giovedì 27 agosto 2015

LEGGE DEL MARE



La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, o UNCLOS acronimo del nome in inglese United Nations Convention on the Law of the Sea, è un trattato internazionale che definisce i diritti e le responsabilità degli Stati nell'utilizzo dei mari e degli oceani, definendo linee guida che regolano le trattative, l'ambiente e la gestione delle risorse naturali.

L'UNCLOS è stata definita durante un lungo processo di negoziazione attraverso una serie di Conferenze delle Nazioni Unite cominciate nel 1973 ed è stata finalmente aperta alla firma a Montego Bay, Giamaica, il 10 dicembre 1982. È entrata in vigore il 16 novembre 1994, un anno dopo la firma della Guyana come sessantesimo Stato contraente.

Al momento 164 Stati hanno firmato la Convenzione. La Comunità europea ha firmato e ratificato, gli Stati Uniti hanno firmato ma il Senato americano non l'ha ancora ratificata. L'Italia ha ratificato la convenzione per mezzo della legge del 2 dicembre 1994, n. 689.

L'UNCLOS rimpiazza il vecchio concetto della libertà dei mari, risalente al XVII secolo secondo cui, in linea di massima, i diritti nazionali erano limitati a specifiche fasce di mare che si estendevano generalmente per tre miglia nautiche, secondo la regola detta dello "sparo del cannone" sviluppata dal giurista olandese Cornelius Bynkershoek. Tutto lo spazio di mare oltre tale fascia era considerata "acque internazionali", ossia di proprietà di nessuno stato e quindi di libero accesso a ognuno di loro.



Nel ventesimo secolo alcuni Stati espressero il desiderio di estendere la loro giurisdizione nazionale specialmente per poter aumentare la possibilità di sfruttare in maniera esclusiva le risorse marine, principalmente quelle minerarie e di pesca, oltre i limiti delle tre miglia. Fra gli anni 1946 e 1950 una serie di Paesi hanno cominciato a dichiarare in ambito internazionale l'estensione delle loro acque internazionali a 12 o anche 200 miglia nautiche.

A oggi sono solo una piccolissima parte degli Stati rivieraschi del mondo a mantenere un limite di giurisdizione nazionale su una fascia di mare di sole tre miglia.

L'UNCLOS, fra le altre cose, definisce le acque internazionali quindi non più "terra di nessuno" ma di proprietà di tutti, di conseguenza l'Assemblea delle Parti traccia le regole per l'utilizzo o la regolamentazione delle attività.

La Convenzione detta le regole sulle attività e introduce una serie di indicazioni specifiche di fatto trasformando in regola quanto fino ad allora era stato l'uso consuetudinario degli spazi marini.

Gli argomenti più importanti sono: la zonazione delle aree marine, la navigazione, lo stato di arcipelago e i regimi di transito, zona economica esclusiva, giurisdizione della piattaforma continentale, attività estrattive minerarie nel fondo marino, regimi di sfruttamento, protezione dell'ambiente marino, ricerca scientifica e soluzione di dispute.



La Convenzione pone i limiti delle varie aree marine identificate, misurate in maniera chiara e definita a partire dalla cosiddetta linea di base. La linea di base, detta così in quanto base di partenza per la definizione delle acque interne e delle acque internazionali, si definisce una linea spezzata che unisce i punti notevoli della costa, mantenendosi generalmente in acque basse, ma laddove la costa sia particolarmente frastagliata o in casi in cui delle isole sono molto vicine alla costa, la linea di base può tagliare e comprendere ampi tratti di mare.

Le aree identificate dall'UNCLOS sono le seguenti:

Acque interne
ossia lo spazio di mare all'interno della linea di base. In quest'area vigono in maniera vincolante le leggi dello Stato costiero che regola l'uso delle risorse e il passaggio delle navi.
Acque territoriali
che comprende lo spazio di mare compreso dalla linea di base alle 12 miglia nautiche. In quest'area vigono comunque le leggi dello Stato costiero ma all'interno delle acque territoriali esiste il diritto di ogni imbarcazione al cosiddetto passaggio inoffensivo. Il passaggio inoffensivo è definito come l'attraversamento di aree marine in modo continuo e spedito che non pregiudichi la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero. La pesca, lo scarico di rifiuti, le attività armate e lo spionaggio non sono considerate azioni inoffensive; sottomarini e sommergibili devono inoltre navigare in emersione mostrando la bandiera.

Le acque interne degli Stati comprendenti arcipelaghi sono identificate tracciando una linea di base che unisce i punti più esterni delle isole più esterne, qualora questi punti siano ragionevolmente vicini fra loro.



La zona contigua si estende dal mare territoriale non oltre le 24 miglia nautiche dalla linea di base. In quest'area lo Stato costiero può sia punire le violazioni commesse all'interno del proprio territorio o mare territoriale sia prevenire le violazioni alle proprie leggi o regolamenti in materia doganale, fiscale, sanitario e di immigrazione. Ciò rende la zona contigua una hot pursuit area.
Zona economica esclusiva anche nota con l'acronimo ZEE, è l'area di mare che si estende per 200 miglia nautiche dalla linea di base in cui lo Stato costiero può esercitare il diritto di sfruttamento esclusivo delle risorse naturali. Tale principio nasce per dare un freno allo sfruttamento indiscriminato della pesca anche se, con le nuove tecnologie che consentono di trivellare il petrolio in acque molto profonde, è stata recentemente utilizzata anche per lo sfruttamento estrattivo minerario esclusivo.

La piattaforma continentale è considerata come il naturale prolungamento del territorio di uno Stato, il quale può quindi sfruttarne le risorse minerarie o comunque non-viventi in maniera esclusiva. La piattaforma continentale può superare le 200 miglia nautiche ma non eccedere le 350, o può essere calcolata misurando 100 miglia nautiche dall'isobata dei 2.500 metri.

Ci sono leggi che nessun legislatore ha mai veramente scritto. Sono parte del patrimonio umano, sanno di solidarietà e rispetto della vita, appartengono a uomini di mare che ogni giorno la sfidano e che non conoscono confini.
Essi non guardano il colore della pelle né si chiedono da dove provengano quegli uomini, quelle donne e quei bambini.
Un pescatore non lascerebbe mai morire qualcuno tra le acque senza aver provato con tutte le sue forze a salvarlo.
I pescatori non l’hanno fatto neanche quando una disumana legge degli uomini glielo imponeva, minacciando di condannare per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina chiunque avesse violato l’ordine di non soccorrere.
Era la Bossi-Fini, e gli uomini del mare avevano detto no.



Ma non era bastato, ci son voluti ancora molti anni da quel lontano 2002 in cui veniva emanata nonostante l’adesione dell’Italia alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto di asilo del luglio 1958 a Ginevra, con conferma a Dublino nel giugno 1990.
Soltanto nel 2014, dopo il monito del Parlamento europeo che chiedeva di “rivedere o modificare leggi che puniscono chi soccorre in mare”, con chiaro riferimento alla Bossi-Fini, in Italia si rivede quella legge ingiusta attraverso l’abrogazione del reato di clandestinità.

La politica dei respingimenti, nel nostro Paese, ha mostrato e mostra ancora un suo carattere disumano anche attraverso strutture di accoglienza molto simili a delle carceri e lo scandalo della gestione dei centri denominato Mafia Capitale.

Uomini, donne e bambini stipati come se fossero oggetti, merce da trasporto, considerati “cose” già prive di vita prima ancora di morire e già destinati a morire prima ancora di pagare quei viaggi della morte.






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