lunedì 12 ottobre 2015

I VORTICI



Esistono  quattro mega vortici situati nell’oceano Indiano, a nord ovest dell’Australia. Il più impressionante di questi giganteschi vortici anticiclonici, chiamati in inglese eddies mesoscale, e che si muovono in senso orario nel nostro emisfero e antiorario in quello boreale, muove una massa d’acqua la cui superficie totale è pari alle aree di Lombardia, Sicilia e Veneto messe insieme, e sprofonda per più di 1000 metri nell’oceano. Si muove molto lentamente, si ritiene si sia formato a causa dello spostamento di correnti di acqua fredda e salata, che tendono a scendere verso il fondo e di quelle calde e a minore salinità, che salgono verso la superficie e che si spostano dal Pacifico verso l’Africa meridionale. Si parla di una portata d’acqua 250 volte più ampia di quella del Rio delle Amazzoni. L’acqua fredda e salata precipitando verso il fondo come in un una catarrata crea, nell’incontro con una corrente di acqua calda e salata che tende a salire verso la superficie, un vortice. Si parla infatti di circolazione termoalina, ed è nel mare della Groenlandia, che la circolazione oceanica globale ha il suo settore chiave.

Le osservazioni scientifiche del fenomeno dei vortici nell’oceano Indiano, scoperto nell’ultimo lustro, si stanno dimostrando molto utili anche per lo studio dei fenomeni meteorologici che si formano proprio in quella zona del Pacifico e che influenzano le condizioni atmosferiche di Australia e zone limitrofe.

Michael Bernitsas, ingegnere dell’università del Michigan, ha messo a punto il primo dispositivo in grado di generare energia elettrica sfruttando la forza delle correnti ed i vortici creati dalle stesse.

Il dispositivo si chiama VIVACE che è l’acronimo di Vortex Induced Vibrations for Aquatic Clean Energy e si basa sullo sfruttamento delle vibrazioni provocate dai vortici che si creano con lo scorrere delle correnti anche di soli 2 nodi. Solitamente questo tipo di vibrazioni sono origine di danni anche molto gravi a ponti e piattaforme marine ed è questa la prima volta che la ricerca invece di cercare di eliminare il problema, lo amplifica e addirittura lo ricrea in laboratorio con il fine costruttivo di creare energia pulita, rinnovabile e su larga scala.



Grazie a un progetto di ricerca sui neutrini dell‘Istituto Nazionale di Fisica Nucleare è stato possibile osservare per la prima volta nel Mediterraneo la presenza di estese catene di vortici marini alla profondità di oltre i 2500-3000 metri, nel cuore degli abissi del “mare Nostrum”. In pratica si tratta di grandi strutture d’acqua, del diametro di circa 10 chilometri, lentamente in moto alla velocità di circa tre centimetri al secondo. Lo studio è stato effettuato da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Fisica Nucleare di Roma e Catania e dei Laboratori Nazionali del Sud. Le misure oceanografiche svolte nell’ambito dell’esperimento denominato “Nemo” (Neutrino Mediterranean Observatory), che prevede la realizzazione di un apparato strumentale per la rivelazione su fondali oceanici del passaggio di neutrini di alta energia provenienti dallo spazio profondo, hanno indagato il mar Ionio a una profondità di 3.500 metri.

“Lo scopo di Nemo è riuscire a vedere il risultato delle interazioni dei neutrini, che sono particelle che interagiscono molto poco e quindi hanno bisogno di tanta materia per dare luogo a qualche evento che produca particelle elementari che provino il loro passaggio” – come spiega Antonio Capone, uno degli studiosi dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. I dispositivi dell’esperimento “Nemo” sono collocati sul fondale marino in modo che l’acqua funzioni da “schermo” rispetto ai raggi cosmici, le cui interazioni con la strumentazione potrebbero fornire dei falsi positivi, mentre si dà la caccia ai neutrini. E’ stata così posizionata una serie di strumenti per la misura delle correnti e della temperatura, raccogliendo lunghe serie temporali annuali di dati. L’analisi di questi dati ha messo in luce la presenza di queste grandi catene di vortici marini profondi che la comunità oceanografica non si attendeva in un bacino chiuso come il Mediterraneo.

Si tratta di vortici che a quella profondità non si sono mai riscontrati, se non negli oceani. Potrebbero essere arrivati lì da lontano, come se fossero stati trasportati da una sorta di fiume sottomarino e in questo senso possono dirci qualcosa sia sull’acqua del luogo da cui provengono. Di certo la scoperta di questi insoliti vortici, per giunta molto grandi (più di quanto si poteva immaginare), ha spiazzato oceanografi e tanti altri studiosi. Tali formazioni vorticose possono essere definite insolite o addirittura anomale per un mare chiuso come il Mediterraneo, ma non di certo per un oceano, come l’Atlantico o il Pacifico. Ad esempio, quando le acque del Mediterraneo attraversano lo stretto di Gibilterra, si vanno a inabissare nell’Oceano Atlantico formando grandi vortici lentiformi che si propagano a circa 1.500 metri di profondità, perché le acque del nostro mare hanno una densità maggiore rispetto a quelle oceaniche atlantiche. Secondo Giueppe Manzella, oceanologo dell’Enea, uno dei principali enti di ricerca italiano, “Un fenomeno di questo genere potrebbe essersi verificato anche nel caso del sistema Adriatico-Mediterraneo durante lo scorso inverno, infatti, si sono formate nell’Adriatico delle acque più dense, che quindi tendono a inabissarsi verso il fondo del mare. Queste acque più pesanti una volta uscite dal bacino Adriatico, probabilmente si sono disposte secondo una configurazione lenticolare, che solitamente è dello spessore di poche centinaia di metri, e hanno cominciato a ruotare per effetto della rotazione terrestre ma anche in seguito alla dinamica della stessa uscita dal bacino. Si tratta di fenomeni che, normalmente, possono sopravvivere qualche mese prima di disperdersi e che rappresentano per il mare un elemento di vitalità, dato che portano con sé delle quantità supplementari di ossigeno”. Di questi vortici, comunque, non è stata ancora chiarita l’origine.

Gli autori di questa interessante ricerca non escludono un’origine abbastanza remota legata a processi di instabilità fluidodinamica nelle acque dell’Adriatico, come è stato spiegato, o anche del mar Egeo. Questi processi darebbero appunto luogo a strutture rotanti e lentiformi in grado di percorrere centinaia di chilometri senza perdere le loro caratteristiche dinamiche e idrografiche. Ma questi vortici potrebbero essere generati anche dall’interazione di opposte correnti marine, derivate da forti “gradienti di densità e salinità” che scorrono lungo gli abissi. Nel Nord Atlantico, attorno alla Groenlandia e nel mar di Norvegia, ed attorno alla Penisola Antartica, nel Mare di Weddel e di Ross, l’acqua alla superficie diventa talmente densa che scivola fino al fondo dell’oceano, verso gli abissi. Sul fondo, le correnti si organizzano in grandi fiumi che attraversano gole sottomarine e scorrono lungo i fianchi delle scarpate continentali e delle grandi dorsali oceaniche. Esse costituiscono l’analogo abissale delle grandi correnti superficiali oceaniche, come la Corrente del Golfo, ma hanno una velocità alquanto inferiore, pochi centimetri al secondo. Con questo moto lentissimo le correnti abissali immettono sul fondo di tutti gli oceani acque di origine polare che mescolandosi con acque meno fredde raggiungono una temperatura di circa +1° +2°.




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