lunedì 12 ottobre 2015

IL FARO



Il nome deriva dall'isola di Pharos, di fronte ad Alessandria d'Egitto, dove nel III secolo a.C. era stata costruita una torre sulla quale ardeva costantemente un gran fuoco, in modo che i naviganti su quei fondali potessero districarsi dalla retrostante palude Mareotide.

La storia dei fari è antica e s'intreccia strettamente con la storia della navigazione. Nell'antichità, questa era inizialmente prevalentemente costiera e diurna, ma l'evolversi della navigazione commerciale portava spesso l'uomo a navigare anche di notte. Nacquero così i primi fari, costituiti da falò di legna accatastata in punti prominenti della costa per riferimento nella rotta dei naviganti, indicando zone di pericolo o di approdo. Lungo le rotte più importanti nacquero successivamente i primi veri porti e con loro i primi veri fari, probabilmente strutture rudimentali in legno o ferro su cui veniva innalzato mediante un sistema di carrucole un braciere metallico contenente il combustibile.

È solo attorno all'anno 300 a.C. che sorsero le due grandi strutture che rimarranno per secoli esempi unici di fari monumentali. Il Colosso di Rodi, considerato una delle sette meraviglie del mondo, era una statua enorme, alta circa 32 metri secondo Plinio il Vecchio, che rappresentava Elios, il dio del sole, con un braciere acceso in una mano, collocata sopra l'entrata del porto. Fatta costruire da Cario di Lindo attorno al 290 a.C., la statua ebbe vita breve, distrutta successivamente da vari terremoti.

L'esempio più illustre dei fari dell'antichità, un'altra delle sette meraviglie del mondo, fu il Faro di Alessandria, la città fondata in Egitto da Alessandro Magno. Opera di Sostrato di Cnido, fu costruito sotto la dinastia dei Tolomei attorno al 280 a.C. sull'isolotto di fronte alla città, dal cui nome Pharos  (Faro) deriva la parola faro nelle lingue di origine greca e latina. Con una torre di altezza stimata tra 115 e 135 metri, rimase per molti secoli tra le strutture più alte realizzate dall'uomo. Un fuoco acceso in sommità (di legna resinosa e oli minerali) emetteva un segnale luminoso che, grazie ad un sistema di specchi che si diceva ideato da Archimede, aveva una portata di oltre 30 miglia. Il faro fu successivamente danneggiato gravemente nel 641 nella conquista araba della città, terminando la sua funzione di lanterna. La torre crollò nei secoli successivi distrutta da diversi eventi tellurici.

Dopo questi esempi illustri, la storia dei fari riprese secoli dopo solo con i Romani che edificano numerose torri adibite a fari lungo le coste dei loro domini, dal Mediterraneo fino al Canale della Manica. Prima della caduta dell'Impero Romano almeno 30 torri di segnalazione illuminavano il mare. Di questi esempi sopravvive tuttora alla furia degli eventi il faro di La Coruña, l'antica Brigantium, in Galizia.



Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente, la storia della navigazione e dei fari ebbe una fase di stasi; sotto il pericolo delle invasioni barbariche, la navigazione ritornò ad essere costiera e diurna e l'uso dei fari fu scoraggiato, potendo essere di aiuto alle rotte degli invasori piuttosto che dei naviganti in difficoltà. Molte delle torri costiere romane andarono in rovina e si ritornò ai falò di legna per segnalare i punti pericolosi per la navigazione o ai bracieri all'ingresso dei porti.

Nel Medioevo furono soprattutto le torri dei monasteri eremitici sulle coste atlantiche di Inghilterra e Francia a svolgere la funzione di fari, con fuochi alimentati da fascine di legna accesi sulla sommità. Un esempio è il faro di Hook Head, sulle coste orientali dell'Irlanda, fatto erigere nel 1172 da un nobile normanno sia come fortezza che come torre di segnalazione, affidando ai monaci il compito di tenere accesa la luce in sommità. Esempi di fari possono però essere rintracciati lontano dall'Europa. Fonti riportano di minareti e pagode medievali adibiti a fari lungo le coste del golfo Persico ed in Cina.

Con la ripresa dei commerci e l'affermazione delle repubbliche marinare, a partire dal XII secolo, si ritornò a costruire sulle coste dell'Italia torri di segnalazione dotati in sommità di fuochi. Esempi furono la torre di Genova (ricostruita poi nel 1543 e ancora operativo), il fanale (1303) di Porto Pisano nell'odierna Livorno, la torre della secche della Meloria (primo faro costruito in mare aperto nel 1147, distrutto poi nel 1284, ricostruito nel 1712 e tuttora esistente), la torre di Capo Peloro, di riferimento per la navigazione dei Crociati verso la Terrasanta. Al mantenimento dei fari nei porti contribuivano le navi in entrata mediante una tassa. La navigazione subiva intanto una evoluzione, con l'introduzione delle prime rudimentali bussole e la redazione dei primi portolani riportanti la posizione dei fari.

Nel Rinascimento e nell'età barocca, soprattutto in Francia ed Inghilterra, il faro venne rivisto nella sua valenza architettonica : oltre a svolgere la sua funzione doveva anche essere un monumento degno di ammirazione per affermare la potenza ed il prestigio dei suoi committenti. Nella realtà, spesso nella costruzione di tali monumenti si privilegiarono più i lati estetici che quelli funzionali, dimostrandosi le realizzazioni poco adatte a sopportare le condizioni climatiche estreme dell'Oceano Atlantico e finendo per essere distrutti e ricostruiti diverse volte. L'esempio più famoso è il faro di Cordouan in Francia, in pieno mare al largo della Gironda, costruito all'inizio del Seicento. Voluto dal re di Francia è ornato come un vero palazzo (comprende uno scalone monumentale e una cappella con sculture, lastre di marmo e vetrate) ma costituisce anche una prodezza tecnica: costruito su un banco di sabbia che sparisce sott'acqua ad alta marea si innalza a ben sessantanove metri sopra al livello del mare (in origine era alto trentasette metri fu poi sopraelevato durante il Settecento). Quattrocento anni dopo la sua costruzione questo faro è ancora in servizio. Ma un faro come Cordouan costituisce un'eccezione e fino all'inizio dell'Ottocento le coste europee sono quasi interamente sprovviste di fari.

Con l'affermarsi del dominio navale dell'Inghilterra, il XIX secolo fu il secolo della farologia, dove si assistette alla nascita di meraviglie dell'ingegneria soprattutto lungo le coste di Inghilterra, Scozia e Irlanda, spesso su scogli appena affioranti. Esempi degni di nota furono il faro di Skerryvore in Scozia (altezza 48 metri, portata 26 miglia), il Faro di Longships in Cornovaglia (altezza 35 metri, portata 18 miglia), il faro di Bishop Rock, sempre in Cornovaglia (altezza 44 metri, portata 24 miglia), e quello di Fastnet in Irlanda (altezza 54 metri, portata 27 miglia). Celebri costruttori di fari furono vari membri della famiglia di Robert Stevenson, nonno del celebre scrittore Robert Louis Stevenson.

Nello stesso periodo la Francia per prima realizzò un sistema completo di fari lungo le sue coste ed equipaggiati di lenti di Fresnel, in modo tale che una nave in navigazione potesse essere sempre in vista di almeno un faro. Una caratteristica è l'altezza importante (spesso aldilà dei quaranta metri) dei maggiori fari francesi. Altra particolarità dei fari francesi dell'Ottocento (almeno per i più importanti) è il loro stile architettonico spesso elaborato, con torri rifinite internamente in modo sontuoso, lontano dallo stile più semplice dei fari inglesi. Nella penisola del Finistère, in Bretagna si contano tuttora 120 fari e sono centinaia lungo tutte le coste francesi. Uno dei più eleganti fari francesi dell'Ottocento è quello di Kéréon, in Bretagna (altezza 41 metri, portata 19 miglia), con interni riccamente decorati con legno prezioso malgrado sia isolato in pieno mare a vari kilometri dalla costa bretone. I fari più famosi sono il Faro dell'Île Vierge, sempre nel Finistère, che con un'altezza di 82,5 metri (portata 27 miglia) è il più alto d'Europa, il faro di Cordouan costruito nel Rinascimento e ampliato nel Settecento dove venne utilizzata per la prima volta la lente di Fresnel (altezza 65 metri, portata 22 miglia) e il faro di Ar-Men al largo dell'Île de Sein, soprannominato "L'Inferno degli Inferni", che è probabilmente il più famoso dei fari francesi (altezza 33,50 metri, portata 23 miglia) per la sua posizione pericolosa: è costruito su una roccia totalmente immersa sott'acqua a più di venti kilometri dalla punta occidentale della Bretagna. Altri esempi importanti sono il faro dei Roches Douvres, che a 40 kilometri dalla costa settentrionale della Bretagna è il faro europeo di alto mare più lontano dalla terraferma (altezza 60 metri, portata 24 miglia), il phare des Baleines, sull'Isola di Ré nel Golfo di Biscaglia (altezza 57 metri, portata luminosa di 21 miglia) e quello di Créac'h, situato sull'Isola d'Ouessant, all'estremità Nord Occidentale della Bretagna (altezza 55 metri) che con una portata di 34 miglia è invece il più potente dei fari europei.

Anche l'Italia è ricca di fari, molti di origine antica (il Regno delle Due Sicilie fu il primo Stato italiano ad organizzare una moderna rete di fari). Dopo il 1860, con l'Unità d'Italia, il nuovo Stato dovette affrontare in modo sistematico l'illuminazione dei suoi 8000 chilometri di coste e nacquero così molti nuovi fari: i fari e i segnalamenti marittimi italiani che nel 1861 non superavano i 50, nel 1916 erano già 512. Un esempio è il faro di Capo Sandalo, sull'isola di San Pietro, in Sardegna, costruito nel 1864 su un alto scoglio a picco sul mare con una torre di 30 metri (138 metri l'altezza sul livello del mare) e portata 28 miglia. Dopo la seconda guerra mondiale un programma di ristrutturazione e ammodernamento del sistema di segnalamenti ne portò il numero ai circa 1000 attuali, di cui 167 fari e 506 fanali.

Il primo faro in America fu il faro di Boston nel New England del 1716. Il più antico faro ancora operativo è il faro di Sandy Hook nel New Jersey, del 1764. Alla fine del XIX secolo tuttavia gli Stati Uniti si erano dotati del sistema di fari più imponente al mondo.

Con la diffusione della navigazione a vapori sulle rotte di tutto il mondo, si diffusero anche i fari ovunque ci fosse una colonia europea e arrivassero le navi occidentali, dall'India al Giappone fino alla Cina.


L'illuminazione dei fari ha costituito il principale problema tecnico nei fari, e l'evoluzione in tale campo è stata lenta. Il fuoco di legna rappresentò la prima sorgente luminosa, essendo la legna facile da reperire; tale tipo di combustibile necessitava però di continua alimentazione essendo la legna anche veloce a bruciare. Successivamente fu usato il carbone, ma con i limiti connessi alla difficoltà di reperimento e alla luce poco intensa prodotta. Altri problemi erano legati al vento, che spegneva la fiamma, e alla fuliggine, che ne limitava la visibilità. Solo con l'installazione del vetro sulle lanterne, attorno al 1200, i fari furono dotati di protezione verso gli agenti atmosferici, permettendo l'uso anche di nuovi combustibili come candele di cera e di spermaceti, combustibile che non fa fumo estratto dalle balene, oppure olio di oliva o di balena, a seconda delle latitudini. Il vetro però era ancora opaco ed era difficile tenerlo pulito, mentre solo nel 1700 diventerà il materiale trasparente che oggigiorno conosciamo.

La sfida tecnologica era aumentare la luminosità dei fari. A tal fine un passo importante fu costituito dal bruciatore circolare inventato nel 1782 dal fisico svizzero Aimé Argand, con 10 stoppini alimentati ad olio con un'autonomia di 10 giorni e con un sistema di evacuazione dei fumi per rendere la luce più visibile. Tale sistema luminoso fu subito introdotto anche in America. Altre ricerche furono indirizzate a potenziare la luce, come quello proposto alla fine del Settecento dallo svedese Jonas Norberg con un sistema di specchi parabolici rotanti ad azionamento manuale. Altro importante passo fu una modifica alla lampada di Argand proposta dal francese Bertrand Carcel (1750-1812), che rimase in uso fino alla introduzione delle lenti di Fresnel.

Nel 1822 Augustin Jean Fresnel progettò una lente a rifrazione innovativa, capace di aumentare notevolmente la luminosità dei fasci luminosi proiettati. La pesantezza di tali lenti ne rendeva però problematica la rotazione. Fresnel ovviò a tale problema progettando un meccanismo basato su galleggianti in un bagno di mercurio. La pericolosità di tale sistema portò poi a sostituirlo con meccanismi con ingranaggi e cuscinetti a sfere. La lenti di Fresnel, modificate e alleggerite, attrezzano ancora oggi la quasi totalità dei fari del mondo.

Restava solo il problema del combustibile, continuando i fari ad essere alimentati soprattutto ad olio, costoso e che necessita di un continuo controllo. Nella prima metà dell'Ottocento era stato introdotto nei fari il gas ricavato dal carbone, sistema inventato dallo scozzese William Murdoch e utilizzato già nella illuminazione cittadina. Ma fu soprattutto l'uso di oli estratti dal petrolio che, abbinati alla lampada Argan, migliorò sensibilmente la luce dei fari.

Nel 1885 fu inventata dall'austriaco Carl Auer Welsbach la prima lampadina ad incandescenza alimentata da una miscela di gas ed aria, che emetteva una luce molto intensa.

Ma fu nel 1892 con la scoperta dell'acetilene avente un luminosità superiore ad ogni altro combustibile con costi nettamente inferiori, che l'illuminazione dei fari compì progressi significativi, permettendo di illuminare anche quelli isolati.

Ma la tecnologia continuava ad evolversi. Tra la fine dell'Ottocento ed i primi anni del Novecento cominciò l'elettrificazione dei fari, operazione completata gradualmente solo molti anni dopo. I fari in alto mare furono elettrificati solo successivamente, con l'uso di generatori elettrici o per mezzo di energia eolica o solare. Parallelamente le lampadine usate passarono da quelle a bulbo allo xeno, luminose ma potenzialmente esplosive, alle attuali a bulbo alogeno di 1000 Watt.

La più recente evoluzione della tecnologia ha portato in alcuni fari di recente installazione alla sostituzione dell'ottica rotante con una luce fissa ad impulsi e all'introduzione dei pannelli luminosi a LED.

Una figura importante nel faro è sempre stata quella dell'uomo, il "guardiano del faro". I primi, nell'antichità, furono probabilmente schiavi col compito di raccogliere e accatastare la legna ed alimentare per tutta la notte i falò. Nel Medioevo questa funzione venne svolta in modo volontario dai monaci dei monasteri, che dovevano considerare loro dovere prestare aiuto ed assistenza alle navi di passaggio. Tale compito diventò un vero e proprio mestiere nell'Ottocento, con l'aumento del numero di fari.

La funzione dei guardiani era di rifornire il combustibile della lampada, accendere e spegnere la lampada, tenere puliti i vetri delle lenti e delle finestre, mantenere in efficienza il meccanismo di rotazione delle lenti. Nel 1907 fu inventata la valvola solare che, introdotta nei fari, ne permetteva l'accensione e lo spegnimento automatico con la luce del sole (per tale invenzione Nils Gustaf Dalén fu insignito del premio Nobel). Ma la valvola solare, l'elettrificazione e l'automazione dei fari resero sempre più obsoleta la figura del guardiano. Tuttavia la funzione del guardiano rimase ancora per diversi anni, in parte anche per compiti di personale di salvataggio in caso di necessità. Ma con l'evolversi anche dei sistemi di assistenza e soccorso alla navigazione, anche tale funzione è venuta meno. In America l'ultimo guardiano del faro ha cessato il servizio nel 1990.

Attualmente i fari sono dotati di sistemi di automazione totale, per i quali un faro o un gruppo di fari possono essere comandati a distanza via computer, restringendo la manutenzione ad una visita periodica.



In Italia, dal 1961 è San Venerio il santo protettore dei faristi, ovvero coloro i quali si occupano del funzionamento dei fari marittimi.

La caratteristica più importante di un faro è la luce da esso irradiata, la cui qualità ed intensità è aumentata di pari passo con i progressi tecnologici. L’elettricità ha reso possibile inoltre la costruzione di fari completamente automatici, le cui lampade vengono accese da cellule fotoelettriche che chiudono il circuito di alimentazione non appena la luminosità scende al di sotto di valori prefissati. Per poter garantire, anche in caso di interruzione dell’alimentazione di corrente elettrica, il funzionamento continuo del faro sono generalmente previste lampade di emergenza ad acetilene.

Per evitare che la luce prodotta dalla sorgente luminosa sia fortemente dispersa i fari necessitano di efficienti sistemi ottici, atti a concentrarla in stretti fasci: i sistemi ottici impiegati possono essere catottrici (riflettenti), diottrici (rifrangenti) o catadiottrici (riflettenti e rifrangenti). Gli specchi riflettenti parabolici, la cui invenzione è attribuita ad Archimede (287-212 a.C.), furono adottati anche per il faro di Alessandria d’Egitto; riproposti in tempi più recenti dall’ufficiale di marina e scienziato francese Jean-Charles de Borda (1733-1799), attualmente sono stati abbandonati perché richiedono l’installazione di una sorgente luminosa per ogni specchio e causano un forte assorbimento. La totalità dei fari esistenti adotta un sistema messo a punto nel 1822 dall’ingegnere francese Augustin-Jean Fresnel (1788-1827), costituito da una lente di Fresnel, racchiusa fra anelli di prismi catadiottrici ed eventualmente corredata di specchi sferici diottrici, posti posteriormente alla sorgente luminosa concentrata nel fuoco della lente. Un sistema di pannelli verticali, ciascuno portante un apparato ottico del tipo descritto, è posto attorno alla sorgente luminosa e ne concentra la luce in altrettanti raggi, all’incirca orizzontali.
Attributi importanti di un faro sono la sua portata e la sua caratteristica luminosa: la prima è distinguibile in portata geografica, che coincide con la massima distanza (per i grandi fari varia da 25 a 40 miglia), dalla quale a causa della curvatura terrestre un osservatore a livello del mare ne può ancora vedere la luce ed è funzione dell’altezza sul mare della sorgente luminosa, e in portata ottica, che è la massima distanza cui può giungere la luce emessa e dipende dall’intensità della lampada e dalla trasparenza dell’atmosfera; la seconda rappresenta il segno distintivo del faro per renderlo facilmente riconoscibile ed è costituita da una particolare sequenza di impulsi luminosi (luci, splendori e lampi) e di intervalli bui (eclissi) oppure da una speciale colorazione della luce (rossa, verde o gialla). La caratteristica luminosa si ottiene facendo ruotare attorno alla lampada il sistema ottico, montato su cuscinetti a sfere o galleggiante in una vasca di mercurio, oppure uno schermo opaco; a volte, soprattutto nel caso delle lampade ad acetilene, si preferisce variare l’intensità luminosa della sorgente accendendola e spegnendola con le cadenze previste. I fari sono normalmente dotati di sirene o di altri avvisatori acustici, che vengono azionati se vi è nebbia o tempo piovoso e possono essere controllati da un rivelatore automatico elettronico di foschia. Recentemente molti fari (radiofari) sono stati dotati della possibilità di emettere onde hertziane, che possono essere captate dalle navi anche in condizioni proibitive di visibilità e a distanze irraggiungibili con le sorgenti luminose.

Lungo le coste basse sul mare, sulle coste affioranti e sui fondali solidi sommersi si costruiscono generalmente fari a torre, la cui altezza dipende dalla portata geografica che si vuole conseguire. L’azione del vento e delle onde determina in molti casi seri problemi di stabilità e impone di ricorrere a particolari tecniche costruttive (blocchi di pietra incastonati a coda di rondine, calcestruzzo armato, ecc.) e di eseguire continui controlli sullo stato della struttura. Dove non è disponibile un fondo roccioso il faro è generalmente innalzato su massicce fondazioni, costituite da cassoni riempiti di calcestruzzo, e in tal caso si preferisce adottare strutture a traliccio d’acciaio, più leggere di quelle in muratura ed ugualmente resistenti; in mare aperto si costruiscono sovente muri perimetrali frangiflutti. Il più famoso faro italiano è la ‘lanterna’ di Genova, costruita nel 1139 e rifatta, nella sua veste attuale, nel 1543: posta all’imboccatura del porto, è costituita da una torre quadrangolare in muratura alta 120 m in grado di emettere luce bianca a gruppi di due lampi con periodo di 20 secondi e portata di 27 miglia e dotata di un radiofaro marittimo funzionante alla frequenza di 301,1 kHz con portata di 70 miglia.

Le navi-faro sono le discendenti dalla nave-faro ormeggiata sull’estuario del Tamigi nel 1731, vengono attualmente impiegate per servizio in mare aperto (si ricorre anche a pontoni-faro ancorati in punti particolarmente pericolosi, ad esempio per fondali bassi e mobili). Il sistema di illuminazione più impiegato è quello multicatottrico, composto da otto riflettori parabolici, che alloggiano nel fuoco una lampada elettrica a filamento e sono montati su un telaio messo in rotazione da un piccolo motore elettrico: variando la posizione angolare dei riflettori e la velocità di rotazione del telaio è possibile ottenere segnali luminosi lampeggianti. La direzione dei fasci di luce è mantenuta costante anche con mare molto mosso ricorrendo a sospensioni cardaniche bilanciate.




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