martedì 10 novembre 2015

LA PESCA A STRASCICO



La pesca a strascico di fondo viene comunemente definita come una pratica irresponsabile, che danneggia gravemente i fondali ed è quindi da evitare, se si vuole essere sostenibili.

Le reti a strascico hanno generalmente forma conica; la parte terminale, apribile per estrarre il pescato, prende il nome di sacco, l'apertura invece prende il nome di bocca e la parte centrale di ventre. Sovente ai lati della bocca sono presenti due lunghe strisce di rete di forma triangolare con funzioni di "invito" che prendono il nome di ali e che, se la pesca viene praticata da due pescherecci in coppia, vengono mantenute aperte da entrambe le barche, con un tonneggio attaccato ad ognuna di esse; nella pesca a strascico compiuta da una sola barca, il tipo più comune, la rete è invece mantenuta aperta da strutture chiamate porte, tavoloni o divergenti. Le porte sono disponibili in diverse forme e misure e possono essere adatte a tenere la rete a contatto col fondo o sollevate da esso. Affinché le porte compiano bene il loro dovere, è necessario che la barca o la nave viaggi ad una certa velocità, in genere di 2,5-4 nodi. La parte della bocca e delle ali che strascica il fondale è in genere armata di piombi e catene con la funzione di smuovere il sedimento e di farne venir fuori pesci ed altri animali che vi fossero intanati mentre la parte superiore degli stessi è dotata di galleggianti con lo scopo di tenere aperta la bocca.

Il tipo più comune di rete a strascico bentonica (utilizzata per prede che stiano sul o nei pressi del fondale) è la paranza, in origine manovrata da due imbarcazioni ma oggi in genere messa in pesca da un solo peschereccio. Il rapido o sogliolara o sfogliara è una rete piccola, senza ali e dotata di una cornice rigida attorno alla bocca, che nella parte inferiore è armata di denti. Questa rete è impiegata principalmente per la pesca di pesci piatti, di razze e di molluschi bivalvi come telline e vongole.

La gangamella è invece una piccolissima rete (poco più di un retino) che viene lentamente strascicata di notte sulle praterie di Posidonia oceanica allo scopo di catturare i gamberetti. La sciabica e lo sciabichello hanno struttura simile alla paranza, con la differenza che vengono trasportate a mare da un'imbarcazione ma poi vengono salpate da terra. Altri tipi di rete sono impiegati per la cattura di pesci di mezz'acqua come cefali e latterini, soprattutto in lagune o ambienti salmastri.



La pesca a strascico bentonica è fonte di notevole impatto sull'ambiente marino. Le reti a strascico infatti distruggono o asportano qualunque cosa incontrino sul fondale, pesci, invertebrati, coralli, alghe, posidonie, eccetera e lasciano un ambiente devastato dove le comunità biotiche originarie si potranno reimpiantare solo dopo molto tempo. Peraltro, la pesca a strascico fornisce la maggioranza del pescato di specie demersali, e ciò anche a paragone del numero di operatori.

Questo è particolarmente grave nel caso di ecosistemi complessi e di fondamentale ruolo biologico come quello della prateria di Posidonia oceanica, che possono essere totalmente distrutti anche con una sola passata. Proprio per evitare questo in alcuni paesi, ad esempio in Italia, si è deciso di vietare la pesca a strascico sottocosta (entro le 3 miglia marine o al di sopra della batimetrica dei 50 metri), dove queste comunità complesse si sviluppano, ma ciò nonostante è frequente leggere sui quotidiani di pescherecci che strascicano impunemente nelle zone vietate facendo danni irreparabili e minando le loro stesse possibilità di pesca future.

Un altro serio problema della pesca a strascico è la sua non selettività, lo strascico raccoglie tutto, specie commerciali e non commerciali, adulti e giovani. La cattura di specie o esemplari di nessun interesse commerciale prende il nome di bycatch e può riguardare anche giovanili di specie pregiate, il che può portare ad un tracollo degli stock ittici, oltre a numerosi organismi non commestibili ma lo stesso importanti per l'ecosistema. Un sistema per evitare il bycatch di giovanili (soprattutto per quanto riguarda il nasello) è quello di aumentare le dimensioni delle maglie della rete costituente il sacco. Data la difficile controllabilità dell'attività di pesca in mare aperto si tendono ad usare altre tecniche dissuasive come le barriere artificiali, ovvero l'affondamento in aree di particolare interesse biologico di grandi blocchi di cemento armati di tondini d'acciaio piegati a gancio, capaci di danneggiare seriamente l'attrezzo da pesca. Oltre all'effetto di allontanare lo strascico illegale dall'area interessata questi blocchi forniscono supporto agli organismi bentonici incrementando la biodiversità dell'area, con conseguenze positive anche per la pesca. Un altro sistema di salvaguardia della fauna dalla pesca distruttiva è quello di istituire periodi di fermo biologico (durante periodi riproduttivi dei principali organismi oggetto di pesca o di bycatch) in cui la pesca a strascico è completamente vietata ovunque in modo da consentire la riproduzione di questi animali.

Molte specie, anche in via di estinzione, sono raccolte senza ragione e poi rigettate in mare, spesso già morte. Queste perdite “collaterali” (bycatch) raggiungono, in certi casi, l’80% o perfino il 90% del pescato. Per di più, ampie superfici sul fondo degli oceani, che costituiscono l’habitat dove i pesci trovano cibo e protezione, vengono schiacciate e distrutte. La pesca a strascico, inoltre, lascia in sospensione sedimenti (a volte tossici) responsabili di una torbidità dell’acqua sfavorevole alla vita. Questo genere di pesca cancella le caratteristiche naturali dell’ambiente che in condizioni normali permettono agli animali marini di vivere, riposarsi, nascondersi.




I rigetti sono degli aspetti più importanti e scandalosi del degrado degli oceani.

Si chiamano rigetti tutte le forme di vita marina pescate diverse dalle prede intenzionali. Sono “scarti”, comprendono gli esemplari della specie ricercata la cui taglia non è conforme, più altre specie che non si mangiano o non hanno mercato, specie vietate o a rischio d’estinzione, come certi uccelli, le tartarughe e i mammiferi marini. Alcuni pesci sono rigettati unicamente perché il peschereccio non ha la licenza per portarli a terra, perché non c’è spazio sull’imbarcazione o perché non sono della specie che il capitano ha deciso di catturare. Tutti, e parliamo di MILIONI DI TONNELLATE di pesce, sono rigettati in mare, morti o feriti.

Un recente rapporto del WWF stima che i rigetti siano il 40% del totale del pescato e precisa che in molti casi si tratta di esemplari giovani. È facile comprendere le drammatiche conseguenze sulla capacità delle specie di riprodursi e rigenerare gli stock.

Al di là della pressione sulle specie, si tratta di uno spreco enorme di cibo, sia per il consumo umano, sia per quello dei predatori marini.

Inoltre, gli specialisti sottolineano che mentre le navi da pesca industriali rigettano ogni anno MILIONI DI TONNELLATE di pesce non desiderato, la pesca artigianale ne rigetta molto poco.

Secondo uno studio ministeriale italiano, effettuato nel 2001 su alcune specie ritenute tra i principali target di questa pratica (nasello e triglia di fango), la rete del sacco ha in genere una maglia di 60mm mentre la rete del coprisacco ha maglia da 50mm. Questo studio intendeva comparare il pescato con l'una e con l'altra dimensione di maglia, giungendo a rilevare che, per le due specie traguardate, alla maggior larghezza (60mm) corrispondeva una taglia media di cattura più lunga di un cm. Secondo questa ricerca però all'incremento delle taglie, con la maglia più grossa non corrispondeva anche un vantaggio economico, riducendosi il fatturato (del 22,8%), il reddito da capitale (di più del 50%) e la redditività dell'investimento (del 9%).

L’impiego di veleni per uccidere o stordire il pesce è molto diffuso, in mare così come in acqua dolce, comprese le lagune costiere e le barriere coralline. La pesca al cianuro, per esempio, si pratica dalle scogliere decimate e devastate delle Filippine – dove si calcola che siano versate 65 tonnellate di cianuro all’anno – fino a quelle isolate a est dell’Indonesia e in altri paesi del Pacifico occidentale. In molti luoghi l’uso di veleni nella pesca è una tecnica tradizionale, ma gli effetti negativi si sono accentuati da quando alle sostanze di origine vegetale si sono sostituiti pesticidi chimici. I veleni uccidono tutti gli organismi dell’ecosistema, tra cui i coralli che formano le barriere.
Anche l’uso degli esplosivi esiste da secoli ed è in espansione. Le esplosioni possono produrre crateri molto grossi, che devastano dai 10 ai 20 m2 di fondo marino. Non uccidono solo i pesci ricercati, ma anche la fauna e la flora circostanti. Nelle scogliere coralline la ricostruzione degli habitat danneggiati richiede decenni. Gli esplosivi sono facilmente reperibili e a buon mercato. Spesso provengono dall’industria mineraria o edilizia. In molte regioni si estraggono esplosivi da vecchie munizioni recuperate da guerre del passato o conflitti in corso. Altrove, i pescatori se li procurano attraverso il traffico illegale d’armi.

Per pesca fantasma s'intende l’abbandono in acqua, in genere accidentale (ma a volte volontario), di reti e altro materiale, che continuano a catturare inutilmente pesci, molluschi, ma anche grandi mammiferi marini che muoiono per sfinimento dopo ore di lotta per risalire in superficie a respirare. Il problema delle attrezzature abbandonate o perse è amplificato dall’intensificarsi delle operazioni di pesca e dall’introduzione di equipaggiamenti prodotti con materiali sintetici resistenti.


Secondo uno studio ministeriale italiano, effettuato nel 2001 su alcune specie ritenute tra i principali target di questa pratica (nasello e triglia di fango), la rete del sacco ha in genere una maglia di 60mm mentre la rete del coprisacco ha maglia da 50mm. Questo studio intendeva comparare il pescato con l'una e con l'altra dimensione di maglia, giungendo a rilevare che, per le due specie traguardate, alla maggior larghezza (60mm) corrispondeva una taglia media di cattura più lunga di un cm. Secondo questa ricerca però all'incremento delle taglie, con la maglia più grossa non corrispondeva anche un vantaggio economico, riducendosi il fatturato (del 22,8%), il reddito da capitale (di più del 50%) e la redditività dell'investimento (del 9%).






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