Nel corso dei secoli il costume ha avuto una presenza altalenante perché il suo utilizzo è spesso dipeso dall’atteggiamento verso la nudità e la messa in mostra del corpo femminile, non sempre considerate socialmente accettabili.
In epoca romana era in uso un indumento molto simile al bikini che si usava per l’attività sportiva. Questo tipo di utillizzo viene mostrato anche nelle opere d’arte di quel tempo, come il famoso mosaico con le “fanciulle in bikini” conservato nel complesso romano della Villa Romana del Casale ad Enna (Patrimonio dell’Umanità UNESCO). L’opera, che risale al III secolo d.C., raffigura dieci ragazze dedite a differenti attività atletiche che indossano un costume a due pezzi composto da una fascia per la parte superiore e da una parte inferiore che richiama la forma di un paio di slip.
Bisognerà aspettare molti secoli ancora però prima che una donna indossi un indumento appositamente pensato per il bagno in mare. Nel 1824 Maria Carolina di Berry, moglie di Carlo Ferdinando di Borbone, diede scandalo indossando un completo di lana con tanto di cappello, guanti e scarpe di vernice per dedicarsi ai suoi passatempi balneari. Anche se oggi può sembrare una mise piuttosto soffocante per una giornata in spiaggia, al tempo un outfit del genere fece scalpore nell’alta società, perchè era consuetudine che le dame si lasciassero solamente lambire i piedi dalle onde marine e non che si tuffassero in acqua. La duchessa Maria Carolina, nonostante le maldicenze, aveva capito con circa cinquant’anni di anticipo che un giorno il piacere di un bagno in mare sarebbe stata un’attività permessa anche alle donne, le quali vi ci si sarebbero dedicate con stile.
Dal 1870 le donne hanno iniziato a fare il bagno in pubblico, abbigliate con abiti sicuramente più leggeri di quelli indossati nella vita quotidiana, ma sempre molto coprenti e dotati di gonna. Il problema principale non era solo quello di evitare di esporre il proprio corpo: all’epoca, infatti, la moda imponeva alle donne di preservare il proprio colorito di porcellana, perchè l’abbronzatura era associata alla condizione delle popolane che dovevano dedicarsi a lavori manuali per vivere e perciò non si confaceva all’immagine delle signore eleganti che trascorrevano il loro tempo nei salotti di splendidi palazzi.
La vera trasformazione inizia dai primi anni del Novecento: il costume diventa una tunica abbinata a un paio di pantaloni attillati e gradualmente si iniziano a scoprire braccia e polpacci. Con il passare degli anni le donne iniziano a sperimentare modelli di pantaloncini più corti e scollature più ampie sulla schiena. Alcune iniziano perfino a gradire il colorito ambrato assunto dalla pelle dopo l’esposizione al sole, complice anche l’appoggio dato alla nuova moda da stiliste del calibro della celebre Coco Chanel.
La rivoluzione del bikini non è stata portata tanto dal fatto che il nuovo modello di costume fosse diviso in due, visto che anche alcuni suoi antenati erano composti da due pezzi, ma dall’audacia e dalla sensualità che suggeriva. Questa fiducia e sicurezza mostrata dalle donne che decidevano per la prima volta di mostrare le proprie forme con un bikini è emersa nel secondo dopoguerra, un periodo in cui si era alla ricerca di un po’ di leggerezza ed ottimismo dopo gli anni bui portati dai due conflitti mondiali. Era anche un periodo in cui le donne stavano cercando di far sentire il proprio peso non solo in quanto madri, ma anche in quanto lavoratrici e cittadine, forti dell’impegno sostenuto mentre gli uomini erano al fronte.
Così nel 1946 lo stilista Louis Réard decise che i tempi erano maturi per proporre alle donne un due pezzi succinto per i tempi, perchè osava addirittura mettere in mostra l’ombelico. Da questo atto visionario è difficile indovinare che cosa abbia dato al bikini il suo nome, in realtà fu tratto da un avvenimento che molto poco ha a che fare con il mondo della moda. Proprio nel 1946, infatti, gli Stati Uniti hanno condotto dei test nucleari sull’atollo di Bikini, evento che fece tanto scalpore quanto il nuovo modello di costume da bagno femminile, che quindi suo malgrado da quel momento ha iniziato a essere associato al nome dello sperduto atollo delle Isole Marshall.
Dagli anni cinquanta la dimensione del bikini si ridusse progressivamente, fino agli anni settanta quando cominciò a diffondersi il topless. Lo stilista Rudi Gernreich disegnò il monokini, un tipo di costume che lasciava completamente scoperto il seno. Non fu un successo commerciale ma aprì la strada ad altre innovazioni. Gli anni ottanta videro la nascita del tanga, diffuso inizialmente in Brasile, che si diceva fosse ispirato agli indumenti tradizionali degli abitanti dell’Amazzonia. I costumi da bagno maschili si diffusero parallelamente a quelli femminili, aumentando pian piano la parte della pelle scoperta, ed arrivando fino allo slip. Tuttavia i costumi maggiormente diffusi sono quelli nati nei tardi anni ottanta come i boxer, che seguirono la tendenza inversa, tendendo a scoprire maggiormente il corpo.
Per gli uomini i costumi da bagno si suddividono tra gli slip, i parigamba e i boxer, simili al capo d’abbigliamento intimo. Per le donne esistono numerose varianti, ad uno (il cosidetto costume intero) o due pezzi, tra cui il celebre bikini, ma vi sono anche quelli detti topless. Un particolare costume da bagno intero è stato disegnato per le donne musulmane e prende il nome di Burquini. Speciali esemplari sono stati progettati per gli atleti, al fine di migliorare il più possibile le loro prestazioni.
La gente, nel profondo, vuole essere nuda. Ancora più giù però, ha paura di mostrarsi nuda. Se scavate ancora più nel profondo scoprirete che alle persone piace essere guardate, anche se l’interesse è negativo.
Il conflitto tra il nudo e la vergogna, la volontà di essere al centro dell’attenzione, a costo di diventare ridicoli e di indossare i costumi da bagno più brutti della storia.
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