'andamento quindi della curva delle temperature in profondità, salvo variazioni locali e temporanee, si abbassa gradualmente da un massimo di superficie, influenzato dalle variazioni stagionali, fino a un minimo che oscilla intorno a 13°,2-13°,7.

Tali peculiari condizioni termiche, insieme con quelle idrografiche più volte ricordate, influiscono fortemente anche sulle proprietà chimiche, specialmente la salinità. I valori di salinità del Tirreno, se non toccano i massimi del Mediterraneo, raggiungono tuttavia valori notevoli, soprattutto in alcune zone. È noto che la salinità del Mediterraneo, escluso il M. Nero, aumenta da occidente verso oriente; il Tirreno, appartenendo al bacino occidentale e in ampia comunicazione con esso, ha valori intorno al 38‰, che aumentano lievemente in profondità (38,5‰) e che manifestano variazioni locali, soprattutto in presenza di fattori adatti, come apporti di acque dolci, comunicazioni con gli altri bacini, ecc. Le altre caratteristiche chimiche oceanografiche, come il contenuto in O2, equilibrio dei carbonati, nitrati, fosfati, e chimico-fisiche (pH) presentano un quadro che è stato studiato abbastanza a fondo nelle spedizioni danesi (1908-1910) e in ricerche successive. Mentre il comportamento dell'O2 si è dimostrato del tutto regolare e legato strettamente a fattori ambientali, che ne determinano la capacità di disciogliersi in seno alle acque, l'equilibrio dei carbonati presenta un quadro assai complesso e collegato da un lato alle condizioni dell'atmosfera sovrastante e alla relativa ricchezza di carbonati dei sedimenti marini e dall'altro alle particolari condizioni biologiche di questo mare. Più stretto legame ancora con i fenomeni vitali presenta la caratteristica povertà di questo mare, come di tutto il Mediterraneo, in nitrati e fosfati, già riconosciuta per le ricerche eseguite sia dai Danesi, sia da altri studiosi. Tuttavia essendo tali questioni ancora, almeno per quanto riguarda le ricerche, oscure, il Conseil permanent pour l'exploration de la Mer Méditerranée, per interesse soprattutto di uno studioso italiano, il Brunelli, ha posto tali ricerche all'ordine del giorno.
Per quanto riguarda la dinamica marina le condizioni del Tirreno vanno messe in rapporto con quelle di tutto il Mediterraneo. Sull'ampiezza e altezza delle onde esistono osservazioni sporadiche, le prime riportate dal Marsigli, già ricordato. Le onde non raggiungono, per ragioni diverse, i valori degli oceani; tuttavia si hanno esempî di onde assai notevoli, registrati in periodi di forti tempeste. Maggiori e più sistematiche osservazioni si hanno per le maree, delle quali si sono occupati varî autori. Se il quadro complessivo del Mediterraneo è quindi abbastanza chiaro, mancano osservazioni panticolareggiate per le coste del Tirreno. Dagli studî teorici e dai dati esistenti risulta che le oscillazioni di alta e bassa marea sono ridottissime per le coste tirreniche (Civitavecchia, cm. 21; Ischia, cm. 16; Gaeta, cm. 15; Napoli, cm. 21; Pizzo, cm. 15; Tropea, Lipari, Capo Peloro, Milazzo, cm. 20; Palermo, cm. 15; Messina, cm. 12); i massimi valori si raggiungono presso Porto S. Stefano e Piombino.

Alcuni cenni più diffusi merita l'illustrazione del sistema circolatorio del Tirreno. Ricerche abbastanza numerose, benché molto localizzate, sono state fatte da varî studiosi, tra i quali Marinelli, Platania, Vercelli. Secondo gli accertamenti eseguiti rimane assodata l'esistenza di una corrente, influenzata, come il Vercelli ha dimostrato, dai moti peculiari dello Stretto di Messina, che corre lungo le coste della penisola italiana da SE. verso NO., e che subisce spostamenti locali dovuti allo sbocco dei fiumi con formazione di correnti secondarie in senso opposto; essa si fa maggiormente sentire con i venti del IV quadrante nel canale di Piombino, dove raggiunge velocità da 1,5-2,5 miglia orarie. Secondo G. Dainelli, O. Marinelli e G. Stefanini esisterebbero moti di deriva, dovuti a venti predominanti, più che vere e proprie correnti, che, dove sono state accertate, hanno valori piuttosto bassi. Tuttavia a completare la conoscenza del ciclo delle correnti del Tirreno mancano quasi totalmente le osservazioni lungo le coste della Corsica e della Sardegna, dove tale problema dovrebbe vieppiù complicarsi, dato lo scambio di acque attraverso le Bocche di Bonifacio. Come si è già avvertito, il sistema circolatorio innestato su quello generale del bacino, ma abbastanza autonomo, data l'individualità del Tirreno, risente l'influenza dei venti stagionali predominanti. Mancano i forti venti occidentali; nel periodo estivo predominano quelli deboli di SE., NE. e E., alternati con periodi di calma, mentre le spiagge sono soggette al meccanismo delle brezze. Nell'inverno forti venti di SE. imperversano tra Piombino e Civitavecchia accompagnati da basse pressioni. Lungo le coste della Campania meridionale e della Calabria forti venti di terra nella stagione invernale possono recare danni alla navigazione costiera.

La pesca nel Tirreno, specialmente con l'attuale sviluppo della pesca meccanica o di altura, è alquanto aumentata rispetto a qualche anno addietro. Tuttavia è sempre limitata per la piccola estensione della piattaforma continentale sfruttabile - tra 0 e 250 m. in media di profondità - e ancor diminuita dalle zone non dragabili. Pur essendo il Tirreno un mare povero da questo punto di vista, la pesca per l'operosità solerte degli abitanti costieri è oggetto di un'attività multiforme, per strappare al mare i suoi tesori. Tipica del Tirreno è la lampara, mestiere che i pescatori napoletani e pozzolani nelle loro stagionali peregrinazioni hanno ampiamente diffuso. Le coste verso cui tale migrazione si dirige sono soprattutto le limitrofe coste laziali, toscane e calabre. Alcuni centri come Porto S. Stefano, Port'Ercole, Civitavecchia, Napoli, Palermo, ecc., sono tra i più importanti mercati e centri pescherecci del Tirreno; in nessun piccolo centro mancano però abitanti che dalla pesca non traggano almeno parte del loro necessario.

Le vie di navigazione e di traffico del Mediterraneo passano in parte per il Tirreno, in parte invece sfuggono da esso per toccare i porti degli altri bacini. Dalla poderosa corrente di traffico che entra per Gibilterra un'aliquota notevole fa capo a Napoli, secondo porto di movimento della Penisola. Non estraneo a tale movimento rimane Palermo, mentre gli altri porti sono di esclusiva e quasi assoluta importanza regionale. Regolari servizî giornalieri o settimanali solcano questo mare per collegare le grandi e piccole isole col continente; esistono pure alcune regolari linee aeree e alcune isole sono collegate al continente da cavi sottomarini.

I fiumi che lo formano soprattutto a regime torrentizio. I principali, da nord a sud, sono l'Ombrone, il Tevere, il Garigliano e il Volturno.

Oltre alle isole maggiori che ne delimitano approssimativamente i confini, il Tirreno è caratterizzato dalla presenza di più di un arcipelago.

Nella parte settentrionale si hanno le isole dell'arcipelago Toscano (Elba, Pianosa, Montecristo, Giglio, Giannutri e Formiche di Grosseto), eccetto la Gorgona e la Capraia che sono bagnate dal Mar Ligure. Nel 1996 le isole dell'arcipelago Toscano sono entrate a far parte del Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano, grazie al quale sono salvaguardate le sette isole maggiori dell'arcipelago e i fondali con tutta l'importante fauna. È attualmente il più grande parco marino d'Europa.

Nella parte centrale del Tirreno si trova invece l'arcipelago Pontino (o isole Ponziane), del quale fanno parte Ponza, Palmarola, Gavi, Zannone, Ventotene e Santo Stefano. Di fronte alla città di Milazzo in Sicilia si trovano invece le isole Eolie: Stromboli, Alicudi, Filicudi, Lipari, Salina, Vulcano e Panarea.

Un altro arcipelago siciliano è quello delle Egadi, sito a ovest rispetto a Trapani e composto da tre isole: Levanzo, Favignana e Marettimo.

Sulla costa nordorientale della Sardegna si trova l'arcipelago della Maddalena, composto dalle due isole principali di La Maddalena e Caprera e da un gran numero di isolotti minori; alcuni chilometri più a sud si trovano l'imponente sagoma di Tavolara e l'isola di Molara.

Sono infine da annotare le quattro isole non facenti parte di arcipelaghi, ovvero Capri, Procida, Ischia e Ustica.

In tutti i casi cui si è accennato il turismo gioca un ruolo molto importante a causa della scarsa urbanizzazione dei luoghi; spesso si è avuto quindi un afflusso di massa che ha trasformato le isole in siti assai affollati.

Per la posizione isolata più di un'isola ha ricoperto ruoli di penitenziario (Pianosa, Santo Stefano) o di luogo ospite di esuli volontari ed esiliati per motivi politici (Napoleone all'isola d'Elba, Augusto e Tiberio a Capri, Sandro Pertini e Altiero Spinelli a Santo Stefano).




mercoledì 23 dicembre 2015

L'OCEANO INDIANO



L'importanza dell'oceano Indiano come rotta di transito tra Asia e Africa lo ha reso sede di numerosi conflitti. A causa della sua grandezza, nessuna singola nazione lo ha dominato fino all'inizio del XVIII secolo, quando la Gran Bretagna riuscì a controllare per diverso tempo gran parte delle terre che lo circondano. La sua importanza strategica è ancora oggi enorme. La sua linea di divisione ufficiale con l'Oceano Atlantico è rappresentata da Capo Agulhas, estremità meridionale del continente africano.

Vicino all'oceano Indiano si sono sviluppate le più antiche civiltà conosciute, nelle valli del Nilo, del Tigri e dell'Eufrate, nella valle dell'Indo e nell'Asia sudorientale. Durante la prima dinastia dell'Egitto (circa 3000 a.C.), una spedizione venne mandata a Punt, che si pensa facesse parte della Somalia odierna. Le navi portarono indietro oro e schiavi. Greci e Fenici frequentarono il Mar Rosso a partire dal VII secolo a.C. al soldo degli Egiziani, e probabilmente superarono lo stretto di Bab el-Mandeb, raggiungendo l'attuale Somalia. I Greci chiamavano l'oceano Indiano mare Eritreo. I Romani commerciavano con i porti dell'oceano: l'anonimo autore del periplo del Mare Eritreo descrive porti, merci e rotte lungo le coste dell'Africa e dell'India attorno alla metà del I secolo d.C.

Probabilmente durante il I millennio d.C., gruppi di persone parlanti lingue austronesiane, simili al malese, attraversarono l'oceano Indiano e si insediarono nel Madagascar. Marco Polo (circa 1254-1324) fece ritorno dall'Estremo Oriente passando attraverso lo Stretto di Malacca. Le spedizioni cinesi raggiunsero l'Africa nel XV secolo, ma i commercianti arabi dominavano le rotte dell'oceano Indiano prima che Vasco da Gama doppiasse il Capo di Buona Speranza nel 1497 e arrivasse all'India, il primo europeo a seguire questa rotta. Dopo questa impresa, il Portogallo cercò di dominare la regione, ma dovette cedere agli olandesi all'inizio del XVII secolo. Cento anni dopo, sia la Francia che l'Inghilterra cercarono di assicurarsi il controllo dell'oceano, ma solo gli inglesi ci riuscirono.

L'apertura del Canale di Suez nel 1869 ravvivò l'interesse europeo per l'Oriente, ma nessuna nazione riuscì a dominare le altre nel commercio. Dopo la seconda guerra mondiale, la Gran Bretagna si è ritirata dall'oceano Indiano, ma è stata solo parzialmente rimpiazzata dall'India, dall'Unione Sovietica e dagli Stati Uniti. A definizione dell'importanza dell'oceano alcune nazioni vi hanno stabilito basi navali.

Negli anni Novanta, l'intervento degli Stati Uniti nella guerra del Golfo (1991), quale forza di maggior consistenza all'interno dello schieramento multinazionale, e la quasi contemporanea dissoluzione dell'Unione Sovietica determinavano un mutamento quantitativo e qualitativo della presenza statunitense in tutta la regione dell'Oceano Indiano e in quella più ristretta del Golfo Persico, dove, tuttavia, l'influenza degli USA assumeva una valenza particolarmente significativa. Tra gli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) e Washington venivano firmati diversi accordi che permettevano agli USA di realizzare manovre militari congiunte e concesso facilitazioni aeree e navali. In queste regioni l'egemonia statunitense diveniva assoluta, oltre che per la sua preponderanza militare rispetto agli Stati della regione, anche per l'incapacità dimostrata dalla Federazione Russa di esercitare sulla zona lo stesso tipo di controllo praticato dalla potenza sovietica. L'assenza di una controparte capace di bilanciare la preponderanza degli Stati Uniti era tangibile anche nelle altre zone dell'Oceano Indiano: nonostante il peso sempre crescente dei giganti locali, quali per esempio, la Repubblica Sudafricana, l'India, l'Australia, nessuno di essi si era dimostrato capace di proporre un progetto politico a scala regionale, tale da unificare i diversi interessi nella comune difesa dell'autonomia e del controllo delle grandi vie marittime di comunicazione, passanti per importantissimi stretti strategici (Bab al Mandab, Hormuz, Palk, Malacca, Sonda, Lombok, Torres). Nel Mar Rosso e nel Corno d'Africa la situazione era molto incerta: l'equilibrio geopolitico si era modificato dopo il conseguimento dell'indipendenza da parte dell'Eritrea (1993), in seguito alla quale l'Etiopia era stata privata dello sbocco al Mar Rosso.

L'oceano Indiano occupa circa il 20% della superficie terrestre coperta da oceani e il suo volume è stimato in 292 131 000 km³. È situato completamente nell'emisfero orientale ed è delimitato a nord dall'Asia meridionale, a nord-ovest dalla Penisola arabica, ad ovest dall'Africa, a sud-ovest dall'oceano Atlantico, a nord-est dall'Indocina, ad est dall'Arcipelago Malese e dall'Australia, a sud-est dall'Oceano Pacifico, a sud dall'oceano Antartico, se lo si considera esistente, altrimenti dall'Antartide.

Comprende i mari: Mar Rosso, Golfo Persico, Mar Arabico, Golfo del Bengala, Mare delle Andamane, Golfo di Aden, Golfo di Oman, Canale del Mozambico, Stretto di Malacca. Molte isole punteggiano i 66 526 km di coste dell'oceano Indiano e alcune di esse sono stati indipendenti: il Madagascar (la quarta isola più grande del mondo), le Comore, le Seychelles, le Maldive, Mauritius e lo Sri Lanka. L'Indonesia si trova al suo confine col Pacifico, ma appartiene a quest'ultimo.


La circolazione delle acque si svolge secondo due sistemi, uno meridionale e uno settentrionale, diversi tra loro. Nel primo le acque si spostano dai pressi dell’Australia occidentale alle coste del Madagascar, si volgono a N, giungendo fino all’altezza del Capo Delgado, sulla costa africana, e qui si dividono in due rami: uno, con direzione nord, entra nel circuito delle correnti settentrionali; l’altro, con direzione sud, dopo aver percorso il Canale di Mozambico (Corrente del Capo o delle Aguglie), si dirige verso le coste sud-occidentali dell’Australia dove devia verso N (Corrente Australiana) e quindi a NO, chiudendo così il circuito delle correnti meridionali. Nella parte settentrionale dell’oceano le direzioni delle correnti si alternano in sensi opposti per l’influenza esercitata dallo spirare dei monsoni.

La salinità delle acque superficiali varia dal 33 al 36‰, ma nel Mar Rosso e nel Golfo Persico può anche superare il 40‰. La temperatura, a cavallo dell’equatore, si mantiene sui 28 °C, mentre scende sui 16 °C nell’area oceanica posta all’altezza della punta meridionale dell’Africa. Ancora più a S, in prossimità dell’Antartide, la temperatura scende a 0 °C. Le maree hanno un’escursione media di 2-4 m e sono generalmente semidiurne; maree diurne si hanno nel Mare Arabico e sulle coste occidentali australiane.

La profondità media dell'oceano è di 3 890 m. Il suo punto più basso, la Fossa di Giava, raggiunge i 7 450 m. A nord della latitudine 50° sud, l'86% del bacino principale è coperto da sedimenti pelagici. Il rimanente 14% è coperto da sedimenti terrigeni, costituiti principalmente dalle due enormi conoidi torbiditiche dell'Indo, a ovest, e del Gange-Brahmaputra, a est del subcontinente indiano. Le latitudini più a sud sono dominate da sedimenti originati dai ghiacciai dell'Antartide.



Le piattaforme continentali orlano con continuità le coste africane, arabiche, indiane, malesi e australiane, come pure la costa occidentale del Madagascar, con un'ampiezza inferiore ai 100 km lungo il versante afro-arabico. Altrove l'ampiezza della piattaforma oscilla tra i 200 e i 300 km, ma supera di gran lunga questi valori nell'Australia meridionale, al largo di Bombay (Mumbai), del Bengala e della Birmania (Myanmar). Le coste indonesiane di Sumatra e Giava, nonché la costa orientale del Madagascar, precipitano, invece, in profonde fosse oceaniche. Le piattaforme continentali, secondo una recente scoperta, sono segnate da una fitta rete di canyons, che, posti per lo più in corrispondenza delle maggiori foci fluviali, si prolungano per centinaia di chilometri fino alle piane abissali. Rilievi e scandagli hanno messo in evidenza come il fondo dell'oceano sia percorso da alcune dorsali sottomarine (di Carlsberg, delle Chagos, dell'Indiano centrale, orientale e sud-occidentale, delle Kerguelen) che individuano vari bacini, quali quelli Arabico, dei Somali, dell'Indiano Centrale, del Madagascar, delle Kerguelen, dell'Australia occidentale, dell'Australia meridionale.La profondità media delle sue acque è di 3900 m, mentre quella massima, misurata nella Fossa della Sonda, a S di Giava, raggiunge i 7450 m. Numerose sono le isole: la maggiore è il Madagascar che, insieme con le Comore, le Seychelles e le Mascarene, è situata nel settore occidentale. Nel Mare Arabico sono le isole di Socotra, le Kuria Muria, le Laccadive e le Maldive; nel golfo del Bengala sono Sri Lanka (Ceylon), le Andamane e le Nicobare e a S, infine, sono le isole Chagos, Mentawai, Christmas, Cocos, Amsterdam, San Paolo, Kerguelen, Crozet, Marion, Principe Edoardo, Heard e McDonald. Per quanto riguarda il clima, a causa del diverso grado di riscaldamento e raffreddamento delle acque oceaniche e delle terre circostanti, si stabilisce nella zona un'ineguale distribuzione delle pressioni, che danno origine a un particolare tipo di venti periodici, i monsoni, spiranti in senso alterno secondo le stagioni, e precisamente dal mare verso terra (monsoni di mare) nel periodo estivo, e dalla terra verso il mare (monsoni di terra) nel periodo invernale, e il cui influsso è soprattutto sensibile nella parte settentrionale dell'oceano. Il regime dei venti influenza notevolmente anche le correnti marine superficiali. Sotto l'azione costante dell'aliseo di SE, le acque si spostano dalle coste occidentali dell'Australia (corrente dell'Australia Occidentale) verso W, formando la Corrente Equatoriale, che, giunta all'altezza del Madagascar, si divide in tre rami: uno scorre verso S lambendo le coste orientali del Madagascar (corrente del Madagascar), il secondo percorre il canale del Mozambico da N a S (Corrente del Mozambico), mentre il terzo volge a N lungo le coste dell'Africa orientale. I primi due rami si riuniscono a S del Madagascar formando la Corrente delle Agulhas (o del Capo); nell'Oceano Indiano settentrionale, invece, le correnti si alternano in senso opposto in corrispondenza all'alternanza dei monsoni. Nel periodo estivo le correnti sono generalmente dirette da W verso E e lambiscono le coste della Somalia da SW a NE; nel periodo invernale, invece, sono dirette in prevalenza da E verso W e si dirigono verso SW lungo le coste della Somalia. La temperatura delle acque superficiali varia da quasi 30 ºC a N (Mar Rosso, Golfo Persico, Golfo del Bengala) a.0º a S, presso l'Antartide: la salinità assume valori compresi tra il 32 e il 36‰. I valori più elevati sono raggiunti nel Mar Rosso, nel Golfo Persico e nel Mar Arabico, quelli più bassi nel golfo del Bengala e nel settore meridionale, a causa della rilevante quantità di acqua dolce apportata, rispettivamente, dai fiumi e dalle acque di fusione dei ghiacciai antartici. I principali fiumi che sfociano nell'Oceano Indiano sono lo Zambesi, lo Shatt al ?Arab (formato dalla confluenza del Tigri con l'Eufrate e tributario del Golfo Persico), l'Indo, il Gange con il Brahmaputra, l'Irrawaddy e il Murray. Gran parte del fondo dell'oceano è ricoperta da uno spesso strato di sedimenti, costituiti prevalentemente da argille rosse nel settore orientale, da melme a globigerine in quello occidentale e da melme a diatomee in quello meridionale.

Numerosi sono i porti che si affacciano all'Oceano Indiano, tra cui gli africani Port Elizabeth, East London, Durban, Maputo, Dar es Salaam, Mombasa, Port Sudan e Suez (all'estremità meridionale del canale omonimo, che collega l'Oceano Indiano col Mar Mediterraneo), gli asiatici Aden, Karachi, Bombay (Mumbai), Colombo, Chennai, Calcutta (Kolkata), e gli australiani Perth e Adelaide. La pesca è largamente praticata dai Paesi rivieraschi del N e dell'E (India, Birmania, Malaysia), dove rappresenta una cospicua risorsa alimentare; lungo il litorale del Mar Rosso è diffusa la pesca delle perle, mentre ai bordi dell'Antartide si caccia la balena. Un cenno particolare merita il notevole incremento turistico registrato in molte parti dell'Oceano Indiano: nel corso degli anni Sessanta e Settanta, le prime mete furono alcune località costiere del Kenya e della Tanzania, nonché del Mar Rosso, ad accogliere un rilevante numero di turisti internazionali, mentre le isole Seychelles già da tempo rappresentavano un'area turistica di élite. In seguito, il movimento ha assunto maggiori proporzioni, investendo anche altre aree, come le Comore e le Maldive, meta di flussi cospicui.

Numerose specie marine in pericolo vivono nell'oceano Indiano, tra cui i dugonghi, le tartarughe e le balene. Il Mare Arabico, il Golfo Persico e il Mar Rosso soffrono di un inquinamento da residui petroliferi.

Nell'Oceano Indiano vivono oltre cinquemila specie ittiche.

Le isole dell’Oceano Indiano sono distribuite irregolarmente: la parte occidentale è ricca di arcipelaghi e di numerose isole, tra cui primeggia quella di Madagascar; la zona meridionale e la orientale, invece, ne sono poverissime. Quelle di origine corallina occupano una zona delimitata a sud da una linea che potremmo tracciare unendo la Baia di Maputo con la punta meridionale di Madagascar e con le isole Houtman Abrolhos (Australia occidentale).

La funzione economica dell’Oceano Indiano è essenzialmente riconducibile allo sfruttamento delle risorse minerarie, in particolare all’estrazione, raffinazione e commercializzazione di petrolio, che hanno del tutto soppiantato le tradizionali attività pescherecce. Si estraggono inoltre minerali di stagno (ai limiti orientali, presso Malacca) e di titanio (lungo le coste occidentali e sud-occidentali dell’Australia). Gli intensi traffici sviluppatisi in funzione di tali risorse e di altre precedenti produzioni (legname, carbone, caucciù) fra i paesi industrializzati dell’Atlantico e del Mediterraneo, alcuni paesi africani e asiatici e l’Australia, hanno determinato l’affermazione di un gran numero di porti, alcuni di notevole importanza strategica e commerciale, altri come sbocchi al mare dei rispettivi retroterra. Tra i primi: Singapore, Colombo, Aden, oltre ai terminali petroliferi del Golfo Persico. Tra i secondi: Mumbai, Durban, Adelaide, Yangon, Calcutta, Chennai, Karachi, Port Elizabeth.

La sua evoluzione è strettamente connessa con la nascita della catena montuosa himalaiana. L’oceano, infatti, si andò individuando allorché l’India si staccò dal Gondwana (circa 100 milioni di anni fa) e migrò verso N, per scontrarsi nel Terziario con la zolla eurasiatica. Lo studio delle anomalie magnetiche misurate sul fondo ha rivelato una evoluzione estremamente complessa, che ha dato luogo a una complicata struttura topografica, caratterizzata da segmenti di dorsali e faglie trasformi. Le dorsali che si elevano dal fondo formano una Y capovolta, delimitando così tre zolle litosferiche divergenti: zolla africana, zolla australiana e zolla antartica. La Dorsale di Carlsberg (il tratto che ha direzione N-S) è posta tra la penisola indiana e il bordo orientale africano: essa è rigettata da una serie di faglie trasformi che la piegano verso il Golfo di Aden. All’estremità meridionale, questa dorsale si biforca: il ramo occidentale, piegando verso SO, corre tra Africa e Antartide per poi congiungersi con la dorsale medioatlantica; il ramo orientale ha invece direzione E e SE ed è situato tra Australia e Antartide. Due dorsali oceaniche non più attive, che decorrono sempre con direzione N-S, sono la Dorsale 90° Est e quella delle Chagos-Laccadive. A E della prima è presente il Bacino delle Cocos, mentre tra le due è situata la Piana di Sri Lanka. A O della Dorsale di Carlsberg si estende il Bacino di Somalia. Sul fondo dell’Oceano I. si accumulano grandi quantità di sedimenti provenienti dall’erosione della catena himalaiana, i quali, trasportati dall’Indo e dal Gange, costruiscono estese conoidi sottomarine.




mercoledì 2 dicembre 2015

L'OCEANO ATLANTICO



L'oceano Atlantico è il secondo oceano della Terra, di cui ricopre circa il 20% della superficie. Il nome dell'oceano, derivato dalla mitologia greca, significa "mare di Atlante".

I geofisici sono riusciti a inserire i vari tasselli della storia dell'oceano grazie ai modelli termici, alla teoria della tettonica a zolle, e alle misurazioni compiute in profondità. Unitamente a questo, gli esperti hanno realizzato una carta topografica del fondo dell'oceano, grazie all'impiego di strumenti atti a generare e a propagare onde acustiche riflesse dal fondo, oltre allo studio di frammenti di campioni prelevati dal fondale e delle anomalie magnetiche presenti nelle rocce magmatiche che spuntano sul fondo.

L'oceano Atlantico sembra essere il più giovane degli oceani: l'Atlantico si è formato infatti 150 milioni di anni fa, con lo spezzarsi del supercontinente Pangea a causa del fenomeno del magma fuso risalente dal mantello che formò una nuova crosta intercorrente fra Africa e America del nord e che ebbe l'effetto di dividere le terre dell'emisfero settentrionale dall'Africa e dall'America del sud. Da allora è andato espandendosi, un movimento che dura ancora oggi: le Americhe si separano da Europa e Africa a un ritmo di alcuni centimetri all'anno.

In un periodo databile 125 milioni di anni fa, nella zona centrale dell'Atlantico settentrionale si formò una attiva Dorsale medio oceanica e proprio in questo periodo l'America del sud iniziò a staccarsi dall'Africa. Il movimento fra le due Americhe fece sorgere una compressione nella zona caraibica che provocò la subduzione della zolla venezuelana.

La Dorsale medio atlantica alimenta questa espansione: attraversa tutto l'Atlantico da nord a sud, e da essa emergono nuove sezioni del fondo marino che spingono verso l'esterno quelle già esistenti. In prossimità dei continenti, il fondo marino viene spinto verso il basso, rientra nel mantello terrestre e favorisce la formazione di isole vulcaniche.

Una delle conseguenze di questo movimento è che il fondo marino dell'atlantico è una zona geologicamente giovane, con un'età spesso inferiore al centinaio di milioni di anni.

All'incirca 80 milioni di anni fa l'Atlantico settentrionale assunse le sembianze, per davvero, di un oceano, e in alcune zone la profondità raggiunse i 5000 metri e finalmente una circolazione di acqua che consentiva uno scambio fra i vari oceani; in questo periodo si staccarono la Groenlandia e l'America settentrionale. Circa 65 milioni di anni fa la Groenlandia si allontanò dall'Europa e fino a 20 milioni di anni fa, una dorsale asismica vicino all'Islanda aveva protetto l'Atlantico dal fluire di acque fredde artiche. Una buona parte della topografia dell'oceano è stata impostata 36 milioni di anni fa, solamente la penisola iberica e l'Europa erano ancora lontani dall'Africa.

La storia batimetrica dell'oceano consente di chiarire alcune anomalie, quali ad esempio il rilevamento di sedimenti carbonatici in uno strato inferiore a quello del carbonato di calcio; questo fenomeno accade perché la crosta oceanica quando si forma si colloca sopra la profondità di compensazione del carbonato di calcio e perciò viene inevitabilmente coperta da sedimenti carbonatici; ma in una seconda fase il fondo allontanandosi dal centro, subisce una subsidenza che lo trascina più in basso della profondità di compensazione e ai sedimenti carbonatici a questo punto si sovrappongono argille e fanghi silicei oltre a sedimenti terrigeni.

L'Atlantico è stato esplorato estensivamente. I Vichinghi, i Portoghesi e Cristoforo Colombo sono tra i più famosi primi esploratori. I Vichinghi colonizzarono la Groenlandia prima dell'anno Mille, ma la colonia fu spazzata via da un peggioramento del clima.

Dopo Colombo, l'esplorazione europea accelerò rapidamente, e furono stabilite molte nuove rotte commerciali. Il risultato è che l'Atlantico era e rimane la sede del maggior traffico commerciale tra Europa e America. Sono state intraprese numerose esplorazioni scientifiche per studiare l'Oceano e il suo ambiente.

L'Oceano ha anche contribuito significativamente allo sviluppo economico delle nazioni che si affacciano su di esso. Oltre ad ospitare le maggiori rotte commerciali, l'Atlantico offre abbondanti giacimenti di petrolio nelle rocce sedimentarie delle piattaforme continentali, e le maggiori riserve di pesca del mondo. Per preservare queste riserve e l'ambiente oceanico, esistono numerosi trattati che cercano di ridurre l'inquinamento causato da versamenti di petrolio e rifiuti plastici.

Dopo aver remato per 81 giorni e 4 766 km, il 3 dicembre 1999 Tori Murden divenne la prima donna ad aver attraversato l'oceano Atlantico da sola, quando raggiunse Guadalupa dalle isole Canarie.

Questo oceano occupa un bacino a forma di "S", disposto nella direzione nord-sud. È diviso in due sezioni principali, l'Atlantico del Nord e l'Atlantico del Sud, da correnti equatoriali poste a circa 8° di latitudine nord. È delimitato ad ovest dal continente americano (sia dalla parte settentrionale che da quella meridionale) e ad est dall'Europa e dall'Africa (ma due dei suoi mari adiacenti, il Mediterraneo e il Mar Nero bagnano anche l'Asia).

Comunica con l'oceano Pacifico attraverso il Mare Glaciale Artico a nord, e il Canale di Drake (nella Terra del Fuoco) e Capo Horn a sud. Inoltre esiste una connessione artificiale tra i due oceani, il Canale di Panamá, che si trova vicino all'equatore, nell'istmo che unisce le due Americhe. Ad est comunica con l'oceano Indiano, attraverso il Capo Agulhas, al 20° E (e non dal Capo di Buona Speranza come si ritiene comunemente), ma anche attraverso il canale artificiale di Suez.

L'oceano propriamente detto copre un'area di circa 82 362 000 km² (pari a 8 volte quella dell'Europa), che raggiunge i 106 450 000 km² se si considerano anche i suoi mari adiacenti. Le terre occupate dal bacino idrografico dell'Atlantico sono quattro volte quelle del Pacifico o dell'Indiano. Il volume dell'oceano Atlantico è di 323 600 000 km³, e di 354 700 000 km³ considerando anche i mari adiacenti.



La profondità media (volume/superficie) dell'Atlantico è di 3 926 m, ridotta a 3 332 m se si prendono in considerazione i mari adiacenti. La profondità maggiore è di 9 219 m, raggiunta nell'abisso Milwaukee, che si trova nella Fossa di Porto Rico, circa 135 km a nord dell'isola di Porto Rico. La larghezza dell'Atlantico varia tra 2 848 km nel punto più stretto, tra il Brasile e la Liberia, fino a 4 830 km tra gli Stati Uniti e l'Africa settentrionale.

La caratteristica principale della topografia del fondo oceanico dell'Atlantico è una grande catena di montagne sottomarine, chiamata la Dorsale medio atlantica. Si estende dall'estremità nord, accanto all'Islanda, fino all'estremo sud a 58° di latitudine, raggiungendo una larghezza massima di circa 1 600 km. Lungo la dorsale, nei pressi della sommità, si trova una grande fossa che scorre per la maggior parte della catena montuosa. La profondità delle acque sopra la dorsale è spesso inferiore a 2 700 m, e numerosi picchi si ergono fuori dall'acqua, formando delle isole, quali ad esempio le Azzorre. L'Atlantico del Sud presenta anche altre due ristrette dorsali asismiche, la Catena di Walvis e la Catena di Rio Grande.

La Dorsale medio atlantica separa l'oceano Atlantico in due grandi sezioni, che hanno una profondità compresa tra 3 000 e 5 500 m. Dorsali trasversali, che uniscono i continenti alla Dorsale medio atlantica, dividono il fondo oceanico in numerosi bacini. Alcuni dei più grandi sono i bacini della Guiana, del Nord America, di Capo Verde e delle Canarie nell'Atlantico del Nord, mentre in quello del Sud si trovano i bacini dell'Angola, dell'Argentina e del Brasile.

Il fondo marino è considerato in genere abbastanza piatto, anche se non mancano montagne, fosse e altre caratteristiche. Due fosse superano gli 8 000 m di profondità. Le piattaforme continentali, vicino alle terre emerse, costituiscono circa l'11% del fondo oceanico. Inoltre, molte formazioni simili a canali scavati tagliano queste piattaforme.

I sedimenti depositati sul fondo hanno origini disparate.

I depositi terrigeni sono composti da particelle di sabbia, fango e roccia, formate dall'erosione dell'acqua, del vento e dall'attività vulcanica della terraferma, e poi trasportate da fiumi e piogge verso il mare. Questi materiali si trovano principalmente:

sulle piattaforme continentali, ove sono più spessi presso la foce dei grandi fiumi (come il delta del Niger);
ai piedi delle scarpate continentali, ove si accumulano in grandi conoidi torbiditiche per opera delle correnti torbide prodotte da grandi frane sottomarine o convogliate direttamente dalle foci dei fiumi attraverso canyon sottomarini (è il caso del Congo).
I deposti pelagici sono formati dai resti di organismi che vanno a fondo quando muoiono (possono essere silicei, come i radiolari e le diatomee, o calcarei, come i foraminiferi). Coprono la maggior parte del fondo marino, con spessori che vanno da 120 a più di 3 000 m, con lo spessore minimo in corrispondenza della Dorsale. I depositi autogenici o autigeni sono assembramenti di minerali, come i noduli di manganese, prodottisi per precipitazione dalle acque oceaniche in particolari condizioni di chimismo e temperatura. Sono comuni dove le altre tipologie di sedimentazione sono assenti.

La salinità delle acque di superficie nell'oceano aperto va da 33 a 37 parti per mille, e varia con la latitudine e le stagioni. Anche se i valori minimi di salinità si trovano appena a nord dell'equatore, in genere i valori più bassi si trovano alle alte latitudini, e vicino alle foci di grandi fiumi che immettono le loro acque dolci nell'oceano. I massimi valori di salinità si trovano attorno alla latitudine 25° nord. I valori di salinità superficiale sono influenzati dall'evaporazione, dalle precipitazioni, dall'apporto di acqua dolce dei fiumi e, nelle zone più fredde, dallo scioglimento dei ghiacci.

La temperatura delle acque superficiali varia con la latitudine, con le correnti, le stagioni e la distribuzione di energia solare. Lungo l'Oceano, varia da meno di 2 °C nelle regioni polari fino a 29 °C all'equatore. Nelle medie latitudini, la temperatura è intermedia, ma soggetta a grandi variazioni (fino a 7 o 8 °C). A causa delle basse temperature, la superficie è normalmente coperta di ghiaccio nel mare del Labrador, nello Stretto di Danimarca e nel mar Baltico da ottobre a giugno.

L'oceano Atlantico consiste di quattro principali masse d'acqua. Le acque centrali dell'Atlantico del Nord e del Sud costituiscono le acque superficiali. L'acqua intermedia sub-antartica si estende alle profondità di 1 000 m. L'acqua profonda del Nord Atlantico raggiunge la profondità di 4 000 m. L'acqua antartica di fondo occupa i bacini oceanici a profondità maggiori di 4 000 m.

A causa della forza di Coriolis, l'acqua del Nord Atlantico circola in senso orario, mentre l'acqua del Sud Atlantico circola in senso antiorario. Le maree dell'Oceano sono semidiurne, cioè comprendono due alte maree nell'arco delle 24 ore. Le maree sono un'onda che si muove da sud a nord. A latitudini superiori a 40°, è presente anche un'oscillazione est-ovest.

Il clima Atlantico e delle terre adiacenti allo stesso Oceano ed è influenzato dalla temperatura delle acque superficiali, dalle correnti oceaniche e dai venti che soffiano sopra le acque. A causa della grande capacità dei mari di trattenere il calore, i climi marittimi sono temperati, e non presentano variazioni stagionali estreme. Le precipitazioni risentono enormemente dell'Oceano, perché l'evaporazione dell'acqua oceanica è una delle fonti principali di vapore acqueo.

Le zone climatiche cambiano con la latitudine: le zone più calde attraversano l'Atlantico a nord dell'equatore. Le zone più fredde si trovano a grandi latitudini, e specialmente nelle zone coperte di ghiaccio.

Le correnti oceaniche contribuiscono al clima, trasportando acqua calda e fredda in diverse regioni. I venti che soffiano su queste acque contribuiranno poi a riscaldare o raffreddare le terre adiacenti.

La corrente del Golfo, per esempio, riscalda l'atmosfera delle isole Britanniche e dell'Europa del Nord (che altrimenti sperimenterebbero temperature ben più basse), mentre le correnti fredde contribuiscono alla formazione di nebbia al largo delle coste nordest del Canada, e delle coste nordovest dell'Africa. Dona alle zone un clima più caldo rispetto alle altre aree situate alla stessa latitudine.

I cicloni tropicali (uragani) si sviluppano al largo della costa africana vicino a Capo Verde, e si muovono verso ovest nel mare Caraibico. Gli uragani possono formarsi da maggio a dicembre, ma sono più frequenti tra agosto e novembre. Le tempeste sono comuni nell'Atlantico del Nord durante l'inverno, rendendo pericolosa la traversata.

Un metodo che calcola la temperatura dell'acqua nella parte settentrionale dell'Oceano è l'indice AMO.

Gli iceberg sono molto comuni nello stretto di Davis, nello stretto di Danimarca, e nell'Atlantico nordoccidentale da febbraio ad agosto. A volte sono stati visti anche molto a sud, vicino alle Bermude e alle isole Madeira. Le navi svilupperanno ghiaccio sulla loro struttura nell'Atlantico più a nord da ottobre a maggio. Il caso più famoso di incidente dovuto a un iceberg nel Nord Atlantico è l'affondamento dell'RMS Titanic il 15 aprile 1912. La nebbia persistente può essere un pericolo da maggio a settembre. Uragani da maggio a dicembre. Nell'Ottocento si verificarono casi di affondamento di navi a vapore con scafo in legno, quindi più fragile nell'impatto con le onde durante le tempeste.

Ci sono molte specie marine in pericolo, tra cui le mante, i leoni marini, le tartarughe, le balene, le foche ed anche specie ittiche che per riprodursi migrano risalendo i fiumi che sfociano nell'Oceano come la cheppia (Alosa fallax). Le reti a strascico hanno accelerato il declino delle riserve di pesca e sono soggetto di aspre dispute internazionali. Inquinamento da fogne al largo degli Stati Uniti, del sud del Brasile e dell'Argentina. Inquinamento da petrolio nel mare Caraibico, nel Golfo del Messico, e nel mare del Nord. Inquinamento da fogne e industrie nel mar Baltico e mare del Nord.

Punti critici sono lo Stretto di Gibilterra e l'accesso al Canale di Panamá. Gli stretti strategici includono lo Stretto di Dover, gli Stretti della Florida, il Canale della Mona e il Canale Sopravento. Durante la guerra fredda, il cosiddetto passaggio di Groenlandia-Islanda-Regno Unito (GIUK) era un problema strategico di grande importanza, e il fondale fu riempito di idrofoni per rilevare il movimento dei sottomarini sovietici.

Nell’Oceano Atlantico settentrionale una microscopica alga marina è così fiorente da sfidare ogni previsione scientifica, suggerendo un che sia in corso da decenni un rapido cambiamento ambientale dopo un aumento dell’anidride carbonica nell’oceano.

Il CPR survey è uno studio in continuo del  plancton, organismi galleggianti che formano una parte fondamentale della catena alimentare marina. Il progetto è stato lanciato da un biologo marino britannico nel Nord Atlantico e del Mare del Nord nei primi anni ’30 ed è condotto da navi commerciali che trainano retini per la raccolta di plancton mentre  navigano lungo le loro normali rotte.

Un altro degli autori, lo statunitense William M. Balch del the Bigelow Laboratory for Ocean Sciences del Maine, uno dei massimi esperti di alghe del mondo, ha detto che «Gli scienziati si aspettavano che l’acidità degli oceani, dovuta ad un aumento dell’anidride carbonica avrebbe soppresso questi organismi dal guscio calcareo. Non è stato così. D’altra parte, un loro maggiore abbondanza è coerente con la loro storia di indicatori del cambiamento ambientale. I coccolitoforidi sono stati in genere più abbondante durante il periodo interglaciale caldo della Terra e nei periodi con elevata CO2. I risultati qui presentati sono coerenti con tutto questo e possono far presagire, come il “canarino nella miniera di carbone”, dove siamo diretti climatologicamente. Questo ci  fornisce un esempio di come le comunità marine di  un intero bacino oceanico stanno rispondendo all’aumentare dei livelli di biossido di carbonio. Tali esempi di vita reale dell’impatto di aumentare di CO2  sulla rete trofica marina sono importanti da evidenziare  mentre il mondo si riunirà a Parigi la prossima settimana in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici».

I coccolitoforidi sono alghe monocellulari ricoperti di singolari strutture chiare fatte di carbonato di calcio e svolgono un ruolo nel ciclo del carbonato di calcio, un fattore che determina i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera. Nel breve periodo rendono più difficile da rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera, ma nel lungo periodo –  di decine e centinaia di migliaia di anni – aiutano a rimuovere la CO2 dall’atmosfera e degli oceani e a confinarla nelle profondità oceaniche.

Queste minuscole creature da eoni lasciano il loro segno sul nostro pianeta, aiutando gli odierni scienziati a decifrare i cambiamenti ambientali più significativi. Le bianche scogliere di Dover sono candidea causa dei massicci depositi di coccolitoforidi. Ma un esame più attento mostra che  i depositi bianchi sono interrotti da sottili strati scuri di selce, prodotte da organismi che hanno gusci vitrei in silicio, Gnanadesikan spiega che «Questi rappresentano chiaramente importanti cambiamenti nel tipo di ecosistema. Ma se non si capisce che cosa provoca l’abbondanza dei  coccolitoforidi, non possiamo capire che cosa sta provocando questi cambiamenti. E’ l’anidride carbonica?»

Scoperte per la prima volta in mare aperto delle 'zone morte', nell'oceano Atlantico, al largo delle coste dell'Africa occidentale. Si tratta di aree in cui i livelli di ossigeno sono talmente bassi che la vita è quasi impossibile e in cui riescono a vivere solo alcune specie di microorganismi. A osservarle i ricercatori guidati da Johannes Karstensen, dell'Helmholtz Centre for Ocean Research di Kiel in Germania, il cui lavoro è pubblicato sulla rivista Biogeosciences. Le zone morte sono aree inospitali per la maggior parte delle specie marine, create dalla circolazione delle correnti e grandi vortici d'acqua che si muovono lentamente verso ovest.

Arrivando in prossimità di un'isola, potrebbero provocare l'uccisione di massa di molti pesci. "Prima del nostro studio - spiega Karstensen - si pensava che il mare aperto del Nord Atlantico avesse delle concentrazioni minime di ossigeno di un millimetro di ossigeno dissolto per litro. Una concentrazione molto bassa, ma sufficiente a far sopravvivere i pesci". Ora si è invece scoperto che hanno un livello minimo di ossigeno 20 volte inferiore a quello stimato prima, cioè inadatte per la vita della maggior parte degli animali marini.

Le zone morte sono molto comuni vicino i litorali dove i fiumi sversano fertilizzanti e altre sostanza chimiche nell'oceano, scatenando la crescita di alghe. Quando queste muoiono, cadono sui fondali morali e vengono decomposte dai batteri, che consumano tutto l'ossigeno in questo processo.

Le correnti oceaniche possono muovere queste acque con poco ossigeno dalla costa, ma una zona morta che si forma in oceano aperto ancora non era stata scoperta. "I vortici che abbiamo osservato con maggiore dettaglio - continua Karstensen - sono come dei cilindri rotanti di 100-150 km di diametro e un'altezza di diverse centinaia di metri, con la zona morta che occupa i 100 metri più in alto. L'area intorno a questi vortici di zone morte rimane ricca di ossigeno. Abbiamo stimato che il consumo di ossigeno nei vortici - conclude - è 5 volte maggiore che nelle condizioni oceaniche normali".




martedì 15 settembre 2015

IL MARE MEDITERRANEO



Il nome Mediterraneo deriva dalla parola latina mediterraneu(m), parola composta da medius, il cui significato è “che sta al centro”, e terra. Già in greco esisteva un termine simile, mesogeis, che significava “in mezzo alle terre”.
Fu sempre usato inizialmente come aggettivo e si riferiva a luoghi che erano interamente circondati da terre, lontani quindi dal mare. Solamente in epoca più tarda l'aggettivo fu accostato al mare per antonomasia: il Mar Mediterraneo vide fiorire sulle proprie sponde le civiltà che stanno alla base della cultura occidentale e proprio per questa sua particolare configurazione di “mare fra le terre”, il Mediterraneo, al contrario d'altre distese acquatiche del globo, ha sempre rappresentato un elemento geografico di contatto tra le nature e i popoli che vi si affacciano.
Il mar Mediterraneo attraverso la storia dell'umanità è stato conosciuto con diversi nomi.
Gli antichi Romani lo chiamavano, ad esempio, "Mare Nostrum", ossia il nostro mare (e in effetti la conquista romana toccò tutte le nazioni affacciate sul Mediterraneo).In turco il Mediterraneo è detto Akdeniz, "Mare Bianco", e anche in arabo la sua denominazione è al-Baħr al-Abyad al-Mutawassit البحر الأبيض المتوسط, "Mar Bianco di Mezzo".
Nelle altre lingue del mondo, solitamente si ha vuoi un prestito dal latino o da lingue neolatine (es. inglese Mediterranean Sea),vuoi,  più spesso, un calco dal senso di "mare medio, in mezzo (alle terre)" (es. tedesco Mittelmeer, ebraico Hayam Hatikhon (הַיָּם הַתִּיכוֹן), "il mare di mezzo", berbero ilel Agrakal, "mare tra-terre").

La sua superficie approssimativa è di 2,51 milioni di km² e ha uno sviluppo massimo lungo i paralleli di circa 3 700 km. La lunghezza totale delle sue coste è di 46 000 km, la profondità media si aggira sui 1 500 m, mentre quella massima è di 5 270 m presso le coste del Peloponneso. La salinità media si aggira dal 36,2 al 39 ‰. La popolazione presente negli stati bagnati dalle sue acque ammonta a circa 450 milioni di persone. Secondo la storiografia è tradizionalmente considerato, assieme al Vicino Oriente e al Medio Oriente, la culla della civiltà occidentale a partire dal mondo antico. Ivi sfocia il fiume più lungo del mondo.

Il Mediterraneo è collegato a ovest all'oceano Atlantico, attraverso lo stretto di Gibilterra. A est attraverso il mar di Marmara, tramite i Dardanelli e il Bosforo, è collegato al Mar Nero. Il mar di Marmara è spesso considerato parte del Mediterraneo, mentre il Mar Nero viene generalmente considerato un mare distinto. Il canale di Suez a sud-est collega il Mediterraneo al Mar Rosso.

Le maree sono molto limitate anche a causa dello scarso collegamento con l'oceano, che limita la massa d'acqua complessiva investita dal fenomeno.

Le temperature del Mediterraneo hanno estremi compresi fra i 10 °C e i 32 °C. In genere si oscilla fra i 12 °C – 18 °C nei mesi invernali fino ai 23 °C – 30 °C nei mesi estivi, a seconda delle zone.


All'azione del mar Mediterraneo come serbatoio termico è in buona parte dovuto il clima mediterraneo, generalmente caratterizzato da inverni umidi ed estati calde e secche. Coltivazioni caratteristiche della regione sono: olivo, vite, agrumi, e quercia da sughero.

Il Mar Mediterraneo è considerato il prototipo di altri mari che hanno caratteristiche analoghe, ossia quella di essere circondati da più continenti o subcontinenti, anch'essi detti mediterranei: il Mediterraneo Australasiatico, il Mar Glaciale Artico, il Mediterraneo Americano.

Circa cinque milioni di anni fa, il Mar Mediterraneo era una vallata profonda e secca che divideva tre continenti: Europa, Africa e Asia, fino a quando un cataclisma fece una breccia nel muro di contenimento dell’oceano Atlantico ad ovest, verso l’odierna Gibilterra. In un processo durato molti, molti anni, una gigantesca cascata di acqua ha incominciato ad inondare l’intero bacino mediterraneo, facendo nascere un nuovo mare.

Analizzando più attentamente la configurazione di questo nuovo mare troviamo che è formato piuttosto da un insieme di mari: il mar Alboran, Golfo di Lione, il Tirreno, lo Ionio, il mar Egeo, l’Adriatico, ognuno con caratteristiche proprie. Nell’insieme il Mediterraneo è un mare profondo: dai 3000 ai 4000 metri. Questa profondità permette ad alcune specie di balene di viverci, come anche il pesce spada, il tonno e il delfino, quest’ultimo spesso incontrato dalle moderne barche da diporto durante le crociere.

Il Mediterraneo è un mare piuttosto chiuso. Vi è un piccolo scambio delle acque con l’Atlantico sullo stretto di Gibilterra e con il mar Nero sullo stretto del Bosforo ad Istanbul. All’estremo est, il canale di Suez, sebbene navigabile, è soltanto una comunicazione artificiale con il mar Rosso. Le coste africane ed asiatiche sono aride e piatte, mentre le coste europee, anche se non soggette a piogge pesanti, sono verdi e montagnose, con un clima più temperato.        

Il continente africano da sempre si spinge lentamente verso il continente europeo e questo ha causato l’innalzamento delle Alpi. La conseguente frattura nella crosta terrestre ha formato i vulcani: Etna, Stromboli e Vesuvio in Italia e Santorino in Grecia. Questo movimento verso il continente europeo è anche la causa della attività sismica in questa area.

In generale, il clima è tiepido e temperato: per l’appunto definito “mediterraneo”. Il clima è influenzato dall’aria calda e secca proveniente dal Sahara durante l’estate creando temperature ideali per le vacanze, e dall’aria più umida e fredda dall’Atlantico durante l’inverno. In effetti, questo clima si è dimostrato assai favorevole allo sviluppo della civiltà umana.

L’uomo è arrivato piuttosto tardi sulla scena del Mediterraneo. Vi sono tracce dell’uomo di Neanderthal nelle caverne del Circeo a sud di Roma, nella costa ligure, a Gibilterra, in Francia ed in alcune altre aree. L’arrivo del nostro più diretto antenato, “Homo Sapiens”, si può datare intorno a 100.000 anni fa. Vista la sua attitudine alla guerra, si può legittimamente ipotizzare che l’Homo Sapiens Sapiens ha avuto un ruolo nel processo di estinzione dell’uomo di Neanderthal circa 30.000 anni fa.

Ogni ricorrente era glaciale ha prodotto drastici abbassamenti nei livelli del mare, mentre la stessa quantità d’acqua veniva depositata, sotto forma di alti strati di ghiaccio, nelle regioni polari. Questo ha permesso all’uomo primitivo di spostarsi e di popolare molte terre, comprese quelle che in seguito sarebbero diventate isole, una volta che il clima si fosse riscaldato, innalzando di nuovo i mari. E’ in questo modo che la Sardegna è stata popolata. Tribù erranti provenienti dalla attuale Toscana attraversarono l’Elba e la Corsica e arrivarono fino in Sardegna, circa 40.000 anni fa.

Con l’innalzamento del mare queste prime tribù sarde rimasero isolate per un lungo periodo, fino a quando visitatori, in barca, non vi approdarono molto più tardi. Oggi, il popolo sardo rimane unico rispetto alle altre popolazioni europee ed è un esempio relativamente “puro” delle tribù indo-europee che erravano l’Europa 40.000 anni fa. Un esempio simile è la popolazione basca che rimase isolata nelle montagne dei Pirenei tra la Spagna e la Francia.



L’uomo primitivo non si è fermato per molto davanti alle distese d’acqua limitate. La curiosità innata e la sete per l’avventura lo spinsero a costruire zattere primitive e barchette costruite con canne con cui hanno remato o si sono lasciati trasportare attraverso le acque, raggiungendo isole come Cipro e Malta 5000 anni fa, formando le basi delle popolazioni odierne. L’uomo ha lentamente popolato tutto il bacino mediterraneo. E in questo speciale e favorevole ambiente ha prosperato.

Vero e proprio ponte tra territori, la regione del Mediterraneo è considerata culla di alcune tra le più antiche civiltà del Pianeta, nonché teatro principale della storia e della cultura della civiltà occidentale. L'agricoltura insieme all'allevamento si diffuse sulle sue coste intorno al 6000 a.C. Successivamente, nella sua parte orientale, una più accentuata dinamicità culturale portò verso la nascita di aree urbane caratterizzate da fiorenti attività artigianali e da vivacità nei commerci. Grazie all'azione mediatrice dei Cretesi, dall'isola di Creta, centro della civiltà minoico - micenea - tra il III e il II millennio a.C. - s'irradiarono intensi flussi commerciali che interessarono le coste anatoliche, la Grecia, l'Egitto, le coste del Libano, dell'Italia Meridionale, della Sicilia e della Sardegna, contribuendo a intensificare i rapporti culturali tra i tanti popoli rivieraschi. Dopo la crisi del 1200 a.C., quando l'intero sistema dei commerci venne sconvolto dalle distruttive invasioni dei Popoli del mare causando il crollo dell'Impero ittita e della Civiltà micenea, i successivi mutamenti politici crearono nella zona siro-palestinese il presupposto allo sviluppo dei centri fenici e la nascita dello stato ebraico.

Abili navigatori e altrettanto abili nei commerci i Fenici (nome greco per indicare i Cananei) navigarono in lungo e in largo per tutto il Mediterraneo esportando i prodotti del loro fiorente artigianato e importando materie prime, creando empori e porti commerciali e dando impulso alla creazione di città costiere come Cartagine. Nell'VII secolo lungo le rotte commerciali tra oriente e occidente, ai Fenici si affiancarono i Greci che impiantarono colonie nel bacino ionico, nel Tirreno, nell'Egeo fino al Mar Nero. Il costante aumento di nuovi insediamenti crearono forti tensioni fra i popoli rivieraschi a causa della concorrenza nei mercati e l'espansione greca a Occidente fu bloccata nel 541 a.C. dall'alleanza tra Etruschi e Cartaginesi nella Battaglia del Mare sardo. Nel secolo successivo sempre i Greci furono protagonisti nell'epico scontro che nel 480 a.C. li oppose alle mire di Serse nella Battaglia di Salamina, salvando le loro terre dall'occupazione persiana. Le nascenti potenze di Roma e Cartagine sconvolsero nuovamente il Mediterraneo e lunghe guerre si conclusero con la consacrazione della potenza romana e la distruzione dei Punici. Da allora in poi il Mediterraneo divenne per i Romani il Mare nostrum e su tutto il suo bacino si irradiò la civiltà e la potenza della Roma repubblicana e imperiale. Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente e la stagnazione dei commerci nel bacino occidentale, nell'Impero romano d'Oriente i Bizantini mantennero intensi i traffici marittimi fino a quando nel VII e nell'VIII secolo l'espansione islamica sconvolse nuovamente l'intero bacino, oltrepassando lo Stretto di Gibilterra e giungendo fino in Spagna con la sua civiltà.

Le Repubbliche marinare di Amalfi, Venezia, Pisa e Genova i cui interessi commerciali in Oriente erano minacciati dai pirati saraceni, contrastarono efficacemente questa espansione, ma sia i contrasti con le marinerie aragonesi, in aspra concorrenza sulle rotte verso Levante, sia la caduta di Bisanzio nel 1453, portarono al declino dei traffici mediterranei, declino che si accentuò ancor più dopo il 1492 con la scoperta dell'America e che neanche la vittoria nella Battaglia di Lepanto nel 1571 riuscì a fermare, arrivando nel Seicento alla drastica riduzione della potenza navale veneziana. Nel Settecento le debolezze dell'Impero ottomano favorirono le mire espansionistiche degli Inglesi nel bacino occidentale, degli Austriaci verso l'Adriatico e dei Russi nel bacino orientale. Nell'Ottocento, durante le guerre napoleoniche Francia e Gran Bretagna si scontrarono violentemente nel Mediterraneo combattendo una guerra che vide gli inglesi prevalere e assicurarsi così il dominio incontrastato dei mari. Sempre nell'Ottocento, la costruzione del canale di Suez rese possibile il collegamento del Mediterraneo all'Oceano Indiano e costituì un evento di grande importanza per i commerci marittimi in quanto si evitava in questo modo la circumnavigazione dell'Africa per raggiungere via mare i ricchi mercati asiatici.



Oggi, il Mediterraneo rappresenta il crocevia della civiltà occidentale formato da molte e diverse culture. Città romane si trovano in tutto il Mediterraneo, città greche in Sicilia, la cultura araba pervade la Spagna, l’Islam è presente in Jugoslavia.
Per il turista-navigatore ciò rappresenta un miscuglio intrigante ed affascinante.

Per quanto riguarda la topografia del fondale il Mediterraneo è diviso in due parti principali:

il Mediterraneo occidentale, delimitato dal canale di Sicilia e caratterizzato da ampie piane abissali;
il Mediterraneo orientale, molto più accidentato e dominato dal sistema della dorsale Mediterranea.

Il Mediterraneo occidentale comprende due bacini principali, quello algero-provenzale e il bacino tirrenico. Il primo occupa un'area più o meno triangolare che comprende il mare di Alborán, il mare delle Baleari, il canale di Sardegna, il mar di Sardegna, il mare di Corsica e il mar Ligure. Ha una superficie di circa 240 000 km² e una profondità massima di circa 2 800 m. In alcuni tratti costieri, tipicamente alle foci dell'Ebro e del Rodano la piattaforma continentale raggiunge anche i 60 km di larghezza, con un massimo di 72 km presso il Golfo del Leone. La larghezza minima si ha invece tra Genova e Tolone, dove il fondale è caratterizzato da ampi e profondi canyon. Le isole di Maiorca e Minorca hanno una piattaforma comune mentre Ibiza è separata da un braccio di mare profondo 800 m. Al centro del bacino si trova la piana abissale delle Baleari, profonda dai 2600 a i 2800 metri. Il bacino tirrenico è la parte più profonda del Mediterraneo Occidentale, raggiunge infatti i 3800 m di profondità (Fossa del Tirreno). Il fondale è caratterizzato dalla presenza di numerose dorsali e di rilievi di tipo vulcanico. Vi sono montagne sottomarine che in alcuni casi si elevano fino a -500 m come il Monte Marsili e il Monte Vavilov.

Poche e di modeste dimensioni sono le piane abissali fra le quali si trovano la piana di Corsica, la piana di Orosei, la piana di Olbia, la piana abissale tirrenica e il rialzo pliniano. Il bacino è praticamente chiuso, è messo in comunicazione con i bacini adiacenti da pochi stretti passaggi. A nord un canale profondo circa 3/400 m lo mette in comunicazione con il Mar Ligure, lo stretto di Bonifacio, profondo non oltre i 50 m, lo mette in comunicazione con il bacino algerino così come il profondo canale di Sardegna, caratterizzato dalla presenza della fossa algero-tirrenica, mette in comunicazione i due bacini a sud della Sardegna.

Il canale di Sicilia, dal fondale basso e caratterizzato dalla presenza di banchi che possono ridurre la profondità a poche decine di metri, lo mette in comunicazione con il Mediterraneo Orientale.

Fanno parte del Mediterraneo orientale il bacino del mare Adriatico, il mar Ionio, il mar Egeo, il mar Libico e il bacino del mar di Levante. L'Adriatico ha una superficie di circa 135 000 km² e una profondità massima di 1 230 m.

Il Bacino del mar Mediterraneo è composto da un complesso sistema di strutture generate dall'interazione tra la Placca euroasiatica e la Placca africana. Secondo la teoria della Tettonica delle placche, queste due placche si sono avvicinate con un movimento rotatorio durante gli ultimi 300 milioni di anni, durante i quali le zone intermedie tra le due placche si sono deformate, scivolando e ruotando tra di loro, sovrapponendosi e lasciando spazio per l'apertura di nuovi bacini interni. La recente costituzione della zona Mediterranea è il risultato di questa complessa storia geodinamica e mostra una serie di microplacche deformate, zone mobili tra queste microplacche (le catene montuose) e vecchie e nuove croste oceaniche (i bacini). Non esiste tuttora una singola teoria complessiva per descrivere la storia di questo sistema, e numerosi modelli sono stati proposti.

Il sistema del Mediterraneo normalmente viene suddiviso in tre aree principali: il sistema del Mediterraneo occidentale, del Mediterraneo centrale e del Mediterraneo orientale.



Il sistema del Mediterraneo occidentale è composto dalla microplacca iberica, la catena dei Pirenei, la catena dell'Atlante (Marocco, Algeria e Tunisia occidentale), le isole Baleari e il bacino Mediterraneo occidentale.

Il sistema del Mediterraneo centrale è composto dalla catena delle Alpi, la catena degli Appennini, l'Arco calabro peloritano, il Bacino tirrenico, il Bacino adriatico, il Bacino ionico, le zone mobile di deformazione della Tunisia orientale e la Libia occidentale.

Il sistema del Mediterraneo orientale è composto dalla Catena dinarica, dal sistema dell'Arco ellenico (con l'isola di Creta), il Mar Egeo, il Bacino del Mediterraneo orientale, la Placca anatolica, la catena di Cipro, le zone mobili del Mediterraneo orientale (Libano, Israele, Egitto) e le catene nordafricane libiche.

Il mar Mediterraneo è un bacino semichiuso con una forte evaporazione e un ridotto apporto di acque dolci fluviali, apporto influenzato da attività umane (dighe e sbarramenti).
Nei mesi estivi l'evaporazione è relativamente ridotta a causa dei venti non eccessivamente frequenti, al contrario nei mesi invernali l'evaporazione è molto elevata a causa della prevalenza di venti secchi di origine continentale (Bora, Maestrale, Vardarac, Scirocco e Meltemi). L'evaporazione ed il ridotto apporto di acque fluviali fanno sì che il Mediterraneo sia in costante deficit idrico. Questo viene compensato dall'oceano Atlantico che annualmente riversa nel Mediterraneo, attraverso lo Stretto di Gibilterra, tra i 36 000 e i 38 000 km³ d'acqua. Questo apporto di grandi quantità d'acqua provoca forti correnti durante tutto l'anno, favorendo la pulizia dei bassi fondali dello Stretto che, diversamente, nel corso dei millenni si sarebbe inevitabilmente chiuso.

Le correnti superficiali mediterranee si originano tutte dall'afflusso di acqua atlantica e seguono in prevalenza gli andamenti di tipo ciclonico, cioè antiorario. L'acqua atlantica, più fredda ma meno salata (motivo per cui rimane in superficie) entra nel Mediterraneo dopo aver lambito le coste del Marocco.

Una volta varcato lo stretto di Gibilterra viene spinta a sud dalla forza di Coriolis e segue prevalentemente la costa nordafricana dando origine alla corrente algerina, ma una parte della massa d'acqua, scontrandosi con la corrente anticiclonica del mare di Alborán, si biforca verso nord in direzione delle isole Baleari.
La corrente algerina, nel prosieguo del suo corso, si biforca nuovamente: una parte prosegue verso il canale di Sicilia, un'altra invece risale verso la Corsica e unendosi alla parte che fin dall'inizio si era diretta verso le Baleari dà origine alla corrente ligure provenzale catalana che scorre verso ovest lambendo le coste liguri, francesi e catalane e attraversando il Golfo del Leone.

I bassi fondali del canale di Sicilia fanno sì che la corrente algerina si biforchi nuovamente, una parte risale infatti verso il Tirreno dando origine a una corrente ciclonica che in parte lambisce le coste liguri e si riunisce con la corrente ligure-provenzale catalana.

La parte di corrente algerina che riesce a valicare il canale di Sicilia attraversa dapprima un'area prospiciente le coste della Tunisia e della Libia caratterizzata da correnti anticicloniche (il Golfo della Sirte) e poi forma la corrente africana che scorre lungo il mare di Levante dando origine alla corrente dell'Asia Minore che lambisce la costa Turca fino a Rodi.

Nell'Adriatico, nello Ionio e nell'Egeo vi sono altre correnti minori di tipo ciclonico.

Oltre alle citate correnti costiere vi è la corrente centro-mediterranea che scorre sopra la dorsale mediterranea in direzione Creta e Cipro.

Lo strato d'acqua compreso fra i 200 e i 600 metri è interessato da un movimento in senso opposto a quello delle correnti di superficie. Origina infatti dal mar di Levante, il tratto di Mediterraneo con i più elevati valori di salinità, (si raggiunge qui il 39,1 per mille di salinità). D'inverno, con il calo della temperatura si ha un aumento della densità dello strato superficiale che "comprime" lo strato d'acqua inferiore dando origine alla corrente intermedia.
Questa corrente è divisa in un ramo principale che percorre l'intero Mediterraneo e due rami secondari che attraversano l'uno il Golfo della Sirte e l'altro, più cospicuo, lo Ionio fino a entrare nell'Adriatico dove incontra le fredde acque invernali per poi uscire nuovamente dallo stretto di Otranto.



Il ramo principale si dirige invece verso il canale di Sicilia dove, a causa dei fondali bassi e della portata della corrente di superficie, deve dividersi in due stretti passaggi laterali situati a quote diverse. L'acqua proveniente dal più settentrionale si dirige verso il Tirreno dove fa un lungo giro antiorario e in gran parte esce per ricongiungersi col ramo secondario e risalire verso la Sardegna per poi seguire la costa francese e spagnola e uscire dallo Stretto di Gibilterra.

Dalle analisi degli oceanografi pare che una goccia d'acqua entrata dallo stretto di Gibilterra impieghi circa 150 anni per compiere tutto il "giro" e ritornare, profondamente modificata nella composizione, all'oceano Atlantico.

Le correnti di profondità interessano due aree del Mediterraneo, il bacino ligure provenzale e lo Ionio. In entrambi i casi le correnti originano nella stagione invernale in seguito a un rapido raffreddamento delle acque provocato dal vento.
Nel primo caso il maestrale raffredda rapidamente le acque al centro del Golfo del Leone. In seguito all'aumento di densità l'acqua si dirige verso il fondo, sino ai 2000 metri di profondità, contribuendo al lento ricambio delle acque profonde.
Nel bacino orientale è la Bora che abbassando la temperatura delle acque nel mare Adriatico origina una corrente diretta verso sud che si inabissa oltre il canale di Otranto e contribuisce al ricambio delle acque profonde dello Ionio.

Alcuni studi stimano un innalzamento medio delle temperature del bacino del mediterraneo di 6 °C tra il 2070 e il 2100. Questa variazione climatica secondo i modelli climatici produrrà siccità ed estati torride con notevoli riduzioni delle precipitazioni in inverno.

Nonostante il mar Mediterraneo sia un mare oligotrofico, quindi piuttosto povero di nutrienti, in esso è presente una grande biodiversità e circa il 28% delle specie presenti sono endemiche di questo mare. Tutto ciò è dovuto principalmente alla presenza di habitat diversificati che favoriscono l'insorgenza di nicchie ecologiche e alle condizioni idrologiche e climatiche proprie di questo bacino. Un'eccezione condizione alla oligotrofica si riscontra nei pressi delle foci dei numerosi grandi fiumi che vi affluiscono, dal Nilo al Rodano, dall'Ebro al Po. I loro delta formano veri e propri ecosistemi diversi sulle coste del Mare nostrum.

Perès e Picard nel 1964 hanno messo a punto un sistema di classificazione dei vari tipi di ecosistemi presenti nel Mediterraneo che ancora oggi è utilizzato dalla maggior parte degli studiosi di questo mare. Questo sistema di classificazione si basa sia su fattori abiotici, come profondità, temperatura, tipi di substrati, ecc., sia sulle interazioni interspecifiche tra gli organismi.

Rispetto agli organismi che vivono negli oceani, quelli che vivono nel Mediterraneo raggiungono dimensioni minori e possiedono un ciclo vitale piuttosto breve.

Nel tratto di mare tra Liguria e Toscana è stata istituita un'area protetta denominata Santuario per i mammiferi marini, ove vivono varie specie di cetacei tra cui la balenottera comune.

Nell'ecosistema costiero del mar Mediterraneo un ruolo fondamentale è svolto dalla Posidonia oceanica.
Grazie al suo sviluppo fogliare produce un'alta quantità di ossigeno, fino a 20 litri al giorno per ogni metro quadrato di prateria. Contribuisce inoltre al consolidamento dei fondali e delle spiagge, proteggendole dalla erosione. Ma soprattutto le praterie marine di questa fanerogama sono l'ambiente ideale per la crescita di pesci, crostacei e altre forme di vita, costituendo una vera e propria nursery delle specie ittiche.

Attualmente la Posidonia è in forte regressione in tutto il bacino mediterraneo, a causa dell'inquinamento chimico, ma anche delle opere di protezione costiera e dell'"aratura" dei fondali provocata dalle ancore delle barche e dalla pesca a strascico abusiva, sotto costa.

I filtratori sono organismi microfagi, che si nutrono cioè di minuscole particelle di cibo sospese in acqua, che hanno un ruolo importante per il mantenimento dell'equilibrio dell'ecosistema.

Tra essi vanno ricordati:
i Copepodi, piccoli crostacei, raramente più lunghi di 1–2 mm, che si nutrono dei prodotti della fotosintesi oceanica e a loro volta costituiscono nutrimento per molti pesci.
le Spugne (il Mediterraneo ne ospita oltre 500 specie), e in particolare quelle appartenenti alla famiglia delle Spongiidae, che costituiscono una tipica risorsa del Mediterraneo, oggetto di intenso sfruttamento commerciale
i Coralli e in particolare il corallo rosso (Corallium rubrum), le cui colonie sono in preoccupante declino a causa della massiccia raccolta per la produzione di gioielli e monili, la gorgonia rossa (Paramuricea clavata), la gorgonia gialla (Eunicella cavolinii), l'Astroides calycularis e la Dendrophyllia ramea.
le Ascidie (numerose specie tra cui Ascidia spp., Ciona intestinalis, Phallusia mammillata, Halocynthia papillosa).

La Tartaruga marina comune (Caretta caretta) il danneggiamento dei siti di nidificazione minaccia seriamente la sopravvivenza di questa specie;
la Foca monaca (Monachus monachus) è ridotta a 150-250 esemplari tutti concentrati nei mari Ionio ed Egeo e lungo le coste del Nordafrica;
la Tartaruga verde (Chelonia mydas) è praticamente quasi estinta e si ritrova ormai solo verso le coste di Cipro.
La Tartaruga liuto (Dermochelys coriacea) in base ai criteri della Lista rossa IUCN è considerata in pericolo critico di estinzione.
Altre specie a rischio (anche se non allarmanti come le tartarughe e la foca) sono il delfino comune (Delphinus delphis), il tursiope (Tursiops truncatus), il grampo (Grampus griseus), la balenottera (Balaenoptera physalus), il capodoglio (Physeter macrocephalus), il tonno rosso (Thunnus thynnus) e il pesce spada (Xiphias gladius).


Per tropicalizzazione si intende il processo di insediamento in Mediterraneo di specie provenienti da aree tropicali o sub-tropicali, mentre, per meridionalizzazione si intende lo spostamento verso nord dell'areale di specie tipiche delle coste sud di questo mare. In alcuni casi si tratta di specie (migrazione lessepsiana) passate attraverso il canale di Suez, provenienti dal Mar Rosso, ovvero di specie provenienti dalle coste africane dell'Oceano Atlantico, giunte attraverso lo stretto di Gibilterra. Un altro canale d'ingresso è rappresentato dallo scarico incontrollato delle acque di zavorra delle navi cisterna. Un contributo allo sviluppo del fenomeno è dato inoltre dai mutamenti climatici in corso, con il conseguente innalzamento della temperatura delle acque.

Alcune di queste specie si sono ambientate e riprodotte benissimo, al punto di arrivare a soppiantare le specie autoctone e di essere comunemente pescate e commercializzate. Fra di esse ricordiamo: il pesce palla (Sphoeroides cutaneus), la ricciola fasciata (Seriola fasciata), il pesce scorpione (Pteroides miles), la triglia del Mar Rosso (Upeneus moluccensis) e il barracuda mediterraneo (Sphyraena viridensis).

Sempre in conseguenza dell'aumento della temperatura delle acque si assiste a un significativo cambiamento di distribuzione della fauna ittica autoctona, che porta molte specie tipiche delle aree più calde del Mediterraneo a espandersi verso nord. È il caso del pesce balestra (Balistes carolinensis) o del pesce pappagallo (Sparisoma cretense).

Il fenomeno dell'importazione di specie alloctone non riguarda solo i pesci, ma anche le alghe: alghe delle coste giapponesi (Laminaria japonica, Undaria pinnatifida e Sargassum muticum) sono state segnalate già dalla fine degli anni sessanta, mentre più recentemente è stata segnalata la presenza di un'alga tropicale, la Caulerpa taxifolia che attualmente minaccia soprattutto un ampio tratto della costa francese tra Tolone e Mentone, moltiplicandosi a una velocità impressionante, ostacolando i cicli vitali degli altri organismi con alterazione degli equilibri ecologici.



Dalla fine degli anni ottanta il Mediterraneo è attraversato dalle rotte dell'immigrazione dall'Africa verso l'Europa. Ogni anno alcune decine di migliaia di migranti economici, profughi e rifugiati politici raggiungono via mare le coste italiane, greche e spagnole. Secondo una ricerca condotta dall'osservatorio Fortress Europe sulla base di notizie rinvenute nella stampa internazionale, dal 1988 al 2007 i migranti annegati attraversando il Mediterraneo sono almeno 8 165 persone. Metà delle salme (4 256) non sono mai state recuperate. Nel canale di Sicilia tra la Libia, l'Egitto, la Tunisia, Malta e l'Italia le vittime sono 2 487, tra cui 1 529 dispersi. Altre settanta persone sono morte navigando dall'Algeria verso la Sardegna. Lungo le rotte che vanno dal Marocco, dall'Algeria, dal Sahara occidentale, dalla Mauritania e dal Senegal alla Spagna, puntando verso le isole Canarie o attraversando lo stretto di Gibilterra, sono morte almeno 4 030 persone di cui 1 980 risultano disperse. Nell'Egeo invece, tra la Turchia e la Grecia, hanno perso la vita 885 migranti, tra i quali si contano 461 dispersi. Infine, nel Mare Adriatico, tra l'Albania, il Montenegro e l'Italia, negli anni passati sono morte 553 persone, delle quali 250 sono disperse. Il mare non si attraversa soltanto su imbarcazioni di fortuna, ma pure su traghetti e mercantili, dove viaggiano spesso molti migranti, nascosti nella stiva o in qualche container. Ma anche qui le condizioni di sicurezza restano bassissime: 141 i morti accertate per soffocamento o naufragio.






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