Un patrimonio di bellezza naturale che non ha eguali e il primato mondiale di inettitudine nel gestirla e metterla a frutto. E così a Pianosa questo angolo di mare tropicale da togliere il fiato convive con l’assoluto stato di abbandono di quello che fu un carcere e che ora è un ammasso di rovine immerse nei rovi e infestate da parassiti. Quale altro Stato oltretutto indebitato lascerebbe a marcire un’oasi del genere senza farne luogo di investimenti adeguati, di lavoro e sviluppo? No noi invece paghiamo una guida per avvisare (in italiano) i turisti (molti stranieri) che la zona è piena di zecche.
E di fare attenzione perché sull’isola non v’è neppure un pronto soccorso!
«Chi parla di Pianosa come centro di smistamento per i profughi prende soltanto in giro la gente, è una proposta priva di qualsiasi fondamento – spiega Umberto Mazzantini, responsabile di Legambiente isola minori – quando si parla di immigrazione si protesta per i costi dell’accoglienza. Nulla rispetto a quanto si spenderebbe per allestire a Pianosa un centro di quel tipo. Cento milioni di euro non basterebbero. Inoltre il modello di gestione australiano è certificato come un fallimento assoluto, basti pensare che stanno cercando di inviare i profughi, tenuti come in un campo di concentramento, in paesi vicini come la Cambogia. Pianosa isola lager? Non scherziamo. Poi il fatto che la Santanché sostenga l’idea è una garanzia. Al contrario».
Pianosa è un'isola situata nel mar Tirreno, che fa parte dell'Arcipelago Toscano nel parco nazionale omonima è collegata durante la stagione turistica con regolari servizi di navigazione con l'isola d'Elba. Inclusa nella provincia di Livorno e amministrata dal comune di Campo nell'Elba, Pianosa, come dice il nome stesso, è l'unica isola dell'arcipelago priva di alture e complessivamente pianeggiante (il punto più alto raggiunge i 29 metri). L'isola, di forma vagamente triangolare, frappone tratti di costa rocciosa a tratti sabbiosi, il principale dei quali è Cala San Giovanni (o Cala Giovanna), suggestiva spiaggia di sabbia bianca dove sono visibili anche i ruderi di una villa romana. Il suo territorio è in parte a macchia e in parte coltivato a viti e olivi.
Il nome dell'isola si riferì, sin dall'Antichità classica, alla sua morfologia pianeggiante: Planasia, dall'aggettivo latino planus («piatto»). Durante il Medioevo, il nome dell'isola si trasformò in Planosa. L'isola fu abitata sin dall'epoca preistorica; le più antiche tracce di presenza umana sono attribuibili al Paleolitico superiore. Sono stati ritrovati anche manufatti e sepolture di popolazioni appartenenti al Mesolitico e al Neolitico, epoca a cui si data anche l'insediamento attestato sul piccolo isolotto detto la Scola, oggetto di scavo da parte della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, che ha restituito ceramiche risalenti al primo Neolitico a ceramica impressa. Di particolare rilevanza sono le tracce di insediamenti della preistoria recente, attribuibili rispettivamente all'Eneolitico e all'età del bronzo. All'Eneolitico o età del rame (IV-III millennio a.C.) sono databili le sepolture in grotticelle naturali e artificiali rinvenute alla fine dell'Ottocento da Raffaello Foresi e Gaetano Chierici, i cui reperti sono ancora conservati nel museo di Reggio Emilia; più recente il rinvenimento di un insediamento della media età del bronzo, oggetto di scavo da parte della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, che attesta la presenza insulare più settentrionale della caratteristica ceramica decorata in stile appenninico, legato alle rotte commerciali tirreniche della metà del secondo millennio a.C.
In epoca romana l'isola era chiamata Planasia per la sua conformazione pianeggiante. Luogo di deportazione, qui fu esiliato nel 6-7 d.C. Agrippa Postumo, nipote ed ex-erede di Augusto. Agrippa rimase sull'isola fino al 14, anno in cui fu giustiziato. Fra le costruzioni d'epoca antica sono visibili, fra gli altri, i ruderi di una villa romana e un sistema di catacombe scavato su due livelli. La villa romana, parzialmente conservata, è conosciuta appunto col nome di Villa di Agrippa o Bagni di Agrippa, dal nome del nipote di Augusto. Lo stile architettonico e le tecniche di costruzione suggeriscono effettivamente che la villa sia stata edificata sul finire del I secolo a.C. e abbandonata nel corso del I secolo d.C. Attualmente è possibile visitare il teatro e il peristilio. Le strutture furono edificate sul piano roccioso di un tratto della costa orientale, di fronte al mare, con intento chiaramente scenografico. Ai piedi della villa si trovano in mare le strutture semisommerse della peschiera, ove si allevavano specie pregiate di pesce per il consumo del dominus. Altre strutture relative a peschiere si trovano racchiuse dal porticciolo moderno.
Alcuni giacimenti archeologici subacquei testimoniano che Pianosa si trovava inserita nelle rotte commerciali del Mediterraneo romano, come del resto le altre isole dell'Arcipelago Toscano, che costituivano un importante crocevia nella navigazione dei settori occidentali della grande «via d'acqua». Attualmente sono stati identificati due di questi giacimenti, denominati Pianosa 1 e Pianosa 2. Il giacimento Pianosa 2 è stato scoperto da subacquei sportivi, fra il Porto Romano e lo Scoglio della Scarpa, nella parte nord-ovest dell'isola ed è caratterizzato da anfore olearie Dressel 20, di produzione spagnola (I-III secolo d.C.). Assai più noto e indagato in maniera sistematica dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana è il giacimento Pianosa 1, posto di fronte allo Scoglio della Scola, nella parte a est dell'isola, a 36 metri di profondità su fondale pianeggiante, fra praterie di posidonia. Il giacimento è caratterizzato da oltre cento anfore a vista comprendenti Dressel 1, Dressel 2-4 di produzione ispanica (nettamente prevalenti), Dressel 20, Pascual 1, Beltrán 2B e anfore africane. Difficile stabilire, per ora, la natura del giacimenti, sul quale le indagini sono ancora in corso. Nell'ottobre del 2006 il giacimento è stato oggetto di ricerche sperimentali: riprese fotogrammetriche, riprese con ROV (veicolo filoguidato) georeferenziato, prelievo e ricollocamento di esemplari anforici, determinazione dei tipi. I fondi impiegati derivano dal progetto europeo VENUS (Virtual ExploratioN Underwater Sites), che riunisce archeologi, tecnici dell'ingegneria automatica sottomarina, ricercatori di sistemi fotogrammetrici computerizzati per la restituzione in 3D.
Nel Medioevo l'isola fu a lungo disputata tra Pisa e Genova e infine, nel 1399, passò sotto il dominio di Piombino. L'isola fu a più riprese popolata e successivamente completamente abbandonata.
Vi furono nei secoli seguenti piccole colonie di elbani, che si rifugiavano sull'isola durante i periodi di pesca, e la presenza di alcuni presidi militari.
Nel 1856 viene istituita dal Granducato di Toscana la colonia penale agricola di Pianosa e furono inviati sull'isola i condannati destinati ad occuparsi dei lavori nei campi. Il carcere rimase in attività durante l'epoca fascista e vi fu detenuto dal 1931 al 1935 anche il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini, incarcerato per motivi politici. Nel 1968 venne trasformato in penitenziario di massima sicurezza e la rimanente popolazione dell'isola venne evacuata. Nella struttura voluta dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa vennero confinati inizialmente appartenenti a organizzazioni terroristiche e in seguito pericolosi esponenti delle mafie. Tra gli altri, vi vennero rinchiusi personaggi come Francis Turatello, Pasquale Barra e Renato Curcio. L'attività però venne a diminuire. Il 5 novembre 2009, l'allora ministro della giustizia del Berlusconi IV, Angelino Alfano, annunciò l'intenzione di riattivare pienamente il supercarcere, ma il giorno successivo, l'allora ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo annunciò che, contrariamente alle dichiarazioni del collega, il carcere non sarebbe stato riaperto.
Le attività dell'istituto sono cessate definitivamente nel 2011. Da quella data è terminato il divieto assoluto di sbarco che da un lato aveva impedito il turismo sull'isola, ma nel contempo aveva garantito il mantenersi intatto delle bellezze naturali. Rimane però una limitazione per i visitatori, che non possono superare il numero di 250 al giorno utilizzando il traghetto che effettua corse quotidiane partendo alle 10.00 da Marina di Campo sull'isola d'Elba e ritornandovi con partenza da Pianosa alle 17.00. Sull'isola possono trascorrere la notte alcuni turisti, poiché è stato ricavato un albergo di dieci camere dalla residenza del direttore della Colonia Penale realizzata nel XIX secolo. L'albergo è gestito da una cooperativa di volontari e da detenuti in regime di semilibertà del carcere di Porto Azzurro.
L'isola fa parte del Parco Nazionale dell'arcipelago Toscano. Un'associazione ne protegge l'aspetto e la zona marina, rendendola un luogo piacevole per gite e viaggi. Sono vietate, in tutta la sua zona marittima, la pesca, l'immersione, l'ancoraggio, la sosta, l'accesso e la navigazione se non sotto autorizzazione specifica. La visita diurna e guidata all'isola è possibile da aprile a ottobre in gruppi, con imbarco da Marina di Campo. Nel 2009 è stato installato un radar hi tech con un ampio potere di controllo che può raggiungere anche le coste della Corsica e identificare anche piccoli natanti a salvaguardia del parco.
Sull'isola, durante il periodo delle visite turistiche, è presente anche l'Associazione per la difesa dell'Isola di Pianosa (onlus) che cura un'interessante mostra fotografica. Costituita dopo la chiusura del carcere, è nata dalla volontà di alcuni ex pianosini di far conoscere la storia della comunità che l'abitava, promuovere la rinascita dell'isola e sensibilizzare sulla condizione del paese ormai in rovina e soggetto a frequenti crolli. Il paese di Pianosa, essendo totalmente demaniale, era abitato unicamente dalle famiglie dei dipendenti del carcere che, una volta terminato il proprio servizio, lasciavano l'isola. Perciò, alla chiusura definitiva della struttura detentiva è diventato un paese fantasma.
La flora di Pianosa ha subìto, a varie riprese, dei cambiamenti profondi. All’epoca romana l’isola fu estesamente coltivata, ed ebbe orti e giardini. In seguito, alternativamente deserta e ripopolata, è stata sede di lotte ripetute fra la macchia invadente e l’uomo che distrugge la macchia per far legna e per dissodare il terreno.
Gli animali che vi si mandavano dall’Elba hanno inoltre contribuito a modificare la flora, distruggendo alcune delle piante della macchia. All’azione dell’uomo e degli animali si deve senza dubbio la distruzione quasi totale di varie piante arboree.
In Pianosa sono stati presenti, in alcune epoche, dei folti boschi, e questo é comprovato da documenti del XVIII° secolo.
La fauna terrestre è meno appariscente di quella marina, ma non meno interessante. Sono conosciute molte specie, alcune delle quali endemiche e molte, con caratteristiche particolari, peculiarità delle isole.
La colonizzazione da parte della fauna terrestre è certamente avvenuta posteriormente al Pliocene Medio, dopo che si è realizzata la definitiva emersione dell'isola. Il flusso più consistente si è verificato circa 18.000 anni fa, quando un abbassamento di oltre 100 m del livello del mare, causato da un'importante glaciazione consentì il collegamento di Pianosa con l'Elba e di quest'ultima con il continente.
Tra le numerose specie di invertebrati conosciuti per l'isola di Pianosa e dell'Arcipelago Toscano vi sono alcune come la chiocciola, la cavalletta, e il lombrico. Nessuna specie degli Anfibi è presente a Pianosa.
I Rettili, invece, annoverano cinque specie, quattro sauri ed un serpente. I quattro sauri sono rappresentati da due gechi, il tarantolino (Euleptes europaea) e il geco verrucoso (Hemidactylus turcicus), e da due lucertole, la lucertola campestre (Podarcis sicula) e la lucertola muraiola (P. muralis). L'unico serpente di Pianosa è il biacco (non velenoso) (Coluber viridiflavus), una specie comune in quasi tutte le isole dell'Arcipelago Toscano.
Circa una trentina di Uccelli risultano nidificare a Pianosa. Alcuni di questi come la berta maggiore (Puffinus diomedea), la berta minore (Puffinus yelkouan) e il falco pellegrino (Falcus peregrinus) sono particolarmente importanti. Le berte sono uccelli tipicamente pelagici. Frequentano il mare aperto in ogni stagione dell'anno e si portano sulla terra ferma soltanto per riprodursi. La berta maggiore si riproduce, con poche coppie, solo in alcune isole toscane, mentre la berta minore risulta decisamente più frequente, in particolare a Pianosa, Montecristo e Giannutri. Le minacce più serie per queste due specie, provengono dall'inquinamento marino, che provoca accumulo di tossici (mercurio e cloroderivati) nelle uova e nei tessuti, dalla predazione operata da ratti su uova e nidiacei e dal disturbo arrecato dal turismo. Il pellegrino nidifica sulle scogliere e sui costoni rocciosi inaccessibili. In Italia è raro e localizzato, limitato alla catena alpina, all'Appennino e alle isole. Secondo recenti stime, nell'Arcipelago Toscano, Pianosa compresa, si riproduce con una ventina di coppie. Anche questa specie, pur protetta dalla legge, è minacciata dal disturbo derivato dalle attività turistiche e dal saccheggio dei nidiacei effettuato da parte dei falconieri.
Altri nidificanti di interesse risultano essere il piccione selvatico, il gruccione, l'averla piccola, il beccamoschino, la rondine, il balestruccio e il corvo imperiale.
Durante l'inverno, sono presenti numerose specie svernanti marine, come la sula, il marangone dal ciuffo, e terrestri, come l'albanella reale, la poiana, il torcicollo, l'allodola, la pispola lo spioncello, la ballerina bianca, il pettirosso, il codirosso spazzacamino, il saltimpalo, il passero solitario, il merlo, il tordo bottacio, l'occhiocotto, il luì piccolo, il passero, il fringuello, il verzellino, il verdone, il cardellino, il fanello e lo zigolo nero.
Sui mammiferi pianosini si sa poco. Di sicuro sono presenti il pipistrello albolimbato, il ratto nero , il topolino delle case (Mus domesticus) e la lepre (Lepus europaeus). Le ultime tre specie sono state introdotte dall'uomo involontariamente (il topolino e il ratto) o deliberatamente, per finalità venatorie (la lepre). Fino ad un recente passato risultava presente anche la martora (Martes martes). Dispiace, infine, ricordare che, anche qui, come nel resto dell'Arcipelago Toscano, non è più presente la foca monaca (l'ultimo avvistamento pianosino risale alla fine degli Anni '40), un tempo molto comune.
Sull’Isola di Pianosa (Marina di Campo), è presente una fitta rete di catacombe risalenti alla fine del IV secolo d.C.,utilizzate come luogo di sepoltura dalle prime comunità cristiane che insediarono l'isola. Le catacombe, scavate nella roccia lungo l'area costiera, sono costituite da un fitto intreccio di gallerie di notevoli dimensioni. Contando più di 500 loculi e 200 cunicoli e con una presenza calcolata di non meno di settecento sepolture, sono considerate il complesso di catacombe più grandi a nord di Roma, a indicazione della presenza di una comunità di cristiani molto numerosa.
All'epoca vi si accedeva da una piccola grotta vicino al mare, dove un antico segnale inciso nella roccia indicava la presenza delle catacombe, ma in un punto non visibile dell'antico porto e quindi identificabile solo da chi fosse già a conoscenza della presenza di un rifugio cristiano sull'isola: una grande croce sormontata da una fiamma rappresentante lo Spirito Santo e una croce più piccola che indicava l'ingresso.
Una parte della catacomba contiene i sepolcri, un'altra fu probabilmente allargata in seguito, per creare un ambiente dove fosse possibile la riunione di più persone e la celebrazione di riti.
Le sepolture erano disposte in tre ordini sovrapposti, ma soltanto i personaggi più importanti avevano una tomba a vasca, che occupava i due ordini superiori. Per ragioni di spazio, i corpi erano deposti in posizione fetale e i loculi erano coperti con lastre di pietra, dove erano incisi i nomi dei defunti con le lettere al contrario, di modo che dall'interno il defunto lo potesse leggere per dritto.
Un piccolo mistero: Di particolare rilevanza è il fatto che, nonostante la presenza delle catacombe sia una testimonianza della presenza di una consistente comunità di cristiani, nessun documento a oggi pervenuto ne attesta la presenza sull'isola. Inoltre dai rinvenimenti di monete e resti di suppellettili nei siti romani in superficie è stato accertato l'abbandono dell'isola già nel I secolo, probabilmente poco dopo l'assassinio di Agrippa. Forse troppo presto per una così folta comunità cristiana.
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