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giovedì 7 aprile 2016
L'OCEANO GIAPETO
L'oceano Giapeto si è formato dopo l'inizio della frammentazione del supercontinente Rodinia nel Cambriano medio, circa 510 milioni di anni fa, sparendo completamente nel Devoniano inferiore 400 milioni di anni fa circa. In origine questo oceano bagnava a sud il continente Laurentia e a ovest il Baltica.
Tra 650 e 550 milioni di anni fa (Ediacarano) il continente Laurentia (contenente la parte nord est del futuro Nord America), insieme al Baltica e al continente siberiano si separarono dal Gondwana, muovendosi in direzione nord verso l'equatore. Questo movimento portò all'apertura dell'Oceano Giapeto tra Gondwana, Baltica e Laurentia.
Nel primo Ordoviciano (480 milioni di anni fa), il microcontinente Avalonia (comprendente frammenti dell'attuale New England, Terranova, Nuovo Brunswick, Nuova Scozia, Irlanda del sud, gran parte dell'Inghilterra e del Galles, i Paesi Bassi e la Germania del nord) iniziò a separarsi dal margine settentrionale del Gondwana.
Alcune tracce delle fasi iniziali di deformazione e metamorfismo si rinvengono in Scandinavia. La prima fase che viene di solito inclusa nel ciclo caledoniano è la fase finnmarkiana datata a 505 milioni di anni fa (tardo Cambriano). La fase successiva definita Jämmtlandian seguì 455 milioni di anni fa.
Queste fasi vengono interpretate come dovute alla collisione del bordo occidentale del Baltica con un arco insulare o un microcontinente. Analogamente il bordo orientale del Laurentia entrò in collisione con un arco insulare durante l'orogenesi Taconiana tra 480 e 435 milioni di anni fa.
Durante l'Ordoviciano, il microcontinente Avalonia si mosse autonomamente verso nord est contro il continente Baltica provocando la subduzione della parte sud orientale dell'Oceano Giapeto (detta Mare di Tornquist) al di sotto di Avalonia. Nel tardo Ordoviciano (450 milioni di anni fa) si instaurò una collisione tra zolle continentali con la scomparsa del Mare di Tornquist e subduzione del margine del continente Baltica sotto l'Avalonia. La linea di accrezione, detta linea di Tornquist, che separa le due zolle continentali rimane sotto il Mare del Nord, la Danimarca del sud, la Germania e la Polonia settentrionali.
La fase principale dell'orogenesi caledoniana (tra 425 e 395 milioni di anni fa) viene definita fase Scandiana in Scandinavia e fase Grampiana nelle isole britanniche.
È stata causata dallo scontro tra le placche continentali di Laurentia e Baltica. L'oceano Giapeto, posto tra i due continenti, si chiuse prima al Nord e poi nella parte meridionale. Va notato come l'inizio della collisione tra Laurentia e Baltica è precedente a quella fra Laurentia ed Avalonia. Dopo la scomparsa dell'oceano, nel medio Siluriano, iniziò lo scontro tra placche continentali, che portò, nel primo Devoniano, alla formazione di una nuova catena montuosa (da 407 milioni di anni fa in poi).
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mercoledì 16 dicembre 2015
LO STRETTO DI MALACCA
Lo Stretto di Malacca è un passaggio marino dell'Oceano Indiano che separa l'isola indonesiana di Sumatra dalla costa occidentale della penisola malese.
Lo stretto mette in comunicazione il mare delle Andamane a nord con il mar Cinese Meridionale a sud. Ha una lunghezza di circa 800 km e una ampiezza che va dai 50 ai 180 km. All'estremità meridionale dello stretto sono poste le isole Riau.
Nello stretto defluiscono diversi fiumi. Dalla penisola malese vi sfocia il Perak, mentre i principali fiumi di Sumatra che vi defluiscono sono il Bila, il Barumun, il Rokan, il Siak e l'Kampar. I porti principali che vi si affacciano sono: Malacca, Georgetown e Singapore.
Lo stretto, una delle più antiche e importanti vie marittime al mondo, è la principale via di comunicazione tra l'Oceano Indiano e l'Oceano Pacifico. Nel pressi di Singapore lo stretto si restringe con una ampiezza minima di 2,8 km rendendo la navigazione più difficile vista l'intensità di traffico. Le dimensioni massime delle navi che lo possono attraversare sono definite dal Malaccamax.
Nelle acque dello stretto sono stati riportati numerosi episodi di pirateria. Un altro problema per la navigazione è rappresentato dall'intenso fumo provocato dagli incendi sull'isola di Sumatra, che spesso riduce la visibilità fino a 200 metri, provocando il rallentamento del traffico marittimo.
La pirateria nello stretto di Malacca è un fenomeno risalente al XIV secolo, ma tuttora esistente, che mette a repentaglio il traffico navale mercantile che attraversa l'omonimo braccio di mare lungo circa 900 chilometri. In tempi recenti, le pattuglie coordinate delle forze dell'ordine di Indonesia, Malesia e Singapore, insieme all'accresciuta presenza di security privata a bordo delle navi, hanno provocato una netta riduzione della pirateria, secondo quanto riporta l'International Maritime Bureau (IMB).
La geografia dello stretto di Malacca rende la regione particolarmente suscettibile agli atti di pirateria. Era ed è un importante passaggio tra Cina e India, da sempre intensamente battuto dalle rotte commerciali. Oggi è luogo di transito delle rotte tra Europa, Canale di Suez, i paesi esportatori di petrolio del Golfo Persico e i porti dell'estremo oriente asiatico. Lo stretto è angusto e contiene migliaia di isole e foci fluviali che ne fanno un luogo ideale perché i pirati possano nascondersi e sfuggire alla cattura.
La posizione geografica dello stretto di Malacca lo rende un punto di transito importantissimo per riserve energetiche di vario tipo, dal petrolio al gas naturale e a materie prime come carbone o acciaio. Lo stretto costituisce uno snodo del traffico marittimo da Oriente a Occidente e rappresenta la via marittima più breve per il commercio tra attori situati nel Golfo Persico e quelli dei mercati asiatici, in particolare la Cina, il Giappone, la Corea del Sud e i Paesi del Pacific Rim. Secondo la United States Energy Information Administration lo stretto di Malacca è il secondo passaggio marittimo strategico per il trasporto di petrolio, secondo solo allo stretto di Hormuz. Alcuni studi dimostrano che, nel 2011, 15 milioni di barili di petrolio e derivati sono passati attraverso Malacca, ovvero circa un terzo del petrolio trasportato via mare. Più in generale, un terzo del commercio mondiale passa attraverso questo punto generando un traffico di 60000 navi all’anno che lo attraversano. Altri dati sottolineano come Paesi quali gli Stati Uniti e il Giappone o economie in forte crescita come la Cina e l’India sono in fase di incremento della propria dipendenza energetica dalla sicurezza dello stretto. L’area attorno a questo passaggio marittimo può essere descritta come un crocevia di culture e società etnicamente diverse ma in procinto di aumentare le proprie interconnessioni grazie anche alla crescente integrazione economica nella regione. In questo senso, lo stretto potrebbe rappresentare una notevole opportunità di sviluppo economico e sociale degli Stati che vi si affacciano. Alla base di tale sviluppo si situa non solo la capacità di mantenere pace e stabilità nella regione ma anche quella di garantire la sicurezza dello stretto potenzialmente sottoposto a minacce di diversa natura.
L’area in cui si situa lo stretto di Malacca è potenzialmente vulnerabile ad una serie di minacce che potrebbero intaccarne la sicurezza: dalla instabilità politica in alcuni Stati limitrofi, alla competizione tra Stati regionali, alla pirateria e al terrorismo internazionale. Lo stretto è noto per l’annosa presenza della pirateria oltre che per essere un punto di transito per numerosi tipi di mercato nero. Infatti, nell’area circostante lo stretto, alcuni porti non propriamente sorvegliati favoriscono l’infiltrarsi di numerose minacce alla stabilità e sicurezza dello stretto. Il debole controllo da parte di alcuni governi dei Paesi che si affacciano sullo stretto e la marginalizzazione economica fomentata dalla crisi, porta alcuni individui a intraprendere la via del crimine, favorendo i mercati neri e pirateria.
La sua estensione geografica non permette un controllo governativo stabile in ogni area e la presenza di gruppi fondamentalisti islamici e separatisti costituisce un’ulteriore pressione per il governo centrale. Inoltre, all’instabilità sociale in territori come l’Indonesia si aggiunge la presenza di varie cellule terroristiche che fomentano i livelli di sicurezza. La minaccia di attacchi terroristici è stata paventata in alcune occasioni e molte analisi convergono sul fatto che un attacco terroristico abbia più probabilità di avere luogo in stretti con un livello di sorveglianza regionale e internazionale inferiore. A tutto ciò si aggiungano le dispute riguardanti l’area del Mare Cinese Meridionale che si fondano su questioni politiche, economiche e strategiche e aggiungono tensione ad un’area già potenzialmente a rischio di destabilizzazione. Lo Stretto di Malacca termina nel Mar Cinese Meridionale, un’altra via di comunicazione estremamente importante ma soggetta a dispute legate alla presenza di risorse come petrolio e gas naturale oltre che ad annose dispute territoriali. In particolare, il gruppo di isole Spratly e Paracel sono oggetto di contesa tra Cina, Vietnam, Malesia, Indonesia, Brunei e Filippine. La crescita economica della regione comporta anche il transito di notevoli quantità di petrolio, gas e materie prime attraverso quest’area. Il 25% del transito del commercio globale la percorre ogni anno ed è di per sé esplicativo dell’importanza del Mar Cinese Meridionale come estensione dello Stretto di Malacca.
Essendo Malacca il secondo stretto al mondo per traffico marittimo e importanza strategica, l’area circostante è soggetta a competizione non solo da parte di attori regionali. Anche attori globali come la Cina, gli Stati Uniti, il Giappone e l’India dipendono dalla sicurezza e controllo dello stretto in termini economici, geopolitici e strategici. Gli Stati Uniti, in quanto potenza marittima globale, vedono l’India e il Giappone come potenziali alleati nel gioco di bilanciamento contro l’ascesa della Cina. In questo modo diverse dinamiche intervengono nei rapporti tra poteri regionali e globali esercitando pressione anche su questi ultimi, in vista del dispiegamento di forze e interventi che garantiscano la sicurezza nello stretto. Essendo gli interessi di ciascuno stato abbastanza diversificati, vale la pena di inquadrare queste dinamiche nel dettaglio. Il Giappone ha un particolare interesse nell’invio di forze nello stretto di Malacca fondamentalmente perché circa l’80% del petrolio importato per uso nazionale proviene dal Medioriente e passa attraverso lo stretto come anche una consistente quantità di prodotti manifatturieri giapponesi che transitano verso l’Europa, l’Australi, il Medioriente e l’Africa. La sicurezza del Giapppone nello stretto si basa sulla sua forte alleanza con gli Stati Uniti, altro attore fondamentale nei giochi di potere nello stretto, che naturalmente puntano a non essere estromessi ma anche a bilanciare la crescita di influenza di potenze emergenti come Cina e India.
Nuova Dehli annovera circa il 50% dei suoi traffici commerciali in transito attraverso lo stretto di Malacca e ha ulteriormente concentrato i suoi sforzi politici verso l’Asia del Sud visto che è di suo vitale interesse che lo stretto rimanga sotto l’influenza di Paesi amici.
La Cina dipende fortemente dallo stretto per il trasporto di energia che cresce notevolmente di anno in anno. Il petrolio proveniente da Golfo Persico e Africa transita verso la Cina attraverso gli stretti di Malacca, Lombok o Makassar. Negli ultimi anni Pechino è stata molto attiva nel coltivare relazioni diplomatiche con i paesi litoranei, in particolare la Malesia. E’ chiaro che la crescita ed espansione di Paesi come la Cina passa e può essere regolata anche attraverso il controllo delle sue forze navali attraverso lo stretto.
Per quanto riguarda l’Indonesia, lo stretto rappresenta un immenso valore per ragioni socio-economiche. La costa indonesiana è quella che si estende più a lungo sullo stretto. La maggior parte dei pirati nello stretto si pensa provenga dall’Indonesia e sia provocata anche dalla instabilità politica ed economica del Paese.
Infine, Singapore ha profuso apprezzabili sforzi contro la pirateria nello stretto da cui passa una notevole quantità dei propri traffici commerciali. L’importanza della sicurezza nello stretto ha spinto Singapore a cercare una stretta collaborazione nel garantire la sicurezza con partner esterni, specialmente gli Giappone e gli Stati Uniti che hanno stretto maggiori legami di collaborazione a livello strategico ma anche incrementato le relazioni commerciali con Singapore, diventato il loro undicesimo partner commerciale.
Storicamente, la pirateria nello stretto di Malacca non era solo un'impresa lucrativa, ma anche un importante strumento politico. I governanti hanno fatto spesso affidamento sui pirati della regione per mantenerne il controllo. Un esempio fu il governo del sultano Parameswara, principe di Palembang nel XIV secolo. Fu attraverso la lealtà al principe delle bande pirata costituite dalla popolazione Orang Laut che Parameswara resistette ai tentativi di espansione dei regnanti vicini e giunse a fondare il Sultanato di Malacca. Tra il XV ed il XIX secolo le acque malesi giocarono un ruolo cruciale nelle lotte per il potere in Indocina. Oltre alle potenze locali, tra gli antagonisti figurarono anche le potenze coloniali del Portogallo, dei Paesi Bassi e dell'Impero Britannico. I fondali dello stretto di Malacca e del Mar Cinese Meridionale sono oggi il cimitero di numerosi relitti di navi perdute per via delle tempeste, degli arrembaggi pirata, delle battaglie e degli errori di navigazione.
È con l'arrivo dei colonizzatori europei – interessati al controllo del commercio delle spezie – tra il XVIII ed il XIX secolo che il fenomeno della pirateria vede un aumento. Secondo Charles Corn, autore di The Scents of Eden: A Narrative of the Spice Trade ("I profumi dell'Eden: Una storia del commercio delle spezie"):
« Le spezie in quell'epoca guidavano le economie mondiali come oggi fa il petrolio.»
L'aumentato traffico mercantile attraverso lo stretto e la povertà delle popolazioni locali spinsero molte persone a darsi alla pirateria, che a volte assunse anche la forma di una resistenza politica al colonialismo. Gli equipaggi pirata spesso erano composti da gente Lanun, nativa delle zone costiere della regione, ma vi erano anche pirati cinesi Han espulsi dalla Cina della dinastia Qing.
Nel 1830, le potenze coloniali presenti nella regione - inglesi e olandesi - si allearono contro le forze pirata. Tracciarono lungo lo stretto la linea di demarcazione anglo-olandese impegnandosi a combattere la pirateria ciascuno sul proprio lato della linea. Gli aumentati controlli e la superiore tecnologia di navigazione dei mezzi coloniali, unita a migliorate stabilità politica e condizioni economiche, portarono nel giro di circa quarant'anni ad una riduzione del fenomeno piratesco. La linea di demarcazione oggi è divenuta il confine marittimo tra Malesia e Indonesia nello stretto.
L'International Maritime Bureau (IMB) riferisce nel 2006 che gli attacchi pirata nel mondo sono calati per il terzo anno consecutivo. Nel 2006 sono stati registrati 239 arrembaggi, contro il 276 dell'anno precedente. Un andamento analogo si è registrato nello stretto di Malacca, dove gli attacchi sono scesi dai 79 del 2005 ai 50 del 2006. Ciò nonostante, nel 2004 lo stretto era il teatro del 40% degli episodi di pirateria nel mondo. Nell'ottobre 2007 l'IMB riporta che l'Indonesia ha continuato ad essere la nazione più soggetta ad azioni pirata, con 37 attacchi dal gennaio precedente, anche se il dato è in miglioramento se confrontato con gli stessi nove mesi dell'anno precedente.
Oltre a pattuglie navali ed aeree, la lotta alla pirateria richiede un investimento tecnologico. Ad esempio, il report del 2006 dell'IMB riferisce che dal luglio 2004 le navi con stazza superiore alle 500 tonnellate devono dotarsi di sistemi di allarme a bordo che includano sistemi di localizzazione della nave in tempo reale. Inoltre, la federazione degli armatori asiatici (Federation of Asian Shipowners' Associations - Fasa) ha varato un database che fornisce informazioni aggiornate sugli episodi di pirateria conosciuti come parte di un accordo tra 14 diversi stati. Secondo la segreteria permanente del ministero dei trasporti di Singapore:
« La pirateria è un problema transnazionale e questa è la prima volta che viene costituito un organismo internazionale al solo scopo di occuparsi del problema della pirateria in Asia.»
Episodi di pirateria particolarmente violenti possono assurgere alla ribalta dei mass-media, tuttavia l'impatto economico diretto è limitato se paragonato al volume dei commerci globali dell'area. Generalmente, il bottino dei pirati si limita al contenuto delle stive, a parti delle macchine e al denaro e ai beni personali degli equipaggi. È invece consistente l'impatto indiretto, soprattutto quello dovuto ai costi aggiunti della sicurezza e all'aumento dei premi assicurativi.
Un esempio fu dato dai Lloyds di Londra che, sottolineandone la cattiva reputazione negli anni più recenti, dichiararono lo stretto un'area ad alto rischio aumentando i premi di un ulteriore 1% del valore del carico, decisione rientrata dopo che Singapore e Indonesia misero in campo le loro pattuglie marittime e aeree.
Gli attacchi pirata non hanno fermato le circa 50.000 navi che annualmente solcano le acque dello stretto e che rappresentano il 40% circa del traffico mercantile globale. Lo stretto di Malacca continua ad essere la rotta più importante delle petroliere in viaggio dal Medio Oriente ai mercati dell'Asia orientale.
Secondo l'IMB, la maggioranza dei pirati contemporanei è di origine indonesiana, anche perché la marina indonesiana tra quelle della regione è la meno attrezzata per contrastare la pirateria. I pirati moderni possono ricadere essenzialmente in tre categorie: pirati in cerca di profitto facile, pirati affiliati al crimine organizzato o pirati associati con organizzazioni terroristiche, secessionistiche o politicamente motivate.
I primi sono generalmente criminali per opportunità. Cercano bersagli facili e rapinano le navi e gli equipaggi. Quelli appartenenti a reti organizzate attaccano con maggiore pianificazione e organizzazione e mirano a grandi cargo e al sequestro degli equipaggi per estorsione. Le organizzazioni pirata legate a gruppi terroristici hanno un modo di operare simile, ma le loro azioni sono finalizzate al finanziamento delle attività terroristiche e alla possibilità di fare interventi politici.
Nel 2004 le tre nazioni della regione - Indonesia, Malesia e Singapore - hanno aumentato gli sforzi per pattugliare lo stretto. Mentre Singapore invoca l'aiuto internazionale, Indonesia e Malesia si oppongono ad un intervento straniero. Il fenomeno è particolarmente acuto in Indonesia, dove nel 2004 si sono verificati 93 dei 325 attacchi registrati nel mondo, contro 9 nelle acque della Malesia e 8 in quelle di Singapore.
Alla pattuglia multinazionale si sono aggiunte nel 2006 la Marina e la Guardia Costiera dell'India. L'India sta anche realizzando una pattuglia di droni per monitorare il Mare delle Andamane, adiacente allo stretto di Malacca.
Dal 2009 la cooperazione intergovernativa ha drasticamente ridotto il fenomeno. Sebbene la pirateria sia stata certamente una fonte di preoccupazione in passato in questa tratta di mare, con fino a settantacinque attacchi documentati nel 2000, il numero dei casi è andato diminuendo a partire dal 2005.
Nello Stretto di Malacca sembrano essersi verificati episodi inquietanti.
Uno in particolare, tuttora irrisolto, riguardò un mercantile olandese, la SS Ourang Medan, che nel giugno 1947 stava attraversando quelle acque quando improvvisamente lanciò un segnale di pericolo alle navi vicine. Il messaggio recitava testualmente: “tutti i funzionari, tra cui il capitano sono morti e si trovano in sala nautica e sul ponte. Forse tutto l’equipaggio è morto”. Dopo una pausa il messaggio riprese per concludersi così: “Sento che sto per morire, aiutatemi”.
Una nave americana, la Silver Star, si trovava nelle vicinanze ed avendo captato il macabro messaggio fece rotta verso l’Ourang Medan per indagare. Una volta saliti a bordo gli uomini della Silver Star constatarono come l’intero equipaggio (oltre ad un cane) fosse effettivamente morto; per di più ciascun membro mostrava un’espressione terrorizzata in volto. Eppure non furono riscontrati segni di colluttazione né alcun tipo di disordine sulla nave. Lo scafo inoltre era perfettamente in ordine, eppure tutti i membri dell’equipaggio erano morti.
La Silver Star provò poi a trainare l’Ourang Medan verso il porto più vicino, ma un incendio si sviluppò nella stiva numero 4 del mercantile che in breve tempo fu scosso da alcune esplosioni e affondò, portando con sé i suoi segreti nel fondo dell’Oceano Indiano. Nel corso degli anni sono state fatte varie ipotesi per spiegare l’incidente: dalla ipotesi che il mercantile trasportasse acido solforico e che il suo equipaggio sia morto avvelenato dalle esalazioni venefiche fuoriuscite da fusti rotti, a quella che la nave, partita da qualche porto cinese minore, fosse diretta in Costa Rica trasportando un carico di contrabbando di cianuro di potassio e nitroglicerina o anche scorte di guerra di gas nervini.
Non mancano coloro che sostengono che il vascello sia rimasto vittima di un incontro ravvicinato del terzo tipo con un Ufo, conclusosi in modo drammatico (cosa che potrebbe spiegare come mai molti dei cadaveri visti dall’equipaggio della Silver Star avesse una postura inconsueta, con le braccia tese verso l’alto quasi in segno di aiuto). Fatto sta che la parte iniziale dello Stretto di Malacca, dove navigava l’Ourang Medan, è tra i dodici triangoli vili di Sanderson. Una coincidenza inquietante, tanto più che anche il volo Malaysia Airlines MH-370, scomparso con 239 persone a bordo nel marzo 2014 e mai più ritrovato, secondo alcune ricostruzioni si sarebbe trovato a sorvolare quella stessa area prima di far perdere per sempre le proprie tracce.
La Moschea dello Stretto di Malacca (chiamata Masjid Selat Melaka in lingua locale malay) è una moschea contemporanea realizzata sull’isola di Malacca (pulau Melaka), un isolotto artificiale collocato a ridosso della città di Malacca.
Costruita direttamente sulla spiaggia, non si tratta dell’unica moschea “galleggiante” del paese o del mondo musulmano, ma è un motivo architettonico ricorrente nell’edilizia religiosa islamica contemporanea. Quando la marea è alta vi è l’illusione che la moschea galleggi poggiando direttamente sull’acqua.
La moschea è stata ufficialmente inaugurata nel 2006 in presenza del re della Federazione della Malesia lo Yang di-Pertuan Agong.
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martedì 15 dicembre 2015
MARE DI BERING
Il Mare di Bering è una sezione dell'Oceano Pacifico settentrionale, tra l'Asia e l'America Settentrionale. Il limite meridionale è posto lungo una linea che unisce l'arcipelago delle Aleutine alla penisola di Kamcatsk (Kamcatka) passando per l'isola di Bering (arcipelago del Commodoro); quello settentrionale, col Mare dei Cukci (Mar Glaciale Artico), lungo la linea che, in corrispondenza allo stretto di Bering, unisce capo Dežnev con Capo Principe di Galles (66º30´N). Le coste, montuose sul lato occidentale, più basse su quello orientale, si articolano nei golfi dell'Anadyr, di Karaginski, di Norton, di Bristol e in numerose baie minori. Il Mare di Bering, in cui affiorano le isole di San Lorenzo, San Matteo, Nunivak e Pribilof, ha acque poco profonde a N e a E, in corrispondenza dell'ampia piattaforma continentale americana; il settore meridionale, invece, si deprime in una profonda fossa che tocca i –4191 m poco a W delle Aleutine. La salinità delle acque superficiali varia dal 32-33‰ a S, al 26-29‰ a N, in prossimità delle foci dei fiumi Anadyr e Yukon; con la profondità, aumenta anche la salinità, che raggiunge il 34-35‰ a –3000 m. Nonostante che il rigido clima sia leggermente addolcito dalla vicina corrente calda del Giappone (Curoscivo), la temperatura delle acque diminuisce con l'aumentare della latitudine e della profondità e nella stagione invernale estesi banchi di ghiaccio coprono il settore settentrionale del mare. L'ampiezza della marea presenta valori medi di 2-3 m eccetto che nel golfo di Bristol, dove tocca punte di 7 m. Il settore occidentale del Mare di Bering è percorso da una corrente fredda che si dirige in senso NE-SW dal golfo dell'Anadyr verso l'Oceano Pacifico. Un ramo lambisce le coste orientali della penisola di Kamcatka e si porta nell'Oceano Pacifico dando origine alla corrente delle Curili (Oyashio), mentre l'altro ramo volge verso N. Porti principali sono Anadyr, Providenija e Nome. Avvistato da Dežnev nel 1648, fu così chiamato in onore di V. J. Bering, che l'attraversò nel 1728. In russo, Beringovo More.
Lo stretto di Bering è uno stretto marino tra capo Dežnëv, il punto più a est del continente asiatico, e capo Principe di Galles, il punto più a ovest del continente americano, dividendo quindi l'Alaska dalla Russia. È largo circa 91 chilometri, con una profondità compresa tra 30 e 50 metri.
Lo stretto unisce il mar dei Cukci (parte dell'Oceano Artico) a nord con il mare di Bering (parte dell'Oceano Pacifico) a sud.
Le isole Diomede si trovano esattamente in mezzo allo Stretto di Bering.
Sono state avanzate proposte per costruire un ponte attraverso lo stretto, che unirebbe la Siberia con l'Alaska, chiamato da alcuni il Ponte Intercontinentale della Pace. Altri hanno proposto di costruire un tunnel sotto allo stretto.
Durante le ere glaciali, l'area dello stretto emergeva dalle acque formando un ponte di terra, detto Beringia, che poteva essere attraversato a piedi. I primi esseri umani arrivarono nel continente americano in questo modo durante l'ultima era glaciale, e si diffusero successivamente verso sud.
Il collegamento fisico fra l'Asia e il Nordamerica attraverso lo stretto di Bering sembrò divenire realtà nel 1864 quando una compagnia telegrafica russo-americana predispose la costruzione di una linea di comunicazione per connettere l'America con l'Europa attraverso l'ovest. Tale progetto fu però abbandonato in virtù dei buoni risultati registrati dal collegamento sottomarino sotto l'Atlantico inaugurato nel 1866.
Nel 1956 la Russia propose la redazione di un piano congiunto finalizzato a riscaldare le acque dell'Artico e sciogliere così alcune formazioni glaciali. Il progetto mirava alla costruzione di una diga lunga 89 km lungo lo stretto: i flussi di ghiaccio e acqua fredda sarebbero stati confinati a nord della diga e le correnti tiepide avrebbero potuto conseguentemente estendere verso nord, fino alla diga, i loro benefici effetti. Gli esperti USA risposero che nonostante il progetto risultasse fattibile, gli 89 chilometri di diga avrebbero comportato un costo spropositato.
Anche l'adozione di tecnologia ferroviaria "ad alta velocità" sperimentale venne ipotizzata per la costruzione di una linea che congiungesse i due continenti. Nella seconda metà dell'Ottocento infatti lo stretto di Bering fu individuato fra i possibili scenari di applicazione della "aerodromic railway", una ferrovia sospesa progettata dagli ingegneri americani Chase e Kirchner. Anche tale progetto restò allo stadio di mera ipotesi.
Un altro collegamento ipotizzato era rappresentato da un ponte che congiungesse le sponde di Alaska e Siberia. Nonostante le evidenti difficoltà tecniche, politiche e finanziarie, la Russia ha autorizzato nel 2011 un finanziamento di 65 miliardi di dollari statunitensi per il progetto di un tunnel sullo stretto facente parte dell'ipotizzato collegamento transcontinentale "TKM-World Link". Qualora completata, tale opera, lunga 103 km, rappresenterebbe il più lungo ponte al mondo.
LEGGI ANCHE : http://marzurro.blogspot.it/2015/12/loceano-pacifico.html
mercoledì 2 dicembre 2015
L'OCEANO ATLANTICO
I geofisici sono riusciti a inserire i vari tasselli della storia dell'oceano grazie ai modelli termici, alla teoria della tettonica a zolle, e alle misurazioni compiute in profondità. Unitamente a questo, gli esperti hanno realizzato una carta topografica del fondo dell'oceano, grazie all'impiego di strumenti atti a generare e a propagare onde acustiche riflesse dal fondo, oltre allo studio di frammenti di campioni prelevati dal fondale e delle anomalie magnetiche presenti nelle rocce magmatiche che spuntano sul fondo.
L'oceano Atlantico sembra essere il più giovane degli oceani: l'Atlantico si è formato infatti 150 milioni di anni fa, con lo spezzarsi del supercontinente Pangea a causa del fenomeno del magma fuso risalente dal mantello che formò una nuova crosta intercorrente fra Africa e America del nord e che ebbe l'effetto di dividere le terre dell'emisfero settentrionale dall'Africa e dall'America del sud. Da allora è andato espandendosi, un movimento che dura ancora oggi: le Americhe si separano da Europa e Africa a un ritmo di alcuni centimetri all'anno.
In un periodo databile 125 milioni di anni fa, nella zona centrale dell'Atlantico settentrionale si formò una attiva Dorsale medio oceanica e proprio in questo periodo l'America del sud iniziò a staccarsi dall'Africa. Il movimento fra le due Americhe fece sorgere una compressione nella zona caraibica che provocò la subduzione della zolla venezuelana.
La Dorsale medio atlantica alimenta questa espansione: attraversa tutto l'Atlantico da nord a sud, e da essa emergono nuove sezioni del fondo marino che spingono verso l'esterno quelle già esistenti. In prossimità dei continenti, il fondo marino viene spinto verso il basso, rientra nel mantello terrestre e favorisce la formazione di isole vulcaniche.
Una delle conseguenze di questo movimento è che il fondo marino dell'atlantico è una zona geologicamente giovane, con un'età spesso inferiore al centinaio di milioni di anni.
All'incirca 80 milioni di anni fa l'Atlantico settentrionale assunse le sembianze, per davvero, di un oceano, e in alcune zone la profondità raggiunse i 5000 metri e finalmente una circolazione di acqua che consentiva uno scambio fra i vari oceani; in questo periodo si staccarono la Groenlandia e l'America settentrionale. Circa 65 milioni di anni fa la Groenlandia si allontanò dall'Europa e fino a 20 milioni di anni fa, una dorsale asismica vicino all'Islanda aveva protetto l'Atlantico dal fluire di acque fredde artiche. Una buona parte della topografia dell'oceano è stata impostata 36 milioni di anni fa, solamente la penisola iberica e l'Europa erano ancora lontani dall'Africa.
La storia batimetrica dell'oceano consente di chiarire alcune anomalie, quali ad esempio il rilevamento di sedimenti carbonatici in uno strato inferiore a quello del carbonato di calcio; questo fenomeno accade perché la crosta oceanica quando si forma si colloca sopra la profondità di compensazione del carbonato di calcio e perciò viene inevitabilmente coperta da sedimenti carbonatici; ma in una seconda fase il fondo allontanandosi dal centro, subisce una subsidenza che lo trascina più in basso della profondità di compensazione e ai sedimenti carbonatici a questo punto si sovrappongono argille e fanghi silicei oltre a sedimenti terrigeni.
L'Atlantico è stato esplorato estensivamente. I Vichinghi, i Portoghesi e Cristoforo Colombo sono tra i più famosi primi esploratori. I Vichinghi colonizzarono la Groenlandia prima dell'anno Mille, ma la colonia fu spazzata via da un peggioramento del clima.
Dopo Colombo, l'esplorazione europea accelerò rapidamente, e furono stabilite molte nuove rotte commerciali. Il risultato è che l'Atlantico era e rimane la sede del maggior traffico commerciale tra Europa e America. Sono state intraprese numerose esplorazioni scientifiche per studiare l'Oceano e il suo ambiente.
L'Oceano ha anche contribuito significativamente allo sviluppo economico delle nazioni che si affacciano su di esso. Oltre ad ospitare le maggiori rotte commerciali, l'Atlantico offre abbondanti giacimenti di petrolio nelle rocce sedimentarie delle piattaforme continentali, e le maggiori riserve di pesca del mondo. Per preservare queste riserve e l'ambiente oceanico, esistono numerosi trattati che cercano di ridurre l'inquinamento causato da versamenti di petrolio e rifiuti plastici.
Dopo aver remato per 81 giorni e 4 766 km, il 3 dicembre 1999 Tori Murden divenne la prima donna ad aver attraversato l'oceano Atlantico da sola, quando raggiunse Guadalupa dalle isole Canarie.
Questo oceano occupa un bacino a forma di "S", disposto nella direzione nord-sud. È diviso in due sezioni principali, l'Atlantico del Nord e l'Atlantico del Sud, da correnti equatoriali poste a circa 8° di latitudine nord. È delimitato ad ovest dal continente americano (sia dalla parte settentrionale che da quella meridionale) e ad est dall'Europa e dall'Africa (ma due dei suoi mari adiacenti, il Mediterraneo e il Mar Nero bagnano anche l'Asia).
Comunica con l'oceano Pacifico attraverso il Mare Glaciale Artico a nord, e il Canale di Drake (nella Terra del Fuoco) e Capo Horn a sud. Inoltre esiste una connessione artificiale tra i due oceani, il Canale di Panamá, che si trova vicino all'equatore, nell'istmo che unisce le due Americhe. Ad est comunica con l'oceano Indiano, attraverso il Capo Agulhas, al 20° E (e non dal Capo di Buona Speranza come si ritiene comunemente), ma anche attraverso il canale artificiale di Suez.
L'oceano propriamente detto copre un'area di circa 82 362 000 km² (pari a 8 volte quella dell'Europa), che raggiunge i 106 450 000 km² se si considerano anche i suoi mari adiacenti. Le terre occupate dal bacino idrografico dell'Atlantico sono quattro volte quelle del Pacifico o dell'Indiano. Il volume dell'oceano Atlantico è di 323 600 000 km³, e di 354 700 000 km³ considerando anche i mari adiacenti.
La profondità media (volume/superficie) dell'Atlantico è di 3 926 m, ridotta a 3 332 m se si prendono in considerazione i mari adiacenti. La profondità maggiore è di 9 219 m, raggiunta nell'abisso Milwaukee, che si trova nella Fossa di Porto Rico, circa 135 km a nord dell'isola di Porto Rico. La larghezza dell'Atlantico varia tra 2 848 km nel punto più stretto, tra il Brasile e la Liberia, fino a 4 830 km tra gli Stati Uniti e l'Africa settentrionale.
La caratteristica principale della topografia del fondo oceanico dell'Atlantico è una grande catena di montagne sottomarine, chiamata la Dorsale medio atlantica. Si estende dall'estremità nord, accanto all'Islanda, fino all'estremo sud a 58° di latitudine, raggiungendo una larghezza massima di circa 1 600 km. Lungo la dorsale, nei pressi della sommità, si trova una grande fossa che scorre per la maggior parte della catena montuosa. La profondità delle acque sopra la dorsale è spesso inferiore a 2 700 m, e numerosi picchi si ergono fuori dall'acqua, formando delle isole, quali ad esempio le Azzorre. L'Atlantico del Sud presenta anche altre due ristrette dorsali asismiche, la Catena di Walvis e la Catena di Rio Grande.
La Dorsale medio atlantica separa l'oceano Atlantico in due grandi sezioni, che hanno una profondità compresa tra 3 000 e 5 500 m. Dorsali trasversali, che uniscono i continenti alla Dorsale medio atlantica, dividono il fondo oceanico in numerosi bacini. Alcuni dei più grandi sono i bacini della Guiana, del Nord America, di Capo Verde e delle Canarie nell'Atlantico del Nord, mentre in quello del Sud si trovano i bacini dell'Angola, dell'Argentina e del Brasile.
Il fondo marino è considerato in genere abbastanza piatto, anche se non mancano montagne, fosse e altre caratteristiche. Due fosse superano gli 8 000 m di profondità. Le piattaforme continentali, vicino alle terre emerse, costituiscono circa l'11% del fondo oceanico. Inoltre, molte formazioni simili a canali scavati tagliano queste piattaforme.
I sedimenti depositati sul fondo hanno origini disparate.
I depositi terrigeni sono composti da particelle di sabbia, fango e roccia, formate dall'erosione dell'acqua, del vento e dall'attività vulcanica della terraferma, e poi trasportate da fiumi e piogge verso il mare. Questi materiali si trovano principalmente:
sulle piattaforme continentali, ove sono più spessi presso la foce dei grandi fiumi (come il delta del Niger);
ai piedi delle scarpate continentali, ove si accumulano in grandi conoidi torbiditiche per opera delle correnti torbide prodotte da grandi frane sottomarine o convogliate direttamente dalle foci dei fiumi attraverso canyon sottomarini (è il caso del Congo).
I deposti pelagici sono formati dai resti di organismi che vanno a fondo quando muoiono (possono essere silicei, come i radiolari e le diatomee, o calcarei, come i foraminiferi). Coprono la maggior parte del fondo marino, con spessori che vanno da 120 a più di 3 000 m, con lo spessore minimo in corrispondenza della Dorsale. I depositi autogenici o autigeni sono assembramenti di minerali, come i noduli di manganese, prodottisi per precipitazione dalle acque oceaniche in particolari condizioni di chimismo e temperatura. Sono comuni dove le altre tipologie di sedimentazione sono assenti.
La salinità delle acque di superficie nell'oceano aperto va da 33 a 37 parti per mille, e varia con la latitudine e le stagioni. Anche se i valori minimi di salinità si trovano appena a nord dell'equatore, in genere i valori più bassi si trovano alle alte latitudini, e vicino alle foci di grandi fiumi che immettono le loro acque dolci nell'oceano. I massimi valori di salinità si trovano attorno alla latitudine 25° nord. I valori di salinità superficiale sono influenzati dall'evaporazione, dalle precipitazioni, dall'apporto di acqua dolce dei fiumi e, nelle zone più fredde, dallo scioglimento dei ghiacci.
La temperatura delle acque superficiali varia con la latitudine, con le correnti, le stagioni e la distribuzione di energia solare. Lungo l'Oceano, varia da meno di 2 °C nelle regioni polari fino a 29 °C all'equatore. Nelle medie latitudini, la temperatura è intermedia, ma soggetta a grandi variazioni (fino a 7 o 8 °C). A causa delle basse temperature, la superficie è normalmente coperta di ghiaccio nel mare del Labrador, nello Stretto di Danimarca e nel mar Baltico da ottobre a giugno.
L'oceano Atlantico consiste di quattro principali masse d'acqua. Le acque centrali dell'Atlantico del Nord e del Sud costituiscono le acque superficiali. L'acqua intermedia sub-antartica si estende alle profondità di 1 000 m. L'acqua profonda del Nord Atlantico raggiunge la profondità di 4 000 m. L'acqua antartica di fondo occupa i bacini oceanici a profondità maggiori di 4 000 m.
A causa della forza di Coriolis, l'acqua del Nord Atlantico circola in senso orario, mentre l'acqua del Sud Atlantico circola in senso antiorario. Le maree dell'Oceano sono semidiurne, cioè comprendono due alte maree nell'arco delle 24 ore. Le maree sono un'onda che si muove da sud a nord. A latitudini superiori a 40°, è presente anche un'oscillazione est-ovest.
Il clima Atlantico e delle terre adiacenti allo stesso Oceano ed è influenzato dalla temperatura delle acque superficiali, dalle correnti oceaniche e dai venti che soffiano sopra le acque. A causa della grande capacità dei mari di trattenere il calore, i climi marittimi sono temperati, e non presentano variazioni stagionali estreme. Le precipitazioni risentono enormemente dell'Oceano, perché l'evaporazione dell'acqua oceanica è una delle fonti principali di vapore acqueo.
Le zone climatiche cambiano con la latitudine: le zone più calde attraversano l'Atlantico a nord dell'equatore. Le zone più fredde si trovano a grandi latitudini, e specialmente nelle zone coperte di ghiaccio.
Le correnti oceaniche contribuiscono al clima, trasportando acqua calda e fredda in diverse regioni. I venti che soffiano su queste acque contribuiranno poi a riscaldare o raffreddare le terre adiacenti.
La corrente del Golfo, per esempio, riscalda l'atmosfera delle isole Britanniche e dell'Europa del Nord (che altrimenti sperimenterebbero temperature ben più basse), mentre le correnti fredde contribuiscono alla formazione di nebbia al largo delle coste nordest del Canada, e delle coste nordovest dell'Africa. Dona alle zone un clima più caldo rispetto alle altre aree situate alla stessa latitudine.
I cicloni tropicali (uragani) si sviluppano al largo della costa africana vicino a Capo Verde, e si muovono verso ovest nel mare Caraibico. Gli uragani possono formarsi da maggio a dicembre, ma sono più frequenti tra agosto e novembre. Le tempeste sono comuni nell'Atlantico del Nord durante l'inverno, rendendo pericolosa la traversata.
Un metodo che calcola la temperatura dell'acqua nella parte settentrionale dell'Oceano è l'indice AMO.
Gli iceberg sono molto comuni nello stretto di Davis, nello stretto di Danimarca, e nell'Atlantico nordoccidentale da febbraio ad agosto. A volte sono stati visti anche molto a sud, vicino alle Bermude e alle isole Madeira. Le navi svilupperanno ghiaccio sulla loro struttura nell'Atlantico più a nord da ottobre a maggio. Il caso più famoso di incidente dovuto a un iceberg nel Nord Atlantico è l'affondamento dell'RMS Titanic il 15 aprile 1912. La nebbia persistente può essere un pericolo da maggio a settembre. Uragani da maggio a dicembre. Nell'Ottocento si verificarono casi di affondamento di navi a vapore con scafo in legno, quindi più fragile nell'impatto con le onde durante le tempeste.
Ci sono molte specie marine in pericolo, tra cui le mante, i leoni marini, le tartarughe, le balene, le foche ed anche specie ittiche che per riprodursi migrano risalendo i fiumi che sfociano nell'Oceano come la cheppia (Alosa fallax). Le reti a strascico hanno accelerato il declino delle riserve di pesca e sono soggetto di aspre dispute internazionali. Inquinamento da fogne al largo degli Stati Uniti, del sud del Brasile e dell'Argentina. Inquinamento da petrolio nel mare Caraibico, nel Golfo del Messico, e nel mare del Nord. Inquinamento da fogne e industrie nel mar Baltico e mare del Nord.
Punti critici sono lo Stretto di Gibilterra e l'accesso al Canale di Panamá. Gli stretti strategici includono lo Stretto di Dover, gli Stretti della Florida, il Canale della Mona e il Canale Sopravento. Durante la guerra fredda, il cosiddetto passaggio di Groenlandia-Islanda-Regno Unito (GIUK) era un problema strategico di grande importanza, e il fondale fu riempito di idrofoni per rilevare il movimento dei sottomarini sovietici.
Nell’Oceano Atlantico settentrionale una microscopica alga marina è così fiorente da sfidare ogni previsione scientifica, suggerendo un che sia in corso da decenni un rapido cambiamento ambientale dopo un aumento dell’anidride carbonica nell’oceano.
Il CPR survey è uno studio in continuo del plancton, organismi galleggianti che formano una parte fondamentale della catena alimentare marina. Il progetto è stato lanciato da un biologo marino britannico nel Nord Atlantico e del Mare del Nord nei primi anni ’30 ed è condotto da navi commerciali che trainano retini per la raccolta di plancton mentre navigano lungo le loro normali rotte.
Un altro degli autori, lo statunitense William M. Balch del the Bigelow Laboratory for Ocean Sciences del Maine, uno dei massimi esperti di alghe del mondo, ha detto che «Gli scienziati si aspettavano che l’acidità degli oceani, dovuta ad un aumento dell’anidride carbonica avrebbe soppresso questi organismi dal guscio calcareo. Non è stato così. D’altra parte, un loro maggiore abbondanza è coerente con la loro storia di indicatori del cambiamento ambientale. I coccolitoforidi sono stati in genere più abbondante durante il periodo interglaciale caldo della Terra e nei periodi con elevata CO2. I risultati qui presentati sono coerenti con tutto questo e possono far presagire, come il “canarino nella miniera di carbone”, dove siamo diretti climatologicamente. Questo ci fornisce un esempio di come le comunità marine di un intero bacino oceanico stanno rispondendo all’aumentare dei livelli di biossido di carbonio. Tali esempi di vita reale dell’impatto di aumentare di CO2 sulla rete trofica marina sono importanti da evidenziare mentre il mondo si riunirà a Parigi la prossima settimana in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici».
I coccolitoforidi sono alghe monocellulari ricoperti di singolari strutture chiare fatte di carbonato di calcio e svolgono un ruolo nel ciclo del carbonato di calcio, un fattore che determina i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera. Nel breve periodo rendono più difficile da rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera, ma nel lungo periodo – di decine e centinaia di migliaia di anni – aiutano a rimuovere la CO2 dall’atmosfera e degli oceani e a confinarla nelle profondità oceaniche.
Queste minuscole creature da eoni lasciano il loro segno sul nostro pianeta, aiutando gli odierni scienziati a decifrare i cambiamenti ambientali più significativi. Le bianche scogliere di Dover sono candidea causa dei massicci depositi di coccolitoforidi. Ma un esame più attento mostra che i depositi bianchi sono interrotti da sottili strati scuri di selce, prodotte da organismi che hanno gusci vitrei in silicio, Gnanadesikan spiega che «Questi rappresentano chiaramente importanti cambiamenti nel tipo di ecosistema. Ma se non si capisce che cosa provoca l’abbondanza dei coccolitoforidi, non possiamo capire che cosa sta provocando questi cambiamenti. E’ l’anidride carbonica?»
Scoperte per la prima volta in mare aperto delle 'zone morte', nell'oceano Atlantico, al largo delle coste dell'Africa occidentale. Si tratta di aree in cui i livelli di ossigeno sono talmente bassi che la vita è quasi impossibile e in cui riescono a vivere solo alcune specie di microorganismi. A osservarle i ricercatori guidati da Johannes Karstensen, dell'Helmholtz Centre for Ocean Research di Kiel in Germania, il cui lavoro è pubblicato sulla rivista Biogeosciences. Le zone morte sono aree inospitali per la maggior parte delle specie marine, create dalla circolazione delle correnti e grandi vortici d'acqua che si muovono lentamente verso ovest.
Arrivando in prossimità di un'isola, potrebbero provocare l'uccisione di massa di molti pesci. "Prima del nostro studio - spiega Karstensen - si pensava che il mare aperto del Nord Atlantico avesse delle concentrazioni minime di ossigeno di un millimetro di ossigeno dissolto per litro. Una concentrazione molto bassa, ma sufficiente a far sopravvivere i pesci". Ora si è invece scoperto che hanno un livello minimo di ossigeno 20 volte inferiore a quello stimato prima, cioè inadatte per la vita della maggior parte degli animali marini.
Le zone morte sono molto comuni vicino i litorali dove i fiumi sversano fertilizzanti e altre sostanza chimiche nell'oceano, scatenando la crescita di alghe. Quando queste muoiono, cadono sui fondali morali e vengono decomposte dai batteri, che consumano tutto l'ossigeno in questo processo.
Le correnti oceaniche possono muovere queste acque con poco ossigeno dalla costa, ma una zona morta che si forma in oceano aperto ancora non era stata scoperta. "I vortici che abbiamo osservato con maggiore dettaglio - continua Karstensen - sono come dei cilindri rotanti di 100-150 km di diametro e un'altezza di diverse centinaia di metri, con la zona morta che occupa i 100 metri più in alto. L'area intorno a questi vortici di zone morte rimane ricca di ossigeno. Abbiamo stimato che il consumo di ossigeno nei vortici - conclude - è 5 volte maggiore che nelle condizioni oceaniche normali".
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L'OCEANO PACIFICO
L'Oceano Pacifico è il più grande oceano del mondo, occupa circa un terzo della superficie terrestre e si estende su una superficie di circa 179 milioni di chilometri quadrati. Si estende per circa 15.500 chilometri dal Mar di Bering nell'Artico a nord fino ai margini ghiacciati del mare di Ross nell'Antartide a sud. Il punto più largo si trova a circa cinque gradi di latitudine nord tra l'Indonesia e le coste della Colombia. Si considera invece lo Stretto di Malacca come limite occidentale dell'oceano, nel quale è situato anche il luogo più basso della superficie terrestre, la Fossa delle Marianne.
Il numero delle isole che contiene l'oceano Pacifico (25.000) è superiore al numero delle isole di tutti gli oceani messi insieme.
Lungo i bordi di tutto l'oceano si trovano molti mari e tra questi: il mar Cinese orientale, il mar del Giappone, il mar di Sulu, il mar di Tasmania e il mar Giallo. L'oceano è inoltre unito all'oceano Indiano ad ovest con lo Stretto di Malacca e con l'oceano Atlantico ad est con lo Stretto di Magellano.
Questo oceano deve il suo nome all'esploratore portoghese Ferdinando Magellano, che lo chiamò così per il mare molto calmo che trovò durante la sua traversata dallo Stretto di Magellano fino alle Filippine. Nonostante ciò, in molti periodi dell'anno numerosi tifoni e uragani colpiscono le isole del Pacifico, mentre la presenza di molti vulcani causa spesso terremoti e tsunami che in passato hanno devastato numerosi atolli e distrutto diverse città.
La profondità media dell'oceano Pacifico è 4270 metri, e il fondo oceanico è relativamente uniforme, nonostante esistano grandi montagne sottomarine estremamente ripide e con una cima piatta.
La parte occidentale del fondo consiste invece di numerosi archi montagnosi che emergono dalla superficie e che cono considerate gruppi di isole, come ad esempio le isole Salomone e la Nuova Zelanda. Essendo il bacino idrografico del Pacifico relativamente piccolo ed essendo questo oceano immenso, i sedimenti sono di origine autogenica o pelagica, mentre quelli terrigeni sono confinati in zone limitate vicino alla terraferma.
La temperatura dell'acqua nel Pacifico varia dal punto di congelamento nelle zone polari fino a circa 29°C vicino all'equatore, dove l'acqua è anche meno salata a causa delle abbondanti precipitazioni equatoriali durante l'anno. Invece, più a nord delle latitudini temperate la salinità torna a scendere.
L'acqua in superficie circola generalmente in senso orario nell'emisfero nord, ma in senso antiorario nell'emisfero sud. La Corrente Equatoriale Nord gira verso nord vicino alle Filippine, e mentre parte delle sue acque si muove verso nord con il nome di Corrente Auletiana, il resto torna a sud e si unisce alla Corrente Equatoriale. La corrente Auletiana si divide quando raggiunge il Nordamerica e forma la base della circolazione in senso antiorario nel Mare di Bering. Il suo braccio meridionale è chiamato Corrente della California e si diffonde lentamente verso sud. La Corrente Equatoriale Sud, scorrendo verso ovest lungo l'equatore, si sposta verso sud ad est della Nuova Guinea, gira ad est alla latitudine di 50 gradi sud, e si unisce alle correnti principali del Pacifico del Sud, tra cui la Corrente Circumpolare Antartica che compie l'intero giro del globo. Quando si avvicina alle coste cileni, la Corrente Equatoriale Sud si divide: un ramo sorpassa il Capo Horn e finisce nell'Atlantico, mentre l'altro gira a nord per formare la Corrente del Perù (o di Humboldt).
Tutta l'Australia, la Nuova Zelanda e la Nuova Guinea subiscono l'influenza climatica del Pacifico, tranne le zone più interne. Si possono comunque distinguere cinque diverse regioni climatiche: la zona ovest, the trades, la regione dei monsoni (nel Pacifico occidentale, tra il Giappone e l'Australia), la regione dei tifoni (nelle parti occidentali e sud-occidentali del Pacifico) e the doldrums. Sono presenti nelle latitudini intermedie grandi variazioni stagionali di temperatura, dovute a flussi d'aria in movimento verso ovest. Infatti vicino all'equatore le temperature sono costanti durante tutto l'anno.
Le caratteristiche della regione climatica dei monsoni sono venti che soffiano dall'interno del continente verso l'esterno durante l'inverno e in direzione opposta durante l'estate.
Inoltre nell'oceano si estendono anche due grandi aree di bonaccia: una al largo delle coste dell'America Centrale, l'altra nelle acque equatoriali del Pacifico occidentale, ma entrambi si distinguono per la loro umidità, notevole copertura nuvolosa, deboli venti e frequenti bonacce.
La linea dell'Andesite (la linea immaginaria dei vulcani attivi della terra) è la principale caratteristica geologica del Pacifico. E' infatti la linea che separa le rocce profonde ed ignee del Pacifico centrale, per lo più basiche, dalle zone continentali parzialmente sommerse composte da rocce ignee acide. La linea coincide con il bordo occidentale di tutte le isole al largo della California e passa a sud delle isole Aleutine, ad est della penisola Kamchatka, le isole Kurili , il Giappone, le isole Marianne, l isole Solomon e la Nuova Zelanda. prosegue anche sopra profonde fosse come la fossa delle Marianne e la fossa delle Filippine. La maggior parte delle fosse più profonde si trova accanto ai margini della piattaforma continentale del Pacifico occidentale.
Una parte del sistema mondiale di dorsali sottomarine, il Rialzo Est del Pacifico, si trova lungo il bacino orientale.
Per quanto riguarda invece tutte le estensioni orientali dei continenti dell'Asia e dell'Australia si può dire che si trovano completamente al di fuori della linea dell'Andesite.
All'interno dello spazio delimitato dalla linea dell'Andesite si trovano la maggior parte delle fosse profonde, delle montagne vulcaniche sottomarine tipiche del bacino del Pacifico Centrale, dove le lave basaltiche scorrono lentamente dalle fratture per formare enormi montagne di tipo vulcanico. Fuori dalla linea dell'Andesite invece i fenomeni vulcanici sono di tipo esplosivo ed il cerchio di fuoco ha la maggior concentrazione mondiale di vulcani esplosivi.
L'estensione più grande di terra all'interno dell'oceano Pacifico è il continente australiano, che ha un'area leggermente più piccola di quella dell'Europa. A una distanza di 3 200 km, in direzione sudest, si trova il grande gruppo di isole della Nuova Zelanda.
Quasi tutte le altre isole del Pacifico si trovano tra 30 gradi di latitudine nord e 30 di latitudine sud, dall'Asia sudorientale all'isola di Pasqua. Il resto del Bacino del Pacifico non contiene in pratica terraferma. Il grande triangolo della Polinesia, che unisce le Hawaii, l'isola di Pasqua e la Nuova Zelanda, contiene al suo interno i gruppi delle Marchesi, le Samoa, Tonga. A nord dell'equatore e ad ovest della linea di cambio di data si trovano le numerose piccole isole della Micronesia, incluse le Kiribati, le isole Caroline, le isole Marshall, e le isole Marianne. Nell'angolo sudovest del Pacifico si trovano le isole della Melanesia, dominate dalla Nuova Guinea. Altri gruppi importanti nella Melanesia includono le isole Bismarck, le Figi, la Nuova Caledonia, le isole Salomone e Vanuatu. Questa suddivisione in Polinesia, Micronesia e Melanesia, vecchia del 1831 (Jules Dumont d'Urville), non corrisponde alle realtà bio-geografiche: le due zone ora riconosciute dagli scienziati sono l'Oceania vicina e l'Oceania lontana, zone che corrispondono a realtà diverse dal punto di vista botanico, zoologico e anche umano e culturale.
Le isole del Pacifico sono di quattro tipi fondamentali: isole continentali, isole alte, barriere coralline, e piattaforme coralline rialzate. Le isole continentali si trovano fuori dalla Linea dell'Andesite e includono la Nuova Guinea, le isole della Nuova Zelanda e le Filippine. Queste isole sono fisicamente associate con i continenti vicini. Le isole alte sono di origine vulcanica, e possono contenere dei vulcani attivi. Tra queste le Hawaii e le isole Solomon.
Gli altri due tipi di isole sono il risultato del lavoro dei coralli. Le barriere coralline sono strutture subacquee che sono state costruite dai coralli sopra la lava basaltica sotto la superficie dell'oceano. Una delle più grandi è la Grande barriera corallina, al largo dell'Australia nordorientale. Un secondo tipo è quello di una piattaforma corallina rialzata, che è in genere un po' più grande. Ne sono esempi Banaba e Makatea nel gruppo di Tuamotu nella Polinesia francese.
In tempi preistorici vi furono importanti migrazioni umane nel Pacifico, prima tra tutte quella dei Polinesiani da Tahiti fino alle Hawaii e la Nuova Zelanda. L'oceano fu visto per la prima volta dagli Europei all'inizio del XVI secolo, prima da Vasco Núñez de Balboa (1513) e poi da Ferdinando Magellano, che attraversò il Pacifico durante la sua circumnavigazione (1519-22). Per il resto del XVI secolo, l'esplorazione fu condotta principalmente dalla Spagna, con navi che raggiungevano le Filippine, la Nuova Guinea e le isole Solomon. Durante il XVII secolo la scena fu dominata dagli olandesi; Abel Janszoon Tasman scoprì nel 1642 la Tasmania e la Nuova Zelanda. Il XVIII secolo vide l'esplorazione russa in Alaska e nelle isole Aleutine, i francesi in Polinesia, e gli inglesi con tre viaggi del capitano James Cook.
L'imperialismo crescente del XIX secolo risultò nell'occupazione della maggior parte del Pacifico da parte delle potenze occidentali. La nave esploratrice HMS Beagle portò importanti contributi scientifici negli anni 1830, con a bordo Charles Darwin. Un'altra nave famosa fu la HMS Challenger. Anche se gli Stati Uniti presero le Filippine nel 1898, nel 1914 il Giappone controllava la maggior parte del Pacifico occidentale, e occupò molte altre isole durante la Seconda guerra mondiale. Alla fine della guerra, l'oceano era dominato dalla marina militare americana.
Il Pacifico comprende diciassette stati indipendenti: Australia, Figi, Giappone, Kiribati, le isole Marshall, Micronesia, Nauru, Nuova Zelanda, Palau, Papua Nuova Guinea, Filippine, Samoa, le isole Salomone, Taiwan (disputata dalla Repubblica Cinese), Tonga, Tuvalu e Vanuatu. Undici di queste nazioni sono totalmente indipendenti solo dal 1960. Le isole Marianne del Nord hanno un proprio governo, ma dipendono dagli Stati Uniti per la politica estera, e le isole Cook e Niue hanno una relazione simile con la Nuova Zelanda. Inoltre nel Pacifico si trova lo Stato americano delle Hawaii e numerosi territori e possessioni di Australia, Cile, Francia, Giappone, Nuova Zelanda, Gran Bretagna e Stati Uniti.
Lo sfruttamento delle risorse minerarie del Pacifico è ostacolato dalle grandi profondità dell'oceano. Nelle acque basse al largo delle coste australiane e neozelandesi, vengono estratti gas naturale e petrolio, mentre le perle vengono raccolte o coltivate lungo le coste di Australia, Giappone, Nuova Guinea, Nicaragua, Panama e Filippine, anche se si tratta di un'industria in declino. La risorsa maggiore del Pacifico sono i suoi pesci. Le acque costiere dei continenti e delle isole più temperate forniscono salmoni, sardine, pesce spada e tonno, più numerosi crostacei. Nel 1986, le nazioni che fanno parte del Forum del Sud Pacifico hanno dichiarato l'area libera dal nucleare, nel tentativo di fermare gli esperimenti nucleari e di prevenire lo stoccaggio delle scorie nucleari nel Pacifico.
martedì 10 novembre 2015
IL GOLFO DI BISCAGLIA
Il golfo di Biscaglia o golfo di Guascogna è una parte dell'oceano Atlantico di nord-est che bagna due paesi europei: la Francia dell'ovest, dalla Bretagna ai Pirenei Atlantici e la Spagna del nord, lungo le coste dei Paesi Baschi sino alla Galizia.
Il golfo copre una superficie di circa 225 000 km²; le coste est (francesi), sino alla foce dell'Adour, sono piatte e, a sud della foce della Gironda con dune; oltre la foce dell'Adour le coste diventano rocciose e dirupate; i fondali bassi a est, nella parte mediana scendono sino a oltre 5 000 m.
La sua denominazione varia a seconda delle nazioni e delle province:
golfo di Guascogna in Francia, dal nome della provincia che si affacciava su quel golfo;
golfo di Biscaglia in Spagna dall'omonima provincia, anche se a volte il nome copre solo la parte dei Paesi Baschi, mentre il resto del golfo tra la Cantabria e la Galizia è chiamato mar Cantabrico (anche i Romani lo chiamavano Sinus Kantabrorum, seno (golfo) dei Cantabrici); Bizkaiko Golkoa nei Paesi Baschi.
Le coste spagnole sono alte e rocciose, in gran parte piatte e dunose quelle francesi. La regione costiera francese è intagliata da alcuni ampi estuari e numerose baie che hanno favorito lo sviluppo di buoni porti (Bordeaux, Nantes); le comunicazioni sono rese più agevoli dai lunghi fiumi che vi sfociano (Garonna, Charente, Loira), in parte navigabili.
I venti forti del mare del nord che battono il golfo sono originati dalle basse pressioni localizzate sulle isole britanniche ed il mar del Nord, combinate con l'anticiclone delle Azzorre.
La formazione rilevante di onde lungo il litorale favorisce la pratica del surf nelle stazioni balneari della Costa d'Argento (in Aquitania, tra la foce della Gironda e la foce dell'Adour) e della costa Basca.
Il golfo possiede delle risorse ittiche che favoriscono la pesca.
Anche il cabotaggio è un'importante attività del golfo: traversata Spagna-Inghilterra con due linee di traghetti Santander-Plymouth e Bilbao-Portsmouth.
La presenza di numerose stazioni balneari favorisce anche una notevole attività turistica; le stazioni più note sono: La Baule-Escoublac, Les Sables-d'Olonne, Royan, Arcachon, Biarritz, San Sebastián.
Numerose specie di pesci ed organismi marini di faune temperate calde (ad esempio la cernia bruna, l'orata ed il sarago maggiore) trovano qui il loro limite nord. Così pure molte specie a distribuzione settentrionale trovano in questo golfo il loro limite sud (ad esempio il merluzzo).
Entro la fine del secolo le zone inondabili che si affacciano sul golfo di Biscaglia, la parte dell’Oceano Atlantico che bagna Francia e Spagna, potrebbero triplicarsi a causa degli effetti dei cambiamenti climatici. E’ la stima effettuata dai ricercatori del Consejo Superior de Investigaciones Cientificas (CSIC) e del Centro Tecnologico AZTI-Tecnalia e contenuta in un lavoro pubblicato su Climate Research. E’ stato anche previsto che la meta’ delle zone inondabili potrebbe ospitare, alla fine del secolo, strutture residenziali e industriali. Lo studio ha analizzato l’impatto di violente inondazioni causate dalla combinazione delle fluttuazioni delle maree e del cambiamento del livello del mare nella regione. “Abbiamo scelto quest’area geografica perche’ sono disponibili numerosi dati topografici – ha spiegato Marta Marcos, dell’Instituto Mediterraneo de Estudios Avanzados del Csic – che hanno permesso una grande precisione nel determinare in modo affidabile i livelli di piena e le tipologie di zone colpite“. Per sviluppare il modello di previsione, i ricercatori hanno preso in considerazione due scenari climatici possibili tra quelli definiti dall’IPCC – Intergovernmental Panel on Climate Change. Per ciascuno si e’ tenuto conto degli effetti – ottenuti tramite simulazioni numeriche – del graduale aumento del livello del mare a causa del riscaldamento e del disgelo, nonche’ le variazioni nelle tempeste. In questo modo i ricercatori hanno definito, rispetto agli scenari considerati, i livelli massimi dell’intero secolo.
sabato 7 novembre 2015
LA PENISOLA DELLA KAMCATKA
La Penisola della Kamcatka, anche Camciatca è una penisola lunga 1.250 km situata nell'estremo oriente russo. Ha una superficie di circa 270.000 km².
Fino al 2007 essa era rimasta suddivisa tra due unità amministrative russe (Oblast di Kamcatka e Circondario dei Coriacchi), ma a partire da quello stesso i due territori sono stati riuniti a formare il Territorio della Kamcatka, che però si estende ben al di là della penisola stessa.
A est si affaccia sull'Oceano Pacifico mentre a ovest si trova il mare di Ochotsk. Al largo della penisola si trova la fossa delle Curili con una profondità di 10.500 m.
La vallata centrale e il fiume Kamcatka sono fiancheggiati da ampi massicci vulcanici, composti da oltre 160 vulcani, 29 dei quali sono ancora attivi; l'ossatura della penisola è rappresentata dalla Catena Centrale, culminante nella Kljucevskaja Sopka (4.750 m).
La zona vulcanica e il relativo parco naturale sono stati dichiarati patrimonio dell'umanità dall'UNESCO nel 1996.
Il clima continentale, più freddo al nord, presenta inverni freddi ed estati relativamente calde (fino a 30 °C). I vulcani e i ghiacciai presenti influiscono notevolmente sul clima della penisola, e le primavere calde hanno permesso la sopravvivenza di molte specie altrove decimate durante il periodo glaciale. Durante l'inverno la temperatura oscilla tra -10 °C e -15 °C, comparabile alle regioni della taiga, mentre la temperatura media annua sulla costa pacifica non supera i 5 °C.
Nonostante la penisola si trovi alla latitudine della Gran Bretagna, i freddi venti artici provenienti dalla Siberia, combinati alla fredda corrente marina Oya-Shio, fanno sì che la penisola sia coperta di neve da ottobre a maggio avanzato.Un clima abbastanza freddo.
Amministrativamente la Kamcatka fa parte del Territorio della Kamcatka (insieme con parte del continente, le isole del Commodoro e l'isola Karaginskij).
La popolazione è intorno alle 400.000 persone, in assoluta maggioranza russe; la minoranza etnica dominante è quella dei coriachi (una popolazione mongolica siberiana), sono presenti anche i Camciadali. La densità di popolazione è bassissima, dal momento che la già scarsa popolazione è concentrata per una percentuale maggioritaria nella città di Petropavlovsk-Kamcatskij e nelle sue zone suburbane.
Il corvo è un animale venerato da diverse popolazioni della penisola. Considerato come generatore del mondo.
È la terra dei vulcani e dell’estremo est asiatico. Il confine del mondo, dove regna il silenzio assoluto, dove i picchi rivelano riccioli di fumo, dove la valle dei geyser, scoperta solo nel 1941 e riconosciuta dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, si apre agli occhi del visitatore in tutta la sua bellezza. La Kamchatka è uno dei luoghi più affascinanti e incontaminati del pianeta. Con i suoi 472mila chilometri quadrati, questa lunga penisola, racchiusa come un grande scrigno tra il Mare dello Stretto di Bering, l’Oceano Pacifico e il Mare di Okhotsk, costituisce l’ultimo, quasi irraggiungibile lembo della Russia nordorientale.
Sede delle basi segrete del regime sovietico durante gli anni della guerra fredda, la Kamchatka è rimasta nascosta al mondo esterno fino al 1989, quando il crollo del comunismo rivelò, finalmente, a tutti la sua incredibile bellezza. La Kamchatka è conosciuta anche come la terra degli orsi, dove non ci sono ferrovie e le strade, quando si trovano, sono a malapena percorribili.
Qui tutto è silenzio, tutto è natura, talmente incontaminata che chi vi giunge si sente quasi un estraneo, completamente fuori dal mondo. Insomma la meta ideale per stare davvero lontano da tutto. Nel suo territorio ci sono ben cinque parchi naturali e oltre 160 vulcani, di cui molti sono attivi. La Kamchatka, colpisce per la sua varietà di paesaggio. Lungo la parte orientale è possibile ammirare i vulcani più imponenti come il Kljucevskij con i suoi i 4.688 metri di altezza e la "cintura" del Toltaci. La sua collocazione geologica la pone sulla cintura di fuoco del Pacifico e ne fa dunque una terra molto viva, con una notevole attività sismica oltre che, per l'appunto, vulcanica.
Ma il fascino della Kamchatka non sembra essere turbato affatto dalle eruzioni. Nei crateri dei vulcani inattivi i laghi che si formano sono di un azzurro intenso come quello di Kurie, nel sud della penisola, e conosciuto come uno dei maggiori centri di produzione di salmone di tutta l’Asia. Oppure la spettacolare caldera di 10 km del vulcano Uzon, con le sue acque calde e fredde. La zona più a nord invece non è ricoperta solo da ghiacciai perenni, ma anche dalla tipica vegetazione della tundra, con muschi e licheni che coprono la base di altri vulcani e la valle dei geyser, e i fiumi lungo i quali cacciano gli orsi bruni.
La Kamchatka è uno dei 42 territori in cui viene diviso il planisfero nel gioco del Risiko.
Per ben due volte la regione è stata sul punto di diventare uno degli Stati Uniti d'America: nel 1867, in occasione della vendita da parte della Russia dell'Alaska agli Usa, anche la penisola era compresa nel contratto, salvo poi esserne scorporata. Nel XX Secolo, un tentativo di fare cassa da parte di Stalin comprendeva la cessione di questo territorio a un miliardario statunitense, con la clausola che però rimanesse comunista, clausola che non venne evidentemente accettata.
lunedì 12 ottobre 2015
I VORTICI
Esistono quattro mega vortici situati nell’oceano Indiano, a nord ovest dell’Australia. Il più impressionante di questi giganteschi vortici anticiclonici, chiamati in inglese eddies mesoscale, e che si muovono in senso orario nel nostro emisfero e antiorario in quello boreale, muove una massa d’acqua la cui superficie totale è pari alle aree di Lombardia, Sicilia e Veneto messe insieme, e sprofonda per più di 1000 metri nell’oceano. Si muove molto lentamente, si ritiene si sia formato a causa dello spostamento di correnti di acqua fredda e salata, che tendono a scendere verso il fondo e di quelle calde e a minore salinità, che salgono verso la superficie e che si spostano dal Pacifico verso l’Africa meridionale. Si parla di una portata d’acqua 250 volte più ampia di quella del Rio delle Amazzoni. L’acqua fredda e salata precipitando verso il fondo come in un una catarrata crea, nell’incontro con una corrente di acqua calda e salata che tende a salire verso la superficie, un vortice. Si parla infatti di circolazione termoalina, ed è nel mare della Groenlandia, che la circolazione oceanica globale ha il suo settore chiave.
Le osservazioni scientifiche del fenomeno dei vortici nell’oceano Indiano, scoperto nell’ultimo lustro, si stanno dimostrando molto utili anche per lo studio dei fenomeni meteorologici che si formano proprio in quella zona del Pacifico e che influenzano le condizioni atmosferiche di Australia e zone limitrofe.
Michael Bernitsas, ingegnere dell’università del Michigan, ha messo a punto il primo dispositivo in grado di generare energia elettrica sfruttando la forza delle correnti ed i vortici creati dalle stesse.
Il dispositivo si chiama VIVACE che è l’acronimo di Vortex Induced Vibrations for Aquatic Clean Energy e si basa sullo sfruttamento delle vibrazioni provocate dai vortici che si creano con lo scorrere delle correnti anche di soli 2 nodi. Solitamente questo tipo di vibrazioni sono origine di danni anche molto gravi a ponti e piattaforme marine ed è questa la prima volta che la ricerca invece di cercare di eliminare il problema, lo amplifica e addirittura lo ricrea in laboratorio con il fine costruttivo di creare energia pulita, rinnovabile e su larga scala.
Grazie a un progetto di ricerca sui neutrini dell‘Istituto Nazionale di Fisica Nucleare è stato possibile osservare per la prima volta nel Mediterraneo la presenza di estese catene di vortici marini alla profondità di oltre i 2500-3000 metri, nel cuore degli abissi del “mare Nostrum”. In pratica si tratta di grandi strutture d’acqua, del diametro di circa 10 chilometri, lentamente in moto alla velocità di circa tre centimetri al secondo. Lo studio è stato effettuato da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Fisica Nucleare di Roma e Catania e dei Laboratori Nazionali del Sud. Le misure oceanografiche svolte nell’ambito dell’esperimento denominato “Nemo” (Neutrino Mediterranean Observatory), che prevede la realizzazione di un apparato strumentale per la rivelazione su fondali oceanici del passaggio di neutrini di alta energia provenienti dallo spazio profondo, hanno indagato il mar Ionio a una profondità di 3.500 metri.
“Lo scopo di Nemo è riuscire a vedere il risultato delle interazioni dei neutrini, che sono particelle che interagiscono molto poco e quindi hanno bisogno di tanta materia per dare luogo a qualche evento che produca particelle elementari che provino il loro passaggio” – come spiega Antonio Capone, uno degli studiosi dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. I dispositivi dell’esperimento “Nemo” sono collocati sul fondale marino in modo che l’acqua funzioni da “schermo” rispetto ai raggi cosmici, le cui interazioni con la strumentazione potrebbero fornire dei falsi positivi, mentre si dà la caccia ai neutrini. E’ stata così posizionata una serie di strumenti per la misura delle correnti e della temperatura, raccogliendo lunghe serie temporali annuali di dati. L’analisi di questi dati ha messo in luce la presenza di queste grandi catene di vortici marini profondi che la comunità oceanografica non si attendeva in un bacino chiuso come il Mediterraneo.
Si tratta di vortici che a quella profondità non si sono mai riscontrati, se non negli oceani. Potrebbero essere arrivati lì da lontano, come se fossero stati trasportati da una sorta di fiume sottomarino e in questo senso possono dirci qualcosa sia sull’acqua del luogo da cui provengono. Di certo la scoperta di questi insoliti vortici, per giunta molto grandi (più di quanto si poteva immaginare), ha spiazzato oceanografi e tanti altri studiosi. Tali formazioni vorticose possono essere definite insolite o addirittura anomale per un mare chiuso come il Mediterraneo, ma non di certo per un oceano, come l’Atlantico o il Pacifico. Ad esempio, quando le acque del Mediterraneo attraversano lo stretto di Gibilterra, si vanno a inabissare nell’Oceano Atlantico formando grandi vortici lentiformi che si propagano a circa 1.500 metri di profondità, perché le acque del nostro mare hanno una densità maggiore rispetto a quelle oceaniche atlantiche. Secondo Giueppe Manzella, oceanologo dell’Enea, uno dei principali enti di ricerca italiano, “Un fenomeno di questo genere potrebbe essersi verificato anche nel caso del sistema Adriatico-Mediterraneo durante lo scorso inverno, infatti, si sono formate nell’Adriatico delle acque più dense, che quindi tendono a inabissarsi verso il fondo del mare. Queste acque più pesanti una volta uscite dal bacino Adriatico, probabilmente si sono disposte secondo una configurazione lenticolare, che solitamente è dello spessore di poche centinaia di metri, e hanno cominciato a ruotare per effetto della rotazione terrestre ma anche in seguito alla dinamica della stessa uscita dal bacino. Si tratta di fenomeni che, normalmente, possono sopravvivere qualche mese prima di disperdersi e che rappresentano per il mare un elemento di vitalità, dato che portano con sé delle quantità supplementari di ossigeno”. Di questi vortici, comunque, non è stata ancora chiarita l’origine.
Gli autori di questa interessante ricerca non escludono un’origine abbastanza remota legata a processi di instabilità fluidodinamica nelle acque dell’Adriatico, come è stato spiegato, o anche del mar Egeo. Questi processi darebbero appunto luogo a strutture rotanti e lentiformi in grado di percorrere centinaia di chilometri senza perdere le loro caratteristiche dinamiche e idrografiche. Ma questi vortici potrebbero essere generati anche dall’interazione di opposte correnti marine, derivate da forti “gradienti di densità e salinità” che scorrono lungo gli abissi. Nel Nord Atlantico, attorno alla Groenlandia e nel mar di Norvegia, ed attorno alla Penisola Antartica, nel Mare di Weddel e di Ross, l’acqua alla superficie diventa talmente densa che scivola fino al fondo dell’oceano, verso gli abissi. Sul fondo, le correnti si organizzano in grandi fiumi che attraversano gole sottomarine e scorrono lungo i fianchi delle scarpate continentali e delle grandi dorsali oceaniche. Esse costituiscono l’analogo abissale delle grandi correnti superficiali oceaniche, come la Corrente del Golfo, ma hanno una velocità alquanto inferiore, pochi centimetri al secondo. Con questo moto lentissimo le correnti abissali immettono sul fondo di tutti gli oceani acque di origine polare che mescolandosi con acque meno fredde raggiungono una temperatura di circa +1° +2°.
mercoledì 23 settembre 2015
LE ISOLE FAER OER
Un arcipelago formato da 18 isole, immerse nell'oceano Atlantico settentrionale, e territorio autonomo danese situato più a nord. Le isole Faroe, con i suoi 50,000 abitanti, sono un paradiso naturalistico straordinario che rivela paesaggi mozzafiato, pittoreschi villaggi di pescatori, innumerevoli specie di uccelli e greggi di pecore.
Questa è la carta d'identità delle Isole Faroer, appartenenti politicamente alla Danimarca, ma fiere della loro autonomia, tanto che il loro territorio non fa parte dell'Unione Europea: si tratta infatti di una regione autonoma associata alla Danimarca, forse perché i suoi orgogliosi abitanti sono più affini agli antichi Vichinghi e ai popoli scandinavi che al continente Mitteleuropeo.
Esseri fatati, saggi gnomi portafortuna, folletti dispettosi e soprattutto il mitico "Popolo dei Grigi", rappresentazione leggendaria di entità potenti e ostili alla natura, sono gli interpreti principali di favole centenarie giunte fino ai nostri giorni grazie agli affascinanti racconti dei pescatori locali. I Grigi hanno abitudini inconsuete ed inquietanti, fra le quali quelle di dimorare sottoterra o in caverne o scomodi anfratti, e non sanno nuotare, attitudine piuttosto insolita per chi vive in un territorio interamente circondato dal mare.
Interminabili distese di prati verdi che si interrompono improvvisamente nell'azzurro del mare tempestoso; maestose cascate che compaiono inaspettatamente fra le valli e che si tuffano nell'oceano, fra imponenti scogliere e tenebrosi faraglioni, dove dimorano migliaia di uccelli marini, il cui stridio interrompe il silenzio della solitudine, inframmezzato unicamente dall'incessante sibilo del vento.
E' proprio la caratteristica forma geografica delle Faroer a creare panorami unici, grazie al fatto che nessun luogo delle isole dista dal mare più di cinque chilometri, che la montagna più alta non supera i 900 metri di altezza e che la quasi totale mancanza di alberi consente allo sguardo di spaziare senza limiti verso un orizzonte di 360°, comunicando a chi osserva una duplice sensazione di solitudine e di intima e totale appartenenza allo sconfinato universo del Creato.
Un popolo abituato a vedere la luce solo per poche ore durante il lungo inverno, approfitta di ogni momento utile per stare all'aria aperta durante la bella stagione. Le Faroer sono infatti attraversate dal 7° meridiano ad ovest di Greenwich e dal 62° parallelo a nord dell'Equatore, a pochi gradi dal Circolo Polare Artico, ma il loro clima è mitigato dalla Corrente del Golfo, che rende le temperature invernali non molto diverse da quelle di Milano, grazie ad un mare sempre sgombro di ghiacci, mentre l'estate somiglia ad una lunga e umida primavera, con temperature che oscillano fra i 10 e i 15° centigradi.
Il toponimo Fær Øer (in feringio Føroyar e in danese: Færøerne), la cui prima parte è attestata in norreno nella forma scritta fær, viene tradizionalmente interpretata secondo il danese fåre-øerne, "isole delle pecore". Troviamo per la prima volta questa interpretazione nella Historia Norvegiae, dove l'errata lezione nordica farcar è tradotta con insulæ ovium: il testo aggiunge che i coltivatori faroesi possedevano ricchi greggi di pecore composte da migliaia di capi. La difficoltà è che il termine fåre/fær è sconosciuto in norreno e nelle lingue scandinave occidentali ("pecora" è in norreno sauðr, da cui il feringio seyður e il norvegese sau).
Recentemente si è anche discusso sulla possibilità, peraltro data ormai quasi per certa e largamente accettata, che il nome significhi "isole remote" (dall'antico germanico Far-Før-Fær, ovvero "lontano", presente anche nell'inglese far, e dal norvegese Øy, ovvero "isola").
Tra le proposte alternative, interessante ma remota quella secondo la quale il toponimo si originerebbe da una radice celtica: fær deriverebbe da un irlandese fearann, "terra", parola che i coloni scandinavi avrebbero accolto, rimotivandola.
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La storia delle origini dell'arcipelago delle Fær Øer non è ben nota, anche se si ritiene l'ex-presenza dei vichinghi coloni di Naddoddr, lo scopritore dell'Islanda. Si pensa ci fossero anche monaci irlandesi giunti dalla vicina Scozia o direttamente dall'Irlanda verso il VI secolo. San Brendano di Clonfert, monaco irlandese e Papar, si suppone abbia visitato le Fær Øer in due o tre occasioni (512-530), nominando due delle isole Sheep Island e Paradise Island of Birds. Nel tardo settimo secolo agli inizi del secolo ottavo nelle isole vi era la presenza di monaci provenienti dall'Irlanda, per la conversione e l'evangelizzazione e anche per la solitudine del romitaggio, infatti sia le Fær Øer sia l'Islanda erano per loro come un eremo.
Secondo la Saga dei Faroesi, gli emigranti che lasciarono la Norvegia per sfuggire alla tirannia di Harald I si insediarono nelle isole all'incirca all'inizio del IX secolo. Nell'XI secolo il Cristianesimo venne introdotto da Sigmundur Brestirson, la cui famiglia era originaria delle isole del sud, ma era stata sterminata nel corso di un'invasione degli abitanti delle isole del nord, obbligandolo a rifugiarsi in Norvegia. Sigmundur Brestirson venne poi inviato a conquistare le isole dal re di Norvegia Olaf I. Dopo aver preso possesso delle isole, Sigmundur Brestirson fu assassinato, ma i norvegesi mantennero il loro controllo fino al 1397, quando la Norvegia entrò in un'unione con la Danimarca, che gradualmente evolse nella doppia monarchia Danese-Norvegese. La riforma protestante raggiunse le Fær Øer nel 1538. Quando la Norvegia venne separata dalla Danimarca con il trattato di Kiel del 1814, fu la Danimarca a mantenere il possesso delle Fær Øer.
Il monopolio danese del commercio con le Fær Øer fu abolito nel 1856. Il paese cominciò allora a svilupparsi in una nazione moderna, dedita principalmente alla pesca, e con una propria flotta. Il risveglio dei sentimenti nazionali, cominciato nel 1888, fu all'inizio orientato sull'ambito culturale, in particolare sulla rinascita della lingua faroese. Dopo il 1906 si rafforzò l'indipendentismo politico, con la fondazione dei primi partiti politici delle Fær Øer.
Il 12 aprile 1940, le Fær Øer furono occupate dalle truppe del Regno Unito, come contromossa all'invasione della Danimarca da parte della Germania nazista. Questa azione fu decisa per scongiurare una possibile occupazione tedesca nelle isole, che avrebbe potuto avere gravi conseguenze per gli esiti della seconda battaglia dell'Atlantico. Tra il 1942 e il 1943 gli Inglesi costruirono l'unico aeroporto delle Fær Øer, l'aeroporto di Vágar.
Il controllo delle isole ritornò alla Danimarca dopo la guerra, ma nel 1948 venne introdotta la cosiddetta Hjemmestyre (o, in feringio, Heimastýrislógin), che garantiva un alto grado di autonomia locale. Le Fær Øer scelsero di non unirsi alla Danimarca al momento del suo ingresso nella Comunità europea, ora Unione europea, nel 1973. Le isole hanno incontrato considerevoli difficoltà economiche in seguito al crollo dell'industria della pesca nei primi anni novanta, ma da allora si sono moltiplicati gli sforzi per aumentare il grado di diversificazione dell'economia. Nel frattempo è cresciuto il sostegno popolare per l'indipendenza, che è l'attuale obiettivo del governo.
La lingua nazionale è la lingua faroese, lingua indoeuropea appartenente al gruppo delle lingue germaniche e al sottogruppo del germanico settentrionale (o scandinavo), assieme al danese, al norvegese (bokmål e nynorsk), allo svedese e all'islandese.
Il Trattato di Kiel del 1814 pose fine all'unione tra Danimarca e Norvegia. La Norvegia passò sotto il controllo del Re di Svezia, ma le Fær Øer, l'Islanda e la Groenlandia rimasero in mani danesi. In seguito a questi eventi, il Løgting fu sciolto nel 1816, e il governo delle Fær Øer divenne quello di una regione della Danimarca, con un Prefetto incaricato del controllo delle isole. Nel 1852 il Løgting venne ristabilito, ma fino al 1948 non ebbe altri poteri al di fuori di quelli consultivi.
Alla fine della seconda guerra mondiale, parte della popolazione era favorevole all'indipendenza dalla Danimarca, e il 14 settembre 1946 si tenne un referendum sull'eventuale secessione. Era la prima volta in cui i Faroesi avevano l'opportunità di esprimersi a favore dell'indipendenza, o di scegliere di continuare a far parte del Regno di Danimarca. Il risultato del referendum produsse una piccola maggioranza a favore della secessione, ma fu immediatamente seguito da alcuni eventi che impedirono di portare a termine la separazione dalla Danimarca.
La maggioranza nel parlamento faroese cadde e, in seguito a nuove elezioni, i partiti contrari all'uscita dal Regno di Danimarca, avendo visto crescere il loro elettorato, formarono una coalizione e decisero di non approvare la secessione. Al suo posto venne raggiunto un compromesso e il parlamento danese approvò un regime di ampia autonomia, detto anche Home Rule, che entrò in vigore nel 1948. Le Fær Øer cessarono così di essere considerate una dipendenza della Danimarca, ottennero un ampio controllo sui propri affari e un sostegno economico annuale non irrilevante dalla Danimarca.
Gli isolani sono a tutt'oggi divisi tra quelli favorevoli all'indipendenza e quelli che preferiscono continuare a essere parte del Regno di Danimarca, con numerose opinioni intermedie. Alcuni sono a favore di un'immediata e unilaterale dichiarazione d'indipendenza, altri ritengono sia necessario raggiungere l'autonomia gradatamente e in pieno consenso con il governo danese. Sono anche molti coloro che accettano di buon grado un graduale incremento dell'autonomia, ma sempre mantenendo un forte legame con la Danimarca.
In seguito al Trattato di Famjin del 29 marzo 2005 stipulato tra la Danimarca e le Fær Øer, le isole acquisiscono una sempre maggiore autonomia nel campo della politica estera e della sicurezza.
Dopo un periodo di crisi economica nei recenti anni novanta, che ha portato a un drastico calo dell'attività di pesca, negli ultimi pochi anni le Fær Øer si sono riprese, e la disoccupazione è scesa al 5% a metà 1998, per poi tuttavia risalire negli anni successivi. Tuttavia, la quasi totale dipendenza nella pesca fa sì che l'economia resti estremamente vulnerabile. I Faroesi sperano di ampliare la loro base economica costruendo nuove strutture per il processo dei prodotti ittici. Il petrolio trovato vicino alle Fær Øer dà una speranza per l'esistenza di giacimenti nell'area circostante, che potrebbero garantire una sicura prosperità economica.
Dal 2000, sono stati promossi nelle Isole la tecnologia dell'informazione e alcuni progetti economici per attrarre nuovi investimenti. Il risultato di questi progetti non è ancora noto, ma si spera possa portare una migliore economia di mercato nelle Fær Øer.
Le Fær Øer hanno una bassa percentuale di disoccupazione, ma questo non è necessariamente segno di una riconversione economica, dal momento che giovani e studenti si spostano in Danimarca e in altri paesi una volta terminata la scuola dell'obbligo. Rimane nelle Isole una fascia di popolazione di età medio-alta, che non ha gli strumenti e le conoscenze per espandere l'utilizzo delle tecnologie moderne nelle Fær Øer.
Si segnalano alcune esperienze positive nell'utilizzo delle energie rinnovabili (in particolare, fornita dal moto ondoso), la cui quota ammonta al 45% del totale del consumo energetico dell'arcipelago.
La caccia ai globicefali, o Grindadráp, è sia un'attività economica sia una tradizione per i faroesi. La maggior parte di essi la considera parte della propria cultura e non condivide le tesi di chi ne chiede l'abolizione. Voci critiche però contestano la sostanza e la modalità con cui ha luogo la mattanza e sono molteplici le iniziative a tutela dei cetacei. In particolare è criticata la tradizionale cruenta caccia che avviene all'inizio di ogni estate, in cui un migliaio di globicefali, specie di cetacei chiamati anche balena pilota e balena dalle pinne lunghe vengono spinti in prossimità delle spiagge e uccise con ami, lame e funi. Nonostante la rilevanza del fenomeno rispetto ai soli 50000 abitanti delle Fær Øer, i pescatori faroesi ostacolano l'accesso dei media per evitare maggiori critiche che comprometterebbero il turismo nelle isole.
Sull'isola Vágar è attivo l'omonimo aeroporto, da cui partono voli per diverse destinazioni in Danimarca e in Europa, mentre dal porto di Tórshavn ci sono collegamenti regolari con nave-traghetto per Norvegia e Danimarca.
A causa del territorio roccioso e scosceso delle Fær Øer, per lungo tempo il suo sistema di trasporti non è stato tanto esteso quanto quello di altri Paesi. Questa situazione è cambiata, e oggi le infrastrutture sono state sviluppate estensivamente. Circa l'80% della popolazione nelle isole è connessa da tunnel che passano al di sotto delle acque, da ponti e da argini che collegano le tre isole più grandi nel nord-est, mentre le altre due maggiori isole a sud sono connesse alla concentrazione urbana settentrionale con moderni e veloci traghetti.
In particolare il tunnel Norðoyatunnilin, lungo 6300 metri sotto lo stretto del Leirvíksfjørður, che collega la città di Klaksvík sull'isola di Borðoy con la città di Leirvík sull'isola di Eysturoy ha velocizzato i collegamenti all'interno delle isole.
Ci sono buone strade che collegano ogni villaggio nelle isole, eccetto sette piccole isole dove sorge un solo villaggio che sono comunque collegate con navette che le raggiungono almeno due volte al giorno. A oggi altri tunnel sono in progettazione per migliorare ulteriormente un già ottimo ed efficiente sistema stradale.
La maggior parte della popolazione è di etnia faroese, di origini scandinave e celtiche.
Il feringio è parlato da tutti e quasi tutti parlano anche il danese. Pressoché tutta la popolazione parla correntemente l'inglese, insegnato nelle scuole fin dall'età di cinque anni. Tra le altre lingue in genere si insegnano danese e norvegese.
La popolazione è distribuita sulla maggior parte del paese; solo recentemente si è avuto un significativo aumento dell'urbanizzazione. Le isole inoltre possiedono il tasso di fertilità più alto di tutta l'Europa, con 2,6 figli per coppia contro la media europea di 1,3.
L'industrializzazione è stata significativamente decentralizzata; il paese ha quindi potuto mantenere in modo significativo la propria cultura contadina. I villaggi dotati di strutture portuali insufficienti non hanno potuto beneficiare pienamente della conversione dall'agricoltura all'economia basata sulla pesca, e nelle zone agricole più periferiche restano solo pochi giovani. Queste zone, come Fugloy, Svínoy, Mykines, Skúvoy e Stóra Dímun, che hanno pessime reti di comunicazione col resto del paese, non possono sempre essere raggiunte a causa del cattivo tempo. Nei decenni trascorsi, la struttura sociale organizzata sulla base dei villaggi è stata sottoposta a notevoli pressioni, mentre vi è stata una crescita dei "centri" che possono offrire le merci e i servizi richiesti dalle periferie. I negozi e i centri di servizio sono dunque stati spostati dai villaggi verso i centri urbanizzati.
A dispetto di quanto potrebbe apparire, la popolazione faroese è moderna e dinamica; l'uso delle carte di credito è ovunque diffuso (persino in tutti i taxi), così come quello di internet. Qui si vengono a integrare moderno e antico, cultura e natura, la splendida natura di queste isole che da sempre ha ispirato artisti locali e non.
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