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mercoledì 2 dicembre 2015

L'OCEANO ATLANTICO



L'oceano Atlantico è il secondo oceano della Terra, di cui ricopre circa il 20% della superficie. Il nome dell'oceano, derivato dalla mitologia greca, significa "mare di Atlante".

I geofisici sono riusciti a inserire i vari tasselli della storia dell'oceano grazie ai modelli termici, alla teoria della tettonica a zolle, e alle misurazioni compiute in profondità. Unitamente a questo, gli esperti hanno realizzato una carta topografica del fondo dell'oceano, grazie all'impiego di strumenti atti a generare e a propagare onde acustiche riflesse dal fondo, oltre allo studio di frammenti di campioni prelevati dal fondale e delle anomalie magnetiche presenti nelle rocce magmatiche che spuntano sul fondo.

L'oceano Atlantico sembra essere il più giovane degli oceani: l'Atlantico si è formato infatti 150 milioni di anni fa, con lo spezzarsi del supercontinente Pangea a causa del fenomeno del magma fuso risalente dal mantello che formò una nuova crosta intercorrente fra Africa e America del nord e che ebbe l'effetto di dividere le terre dell'emisfero settentrionale dall'Africa e dall'America del sud. Da allora è andato espandendosi, un movimento che dura ancora oggi: le Americhe si separano da Europa e Africa a un ritmo di alcuni centimetri all'anno.

In un periodo databile 125 milioni di anni fa, nella zona centrale dell'Atlantico settentrionale si formò una attiva Dorsale medio oceanica e proprio in questo periodo l'America del sud iniziò a staccarsi dall'Africa. Il movimento fra le due Americhe fece sorgere una compressione nella zona caraibica che provocò la subduzione della zolla venezuelana.

La Dorsale medio atlantica alimenta questa espansione: attraversa tutto l'Atlantico da nord a sud, e da essa emergono nuove sezioni del fondo marino che spingono verso l'esterno quelle già esistenti. In prossimità dei continenti, il fondo marino viene spinto verso il basso, rientra nel mantello terrestre e favorisce la formazione di isole vulcaniche.

Una delle conseguenze di questo movimento è che il fondo marino dell'atlantico è una zona geologicamente giovane, con un'età spesso inferiore al centinaio di milioni di anni.

All'incirca 80 milioni di anni fa l'Atlantico settentrionale assunse le sembianze, per davvero, di un oceano, e in alcune zone la profondità raggiunse i 5000 metri e finalmente una circolazione di acqua che consentiva uno scambio fra i vari oceani; in questo periodo si staccarono la Groenlandia e l'America settentrionale. Circa 65 milioni di anni fa la Groenlandia si allontanò dall'Europa e fino a 20 milioni di anni fa, una dorsale asismica vicino all'Islanda aveva protetto l'Atlantico dal fluire di acque fredde artiche. Una buona parte della topografia dell'oceano è stata impostata 36 milioni di anni fa, solamente la penisola iberica e l'Europa erano ancora lontani dall'Africa.

La storia batimetrica dell'oceano consente di chiarire alcune anomalie, quali ad esempio il rilevamento di sedimenti carbonatici in uno strato inferiore a quello del carbonato di calcio; questo fenomeno accade perché la crosta oceanica quando si forma si colloca sopra la profondità di compensazione del carbonato di calcio e perciò viene inevitabilmente coperta da sedimenti carbonatici; ma in una seconda fase il fondo allontanandosi dal centro, subisce una subsidenza che lo trascina più in basso della profondità di compensazione e ai sedimenti carbonatici a questo punto si sovrappongono argille e fanghi silicei oltre a sedimenti terrigeni.

L'Atlantico è stato esplorato estensivamente. I Vichinghi, i Portoghesi e Cristoforo Colombo sono tra i più famosi primi esploratori. I Vichinghi colonizzarono la Groenlandia prima dell'anno Mille, ma la colonia fu spazzata via da un peggioramento del clima.

Dopo Colombo, l'esplorazione europea accelerò rapidamente, e furono stabilite molte nuove rotte commerciali. Il risultato è che l'Atlantico era e rimane la sede del maggior traffico commerciale tra Europa e America. Sono state intraprese numerose esplorazioni scientifiche per studiare l'Oceano e il suo ambiente.

L'Oceano ha anche contribuito significativamente allo sviluppo economico delle nazioni che si affacciano su di esso. Oltre ad ospitare le maggiori rotte commerciali, l'Atlantico offre abbondanti giacimenti di petrolio nelle rocce sedimentarie delle piattaforme continentali, e le maggiori riserve di pesca del mondo. Per preservare queste riserve e l'ambiente oceanico, esistono numerosi trattati che cercano di ridurre l'inquinamento causato da versamenti di petrolio e rifiuti plastici.

Dopo aver remato per 81 giorni e 4 766 km, il 3 dicembre 1999 Tori Murden divenne la prima donna ad aver attraversato l'oceano Atlantico da sola, quando raggiunse Guadalupa dalle isole Canarie.

Questo oceano occupa un bacino a forma di "S", disposto nella direzione nord-sud. È diviso in due sezioni principali, l'Atlantico del Nord e l'Atlantico del Sud, da correnti equatoriali poste a circa 8° di latitudine nord. È delimitato ad ovest dal continente americano (sia dalla parte settentrionale che da quella meridionale) e ad est dall'Europa e dall'Africa (ma due dei suoi mari adiacenti, il Mediterraneo e il Mar Nero bagnano anche l'Asia).

Comunica con l'oceano Pacifico attraverso il Mare Glaciale Artico a nord, e il Canale di Drake (nella Terra del Fuoco) e Capo Horn a sud. Inoltre esiste una connessione artificiale tra i due oceani, il Canale di Panamá, che si trova vicino all'equatore, nell'istmo che unisce le due Americhe. Ad est comunica con l'oceano Indiano, attraverso il Capo Agulhas, al 20° E (e non dal Capo di Buona Speranza come si ritiene comunemente), ma anche attraverso il canale artificiale di Suez.

L'oceano propriamente detto copre un'area di circa 82 362 000 km² (pari a 8 volte quella dell'Europa), che raggiunge i 106 450 000 km² se si considerano anche i suoi mari adiacenti. Le terre occupate dal bacino idrografico dell'Atlantico sono quattro volte quelle del Pacifico o dell'Indiano. Il volume dell'oceano Atlantico è di 323 600 000 km³, e di 354 700 000 km³ considerando anche i mari adiacenti.



La profondità media (volume/superficie) dell'Atlantico è di 3 926 m, ridotta a 3 332 m se si prendono in considerazione i mari adiacenti. La profondità maggiore è di 9 219 m, raggiunta nell'abisso Milwaukee, che si trova nella Fossa di Porto Rico, circa 135 km a nord dell'isola di Porto Rico. La larghezza dell'Atlantico varia tra 2 848 km nel punto più stretto, tra il Brasile e la Liberia, fino a 4 830 km tra gli Stati Uniti e l'Africa settentrionale.

La caratteristica principale della topografia del fondo oceanico dell'Atlantico è una grande catena di montagne sottomarine, chiamata la Dorsale medio atlantica. Si estende dall'estremità nord, accanto all'Islanda, fino all'estremo sud a 58° di latitudine, raggiungendo una larghezza massima di circa 1 600 km. Lungo la dorsale, nei pressi della sommità, si trova una grande fossa che scorre per la maggior parte della catena montuosa. La profondità delle acque sopra la dorsale è spesso inferiore a 2 700 m, e numerosi picchi si ergono fuori dall'acqua, formando delle isole, quali ad esempio le Azzorre. L'Atlantico del Sud presenta anche altre due ristrette dorsali asismiche, la Catena di Walvis e la Catena di Rio Grande.

La Dorsale medio atlantica separa l'oceano Atlantico in due grandi sezioni, che hanno una profondità compresa tra 3 000 e 5 500 m. Dorsali trasversali, che uniscono i continenti alla Dorsale medio atlantica, dividono il fondo oceanico in numerosi bacini. Alcuni dei più grandi sono i bacini della Guiana, del Nord America, di Capo Verde e delle Canarie nell'Atlantico del Nord, mentre in quello del Sud si trovano i bacini dell'Angola, dell'Argentina e del Brasile.

Il fondo marino è considerato in genere abbastanza piatto, anche se non mancano montagne, fosse e altre caratteristiche. Due fosse superano gli 8 000 m di profondità. Le piattaforme continentali, vicino alle terre emerse, costituiscono circa l'11% del fondo oceanico. Inoltre, molte formazioni simili a canali scavati tagliano queste piattaforme.

I sedimenti depositati sul fondo hanno origini disparate.

I depositi terrigeni sono composti da particelle di sabbia, fango e roccia, formate dall'erosione dell'acqua, del vento e dall'attività vulcanica della terraferma, e poi trasportate da fiumi e piogge verso il mare. Questi materiali si trovano principalmente:

sulle piattaforme continentali, ove sono più spessi presso la foce dei grandi fiumi (come il delta del Niger);
ai piedi delle scarpate continentali, ove si accumulano in grandi conoidi torbiditiche per opera delle correnti torbide prodotte da grandi frane sottomarine o convogliate direttamente dalle foci dei fiumi attraverso canyon sottomarini (è il caso del Congo).
I deposti pelagici sono formati dai resti di organismi che vanno a fondo quando muoiono (possono essere silicei, come i radiolari e le diatomee, o calcarei, come i foraminiferi). Coprono la maggior parte del fondo marino, con spessori che vanno da 120 a più di 3 000 m, con lo spessore minimo in corrispondenza della Dorsale. I depositi autogenici o autigeni sono assembramenti di minerali, come i noduli di manganese, prodottisi per precipitazione dalle acque oceaniche in particolari condizioni di chimismo e temperatura. Sono comuni dove le altre tipologie di sedimentazione sono assenti.

La salinità delle acque di superficie nell'oceano aperto va da 33 a 37 parti per mille, e varia con la latitudine e le stagioni. Anche se i valori minimi di salinità si trovano appena a nord dell'equatore, in genere i valori più bassi si trovano alle alte latitudini, e vicino alle foci di grandi fiumi che immettono le loro acque dolci nell'oceano. I massimi valori di salinità si trovano attorno alla latitudine 25° nord. I valori di salinità superficiale sono influenzati dall'evaporazione, dalle precipitazioni, dall'apporto di acqua dolce dei fiumi e, nelle zone più fredde, dallo scioglimento dei ghiacci.

La temperatura delle acque superficiali varia con la latitudine, con le correnti, le stagioni e la distribuzione di energia solare. Lungo l'Oceano, varia da meno di 2 °C nelle regioni polari fino a 29 °C all'equatore. Nelle medie latitudini, la temperatura è intermedia, ma soggetta a grandi variazioni (fino a 7 o 8 °C). A causa delle basse temperature, la superficie è normalmente coperta di ghiaccio nel mare del Labrador, nello Stretto di Danimarca e nel mar Baltico da ottobre a giugno.

L'oceano Atlantico consiste di quattro principali masse d'acqua. Le acque centrali dell'Atlantico del Nord e del Sud costituiscono le acque superficiali. L'acqua intermedia sub-antartica si estende alle profondità di 1 000 m. L'acqua profonda del Nord Atlantico raggiunge la profondità di 4 000 m. L'acqua antartica di fondo occupa i bacini oceanici a profondità maggiori di 4 000 m.

A causa della forza di Coriolis, l'acqua del Nord Atlantico circola in senso orario, mentre l'acqua del Sud Atlantico circola in senso antiorario. Le maree dell'Oceano sono semidiurne, cioè comprendono due alte maree nell'arco delle 24 ore. Le maree sono un'onda che si muove da sud a nord. A latitudini superiori a 40°, è presente anche un'oscillazione est-ovest.

Il clima Atlantico e delle terre adiacenti allo stesso Oceano ed è influenzato dalla temperatura delle acque superficiali, dalle correnti oceaniche e dai venti che soffiano sopra le acque. A causa della grande capacità dei mari di trattenere il calore, i climi marittimi sono temperati, e non presentano variazioni stagionali estreme. Le precipitazioni risentono enormemente dell'Oceano, perché l'evaporazione dell'acqua oceanica è una delle fonti principali di vapore acqueo.

Le zone climatiche cambiano con la latitudine: le zone più calde attraversano l'Atlantico a nord dell'equatore. Le zone più fredde si trovano a grandi latitudini, e specialmente nelle zone coperte di ghiaccio.

Le correnti oceaniche contribuiscono al clima, trasportando acqua calda e fredda in diverse regioni. I venti che soffiano su queste acque contribuiranno poi a riscaldare o raffreddare le terre adiacenti.

La corrente del Golfo, per esempio, riscalda l'atmosfera delle isole Britanniche e dell'Europa del Nord (che altrimenti sperimenterebbero temperature ben più basse), mentre le correnti fredde contribuiscono alla formazione di nebbia al largo delle coste nordest del Canada, e delle coste nordovest dell'Africa. Dona alle zone un clima più caldo rispetto alle altre aree situate alla stessa latitudine.

I cicloni tropicali (uragani) si sviluppano al largo della costa africana vicino a Capo Verde, e si muovono verso ovest nel mare Caraibico. Gli uragani possono formarsi da maggio a dicembre, ma sono più frequenti tra agosto e novembre. Le tempeste sono comuni nell'Atlantico del Nord durante l'inverno, rendendo pericolosa la traversata.

Un metodo che calcola la temperatura dell'acqua nella parte settentrionale dell'Oceano è l'indice AMO.

Gli iceberg sono molto comuni nello stretto di Davis, nello stretto di Danimarca, e nell'Atlantico nordoccidentale da febbraio ad agosto. A volte sono stati visti anche molto a sud, vicino alle Bermude e alle isole Madeira. Le navi svilupperanno ghiaccio sulla loro struttura nell'Atlantico più a nord da ottobre a maggio. Il caso più famoso di incidente dovuto a un iceberg nel Nord Atlantico è l'affondamento dell'RMS Titanic il 15 aprile 1912. La nebbia persistente può essere un pericolo da maggio a settembre. Uragani da maggio a dicembre. Nell'Ottocento si verificarono casi di affondamento di navi a vapore con scafo in legno, quindi più fragile nell'impatto con le onde durante le tempeste.

Ci sono molte specie marine in pericolo, tra cui le mante, i leoni marini, le tartarughe, le balene, le foche ed anche specie ittiche che per riprodursi migrano risalendo i fiumi che sfociano nell'Oceano come la cheppia (Alosa fallax). Le reti a strascico hanno accelerato il declino delle riserve di pesca e sono soggetto di aspre dispute internazionali. Inquinamento da fogne al largo degli Stati Uniti, del sud del Brasile e dell'Argentina. Inquinamento da petrolio nel mare Caraibico, nel Golfo del Messico, e nel mare del Nord. Inquinamento da fogne e industrie nel mar Baltico e mare del Nord.

Punti critici sono lo Stretto di Gibilterra e l'accesso al Canale di Panamá. Gli stretti strategici includono lo Stretto di Dover, gli Stretti della Florida, il Canale della Mona e il Canale Sopravento. Durante la guerra fredda, il cosiddetto passaggio di Groenlandia-Islanda-Regno Unito (GIUK) era un problema strategico di grande importanza, e il fondale fu riempito di idrofoni per rilevare il movimento dei sottomarini sovietici.

Nell’Oceano Atlantico settentrionale una microscopica alga marina è così fiorente da sfidare ogni previsione scientifica, suggerendo un che sia in corso da decenni un rapido cambiamento ambientale dopo un aumento dell’anidride carbonica nell’oceano.

Il CPR survey è uno studio in continuo del  plancton, organismi galleggianti che formano una parte fondamentale della catena alimentare marina. Il progetto è stato lanciato da un biologo marino britannico nel Nord Atlantico e del Mare del Nord nei primi anni ’30 ed è condotto da navi commerciali che trainano retini per la raccolta di plancton mentre  navigano lungo le loro normali rotte.

Un altro degli autori, lo statunitense William M. Balch del the Bigelow Laboratory for Ocean Sciences del Maine, uno dei massimi esperti di alghe del mondo, ha detto che «Gli scienziati si aspettavano che l’acidità degli oceani, dovuta ad un aumento dell’anidride carbonica avrebbe soppresso questi organismi dal guscio calcareo. Non è stato così. D’altra parte, un loro maggiore abbondanza è coerente con la loro storia di indicatori del cambiamento ambientale. I coccolitoforidi sono stati in genere più abbondante durante il periodo interglaciale caldo della Terra e nei periodi con elevata CO2. I risultati qui presentati sono coerenti con tutto questo e possono far presagire, come il “canarino nella miniera di carbone”, dove siamo diretti climatologicamente. Questo ci  fornisce un esempio di come le comunità marine di  un intero bacino oceanico stanno rispondendo all’aumentare dei livelli di biossido di carbonio. Tali esempi di vita reale dell’impatto di aumentare di CO2  sulla rete trofica marina sono importanti da evidenziare  mentre il mondo si riunirà a Parigi la prossima settimana in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici».

I coccolitoforidi sono alghe monocellulari ricoperti di singolari strutture chiare fatte di carbonato di calcio e svolgono un ruolo nel ciclo del carbonato di calcio, un fattore che determina i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera. Nel breve periodo rendono più difficile da rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera, ma nel lungo periodo –  di decine e centinaia di migliaia di anni – aiutano a rimuovere la CO2 dall’atmosfera e degli oceani e a confinarla nelle profondità oceaniche.

Queste minuscole creature da eoni lasciano il loro segno sul nostro pianeta, aiutando gli odierni scienziati a decifrare i cambiamenti ambientali più significativi. Le bianche scogliere di Dover sono candidea causa dei massicci depositi di coccolitoforidi. Ma un esame più attento mostra che  i depositi bianchi sono interrotti da sottili strati scuri di selce, prodotte da organismi che hanno gusci vitrei in silicio, Gnanadesikan spiega che «Questi rappresentano chiaramente importanti cambiamenti nel tipo di ecosistema. Ma se non si capisce che cosa provoca l’abbondanza dei  coccolitoforidi, non possiamo capire che cosa sta provocando questi cambiamenti. E’ l’anidride carbonica?»

Scoperte per la prima volta in mare aperto delle 'zone morte', nell'oceano Atlantico, al largo delle coste dell'Africa occidentale. Si tratta di aree in cui i livelli di ossigeno sono talmente bassi che la vita è quasi impossibile e in cui riescono a vivere solo alcune specie di microorganismi. A osservarle i ricercatori guidati da Johannes Karstensen, dell'Helmholtz Centre for Ocean Research di Kiel in Germania, il cui lavoro è pubblicato sulla rivista Biogeosciences. Le zone morte sono aree inospitali per la maggior parte delle specie marine, create dalla circolazione delle correnti e grandi vortici d'acqua che si muovono lentamente verso ovest.

Arrivando in prossimità di un'isola, potrebbero provocare l'uccisione di massa di molti pesci. "Prima del nostro studio - spiega Karstensen - si pensava che il mare aperto del Nord Atlantico avesse delle concentrazioni minime di ossigeno di un millimetro di ossigeno dissolto per litro. Una concentrazione molto bassa, ma sufficiente a far sopravvivere i pesci". Ora si è invece scoperto che hanno un livello minimo di ossigeno 20 volte inferiore a quello stimato prima, cioè inadatte per la vita della maggior parte degli animali marini.

Le zone morte sono molto comuni vicino i litorali dove i fiumi sversano fertilizzanti e altre sostanza chimiche nell'oceano, scatenando la crescita di alghe. Quando queste muoiono, cadono sui fondali morali e vengono decomposte dai batteri, che consumano tutto l'ossigeno in questo processo.

Le correnti oceaniche possono muovere queste acque con poco ossigeno dalla costa, ma una zona morta che si forma in oceano aperto ancora non era stata scoperta. "I vortici che abbiamo osservato con maggiore dettaglio - continua Karstensen - sono come dei cilindri rotanti di 100-150 km di diametro e un'altezza di diverse centinaia di metri, con la zona morta che occupa i 100 metri più in alto. L'area intorno a questi vortici di zone morte rimane ricca di ossigeno. Abbiamo stimato che il consumo di ossigeno nei vortici - conclude - è 5 volte maggiore che nelle condizioni oceaniche normali".




martedì 10 novembre 2015

IL GOLFO DI BISCAGLIA



Il golfo di Biscaglia o golfo di Guascogna è una parte dell'oceano Atlantico di nord-est che bagna due paesi europei: la Francia dell'ovest, dalla Bretagna ai Pirenei Atlantici e la Spagna del nord, lungo le coste dei Paesi Baschi sino alla Galizia.

Il golfo copre una superficie di circa 225 000 km²; le coste est (francesi), sino alla foce dell'Adour, sono piatte e, a sud della foce della Gironda con dune; oltre la foce dell'Adour le coste diventano rocciose e dirupate; i fondali bassi a est, nella parte mediana scendono sino a oltre 5 000 m.

La sua denominazione varia a seconda delle nazioni e delle province:
golfo di Guascogna in Francia, dal nome della provincia che si affacciava su quel golfo;
golfo di Biscaglia in Spagna dall'omonima provincia, anche se a volte il nome copre solo la parte dei Paesi Baschi, mentre il resto del golfo tra la Cantabria e la Galizia è chiamato mar Cantabrico (anche i Romani lo chiamavano Sinus Kantabrorum, seno (golfo) dei Cantabrici); Bizkaiko Golkoa nei Paesi Baschi.

Le coste spagnole sono alte e rocciose, in gran parte piatte e dunose quelle francesi. La regione costiera francese è intagliata da alcuni ampi estuari e numerose baie che hanno favorito lo sviluppo di buoni porti (Bordeaux, Nantes); le comunicazioni sono rese più agevoli dai lunghi fiumi che vi sfociano (Garonna, Charente, Loira), in parte navigabili.

I venti forti del mare del nord che battono il golfo sono originati dalle basse pressioni localizzate sulle isole britanniche ed il mar del Nord, combinate con l'anticiclone delle Azzorre.

La formazione rilevante di onde lungo il litorale favorisce la pratica del surf nelle stazioni balneari della Costa d'Argento (in Aquitania, tra la foce della Gironda e la foce dell'Adour) e della costa Basca.
Il golfo possiede delle risorse ittiche che favoriscono la pesca.
Anche il cabotaggio è un'importante attività del golfo: traversata Spagna-Inghilterra con due linee di traghetti Santander-Plymouth e Bilbao-Portsmouth.
La presenza di numerose stazioni balneari favorisce anche una notevole attività turistica; le stazioni più note sono: La Baule-Escoublac, Les Sables-d'Olonne, Royan, Arcachon, Biarritz, San Sebastián.
Numerose specie di pesci ed organismi marini di faune temperate calde (ad esempio la cernia bruna, l'orata ed il sarago maggiore) trovano qui il loro limite nord. Così pure molte specie a distribuzione settentrionale trovano in questo golfo il loro limite sud (ad esempio il merluzzo).



Entro la fine del secolo le zone inondabili che si affacciano sul golfo di Biscaglia, la parte dell’Oceano Atlantico che bagna Francia e Spagna, potrebbero triplicarsi a causa degli effetti dei cambiamenti climatici. E’ la stima effettuata dai ricercatori del Consejo Superior de Investigaciones Cientificas (CSIC) e del Centro Tecnologico AZTI-Tecnalia e contenuta in un lavoro pubblicato su Climate Research. E’ stato anche previsto che la meta’ delle zone inondabili potrebbe ospitare, alla fine del secolo, strutture residenziali e industriali. Lo studio ha analizzato l’impatto di violente inondazioni causate dalla combinazione delle fluttuazioni delle maree e del cambiamento del livello del mare nella regione. “Abbiamo scelto quest’area geografica perche’ sono disponibili numerosi dati topografici – ha spiegato Marta Marcos, dell’Instituto Mediterraneo de Estudios Avanzados del Csic – che hanno permesso una grande precisione nel determinare in modo affidabile i livelli di piena e le tipologie di zone colpite“. Per sviluppare il modello di previsione, i ricercatori hanno preso in considerazione due scenari climatici possibili tra quelli definiti dall’IPCC – Intergovernmental Panel on Climate Change. Per ciascuno si e’ tenuto conto degli effetti – ottenuti tramite simulazioni numeriche – del graduale aumento del livello del mare a causa del riscaldamento e del disgelo, nonche’ le variazioni nelle tempeste. In questo modo i ricercatori hanno definito, rispetto agli scenari considerati, i livelli massimi dell’intero secolo.




mercoledì 23 settembre 2015

LE ISOLE FAER OER



Un arcipelago formato da 18 isole, immerse nell'oceano Atlantico settentrionale, e territorio autonomo danese situato più a nord. Le isole Faroe, con i suoi 50,000 abitanti, sono un paradiso naturalistico straordinario che rivela paesaggi mozzafiato, pittoreschi villaggi di pescatori, innumerevoli specie di uccelli e greggi di pecore.

Questa è la carta d'identità delle Isole Faroer, appartenenti politicamente alla Danimarca, ma fiere della loro autonomia, tanto che il loro territorio non fa parte dell'Unione Europea: si tratta infatti di una regione autonoma associata alla Danimarca, forse perché i suoi orgogliosi abitanti sono più affini agli antichi Vichinghi e ai popoli scandinavi che al continente Mitteleuropeo.

Esseri fatati, saggi gnomi portafortuna, folletti dispettosi e soprattutto il mitico "Popolo dei Grigi", rappresentazione leggendaria di entità potenti e ostili alla natura, sono gli interpreti principali di favole centenarie giunte fino ai nostri giorni grazie agli affascinanti racconti dei pescatori locali. I Grigi hanno abitudini inconsuete ed inquietanti, fra le quali quelle di dimorare sottoterra o in caverne o scomodi anfratti, e non sanno nuotare, attitudine piuttosto insolita per chi vive in un territorio interamente circondato dal mare.

Interminabili distese di prati verdi che si interrompono improvvisamente nell'azzurro del mare tempestoso; maestose cascate che compaiono inaspettatamente fra le valli e che si tuffano nell'oceano, fra imponenti scogliere e tenebrosi faraglioni, dove dimorano migliaia di uccelli marini, il cui stridio interrompe il silenzio della solitudine, inframmezzato unicamente dall'incessante sibilo del vento.

E' proprio la caratteristica forma geografica delle Faroer a creare panorami unici, grazie al fatto che nessun luogo delle isole dista dal mare più di cinque chilometri, che la montagna più alta non supera i 900 metri di altezza e che la quasi totale mancanza di alberi consente allo sguardo di spaziare senza limiti verso un orizzonte di 360°, comunicando a chi osserva una duplice sensazione di solitudine e di intima e totale appartenenza allo sconfinato universo del Creato.

Un popolo abituato a vedere la luce solo per poche ore durante il lungo inverno, approfitta di ogni momento utile per stare all'aria aperta durante la bella stagione. Le Faroer sono infatti attraversate dal 7° meridiano ad ovest di Greenwich e dal 62° parallelo a nord dell'Equatore, a pochi gradi dal Circolo Polare Artico, ma il loro clima è mitigato dalla Corrente del Golfo, che rende le temperature invernali non molto diverse da quelle di Milano, grazie ad un mare sempre sgombro di ghiacci, mentre l'estate somiglia ad una lunga e umida primavera, con temperature che oscillano fra i 10 e i 15° centigradi.



Il toponimo Fær Øer (in feringio Føroyar e in danese: Færøerne), la cui prima parte è attestata in norreno nella forma scritta fær, viene tradizionalmente interpretata secondo il danese fåre-øerne, "isole delle pecore". Troviamo per la prima volta questa interpretazione nella Historia Norvegiae, dove l'errata lezione nordica farcar è tradotta con insulæ ovium: il testo aggiunge che i coltivatori faroesi possedevano ricchi greggi di pecore composte da migliaia di capi. La difficoltà è che il termine fåre/fær è sconosciuto in norreno e nelle lingue scandinave occidentali ("pecora" è in norreno sauðr, da cui il feringio seyður e il norvegese sau).

Recentemente si è anche discusso sulla possibilità, peraltro data ormai quasi per certa e largamente accettata, che il nome significhi "isole remote" (dall'antico germanico Far-Før-Fær, ovvero "lontano", presente anche nell'inglese far, e dal norvegese Øy, ovvero "isola").

Tra le proposte alternative, interessante ma remota quella secondo la quale il toponimo si originerebbe da una radice celtica: fær deriverebbe da un irlandese fearann, "terra", parola che i coloni scandinavi avrebbero accolto, rimotivandola.
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La storia delle origini dell'arcipelago delle Fær Øer non è ben nota, anche se si ritiene l'ex-presenza dei vichinghi coloni di Naddoddr, lo scopritore dell'Islanda. Si pensa ci fossero anche monaci irlandesi giunti dalla vicina Scozia o direttamente dall'Irlanda verso il VI secolo. San Brendano di Clonfert, monaco irlandese e Papar, si suppone abbia visitato le Fær Øer in due o tre occasioni (512-530), nominando due delle isole Sheep Island e Paradise Island of Birds. Nel tardo settimo secolo agli inizi del secolo ottavo nelle isole vi era la presenza di monaci provenienti dall'Irlanda, per la conversione e l'evangelizzazione e anche per la solitudine del romitaggio, infatti sia le Fær Øer sia l'Islanda erano per loro come un eremo.

Secondo la Saga dei Faroesi, gli emigranti che lasciarono la Norvegia per sfuggire alla tirannia di Harald I si insediarono nelle isole all'incirca all'inizio del IX secolo. Nell'XI secolo il Cristianesimo venne introdotto da Sigmundur Brestirson, la cui famiglia era originaria delle isole del sud, ma era stata sterminata nel corso di un'invasione degli abitanti delle isole del nord, obbligandolo a rifugiarsi in Norvegia. Sigmundur Brestirson venne poi inviato a conquistare le isole dal re di Norvegia Olaf I. Dopo aver preso possesso delle isole, Sigmundur Brestirson fu assassinato, ma i norvegesi mantennero il loro controllo fino al 1397, quando la Norvegia entrò in un'unione con la Danimarca, che gradualmente evolse nella doppia monarchia Danese-Norvegese. La riforma protestante raggiunse le Fær Øer nel 1538. Quando la Norvegia venne separata dalla Danimarca con il trattato di Kiel del 1814, fu la Danimarca a mantenere il possesso delle Fær Øer.

Il monopolio danese del commercio con le Fær Øer fu abolito nel 1856. Il paese cominciò allora a svilupparsi in una nazione moderna, dedita principalmente alla pesca, e con una propria flotta. Il risveglio dei sentimenti nazionali, cominciato nel 1888, fu all'inizio orientato sull'ambito culturale, in particolare sulla rinascita della lingua faroese. Dopo il 1906 si rafforzò l'indipendentismo politico, con la fondazione dei primi partiti politici delle Fær Øer.

Il 12 aprile 1940, le Fær Øer furono occupate dalle truppe del Regno Unito, come contromossa all'invasione della Danimarca da parte della Germania nazista. Questa azione fu decisa per scongiurare una possibile occupazione tedesca nelle isole, che avrebbe potuto avere gravi conseguenze per gli esiti della seconda battaglia dell'Atlantico. Tra il 1942 e il 1943 gli Inglesi costruirono l'unico aeroporto delle Fær Øer, l'aeroporto di Vágar.



Il controllo delle isole ritornò alla Danimarca dopo la guerra, ma nel 1948 venne introdotta la cosiddetta Hjemmestyre (o, in feringio, Heimastýrislógin), che garantiva un alto grado di autonomia locale. Le Fær Øer scelsero di non unirsi alla Danimarca al momento del suo ingresso nella Comunità europea, ora Unione europea, nel 1973. Le isole hanno incontrato considerevoli difficoltà economiche in seguito al crollo dell'industria della pesca nei primi anni novanta, ma da allora si sono moltiplicati gli sforzi per aumentare il grado di diversificazione dell'economia. Nel frattempo è cresciuto il sostegno popolare per l'indipendenza, che è l'attuale obiettivo del governo.

La lingua nazionale è la lingua faroese, lingua indoeuropea appartenente al gruppo delle lingue germaniche e al sottogruppo del germanico settentrionale (o scandinavo), assieme al danese, al norvegese (bokmål e nynorsk), allo svedese e all'islandese.

Il Trattato di Kiel del 1814 pose fine all'unione tra Danimarca e Norvegia. La Norvegia passò sotto il controllo del Re di Svezia, ma le Fær Øer, l'Islanda e la Groenlandia rimasero in mani danesi. In seguito a questi eventi, il Løgting fu sciolto nel 1816, e il governo delle Fær Øer divenne quello di una regione della Danimarca, con un Prefetto incaricato del controllo delle isole. Nel 1852 il Løgting venne ristabilito, ma fino al 1948 non ebbe altri poteri al di fuori di quelli consultivi.

Alla fine della seconda guerra mondiale, parte della popolazione era favorevole all'indipendenza dalla Danimarca, e il 14 settembre 1946 si tenne un referendum sull'eventuale secessione. Era la prima volta in cui i Faroesi avevano l'opportunità di esprimersi a favore dell'indipendenza, o di scegliere di continuare a far parte del Regno di Danimarca. Il risultato del referendum produsse una piccola maggioranza a favore della secessione, ma fu immediatamente seguito da alcuni eventi che impedirono di portare a termine la separazione dalla Danimarca.

La maggioranza nel parlamento faroese cadde e, in seguito a nuove elezioni, i partiti contrari all'uscita dal Regno di Danimarca, avendo visto crescere il loro elettorato, formarono una coalizione e decisero di non approvare la secessione. Al suo posto venne raggiunto un compromesso e il parlamento danese approvò un regime di ampia autonomia, detto anche Home Rule, che entrò in vigore nel 1948. Le Fær Øer cessarono così di essere considerate una dipendenza della Danimarca, ottennero un ampio controllo sui propri affari e un sostegno economico annuale non irrilevante dalla Danimarca.

Gli isolani sono a tutt'oggi divisi tra quelli favorevoli all'indipendenza e quelli che preferiscono continuare a essere parte del Regno di Danimarca, con numerose opinioni intermedie. Alcuni sono a favore di un'immediata e unilaterale dichiarazione d'indipendenza, altri ritengono sia necessario raggiungere l'autonomia gradatamente e in pieno consenso con il governo danese. Sono anche molti coloro che accettano di buon grado un graduale incremento dell'autonomia, ma sempre mantenendo un forte legame con la Danimarca.

In seguito al Trattato di Famjin del 29 marzo 2005 stipulato tra la Danimarca e le Fær Øer, le isole acquisiscono una sempre maggiore autonomia nel campo della politica estera e della sicurezza.

Dopo un periodo di crisi economica nei recenti anni novanta, che ha portato a un drastico calo dell'attività di pesca, negli ultimi pochi anni le Fær Øer si sono riprese, e la disoccupazione è scesa al 5% a metà 1998, per poi tuttavia risalire negli anni successivi. Tuttavia, la quasi totale dipendenza nella pesca fa sì che l'economia resti estremamente vulnerabile. I Faroesi sperano di ampliare la loro base economica costruendo nuove strutture per il processo dei prodotti ittici. Il petrolio trovato vicino alle Fær Øer dà una speranza per l'esistenza di giacimenti nell'area circostante, che potrebbero garantire una sicura prosperità economica.

Dal 2000, sono stati promossi nelle Isole la tecnologia dell'informazione e alcuni progetti economici per attrarre nuovi investimenti. Il risultato di questi progetti non è ancora noto, ma si spera possa portare una migliore economia di mercato nelle Fær Øer.

Le Fær Øer hanno una bassa percentuale di disoccupazione, ma questo non è necessariamente segno di una riconversione economica, dal momento che giovani e studenti si spostano in Danimarca e in altri paesi una volta terminata la scuola dell'obbligo. Rimane nelle Isole una fascia di popolazione di età medio-alta, che non ha gli strumenti e le conoscenze per espandere l'utilizzo delle tecnologie moderne nelle Fær Øer.

Si segnalano alcune esperienze positive nell'utilizzo delle energie rinnovabili (in particolare, fornita dal moto ondoso), la cui quota ammonta al 45% del totale del consumo energetico dell'arcipelago.



La caccia ai globicefali, o Grindadráp, è sia un'attività economica sia una tradizione per i faroesi. La maggior parte di essi la considera parte della propria cultura e non condivide le tesi di chi ne chiede l'abolizione. Voci critiche però contestano la sostanza e la modalità con cui ha luogo la mattanza e sono molteplici le iniziative a tutela dei cetacei. In particolare è criticata la tradizionale cruenta caccia che avviene all'inizio di ogni estate, in cui un migliaio di globicefali, specie di cetacei chiamati anche balena pilota e balena dalle pinne lunghe vengono spinti in prossimità delle spiagge e uccise con ami, lame e funi. Nonostante la rilevanza del fenomeno rispetto ai soli 50000 abitanti delle Fær Øer, i pescatori faroesi ostacolano l'accesso dei media per evitare maggiori critiche che comprometterebbero il turismo nelle isole.

Sull'isola Vágar è attivo l'omonimo aeroporto, da cui partono voli per diverse destinazioni in Danimarca e in Europa, mentre dal porto di Tórshavn ci sono collegamenti regolari con nave-traghetto per Norvegia e Danimarca.

A causa del territorio roccioso e scosceso delle Fær Øer, per lungo tempo il suo sistema di trasporti non è stato tanto esteso quanto quello di altri Paesi. Questa situazione è cambiata, e oggi le infrastrutture sono state sviluppate estensivamente. Circa l'80% della popolazione nelle isole è connessa da tunnel che passano al di sotto delle acque, da ponti e da argini che collegano le tre isole più grandi nel nord-est, mentre le altre due maggiori isole a sud sono connesse alla concentrazione urbana settentrionale con moderni e veloci traghetti.

In particolare il tunnel Norðoyatunnilin, lungo 6300 metri sotto lo stretto del Leirvíksfjørður, che collega la città di Klaksvík sull'isola di Borðoy con la città di Leirvík sull'isola di Eysturoy ha velocizzato i collegamenti all'interno delle isole.

Ci sono buone strade che collegano ogni villaggio nelle isole, eccetto sette piccole isole dove sorge un solo villaggio che sono comunque collegate con navette che le raggiungono almeno due volte al giorno. A oggi altri tunnel sono in progettazione per migliorare ulteriormente un già ottimo ed efficiente sistema stradale.

La maggior parte della popolazione è di etnia faroese, di origini scandinave e celtiche.

Il feringio è parlato da tutti e quasi tutti parlano anche il danese. Pressoché tutta la popolazione parla correntemente l'inglese, insegnato nelle scuole fin dall'età di cinque anni. Tra le altre lingue in genere si insegnano danese e norvegese.

La popolazione è distribuita sulla maggior parte del paese; solo recentemente si è avuto un significativo aumento dell'urbanizzazione. Le isole inoltre possiedono il tasso di fertilità più alto di tutta l'Europa, con 2,6 figli per coppia contro la media europea di 1,3.

L'industrializzazione è stata significativamente decentralizzata; il paese ha quindi potuto mantenere in modo significativo la propria cultura contadina. I villaggi dotati di strutture portuali insufficienti non hanno potuto beneficiare pienamente della conversione dall'agricoltura all'economia basata sulla pesca, e nelle zone agricole più periferiche restano solo pochi giovani. Queste zone, come Fugloy, Svínoy, Mykines, Skúvoy e Stóra Dímun, che hanno pessime reti di comunicazione col resto del paese, non possono sempre essere raggiunte a causa del cattivo tempo. Nei decenni trascorsi, la struttura sociale organizzata sulla base dei villaggi è stata sottoposta a notevoli pressioni, mentre vi è stata una crescita dei "centri" che possono offrire le merci e i servizi richiesti dalle periferie. I negozi e i centri di servizio sono dunque stati spostati dai villaggi verso i centri urbanizzati.

A dispetto di quanto potrebbe apparire, la popolazione faroese è moderna e dinamica; l'uso delle carte di credito è ovunque diffuso (persino in tutti i taxi), così come quello di internet. Qui si vengono a integrare moderno e antico, cultura e natura, la splendida natura di queste isole che da sempre ha ispirato artisti locali e non.






venerdì 18 settembre 2015

LO STRETTO DI GIBILTERRA



Nell'antichità le due località che si fronteggiano ai due lati dello stretto (le Colonne d'Ercole) si chiamavano Calpe e Abyla (rispettivamente, Gibilterra e Ceuta, oggi importanti porti).

Prima dell'apertura del canale di Suez lo stretto di Gibilterra costituiva l'unico sbocco del Mediterraneo. In ragione di ciò esso rivestì sempre grande importanza militare e commerciale.

La comunicazione tra il Mediterraneo e l'Atlantico subì, nel corso dei periodi geologici, modificazioni profonde. Nell'Eocene questa comunicazione avveniva attraverso lo stretto denominato Guadalquivir, che poi si chiuse nell'epoca dei movimenti alpini del Miocene e del Pliocene, mentre si aprì un altro stretto a sud del Rif. Dopo l'emersione di questo si stabilì l'attuale Stretto di Gibilterra.
Le ricerche oceanografiche nello stretto cominciarono circa un secolo fa, con le prime spedizioni di Dumont d'Urville (1826-29); seguirono le indagini di Carpenter, dell'amm. Magnaghi col Washington (1884), le crociere francesi del Travailleur, quelle dell'ammiraglio S. O. Makarov, del principe Alberto I, ecc. Le spedizioni norvegesi del Michael Sars, le danesi del Thor e del Dana furono oggetto di numerosi studî di Murray, Wolfenden, Hjort, J. Schmidt, Nielsen, Schott, e di altri, fino alle recenti di Rafael de Buen, dell'Istituto oceanografico spagnolo

Lo stretto di Gibilterra mette in comunicazione l'oceano Atlantico e il mar Mediterraneo.
Geograficamente è delimitato a nord dall'estremità meridionale della penisola iberica e a sud da un'exclave spagnola nella parte più settentrionale del Marocco, la città di Ceuta; prende il nome dalla rocca di Gibilterra, promontorio della penisola iberica attualmente possedimento del Regno Unito, che si trova all'imboccatura orientale dello stretto.

La sua larghezza minima è di 14 km tra punta de Tarifa e punta Cires, quella massima è di 44 km; la lunghezza è circa 60 km. La profondità massima è di circa 286 m. Lo stretto costituisce il punto di maggior vicinanza tra l'Europa (intesa come continente a sé stante, non come Eurasia) e l'Africa.



La salsedine delle acque mediterranee è maggiore di quella dell'Atlantico perché l'evaporazione della superficie del Mediterraneo non è compensata dalle piogge e dalle acque fluviali. D'altra parte la constatata costanza di salinità del Mediterraneo richiede una corrente entrante dall'Atlantico (meno salata) superficiale, che non s'inverte mai nonostante le maree, e una sottostante, più salata, uscente: la loro esistenza è nota dal 1865.

La temperatura del Mediterraneo decresce fino alla profondità di circa 350 m., rimanendo poi quasi stazionaria intorno a 13° fino alle maggiori profondità; la temperatura dell'Atlantico decresce con la profondità. La soglia sottomarina dello stretto costituisce pertanto una barriera che impedisce l'ingresso delle acque fredde dell'Atlantico. Alla profondità di 800 m., p. es., si trova a oriente dello stretto, nel Mar di Ponente, la temperatura di 12°,9 e una salsedine di oltre 38‰, mentre allo stesso livello a occidente la temperatura è di 10° e la salsedine minore del 36‰.

La corrente sottomarina attraverso lo stretto, non prosegue verso occidente, ma per l'azione deflettente della rotazione terrestre piega verso la sua destra, nel Golfo di Cadice, e poi verso NO., lambendo le coste spagnole e portoghesi. Verso il Capo Finisterre si trovano in profondità masse di acqua con 36‰ di salsedine, con un massimo a circa 1000 m., e il massimo di temperatura, circa 11°, a 700-800 m. di profondità. In una serie di stazioni di misure nel Golfo di Biscaglia fino a SO. dell'Irlanda si constatò l'esistenza, in profondità, di acque mediterranee.

Le velocità delle correnti inverse superficiale e profonda nello Stretto di Gibilterra sono soggette a variazioni periodiche dipendenti dalla marea. Inoltre esiste una variazione stagionale per effetto della diminuita evaporazione invernale, nel Mediterraneo, e al cresciuto efflusso dei fiumi, per cui si ha, da febbraio ad aprile, un aumento d'intensità della sottocorrente mediterranea, coincidente con una diminuzione della corrente atlantica superficiale; da maggio a luglio, per contro, la corrente superficiale è più intensa e la corrente profonda s'indebolisce; verso la fine dell'estate la corrente atlantica raggiunge il massimo sviluppo e la sottocorrente diminuisce considerevolmente, fin quasi a sparire. Il vento dominante, che è l'O. nello stretto, accresce la velocità della corrente superficiale verso E. Da misure recenti (1930) dell'Istituto oceanografico spagnolo R. de Buen conchiude che il regime dinamico delle correnti dello stretto non è molto semplice; che può avvenire periodicamente un attivo mescolamento delle acque dei diversi livelli che modifica i caratteri della corrente profonda; e ritiene che questo mescolamento possa spiegarsi con l'ascesa delle acque mediterranee striscianti sul fondo dello stretto, a causa della pendenza del rilievo sottomarino, che trasformerebbe la corrente inferiore in corrente inclinata verso l'alto: onde le acque del Mediterraneo, trascinate indietro, dalla corrente superficiale, ritornerebbero, almeno in parte, verso il luogo di origine.

Il paesaggio é affascinante e con l’apparizione dei cetacei l’escursione si converte in un’esperienza indimenticabile. Lo Stretto di Gibilterra é un punto strategico e per la fauna marina dell’Atlantico e del Mediterraneo è un punto in cui tutto si concentra ed é una zona di passaggio obbligatorio dove molte specie si vedono forzate ad avvicinarsi alle coste per entrare od uscire dai due rispettivi mari. A causa delle elevate temperature il Mediterraneo evapora una grande quantitá delle sue acque. É talmente importante la perdita che né le piogge né tanto meno i fiumi che in lui sfociano sono sufficienti per riporre le sue acque. Per questo dall’Oceano Atlantico l’acqua entra continuamente nel Mare Nostrum generando una corrente marina forte e permanente che, dipendendo dalle maree e dalle zone dello Stretto, puó raggiungere una velocitá da tre a cinque nodi.

Le specie di cetacei che possiamo incontrare durante gli avvistamenti sono: Delfino Rigato (o Stenello), Delfino Mulare ( o Tursiope - “Flipper”) e Delfino Comune; Balena Pilota; Orche; Capodoglio e Balenottera Comune. Si possono vedere anche gruppi di tonni, tartarughe e altre specie marine che a volte ci sorprendono come ad esempio la manta razza e il pesce spada. Tutti gli anni da metá a fine estate le orche arrivano nelle acque dello Stretto cercando i banchi di tonni. É proprio in questo periodo che organizziamo uscite speciali, di tre ore – tre ore e mezza,per poter osservare questi impressionanti mammiferi.



Il tunnel sotto lo stretto di Gibilterra è un ipotetico tunnel che attraverserà lo stretto di Gibilterra andando a collegare l'Europa con l'Africa.

Il governo della Spagna e quello del Marocco hanno nominato un comitato misto per valutare la fattibilità di collegare i due continenti. Ciò ha portato al progetto Euromed.

Nel corso degli anni sono stati proposti diversi progetti. La Spagna propose infatti una galleria sotto lo stretto di Gibilterra già nel 1930. Sorse però un grosso problema quando gli ingegneri assunti dal governo spagnolo scoprirono che il materiale roccioso era costituito da rocce estremamente dure, ciò rendeva la creazione del tunnel quasi impossibile con la tecnologià disponibile all'epoca. Si pensò allora di prefabbricare il tunnel in varie sezioni e poi di appoggiarlo al fondo dello stretto fissandolo tramite cavi. Il tunnel avrebbe gestito sia il traffico derivante dalle auto e dai camion, che il traffico su rotaia. Ma questa soluzione non ebbe poi alcun seguito.

Nel marzo 2009 è stata attivata una collaborazione tra la società marocchina "Société Nationale d'Etudes du Détroit de Gibraltar" (Sned) con il suo omologo spagnolo la "Sociedad Española de Estudios para la comunicación fija un Traves del Estrecho de Gibraltar SA" (SECEGSA) con obiettivo di realizzare un sistema comune di collegamento.

L'idea di fare transitare all'interno del futuro tunnel anche i veicoli stradali come auto e camion è stata ridimensionata. Attualmente infatti sviluppare un sistema di ventilazione per rimuovere i gas di scarico da un tunnel di queste caratteristiche sarebbe una sfida ingegneristica molto difficile. Il tunnel sarebbe quindi esclusivamente di tipo ferroviario.

La profondità dello stretto tocca i 900 metri in corrispondenza del percorso più breve, mentre è di circa 300 metri un po' più a ovest dove le placche europea e africana si incontrano. La più breve traversata è di circa 14 chilometri mentre il percorso proposto si svolge a ovest di Tarifa e ad est di Tangeri. Il percorso non sarà rettilineo ed avrà una lunghezza probabile di circa 34 km in tutto.

Il progetto sarebbe stato finanziato da due aziende di proprietà pubblica, SECEGSA Spagna e Sned in Marocco, con il supporto economico della Unione europea. Non è invece ancora chiaro se questo sarà un progetto Euromed o un consorzio commerciale.


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sabato 12 settembre 2015

IL TRIANGOLO DELLE BERMUDA



Conoscono tutti oramai, almeno per sentito dire, quel tratto di Oceano Atlantico, racchiuso idealmente in un triangolo, che ha come vertici  il punto più meridionale della costa dell’Arcipelago delle Bermude, il punto più occidentale dell’isola di Porto Rico e il punto più a Sud della penisola della Florida, detto proprio Triangolo delle Bermude.

Dagli anni’50 in poi una cospicua letteratura popolare ha infarcito il mistero attraverso racconti metropolitani di sparizioni di navi e aerei che transitavano nei pressi, o nel triangolo; come anche numerosi sono gli aneddoti di piloti ed equipaggi di navi che hanno assistito a fenomeni anomali di natura metereologica e magnetica. Trait d’union di quasi tutti i racconti di coloro che sono entrati, e usciti indenni dal triangolo, sono:
la perdita dell’orientamento;
del controllo degli strumenti;
anomalie sui segnali della bussola;
improvvisi sbalzi climatici e riduzioni della visibilità.
Sulle possibili cause di questi fenomeni si è detto di tutto e di più e le versioni ufficiali parlano di una percentuale di incidenti nella norma, se paragonata a qualunque altra tratta di Oceano, attribuendo le sparizioni a errori umani o guasti meccanici.

Ma in realtà una vera anomalia oggettiva nel triangolo c’è, ed è nota fin dagli anni’70, ma come spesso accade, viene poche volte evidenziata e quasi mai raccontata. Un po’ come accade per la Piramide di Cheope (che in qualche modo c’entra anche con il Triangolo delle Bermude) che malgrado presenti evidenti elementi che fanno presupporre ad una datazione più remota e funzione diversa da quella di monumento funebre, la storia che si racconta è sempre la stessa.
Nel 1970 il dottor Ray Brown impegnato in una ricerca di relitti a largo delle isole Bahamas si trova dinanzi ad una scoperta sensazionale: una struttura piramidale fatta completamente di materiale translucido, forse vetro o cristallo, di proporzioni ben maggiori della piramide di Cheope, di circa 200 metri per 100.

L’area in cui sorge la Piramide è assai difficoltosa da esplorare dato il picco dei fenomeni su citati e una serie di altre anomalie che investono i sub durante le investigazioni. Inoltre il fondale è assai irregolare; profondo mediamente alcune decine di metri diventa improvvisamente un muro d’acqua di 4000 metri. Attorno alla Piramide sono presenti numerose altri resti di costruzioni la cui architettura richiama tanto l’antico Egitto, quanto i villaggi sud-americani precolombiani. La scoperta del dott. Brown non finisce qui. Trovata un’apertura sul bordo della Piramide vi entra trovandosi prima in un lungo corridoio e quindi una una grande sala. All’interno di questa si distinguono nitidamente una sorta di Ara votiva su cui delle mani in metallo reggono una sfera e sette sedute sistemate attorno ad essa. Il Dottor Brown decise così di prelevare la sfera di cristallo per portarla in superficie.

Da una prima analisi il cristallo si presenta come una sfera perfetta al cui interno delle sfumatura cristalline compongono altre forme piramidali. Sembra inoltre presente all’interno un’incrinatura, come se fosse rotto o danneggiato, anche se la superficie esterna risulta perfettamente liscia.

Fu immediato collegare questa scoperta con la leggenda del mito di Atlantide, l’antico continente scomparso. Si narra infatti che gli abitanti di Atlantide utilizzassero una forma di energia magnetica convogliata sulla Terra per mezzo proprio delle Piramidi. La leggenda vuole che proprio un’imprudente utilizzo di questa fonte energetica abbia addirittura influito sui poli magnetici, invertendoli e creando una serie di cataclismi che poi determinarono la scomparsa stessa del continente.


Ed eccoci quindi al collegamento con gli attuali misteri del Triangolo delle Bermude.

E se questa fantomatica forma di energia in qualche modo non si sia esaurita con lo sprofondamento del continente ma continui a generare sbalzi tali da procurare il mal funzionamento degli apparecchi di bordo e quindi l’inabbissamento di navi e aerei?
E’ possibile che la Piramide di Cheope sia quindi in qualche modo un altro polo destinato all’utilizzo di quella famosa energia e si trovi non casualmente nei pressi dello stesso meridiano che attraversa il Triangolo delle Bermude?
Come mai tra le tante leggende che circondano il mistero del Triangolo delle Bermude quasi nessuno annovera questa scoperta ne tanto meno il reperimento di questa sfera?
Il cristallo si trova attualmente custodito dal Dott. Ray Brown.

Il triangolo delle Bermuda è una zona dell'Oceano Atlantico settentrionale i cui vertici sono: vertice Nord – il punto più meridionale della costa dell'arcipelago delle Bermude; vertice Sud – il punto più occidentale dell'isola di Porto Rico; vertice Ovest – il punto più a Sud della penisola della Florida. In relazione a questa vasta zona di mare, di circa 1 100 000 km², a partire dagli anni cinquanta la cultura di massa ha fatto sì che nascesse la convinzione che si fossero verificati dal 1800 in poi numerosi episodi di sparizioni di navi e aeromobili, motivo per cui alcuni autori hanno soprannominato la zona "Triangolo maledetto" o "Triangolo del diavolo".

Il 29 novembre 1925 aveva lasciato il porto di Charleston, Carolina del Sud, per dirigersi alla volta dell’Avana, Cuba. A bordo della nave c’era un equipaggio composto da 32 marinai comandati del capitano WJ Meyer, e  trasportava un carico di 2.340 tonnellate di carbone. Due giorni dopo, il primo dicembre 1925, la nave veniva data per dispersa e non è più stata vista per i successivi 90 anni. "E molto importante capire cosa è successo veramente" – ha dichiarato il Vice Presidente del Consiglio dei Ministri cubano, Abelardo Colomé – "Tali incidenti potrebbe essere davvero dannosi per la nostra economia, quindi dobbiamo fare in modo che questo tipo di perdite non accadano di nuovo. È il momento di risolvere il mistero del triangolo delle Bermuda, una volta per tutte".

Il triangolo ha vissuto particolare popolarità nei media soprattutto a partire dal libro best seller Bermuda, il triangolo maledetto (The Bermuda Triangle) del 1974 di Charles Berlitz, secondo il quale nella zona avverrebbero misteriosi fenomeni che sono stati accostati al paranormale e agli UFO.

Nonostante la reputazione "maledetta", derivante soprattutto da opere di divulgazione misteriologica come quelle di Berlitz, il numero di incidenti nel Triangolo non è affatto superiore a quello di una qualsiasi altra regione ad alta densità di traffico aeronavale: come confermato dalla Guardia costiera degli Stati Uniti, l'incidentalità è nella norma per la quantità di traffico e molti degli incidenti avvenuti sono derivati da normali cause fisiche e meccaniche.

Le prime notizie di sparizioni inusuali nel triangolo delle Bermuda risalgono al 1950 ad opera di Edward Van Winkle Jones in un articolo del 30 settembre per Associated Press. Due anni dopo il magazine Fate pubblicò "Sea Mystery At Our Back Door", breve articolo di George X. Sand che riportava la presunta sparizione di molti aerei e navi inclusa la sparizione del Volo 19 e di un gruppo di cinque navi della United States Navy. Questo articolo segna l'inizio del mito del triangolo delle Bermuda per come è conosciuto oggi. Tale articolo inoltre fu il primo a formulare una ipotesi soprannaturale per le presunte sparizioni. Un ulteriore articolo fu pubblicato nel 1964 da Vincent Gaddis che l'anno seguente pubblicò anche un libro intitolato Invisible Horizons dove approfondiva i temi trattati nell'articolo.

Negli anni seguenti furono pubblicate altre opere sul presunto mistero: John Wallace Spencer (Limbo of the Lost, 1969, rist. 1973); Charles Berlitz (Bermuda, il Triangolo maledetto, 1974); Richard Winer (The Devil's Triangle, 1974), e molte altre, tutte per lo più facenti leva su presunti fenomeni soprannaturali. Il libro rimasto più famoso è quello di Berlitz.

Lawrence David Kusche, autore del libro The Bermuda Triangle Mystery: Solved del 1975, mise in luce gravi imprecisioni e alterazioni nell'opera di Berlitz: spesso il resoconto non coincideva con i racconti di testimoni o di persone coinvolte negli incidenti e sopravvissuti. In molti casi informazioni importanti erano omesse, come ad esempio nella scomparsa di Donald Crowhurst, riportata come mistero nonostante già allora fosse chiaro che Crowhurst aveva inventato i racconti delle sue imprese e si era suicidato. Oppure come nel caso del cargo che lo scrittore Charles Berlitz nei suoi libri colloca come disperso nei pressi di un porto nell'Atlantico, quando in realtà era andato perso nei pressi di un porto dallo stesso nome ma nel Pacifico. Kusche dimostrò inoltre, tramite documentazione, come numerosi incidenti indicati come "vittime del triangolo" si fossero in realtà verificati a moltissima distanza e fossero stati inclusi in malafede.



La ricerca di Kusche portò ad alcune conclusioni:
Il numero di navi disperse è paragonabile, percentualmente, a quello di ogni altra zona dell'oceano.
In una zona di tempeste tropicali, molte delle scomparse sono facilmente spiegabili, oltre che per nulla misteriose.
Il numero di perdite è stato enormemente esagerato da una ricerca falsata.
Le circostanze delle scomparse sono state riportate in modo falsato da Berlitz: il caso più comune riguarda navi che sono date per disperse con mare calmo e assenza di vento, quando in realtà le registrazioni dell'epoca mostrano tempeste o peggio.
"La leggenda del Triangolo delle Bermuda è un mistero fatto ad arte... mantenuto in vita da scrittori che volontariamente o meno fanno uso di dati errati, argomentazioni falsate, ragionamenti svianti e sensazionalismo".
Nonostante la fama dell'area, le statistiche dei Lloyd's di Londra affermano con certezza che il "triangolo" non è né più né meno pericolosa di ogni altra zona dell'oceano, valutando il numero di incidenti e perdite per la quantità di traffico sostenuto: l'area è una delle vie commerciali più affollate al mondo e le percentuali di sparizione sono insignificanti se esaminate nel complesso.

I dati disponibili presso la United States Coast Guard confermano tali conclusioni: il numero di sparizioni e incidenti è insignificante se paragonato al traffico nell'area. La grande maggioranza delle scomparse è ricollegabile ad avverse condizioni meteomarine spesso unite a debolezza strutturale o vetustà delle navi coinvolte, nonché a ritardi nei soccorsi: gran parte delle sparizioni si sono verificate in epoche (XIX secolo e primi decenni del XX) in cui i sistemi di ricerca e salvataggio erano molto arretrati o pressoché inesistenti (l'ultima nave di dimensioni medie o grandi scomparsa nel Triangolo è stata infatti il mercantile Poet, disperso nel 1980 probabilmente per una burrasca, mentre le sparizioni in epoca successiva hanno coinvolto solo unità delle dimensioni di yacht o pescherecci).

Dando per certe le sparizioni narrate nei libri e nei giornali, vari autori legati all'ufologia hanno avanzato l'ipotesi che le sparizioni misteriose di aerei e navi nel Triangolo delle Bermude siano da imputare agli extraterrestri. Secondo gli ufologi, gli alieni considerano come loro territorio di volo l'area del triangolo delle Bermude, essendo area da loro frequentata da secoli (è ciò che disse George Adamski, il più famoso dei contattisti) e non tollerano la presenza di nessuno.

Altri autori hanno parlato di inusuali anomalie magnetiche, oppure di strati di metano che avrebbero imprigionato aerei e navi.




IL MARE DEI SARGASSI



Il Mar dei Sargassi si trova nell’oceano Atlantico ed è compreso tra le Antille e le Azzorre.

Si chiama così per la cospicua presenza di una particolare alga, il sargassum appunto, che si aggrega alle altre alghe dello stesso genere, dando origine a quello che sembra un vero e proprio “prato”.




In questo mare amano riprodursi le anguille, nonostante sia una zona ad alta concentrazione di rifiuti plastici non biodegradabili. Una curiosità del mar dei Sargassi è quello di essere un mare senza spiagge, dato che è una porzione di oceano.



Esso costituisce infatti il naturale nido d'amore delle Anguille. Questi pesci catadromi sono soliti compiere centinaia di chilometri per raggiungere l'area a largo della Florida e qui riprodursi prima di morire. Le larve poi vengono trasportate nell'oceano dalle correnti fino a giungere nelle acque dolci Europee e nel Delta del Po.