sabato 7 novembre 2015

LE ISOLE JUAN FERNANDEZ



L'arcipelago fu scoperto dal marinaio spagnolo Juan Fernández, probabilmente tra il 1563 e il 1574. Ufficialmente la data della scoperta è il 22 novembre del 1574.

Nel XVII e XVIII secolo fu usato come covo di pirati e corsari. Il forte di Santa Barbara fu costruito per gli spagnoli nel 1749 sull'isola Robinson Crusoe come protezione dai pirati. Fu ricostruito nel 1974 e dichiarato monumento storico nel 1979.

Nel 1915 nella Baia Cumberland fu affondato l'incrociatore leggero tedesco SMS Dresden, sfuggito alla Battaglia delle Falkland, dalle navi inglesi HMS Orakon, HMS Glasgow e HMS Kent. Nel 1985 venne istituito un monumento a ricordo dell'evento.

Nel 1935 le tre isole principali dell'arcipelago furono dichiarate parco nazionale, con un'estensione di circa 9967 ettari.

Nel 1966 vennero cambiati i nomi delle due isole principali.

Nel 1977 l'arcipelago fu dichiarato Riserva Mondiale della Biosfera dall'UNESCO.

In seguito al terremoto di 8,8° della scala Richter avvenuto nella notte di sabato 27 febbraio 2010 alle 3:34 ora locale (le 7:34 in Italia) e verificatosi a 90 km dalla città cilena di Concepción, le isole sono state colpite da uno tsunami, con onde alte fino a 3 metri che hanno creato ingenti danni ed alcune vittime.

L'isola di Robinson Crusoe fu l'isola dove approdò il marinaio Alexander Selkirk che vi visse dal 1704 al 1709. Questa storia ispirò il romanzo di Daniel Defoe, Robinson Crusoe. Oggi è possibile visitare il luogo dove si suppone sia approdato il naufrago. Questo è anche il motivo per il quale nel 1966 è stato cambiato il nome delle due isole principali.

Le isole Juan Fernàndez formano un piccolo arcipelago di origine vulcanica posto nel Pacifico sud-orientale al largo della costa centrale del Cile, da cui l’isola maggiore dista 670 km.  Geograficamente costituiscono una dipendenza dell’America del Sud; geologicamente, però, esse appartengono a un complesso orografico sottomarino indipendente dal sistema andino-antartico e collegato invece con la Dorsale dell’isola di Pasqua, che si protende verso Nord, in forma di lunga e stretta cresta sommersa, fino alle isole Desventuradas (san Felix e San Ambrosio). Le Juan Fernàndez appartengono, secondo la teoria della tettonica  a zolle, alla zolla di Nazca (insieme alle Desventuradas e, verso sud-ovest, agli scogli Shefton), la quale è delimitata a nord dalla zolla di Cocos, a est dalla zolla sudamericana, a sud da quella antartica e a ovest dalla zolla del Pacifico.
 Posta vicino al margine della “cintura di fuoco” dell’Oceano Pacifico, è un’area geologicamente giovane ed instabile, caratterizzata dalla presenza di non pochi vulcani sottomarini, alcuni dei quali attivi, e soggetta a fenomeni sismici sia pure di non grande entità – almeno in tempi storici. L’ultimo terremoto che scosse Mas a Tierra con violenza fu quello del 20 febbraio 1835. Di esso compilò una relazione il governatore Sutcliffe, affermando che era stato accompagnato da un maremoto; e che la notte successiva un’alta fiammata, come di eruzione vulcanica, si era levata dall’oceano proprio nel punto ove il giorno prima era stata vista sollevarsi una colonna bianca. Questa relazione costituisce un enigma per i geologi in quanto sull’isola sono assenti le tracce di un’attività vulcanica in tempi a noi vicini.
Il gruppo  Juan Fernanàndez è costituito da tre isole: Robinson Crusoe (già Mas a Tierra) a oriente; la piccola Santa Clara, quasi una sua appendice, circa un chilometro a sud-est; e Alejandro Selkirk (già Mas a Fuera) completamente isolata a occidente, a circa 160 km. dalla sua gemella.  Le cime delle due isole sono visibili una dall’altra, ma solo nelle giornate eccezionalmente limpide. Verso oriente le Juan Fernàndez sono separate dal Sud America mediante la lunga, stretta e profondissima Fossa di Atacama, che costituisce la propaggine sud-orientale del vasto Bacino peruviano-Cileno.
La struttura geologica delle tre isole è interamente vulcanica. In molti punti delle coste strapiombanti e anche sulle pendici dell’interno si possono osservare dei bellissimi strati sovrapposti orizzontalmente e costituiti da lava alternata a sabbie o altri materiali incoerenti, il che sembra attestare che le isole non vennero alla superficie per sollevamento, ma in sèguito a una serie di grandiose eruzioni consecutive.  I rilevamenti radiometrici di cui oggi possiamo disporre consentono di datare con precisione le isole alla fase più  recente dell’èra terziaria o cenozoica. Precisamente, i dati rilevati negli anni ’80 del Novecento indicherebbero un’età  di 5,8 milioni di anni per Santa Clara; una compresa fra 4,2 milioni e 3,8 per Robinson Crusoe; e una che va da 2,4 a 1 milione di anni per Alejandro Selkirk.   Le rocce più antiche sono dunque quelle di Santa Clara e, poi, quelle dell’estremità sud-occidentale di Robinson Crusoe, intorno alla cosiddetta Baia del Padre; in una seconda fase emerse il rimanente dell’isola maggiore; nell’ultima fase, recentissima, si è formata l’isola Alejandro Selkirk, in tempi veloci, geologicamente parlando (1,4 milioni d’anni), le cui forme alpestri estremamente ardite e scoscese testimoniano della sua giovinezza e dell’ancor poco significativa azione erosiva degli agenti atmosferici.



L’isola Robinson Crusoe sorge, come diceva chiaramente il suo nome originario Mas a Tierra, “verso la terra”, essendo la più vicina del gruppo Juan Fernàndez alla costa del Sud America. La sua orografia è molto varia e accidentata, caratterizzata dalla quasi totale mancanza di terreno pianeggiante.
Robinson Crusoe ha forma arcuata e misura circa 20 km. da est a ovest, mentre da nord a sud la larghezza massima non supera i 6 km, per una superficie totale di 95 kmq. (per fare un confronto, si pensi che l’isola d’Elba ha un’estensione di 223,5 kmq., mentre Pantelleria di soli 83 kmq,). E’ anche l’unica dell’arcipelago ad essere abitata permanentemente, poiché ospita circa 5.400 abitanti, di cui un centinaio provenienti dal continente, tutti concentrati nel piccolo centro di San Juan Bautista (San Giovanni battista) nella omonima baia (un tempo Baia di Cumberland).
Fino a qualche decennio fa gli isolani vivevano quasi esclusivamente di pesca e si trovavano in condizioni di semi-isolamento, essendo i collegamenti marittimi con il continente abbastanza sporadici. Oggi il turismo ha introdotto una nuova fonte di guadagni. Dall’aeroporto Los Cerrillos di Santiago del Cile partono, con frequenza plurisettimanale, degli air-taxi con una capacità da 5 a 10 passeggeri, che raggiungono il piccolo aeroporto dell’isola, in località El Puente, in 2 ore e mezza di volo circa . Un’altra ora e mezza è poi necessaria per raggiungere in auto la Baia del Padre, e da lì, in barca, il paese di San Juan Bautista. Il trasporto marittimo da Valparaìso richiede invece un viaggio di due giorni e la frequenza è, a parte le crociere appositamente organizzate, soltanto mensile.
Le coste dell’isola sono alte e rocciose quasi dappertutto. Le insenature maggiori sono, oltre alla menzionata Baia di San Juan Bautista (sulla costa nord-orientale, in posizione assai favorevole perché riparata dai venti dominanti di sud-ovest), il Puerto Inglés sulla costa centro-settentrionale; il Puerto Francés sulla costa orientale; e le baie Villagra, Chupones, Blanca e Carvajal, che si aprono in successione da est a ovest lungo la costa sud-occidentale. Sul versante opposto di questa parte dell’isola l’unica rientranza è la Baia del Padre, non ampia ma profondamente incuneata, sovrastata da bastioni rocciosi che scoscendono al mare da un’altezza di alcune centinaia di metri. Fra essa e la Baia Carvajal l’isola si restringe al massimo, essendo unita al promontorio sud-occidentale da un istmo, detto El Puente, ampio meno di mezzo chilometro.
L’isola è attraversata da una ripida cresta montuosa ad andamento est-ovest, dalla quale si dipartono numerose creste secondarie separate da valli profondamente incise dall’erosione. Essa culmina presso il versante sud-orientale dell’isola nel massiccio strapiombante di El Yunque (“L’Incudine”), bellissima montagna di forma trapezoidale che, a dispetto della sua altitudine non molto notevole (circa 950 metri s.l.m.) è di difficilissima ascensione. La sua vetta, infatti, venne raggiunta per la prima volta da alcuni uomini del presidio spagnolo soltanto nel 1795, con un’impresa che venne giudicata, all’epoca, assolutamente eccezionale.
Tutta la parte centro-orientale dell’isola è più elevata del rimanente (e, come si è visto, geologicamente più recente): il Portezuelo de Villagra tocca i 550 m., il Cerro Alto arriva a 670 m. La regione sud-occidentale, di cui Santa Clara è il prolungamento insulare, è attraversata dalla cresta principale lungo il margine settentrionale, e mentre a nord strapiomba sull’oceano, a sud si dipartono da essa delle propaggini fra loro parallele e separate da strette valli, in cui scorrono corsi d’acqua a carattere torrentizio.

Completamente isolata a occidente, a 830 km. dalle coste del Sud America, emerge dalle acque profonde Alejandro Selkirk, un tempo chiamata Mas a Fuera o “al largo”; simile, secondo la suggestiva immagine dello storico cileno B. Vicuña Mackenna, al possente e inaccessibile castello del signore feudale di quei mari incolleriti. È costituita da un unico blocco di lava, a forma ellittica, di circa 10 kmda nord a sud per 6 km da est a ovest, ed è anch’essa interamente  montuosa.
La sua principale caratteristica, per chi cerchi di sbarcarvi, è la difficoltà causata dalla totale mancanza di approdi. Un compendio storico anonimo del 1767 informa che “l’isola di Mas a Fuera è molto elevata, o meglio, è un monte tagliato a scarpa che s’innalza dal mare senza porti né luoghi ove le navi possano calare le ancore, a causa delle grandi profondità che si trovano lungo tutta la sua costa.” Ad esso fa eco quanto  ha scritto nella seconda metà dell’Ottocento il Caviedez: “Le coste di Mas a Fuera sono fortemente tagliate a scarpa in tutto il suo contorno, presentando in molti punti burroni più profondi di Ma a Tierra, e senza, come vi sono in questa, porti abbastanza riparati dalle intemperie, se non piccole baie esposte a tutti i venti, talchè le navi debbono ancorare con grande precauzione.”
Sul lato orientale scendono dall’altopiano interno verso la costa numerose valli, separate tra loro da ripidissimi crinali montuosi; lungo la riva non vi è che una stretta striscia sassosa ed è solo da questo lato che si può tentare uno sbarco. Sulla costa occidentale dell’isola una parete rocciosa a picco precipita nell’oceano spumeggiante da un’altezza di 1.000-1.500 metri. L’aspetto di questo gigantesco blocco di rocce, attraversato da canaloni, completamente spoglio di vegetazione e privo di spiaggia, è al tempo stesso grandioso e inospitale: qui il sublime della natura tende a sfumare insensibilmente nell’orrido e nel pauroso.
Le vallate del versante orientale dell’isola raggiungono il mare in corrispondeza della foce di altrettanti torrenti dal letto cosparso di ciottoli e spezzato da salti e cascate.. Da nord a sud si aprono, così, le quebradas de Sanchez, del Sandalito, del Sàndalo, del Pasto, del Ovalo, del Mono, de las Casas, del Blindado, de las Vacas e del Varadero. La costa occidentale è diritta e uniforme; non vi è margine fra le pareti di roccia e i marosi; e le scogliere, le torri e i pinnacoli di roccia scavati dalla forza del mare hanno un aspetto alquanto impressionante. Carl Skottsberg ha paragonato lo scenario selvaggio di questa parte dell’isola alle incisioni di Gustave Dorè sull’Inferno dantesco.  L’unica rientranza di tutta l’isola è la cosiddetta Baia Toltén, sulla costa settentrionale, ma anch’essa è completamente aperta ed esposta ai venti, sicchè non costituisce un approdo di alcuna utilità per le navi. Del resto l’isola Alejandro Selkirk, posta lontano dalle rotte di navigazione e priva di abitanti permanenti, è solo raramente toccata da qualche nave e rimane ancor oggi difficilmente accessibile.
Al contrario della sua gemella dalla forma allungata, l’isola possiede un elevato altopiano interno che raggiunge il punto più alto con la vetta Los Inocentes, a 1.650 metri d’altitudine (quasi il doppio di Robinson Crusoe). La parte settentrionale di tale altopiano, chiamata Plano de la Mona (ossia della Madonna), si può raggiungere solo per un sentiero tracciato dalle capre selvatiche che si inerpica sul crinale a fil di rasoio girando intorno alle valle Casas, sospeso fra due baratri profondi quasi mille metri. La sezione meridionale del sistema orografico interno, la cui ossatura è costituita dal massiccio culminante nel picco Los Inocentes (nome che, a detta di Skottsberg, ha il sapore di un vero ossimoro) è inaccessibile dal nord, essendo impossibile scalare la cresta che separa le valli Casas e Vacas. Per ascendere a questa parte interna dell’isola si deve partire da due punti della costa sud-orientale, presso la Quebrada del Varadero.
Questa parte dell’isola ha sempre suscitato una profonda impressione in coloro che si avvicinano dal mare. Il pittore John Hawkesworth la ritrasse nel 1773 dal lato nord-ovest in una affascinante incisione, tanto precisa dal punto di vista cartografico, quanto suggestiva dal punto di vista artistico. Ma non solo i marinai dei velieri si sentivano intimiditi da quella montagna torreggiante; un effetto analogo suscitava anche agli equipaggi delle navi a vapore.Ecco la vivida descrizione fattane da un ufficiale di marina germanico che vi approdò con la sua nave, un moderno incrociatore corazzato, nel corso della prima guerra mondiale: “Sulla costa occidentale dell’isola una parete a picco rocciosa si eleva rapidamente a più di 1.000 metri sul livello del mare. Ciò dà una grande impressione appare talmente inospitale da indurre ben difficilmente le navi a soggiornarvi a lungo. Ancorati al riparo di questo gigantesco blocco di rocce, che sembravano guardare dall’alto in basso le microscopiche sagome delle nostre navi, noi vi trascorremmo alcuni giorni penosi, di lavoro febbrile. Oggi ancora è viva in me la prima impressione datami da quell’incombente colosso, che ci dominava.”
L’isola, come pure la sua gemella, è stata fortemente intaccata dall’erosione: le sue due valli maggiori o quebradas, Vacas e Casas, sono intagliate così profondamente che quasi dividono in due l’isola. Questo è un elemento del paesaggio, strettamente legato al clima, che accomuna le Juan Fernàndez, e particolarmente Alejandro Selkirk, a certe isole del Pacifico meridionale come le Marchesi, mentre nel vicino Sud America non ha riscontri se non fra alcune alte valli andine.



Il clima delle isole è mite, di tipo sub-tropicale oceanico, rinfrescato dalla fredda Corrente di Humboldt e caratterizzato da un netto divario fra la stagione calda e asciutta (l’estate australe, che va da ottobre a marzo) e quella fresca e piovosa (l’inverno australe, da aprile a settembre). La temperatura media annua si aggira intorno ai 15°C; la media estiva è sui 20°C,  mentre nel mese più freddo, che è agosto, scende a 10°C. L’escursione termica massima si aggira, nel corso dell’anno, sui 30°C o poco più. (22) Le nuvole avvolgono spesso le Juan Fernàndez  e la piovosità registra una media annua di 1.100 mm., concentrati nel periodo aprile-ottobre. Si va da un minimo di 318 mm. di pioggia nel mese più asciutto ad un massimo di 1.698 mm. in quello più umido.  A partire da dicembre, le piogge decrescono velocemente ed è questo, infatti, il periodo migliore per visitare  le isole.  Anche i venti, nella stagione invernale, soffiano spesso con particolare violenza Vediamo ora brevemente,  il clima delle specifico delle due isole maggiori.
Nell’isola Robinson Crusoe la parte centro-orientale della catena principale, più elevata, arresta bruscamente la circolazione dei venti che soffiano sulla costa meridionale; le correnti atmosferiche salgono e condensano la loro umidità sui fianchi della montagna, dando luogo a frequenti acquazzoni, mentre il vento irrompe con forza tremenda attraverso le valli. Le piogge abbondanti che, d’inverno, annaffiano questa parte dell’isola, favoriscono lo sviluppo di una foresta esuberante, che ammanta le valli e si spinge verso la sommità delle creste montuose. Invece la parte orientale dell’isola, meno elevata e quindi meno piovosa, ha una vegetazione prevalentemente erbacea. Il monte insulare di Santa Clara, totalmente privo di acqua dolce, è ed è sempre stato assai povero di vegetazione arborea. Per quanto riguarda le temperature e l’escursione termica stagionale, vale quanto detto in precedenza: prolungate osservazioni sono state fatte in modo sistematico solo nella Baia di San Juan Bautista, che gode di un’esposizione particolare. Il clima della parte occidentale dell’isola è diverso, più caldo oltre che più asciutto del rimanente. Anche la temperatura dell’acqua è mite; al largo verso occidente, al contrario, il mare è interessato dal passaggio della fredda Corrente di Humboldt, che risale dall’Antartide su un largo fronte e lambisce le coste occidentali del Sud America, per poi piegare verso occidente.
Il clima dell’isola Alejandro Selkirk non è conosciuto altrettanto bene, poiché l’isola è stata teatro di un tentativo d’insediamento permanente per un quadriennio appena, dal 1909 al 1913 (il governo cileno voleva farne la sede di un penitenziario e spese grosse somme, ma inutilmente, per costruire banchine e moli di approdo per le navi). Possiamo dire, tuttavia, che nelle parti più alte presenta caratteri assai diversi da quello della sua gemella. Vi compare non di rado la brina, che è invece sconosciuta a Robinson Crusoe; e, qualche volta, anche la neve. Ma poiché molte piante sono uguali, le valli in posizioni riparate devono godere di un clima poco differente, almeno fino a 600 o 700 metri d’altitudine sul livello del mare.

In contrasto con la straordinaria ricchezza della vita vegetale, la fauna terrestre delle isole Juan Fernàndez si presenta come piuttosto povera. Mancano completamente i mammiferi terrestri, essendo le capre  e i bovini animali importati dopo la scoperta dell’arcipelago, e così pure sono assenti gli anfibi e i rettili; gli unici vertebrati sono rappresentati dagli uccelli.
La fauna marina è più ricca; bisogna ricordare innanzitutto un grosso e prelibato crostaceo, ill Palinurus frontalis, che si pesca solo in queste acque e in quelle di San Felix e San Ambrosio. Poiché queste ultime isole sono completamente sterili e disabitate, la pesca di questa specie d’aragosta ed il suo inscatolamento per l’esportazione sul continente, dove è assai apprezzato, costituivano quasi la sola risorsa della popolazione, almeno fino all’arrivo del turismo. Vi sono numerose specie di pesci, in parte peculiari di queste acque, fra cui pescecani e merluzzi. Invece i pinnipedi, otarie, elefanti marini e foche, sono stati sterminati nel corso dell’Ottocento da marinai del Cile e di altri paesi, allo scopo di ricavarne il grasso e l’olio. La caccia indiscriminata che causò l’estinzione, nel giro di pochi anni, delle foche da pelliccia fu quasi fatale anche alla un tempo abbondante foca di Philippi (Arctocephalus Philippi), unico mammifero marino endemico di questo arcipelago.  Nei primi anni del Novecento la sua popolazione era stata così duramente colpita da farlo ritenere ormai quasi completamente estinto. Invece un certo numero di individui erano riusciti a sopravvivere e a consentire una graduale, modesta ripresa. Attualmente è protettoi dalle leggi e vive  libero lungo le coste rocciose dell’isola Robinson Crusoe e di Santa Clara,  per la gioia dei turisti che possono osservarne le eleganti evoluzioni sia in superficie che sott’acqua. Si calcola che ve ne siano attualmente circa 9.000 individui: poca cosa rispetto alle colonie innumerevoli che precedettero l’arrivo dell’uomo, ma pur sempre un numero tale da scongiurare il rischio concreto dell’estinzione. In generale, a parte questo caso, la fauna marina dell’isola Alejandro Selkirk, grazie al suo maggiore isolamento, è molto più ricca di quella di Robinson Crusoe, sia a livello pelagico (o d’alto mare) che bentonico (legata, cioè, al contatto diretto con il fondo marino).
Gli animali introdotti dall’uomo sono la capra, la pecora, il coniglio,il maiale, il coati (Nasua nasua, un procionide), il topo comune, e infine il gatto e il cane, che si sono rinselvatichiti. Quasi tutti, come vedremo, hanno costituito un gravissimo fattore di squilibrio per l’ecosistema delle Juan Fernàndez, così come per quello di altre isole oceaniche che hanno subìto la medesima invasione.  Si pensi che sull’isola Robinson Crusoe le capre erano divenute talmente numerose da fruttarle il nome di Goat Island, ossia Isola delle capre. Quanto ai cani, sull’isola Alejandro Selkirk essi trovarono un habitat eccellente, moltiplicandosi a dismisura e divenendo un vero flagello; al loro grande numero  si dovette la denominazione di “Isla de los Perros” (perro, in spagnolo, è il cane) che le fu attribuita in passato.
Abbiamo detto che sulle isole mancano gli anfibi indigeni. In effetti vi è presente una rana (Pleuroderma sp.) originaria del Cile continentale, ma è quasi certo che fu introdotta daglu uomini. Gli insetti sono rappresentati da poche specie, ed è abbastanza strana la mancanza di specie legate ai fiori in un arcipelago così ricco di forme vegetali.
Un discorso a parte merita l’avifauna. In Cile sono presenti 296 specie di uccelli, di cui solo 11 endemiche, e 5 di queste sono limitate alle isole Juan Fernàndez. Di conseguenza, questa ecoregione  risulta della massima importanza per la fauna del Cile. Delle 17 specie d’uccelli terrestri e marini cher vivono sull’arcipelago, 8 fra specie  e sottospecie sono endemiche, e 4 altre specie si riproducono, oltre che in queste isole, solamente sulle isole Desventuradas e sull’isola di Mocha (quest’ultima si trova al largo della terraferma cilena centro-meridionale, fra Concepciòn e Valdivia).
La specie più vistosa dell’arcipelago è il colibrì delle Juan Fernàndez  (Stephanoides fernandensis). Il maschio è molto appariscente a causa del colore rosso vivo del piumaggio, mentre la femmina si adorna di colori più discreti: verde chiaro il corpo e bianca la coda.Anche questa specie è stata, ed è tuttora, in grave pericolo di estinzione. Secondo gli ultimi censimenti non sopravviverebbero che 250 esemplari circa, la maggior parte dei quali trovano il loro ambiente ideale nella foresta nativa dell’isola Robinson Crusoe. Ma poiché l’alimentazione di questo piccolissimo e grazioso uccello è legata, come spesso accade, a una sola specie vegetale, l’ottimo cavolo di Juan Fernàndez, e questa pianta cresce abbondante  anche nella Baia di San Juan Baustista e presso il paese, è possibile osservarlo anche senza intraprendere una faticosa escursione nell’interno montuoso e alquanto  accidentato dell’isola. Una caratteristica notevole di questo uccellino è che si tratta della sola specie attualmente conosciuta di colibrì  endemico di isole oceaniche; caratteristica che basterebbe, da sola, a rendere oltremodo preziosa la sua sopravvivenza.
Altri uccelli endemici sono, a livello di specie, il cosiddetto rayadito dell’isola Alejandro Selkirk (in spagnolo rayado significa “rigato”), nome scientifico Aphrastura masafuerae, e la cincia-tiranno di Juan Fernàndez, Arlairetes fernandezianus; a livello di sottospecie, il falco dal dorso rosso di Juan Fernàndez, Buteo polyosoma exsul, e lo sparviero di Juan Fernàndez, Falco sparverius fernandensis. Altri uccelli di un certo interesse sono comuni all’avifauna del Cile continentale, come  il gufo dalle orecchie corte, Asio flammeus; il tordo australe, Turdus falcklandii; il merlo australe, Guracus curaeos; e il Sephanoides sephanoides, un altro  uccello-mosca  dal dorso verde.
Con la sola eccezione dei due  colibrì  summenzionati, le foreste dell’isola così ricche di specie vegetali scarseggiano di insetti impollinatori. E’ stato calcolato che il 9% della flora dell’arcipelago viene impollinata per mezzo degli uccelli-mosca, mentre un 47% circa viene impollinato dal vento. La dieta dei colibrì comprende 14 diversi tipi di nettare di altrettante piante autoctone.



La maggiore attrattiva naturalistica delle isole Juan Fernàndez consiste nella loro splendida flora, ricca di forme endemiche e superstiti di antiche ère geologiche. È tale la ricchezza e la magnificenza di questa antica flora indigena, vissuta in quasi assoluto isolamento fino a tempi storici, che alcuni studiosi di fitogeografia hanno ritenuto di dover istituire un’apposita regione floristica per queste sole tre piccole isole, quasi a sottolinearne l’indipendenza dalle altre grandi regioni floristiche del Pacifico e delle Americhe.
D’altra parte, delle erbe introdotte dal Cile e dall’Europa minacciano seriamente la sopravvivenza della flora locale. Molte di queste piante invasive, in particolare la Aristotelia chilensis, detta maqui (del genere Aristotelia, diffuso nell’emisfero australe) e una salvastrella, la Acaena argentea, hanno da tempo invaso le valli inferiori, specie nell’isola Robinson Crusoe, e si spingono su, verso le vette. Poiché il 70% della flora delle isole Juan Fernàndez è endemica, cioè propria ed esclusiva di questi luoghi, si può dire che l’arcipelago costituisce un museo vivente di storia naturale dal valore incomparabile; quindi,  per arginare l’invasione delle piante straniere nonché il degrado ambientale dovuto all’opera delle capre, del disboscamento e degli incendi, nel 1935 il governo del Cile creò il Parque Nacional Archipielago de Juan Fernàndez di 9.300 ettari di superficie. Si tratta di un’istituzione di valore mondiale per la tutela di una fauna e, soprattutto, di una flora unica sul nostro pianeta: la loro scomparsa costituirebbe una perdita irreparabile per la Terra.
Nell’isola Robinson Crusoe possiamo distinguere sei fasce principali di vegetazione, partendo dal livello del mare e  salendo fino alle più alte vette.
La fascia inferiore, da 0  a 200 metri  s.l.m., è  la meno interessante perché quella ove l’invasione di piante straniere si è verificata per prima ed ha prodotto gli effetti più devastanti. Oltre alla Aristotelia ed alla Acaena, già citate, vi prospera il Rubus ulmifolius, una Rosacea localmente chiamata zarzamora, che ha coperto vaste estensioni prative e con la quale nessuna delle piante native è stata in grado di competere.
Da 100 a 300 metri segue la fascia degli arbusti introdotti dall’esterno, che negli ultimi decenni ha fatto arretrare nettamente la foresta locale: fino agli anni ’20 del Novecento, infatti, come attestano Skottsberg ed altri studiosi, quest’ultima si sviluppava già a soli 200 metri d’altitudine. In questa zona troviamo la Danthonia collina, una Graminacea; la Stipa laevissima, tipica della savana e delle steppe delle zone aride, e perciò molto sviluppata nella zona sud-occidentale dell’isola, povera di piogge; e  infine Piptochaetium bicolor, un’altra Graminacea che è tipica delle pampas sudamericane. L’isolotto di Santa Clara, che raggiunge l’altezza di 375 m., appartiene interamente  a questa zona ove le specie infestanti hanno avuto partita vinta quasi dappertutto.
La terza fascia va da 300 a 500 metri  s.l.m.ed è caratterizzata dalle foreste native d’alto fusto,  Qui neanche un invasore agile come la capra è riuscito a penetrare e a danneggiare seriamente la flora indigena; in alcuni punti il terreno è così impervio che l’escursionista deve procedere aggrappandosi ai rami degli alberi o camminando letteralmente sull’intrico delle chiome.  La foresta è spesso impenetrabile e conserva il suo primitivo sviluppo con aspetto sempreverde, caratterizzato dalle essenze arboree più imponenti e più famose dell’intero arcipelago. Drimys confertifolia, che alligna anche sull’isola Alejandro Selkirk, appartiene a un genere di piante sempreverdi diffuso sia in America che in Australia e Oceania; le specie più note sono Drimys axillaris della Nuova Zelanda e Drimys  winteri dell’America Meridionale. Il grande genere  Myrcia della famiglia delle Mirtacee , presente con ben 500 specie nell’America tropicale e sub-tropicale, è rappresentato qui con la specie  Myrceugenia fernandeziana   (mentre un’altra cresce sull’isola gemella). Si tratta di un magnifico albero, alto fino a 20 metri, dalle foglie spesse e lucenti, che in estate si copre d’innumerevoli fiori bianchi dal dolce profumo. Il suolo di questa zona è coperto di tronchi caduti e di un ricco tappeto di muschi, mentre nel sottobosco prosperano le felci del genere Hymenophyllum che amano le stazioni moltro umide, di solito in associazione coi muschi. Un altro albero notevole è la palma  Juania australis, localmente chiamata chonta, una delle due uniche specie di palma native del Cile, che appartiene a un genere endemico monotipico. Alcuni botanici la ritengono imparentata, se non unita, al genere Ceroxylon (C. australe), che cresce spontaneo sulla Cordigliera delle Ande, dove raggiunge facilmente l’altezza stupefacente di 60 metri.
Fra 500 e 700 metri si estende la fascia delle foreste montane inferiori. Anche qui il terreno è estremamente accidentato, il suolo e il sottobosco presentano le caratteristiche già descritte. Questa zona ha in comune con la precedente  sia Drimys confertifolia, sia Myrceugenia fernandeziana, ma se ne distingue per la presenza di altri alberi che là non si trovano: Bohemeria excelsa (genere che prende il nome da G. R. Bohemer, botanico tedesco);  Coprosma oliveri e Coprosma pyrifolia, appartenenti  ad un genere diffuso soprattutto in Australia e nella Nuova Zelanda; e una specie di Fagara  (F. mayu), mentre un’altra è presente sull’isola Alejandro Selkirk. L’albero di Fagara si distingue perché è il gigante dell’isola, con un’altezza che supera agevolmente i 20 metri. In questa foresta montana inferiore mancano le liane lignee, ma le numerose felci, i muschi, le epatiche e le epifite, nonché i tronchi putrescenti al suolo e il groviglio dei rami danno alla vegetazione un aspetto tropicale, benchè in effetti questa formazione vegetale abbia piuttosto le caratteristiche di un ambiente fra sub-tropicale e temperato.
Un discorso a parte merita un albero un tempo assai frequente e oggi, ormai, purtroppo completamente estinto a causa dell’irresponsabile sfruttamento operato dall’uomo, questo super-predatore che non rispetta alcuna  forma di vita animale e vegetale. Intendiamo parlare del prezioso e profumato albero di sandalo, il Santalum fernandezianum, che costituiva una vera e propria particolarità dell’arcipelago Juan Fernàndez, anzi della sola isola Robinson Crusoe. Esso era infatti l’unico rappresentante americano di questo genere che è caratteristico delle isole del Pacifico occidentale e dell’India. Si conoscono infatti circa 25 specie di Santalum e una sola, il fernandezianum, appunto, cresce nell’misfero occidentale. Delle altre, le più note sono il Santalum album delle foreste tropicali dell’India, delle isole della Sonda e della Terra di Arnhem (Australia settentrionale); il S: acuminatum, pure dell’Australia; il S. ellipticum, il S. freycinetianum, il S. haleakalae e il S. paniculatum, tutti e quattro delle isole Hawaii; il S. lanceolatum del Queensland (Australia nord-orientale); il S. murrayanum  e il  S. obtusifolium, anch’essi australiani; e infine il  S. salicifolium, cioè il sandalo dalle foglie di salice. Come si è detto, il legno aromatico di quest’albero straordinario indusse alcune compagnie commerciali ad abbatterlo sistematicamente per l’ esportazione. Si calcola che il solo governatore Manuel Tomàs Martìnez esportò dall'’isola in un unico anno, il 1836, la bellezza di mille quintali del prezioso prodotto. Dopo la visita della viaggiatrice britannica Mary Graham, nel 1823, i botanici che si recarono nell'isola di Robinson Crusoe faticarono alquanto per riuscire a trovare un albero di sandalo ancora vivo, per poterne determinare la specie e decifrare il mistero della sua esistenza in una piccola isola, così lontana dal suo areale  indo-pacifico. Tale soddisfazione arrise finalmente, nel 1891-92, all’eminente botanico tedesco Federico Johow, dopo che un’apposita spedizione finanziata dal governo cileno e guidata dal naturalista Edwin C. Reed aveva mancato l’obiettivo, circa 20 anni prima. L’ultimo esemplare vivo fu trovato e descritto dal botanico svedese Carl Skottsberg nel 1908; alcuni anni dopo, nel 1916-17, egli ritornò sull’isola con una più attrezzata spedizione scientifica, ma dovette constatare la definitiva scomparsa del Santalum fernandezianum.
La quinta fascia di vegetazione è la meno estesa e la più caratteristica: copre le pendici dei monti fra 700 e 750 metri  s.l.m. ed è costituita dalle foreste di felci arborescenti, che qui sviluppano forme veramente uniche e bellissime. Su un terreno immerso in una verde, perenne semioscurità e reso umido dalle piogge abbondanti prosperano incontrastate le due specie tipiche di questa zona: Dicksonia berteroana e Thyrsopteris elegans. La prima appartiene al genere Dicksonia che è diffuso in tutta l’Oceania, spesso coltivato a scopo ornamentale, e la cui rappresentante più famosa è la Dicksonia antarctica diffusa in Australia, Tasmania  e Nuova Zelanda. Queste felci arborescenti appartengono alla famiglia Dicksoniacee che si segnala per una certa somiglianza  del portamento, sia con le Palme che con le Cicadacee. I loro fusti sono coperti da lunghi peli e terminano con un grande ciuffo di foglie divise e suddivise. Un’altra specie, D. arborescens, vive sull’isola di S. Elena nell’Atlantico meridionale, e una sola, D. macrocarpa, si rinviene in Europa (Penisola Iberica) e in alcune isole dell’Atlantico settentrionale (Madera e Tenerife).  Quanto a Thyrsopteris elegans,  esso costituisce un vero e proprio fossile vivente poiché si tratta di una specie di felce arborea che possiede lontane relazioni con forme pre-terziarie, ma nessuna con quelle presenti. È divenuta molto rara sull’intero arcipelago, gloriosa testimonianza di un tempo in cui le felci arborescenti dominavano il paesaggio delle antiche epoche geologiche, prima di essere soppiantate da altre piante superiori che non avevano, come loro, bisogno di un velo costante di umidità per la riproduzione: le Fanerogame. Si sviluppa in burroni e nei pendii delle valli, in posizione riparata; il tronco, che può raggiungere i 15 metri d’altezza, è spesso coperto di epifite; non è difficile da porre a coltura, ma è molto difficile da trovare. Presenta, come le specie consorelle, una certa somiglianza con le Ciateacee poiché, come queste, richiama alla memoria, per la sua fisionomia, le vegetazioni di lontanissimi tempi. Infine possiamo ricordare la felce tropicale Blechnum cycadifolium, dalle fronde lucide e pennate. Come si è detto, le foreste di felci arboree si sviluppano entro una fascia altimetrica assai ristretta dell’isola Robinson Crusoe (circa 50  metri di dislivello), sicchè la loro presenza funziona come una specie di altimetro: significa che ci si trova poco al di sopra dei 700 metri d’altezza  s.l.m., nelle stazioni montane immediatamente superiori  alle foreste di Myrceugenia, di Bohemeria e di Fagara mayu. Si tratta quindi di un indicatore prezioso, un po’ come, nelle nostre foreste temperate-alpine, il passaggio dal bosco di Faggi a quello di Abeti indica (dopo una fascia in cui le due  popolazioni convivono) che ci troviamo, con un buon grado di  approssimazione,  intorno ai 1.000 metri s.l.m. (40); ma molto più preciso, essendo il margine d’errore  di una cinquantina di metri solamente.
Le felci arboree formano spesso dei boschi misti con altre specie, tra le quali Azara serrata var. fernandeziana  (appartenente a un genere ampiamente diffuso nel Sud America), dalle foglie più o meno incise e dai fiori intensamente profumati; Cuminia eriantha; Rhaphithamnus venustus, così chiamata per la sua  particolare bellezza; e soprattutto Lactoris fernandeziana. Quest’ultima, fino a poco tempo fa creduta estinta e poi riscoperta in vari luoghi della fitta foresta dell’isola, è una Magnoliacea monotipica che costituisce un eccezionale esempio di isolamento sistematico interessante addirittura una intera famiglia, quella delle Lactoridacee.
Da ultima viene la fascia della boscaglia superiore  delle alture più esposte, che oscilla in maniera più elastica delle altre, da una quota inferiore di 500 metri fino a una superiore di 850. Questa zona si estende attraverso le pendici più elevate dei monti e le creste e le scarpate rocciose maggiormente esposte ai venti dominanti. Essa è caratterizzata da un’associazione vegetale di alberi in miniatura, rappresentanti di generi o specie endemiche delle Composite, come Dendroseris marginata e Robinsonia gayata;  delle Borraginacee, come  Selkirkia; e delle Ombrellifere, come Eryngium bupleuroides.
Questa flora di piante nane è  presente anche nell’isola di Santa Clara (che pure non raggiunge l’altezza di 400 metri  s.l.m.),  specialmente con Dendroseris macrophylla; mentre ampie zone sono state denudate  della loro vegetazione arbustiva e presentano delle pendici erbose. Su di essa i fattori ambientali dominanti sono la libera circolazione dei venti, che d’inverno battono l’isola con notevole violenza, e la mancanza di corsi d’acqua (mentre sull’isola Robinson Crusoe ve ne sono diversi a carattere quasi permanente), a cui si aggiunge la massiccia invasione di piante erbacee straniere che hanno alterato irreparabilmente la flora indigena.
Anche le fasce di vegetazione dell’isola Alejandro Selkirk sono sei, ma non coincidono che in parte con quelle della sua gemella orientale. Le due inferiori si sovrappongono parzialmente: da 0 a 400 metri  s.l.m. quella delle pendici a vegetazione erbacea; e da 0 a 500 metri quella dei profondi burroni, chiamati quebradas, che separano le valli del versante orientale e incidono così profondamente il profilo dell’isola da tagliarla quasi, come abbiamo visto, in almeno tre distinte sezioni praticamente non comunicanti l’una con l’altra. L’erba più diffusa è Anthoxanthum odoratum, una Graminacea perenne giunta dall’Europa e che ha invaso l’isola con la stessa aggressività inarrestabile di Acaena sulla sua gemella. Delle sue 4 specie, proprio Anthoxanthum odoratum cresce spontaneo anche in Italia nei pascoli, nei prati e nei boschi, dal piano fino alla zona alpina. E’ un’erba aromatica, che comunica al fieno il suo forte profumo, dovuto a un alcaloide in esso contenuto, la cumarina. Tutta questa zona al di sotto dei 500 metri d’altitudine ha un carattere nettamente steppico, dalla costa fino alle pendici del versante orientale (quello occidentale, come si ricorderà, è costituito da una ripidissima parete rocciosa che cade al mare da 1.000-1500 metri d’altezza ed è praticamente privo di vegetazione). Inoltre, per la massiccia invasione delle piante straniere, è anche la meno interessante dal punto di vista botanico.
La terza e la quarta fascia di vegetazione sono occupate, rispettivamente, dalla foresta montana inferiore, posta fra 400 e 600 metri  s.l.m., e  dalla foresta montana superiore, fra 600 e 900 metri. Corrispondono l’una  alla foresta di bassa montagna dell’isola Robinson Crusoe  (sfasata di 100 metri verso l’alto a causa del clima leggermente più caldo di quella), l’altra, grosso modo, alla foresta di felci arborescenti. Le associazioni vegetali caratteristiche della terza fascia sono  Drimys confertifolia ,  la Mirtacea Myrceugenia schulzei  e il maestoso albero di Fagara externa, il gigante vegetale dell’isola che svetta al di sopra di tutti gli altri  Anche qui, sull’isola Alejandro Selkirk, le felci arboree  non costituiscono una formazione vegetale autonoma, ma prosperano, generalmente, nel bosco misto con le specie summenzionate. Una differenza con l’isola di Robinson  è  che qui la Dicksonia berteroana è sostituita da una specie affine, la Dicksonia externa. Vi sono, comunque, anche degli esempi di bosco “puro” di felci arborescenti, uno di questi è la bellissima foresta di Dicksonia  che si trova presso  il massiccio di Los Inocentes, in posizione isolata
Le ultime due fasce di vegetazione, salendo verso l’alto, sono quella della boscaglia superiore, da 950 a 1.100 metri s.l.m., e la cosiddetta zona alpina, fra 1.100 e 1.300 metri s.l.m.. Ancora al di sopra, fino alla sommità del picco Los Inocentes (quasi un ossimoro, data la natura estremamente impervia del luogo) che svetta a 1.650 metri d’altezza, la natura rocciosa del suolo, la violenza dei venti e le temperature piuttosto basse arrestano l’ulteriore sviluppo della vegetazione.
La boscaglia superiore corrisponde a quella dell’isola Robinson Crusoe, ma con un dislivello di ben 450 metri sul margine inferiore  (colà essa inizia ad appena 500 metri  s.l.m.) e di 250 metri su quello superiore  (850 metri  s.l.m. invece di 1.100), e ciò a causa dell’altezza molto maggiore dell’isola Alejandro Selkirk.  Oltre alle specie già segnalate per l’isola Robinson Crusoe, che crescono in analoghe condizioni di terreno e di clima, si può ricordare  Berberis corymbosa, pianta arbustacea e spinosa appartenente a un genere diffuso anche in Italia (con il B. vulgaris o crespino), con foglie semplici, seghettate e fiori disposti in racemi dotati di un particolare meccanismo di autofecondazione. Inoltre,  nelle zone più umide di questa parte alta dell’isola, presso i canaloni attraversati da corsi d’acqua o rallegrati da qualcuna delle numerose cascate che scendono dall’altopiano, cresce una Gunneracea endemica molto appariscente, la Gunnera Màs-a-Fuerae. Imparentata con la Gunnera chilensis che cresce sul continente, ma anche con altre specie del Pacifico e della Nuova Zelanda (se ne contano una trentina), ricorda nel suo nome il botanico danese E. Gunner. Pur trattandosi di una pianta erbacea, presenta dimensioni gigantesche: il diametro delle sue foglie arriva  persino a 3 metri  (del resto, quelle della G. manicata del Brasile misurano fino a 2 metri), mentre il gambo è commestibile e alla sua base si formano radici avventizie che  vivono in simbiosi con alghe azzurre dei generi Nostoc e Chroococcus. Sono piante belle e al tempo stesso imponenti (non per nulla la specie cilena e quella brasiliana sono coltivate ovunque a scopo ornamentale), amanti dei luoghi freschi e umidi, che ingentiliscono, con le loro folte macchie di verde, i recessi più spogli e severi delle aspre pendici montane.
Da ultima viene la zona alpina, che caratterizza il Plano de la Mona e il massiccio di Los Inocentes. I botanici che avevano visitato l’isola ritenevano, pur non avendone raggiunto le parti più elevate, che la loro vegetazione corrispondesse a quella delle cime dell’isola Robinson Crusoe, e tra essi il dott. Federico Johow. Invece, nel 1908, Carl Skottsberg che per primo giunse a porre il suo piede in questi luoghi così difficilmente raggiungibili, fece una scoperta emozionante: quella dell’esistenza di una flora alpina completa, non rappresentata da specie isolate ma da associazioni perfettamente integrate di vegetali inferiori e superiori. E, come se non bastasse, egli si rese conto che al carattere alpino di questa flora erano associati addirittura degli elementi magellanici o subantartici, cosa piuttosto sorprendente se si considera che l’isola è posta alla stessa latitudine di Valparaiso, 33° di latitudine Sud, e dunque nella fascia climatica sub-tropicale, collegata con l’ambiente  mediterraneo del Cile centrale. La flora alpina dell’isola Alejandro Selkirk è rappresentata, fra l’altro, dal rovo subantartico Rubus geoides, dal  muschio  subantartico Lycopodium magellanicum e dagli aster nani di montagna del Sud, Lagenophora. Si tratta di un paesaggio naturale molto caratteristico e altrettanto insolito per una piccola isola tropicale: il regno dei prati e delle felci spesso avvolto nella nebbia, che ricorda un po’ la tundra, per la vegetazione stentata e per la presenza di numerosi massi rocciosi arrotondati dall’erosione  e sparsi tutto intorno. Va ricordato, inoltre, che sempre allo Skottsberg si deve la scoperta della Gunnera Màa-a-Fuerae, già ricordata, sempre nella spedizione del 1908.
 
Come si è visto, la flora delle isole Juan Fernàndez è formata da svariati elementi, caratteristici di aree geografiche  e climi assai diversi.
Vi è innanzitutto un elemento cileno, da porre in relazione con la flora di Valdivia (Cile centro-meridionale dal clima temperato-freddo e piovoso), piuttosto che con quella che cresce sul continente dirimpetto all’arcipelago. L’elemento magellanico, o subantartico, è rappresentato solo sull’isola Alejandro Selkirk. La regione superiore  di questa isola  possiede una vegetazione alpina completa, con associazioni di muschi, licheni, felci e piante con fiori, che immigrò probabilmente in epoca glaciale. Vi è poi un elemento tropicale, da porre forse in relazione con la flora tropicale cilena di lontane epoche geologiche piuttosto che con quella attuale. Tuttavia i maggiori problemi di storiua naturale sono posti dalle piante endemiche, talune delle quali suggeriscono una parentela con specie che crescono nelle isole del Pacifico occidentale e nella Nuova Zelanda, a distanze valutabili in molte migliaia di chilometri. Appare un po’ improbabile che queste piante siano immigrate traversando sconfinate distese oceaniche, per poi trasformarsi in nuovi generi e specie.




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