Specialmente intorno ai moai sono state spesso rinvenute delle tavolette di legno con incisi i misteriosi segni della scrittura di allora detta rongorongo, scrittura che sinora nessuno è riuscito a decifrare completamente. Si tratta di segni intagliati nel legno con stili di ossidiana o con denti di squalo, rappresentanti perlopiù figure umane, falci di luna, animali e piante che si succedono con ritmo bustrofedico.
I moai venivano scolpiti direttamente nelle cave, sdraiati con la faccia in su. Successivamente venivano staccati e trasportati sino alla costa dove altri operai li rifinivano. Il viaggio poteva durare anche un anno e non è chiaro come ciò avvenisse. L'ipotesi che riscuote più favore è anche quella più suggestiva: il moai sarebbe stato trasportato in posizione eretta e questa idea rispecchia la tradizione orale che vuole che i moai raggiungessero la loro destinazione camminando. In realtà Thor Heyerdahl, nel corso di una spedizione effettuata nel 1955, dimostrò come il trasporto fosse fattibile con l'uso di corde e pali in pochi giorni ad opera di una squadra di qualche decina di persone.
I moai hanno tutti un aspetto simile: le labbra serrate con il mento in alto; l'atteggiamento è ieratico e severo tale da suscitare rispetto.
Oggi le orbite degli occhi sono vuote, ma un tempo avevano una pupilla di ossidiana circondata da una sclera di corallo bianco, come si può osservare nell'unico moai vedente rimasto (e restaurato).
Ci sono 1000 moai conosciuti sulla superficie dell'isola. La quasi totalità di questi sono stati ricavati da un tufo basaltico del cratere Rano Raraku, dove si trovano quasi 400 statue incomplete. Questa roccia a grana eterogenea è relativamente tenera, a differenza del basalto, che deriva dalla solidificazione di un magma. I cappelli sono invece stati ricavati da un tufo rossastro proveniente dal piccolo cratere di Puna Pau, distante circa 10 chilometri da Rano Raraku.
La cava di Rano Raraku sembra essere stata abbandonata all'improvviso, con alcune statue lasciate ancora incomplete nella roccia. Tra queste vi è la statua più grande, lunga 21 metri. Praticamente tutti i moai completati furono probabilmente abbattuti dagli indigeni qualche tempo dopo il periodo della costruzione, ma anche i terremoti potrebbero aver contribuito al ribaltamento delle statue.
Sebbene vengano spesso identificati con le teste, molti dei moai hanno spalle, braccia, torsi, che sono stati piano piano, negli anni, sotterrati dalla terra circostante.
Il significato dei moai è ancora oggi poco chiaro ed esistono ancora molte teorie a proposito.
La teoria più comune è che le statue siano state scolpite dai polinesiani abitanti a partire dall'anno 1000 d.C. Il significato più comune tramandato dagli attuali discendenti maori è quello di essere monoliti augurali portatori di benessere e prosperità dove volgono lo sguardo. Per questo nell'isola di Pasqua molti di essi sono rivolti verso il mare, per auspicare sempre un'abbondante pesca. Si ritiene inoltre che i piccoli moai siano le rappresentazioni degli antenati defunti o di importanti personaggi della comunità, a cui vennero dedicate come segno di riconoscenza, mentre per quelli grandi tra le tante spiegazioni possibili vi è anche quella a sfondo religioso. I moai sono stati probabilmente artefatti molto costosi; non solo la scultura di ogni statua avrebbe richiesto anni di lavoro, ma avrebbero dovuto anche essere trasportate per tutta l'isola fino alla loro posizione finale. Non si sa esattamente come i moai siano stati spostati, ma quasi certamente il processo ha richiesto slitte e/o rulli di legno. Si pensa che la domanda di legno necessaria a supportare la continua erezione di statue abbia portato al totale disboscamento dell'isola. Questo spiegherebbe perché la cava sia stata abbandonata all'improvviso.
Sono stati rintracciati vari altri tipi di raffigurazioni, come ad esempio le statuette in legno di toromiro che simboleggiano, presumibilmente, gli spiriti degli antenati e le emblematiche statuette moai Kava Kava con le loro rappresentazioni di corpi umani smagriti, probabilmente a causa della scarsità di cibo.
Nel corso degli anni, gli studiosi le hanno provate tutte, ipotizzando che gli abitanti dell’epoca avessero utilizzato funi, rulli, slitte di legno, ma nessuna spiegazione sembrava convincente. Ora i due archeologi ha elaborato una nuova teoria: i Moai- come vengono chiamati i monoliti- sono stati progettati per essere spostati in posizione verticale, sfruttando un movimento a dondolo con il semplice utilizzo di corde e manodopera.
Terry Hunt, dell’Università delle Hawaii, e Carl Lipo, dell’Università di Long Beach (California), hanno lavorato a stretto contatto con l’archeologo Sergio Rapu, nativo dell’isola di Pasqua- anzi, di Rapa Nui, secondo la lingua locale- per sviluppare la loro idea. Sono partiti dall’osservazione della forma arrotondata dei corpi panciuti che permette di spostare i Moai facilmente in avanti mentre, nello stesso tempo, le basi molto pesanti consentono di farli oscillare da un lato all’altro.
Con un esperimento, promosso dal National Geographic Society , i due archeologi hanno dato prova che è relativamente semplice e veloce far muovere la copia di una statua alta circa 3 metri per qualche centinaio di metri ricorrendo solo a tre corde robuste, 18 persone e un po’ di abilità. Strumenti, questi, di cui gli antichi abitanti dell’isola potevano sicuramente disporre.
In passato, altri tentativi per risolvere questo mistero erano invece falliti. Nel 1986, l’ingegnere ceco Pavel Pavel insieme all’esploratore norvegese Thor Heyerdahl avevano pensato di azionare un montante, alto 4 metri, che con un movimento di torsione spostava in avanti un colosso di pietra. Ma la squadra si era presto fermata, perchè il meccanismo aveva danneggiato la statua.
In seguito, era stato l’archelogo americano Charles Love, con il suo numeroso team, a mostrare una strada alternativa, ricorrendo ad una slitta di legno sulla quale un blocco scolpito pesante circa 9 tonnellate si era mosso per circa 45 metri. Ora, Hunt e Lipo hanno escogitato un sistema che si avvicina molto a quello che da sempre raccontano gli indigeni. Come Suri Tuki, giovane guida turistica, che ha confermato:”Noi di Rapa Nui sappiamo la verità: le statue camminavano da sole.”
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