Visualizzazione post con etichetta vichinghi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta vichinghi. Mostra tutti i post

martedì 19 luglio 2016

SKELLIG MICHAEL



Skellig Michael è l'isolotto più grande delle due isole Skellig. Situato a circa 17 km dalle coste del Kerry, Irlanda, è un luogo di notevole importanza sia a livello paesaggistico e naturalistico, ma soprattutto per la presenza sulla sua sommità di uno straordinario quanto poco accessibile monastero di origine cristiana costruito nel 588 e divenuto patrimonio dell'umanità protetto dall'UNESCO nel 1996.

Il luogo non è oggetto di moltissime visite da parte dei turisti, scoraggiati dalla sua remota e sperduta posizione, ma anche da numerose restrizioni da parte del governo irlandese; solo 10 imbarcazioni hanno il permesso di salpare dalle coste del Kerry, con un massimo di 12 persone a bordo e soltanto una volta al giorno. Ne deriva che il posto è preservato in maniera eccellente.

Skellig Michael riveste particolare importanza religiosa e storica. I primi riferimenti storici all'isola, che figura anche nelle leggende irlandesi, risalgono addirittura al 1400 a.C. Una storia nata attorno al 200 d. C. circa racconta di Daire Domhain ("Re del mondo") che si prepara qui prima di un'epica battaglia con il guerriero Fionn mac Cumhaill (Finn McCool) e l'esercito dei Fianna. Ma a distinguere realmente Skellig Michael è la possibilità che offre di scoprire la vita di una comunità di monaci isolati e in balia delle intemperie.

Gli insediamenti monastici, di cui sono testimonianza le capanne in pietra a forma di alveare in cima all'isola, si ritiene risalgano al sesto secolo. Gli storici raccontano che i monaci che costruirono il sito monastico salivano ogni giorno più di 600 scalini per raggiungere l'acqua da cui pescare il cibo per la colazione. I monaci condussero quest'esistenza estrema e ascetica in questo luogo fino al XIII secolo, quando si ritiene che il peggioramento del clima li indusse a trasferirsi sulla terraferma a Ballinskelligs.

Oggi, le capanne sono ancora sferzate dal maltempo e i visitatori devono salire i 600 gradini per raggiungerle, il che significa che non è un luogo consigliato a chi ha una ridotta mobilità. Anche chi soffre di vertigini potrebbe trovare un po' eccessiva la cima, situata a circa 218 metri sull'oceano Atlantico.

Il fascino delle Skellig non si limita soltanto alle glorie del passato. Con il gruppo di isole gemelle, le Blasket, a nord, le Skellig ospitano alcune delle più numerose colonie al mondo di berte minori atlantiche e pulcinelle di mare. La natura di questo fenomeno unico è tale che un documentario radiofonico irlandese ha trascorso una notte su Skellig Michael per registrare l'effetto acustico creato dagli uccelli delle tempeste e dalle berte minori atlantiche che vivono sull'isola.

L'interno del monastero, spartano fino all'eccesso, è un'immagine palese dell'ascetismo e della vita rigorosa praticata dai monaci del primo Cristianesimo irlandese.



Il monastero sopravvisse a una razzia vichinga nell'823, con una successiva espansione culminata con la costruzione della cappella centrale all'inizio del II millennio. Fu abbandonato un secolo dopo circa dall'ultima espansione e riscoperto nel XVI secolo per pellegrinaggi annuali, ma senza residenti fissi. Nel 1826 fu costruito un faro e nel 1986 furono intrapresi dei lavori di restauro per aprire il luogo ai turisti.

Recentemente, tuttavia, l'accesso ai turisti è stato sempre più limitato per cercare di conservare al meglio questo luogo eccezionale e unico al mondo; ciò che desta più preoccupazione è la particolare scalinata, da un lato non molto sicura per le persone, dall'altro in pericolo di degradazione se percorsa da troppi visitatori.

Skellig Michael è tornata a far parlare nelle pagine dei quotidiani irlandesi il 30 luglio 2007, quando il nuotatore a lunga distanza Robert Bohane da Ballinhassig, Contea di Cork, è divenuto la prima persona ad aver mai nuotato da Skellig Michael fino alla terra ferma. L'impresa è iniziata alle 09:07 locali e terminata 6 ore e 29 minuti dopo col raggiungimento del porto di Portmagee dove 200 persone tra locali, familiari, amici e sostenitori lo stavano attendendo. Il percorso è stato di 18,7 km (11,6 miglia) in lunghezza, dato che Portmagee non è il punto più vicino alle isole.

L'aspetto selvaggio e particolare dell'isola e le sue caratteristiche hanno influenzato vari artisti di ogni genere, dai musicisti agli scrittori. George Bernard Shaw visitò Skellig Michael rimanendone estremamente colpito. Il libro per ragazzi di David Almond Skellig deve il suo nome proprio alle isole ed il ragazzo protagonista del libro si chiama proprio Michael. La canzone della cantante Loreena McKennitt Skellig parla delle ultime parole di un monaco proveniente proprio dal monastero di Skellig Michael. Anche il gruppo musicale Clannad ha scritto una canzone intitolata sempre Skellig, che parla direttamente delle isole descrivendole. Il poeta irlandese Derek Mahon ha dedicato allo Skellig Michael la poesia "At the Butler Arms".

Nell'aprile del 2008 sono state realizzate delle monete euro commemorative raffiguranti Skellig Michael per celebrare l'ingresso del sito nei luoghi protetti UNESCO avvenuto 12 anni prima.

Nel 2014 l'isola di Skellig Michael è stata usata come set cinematografico per girare alcune scene di Star Wars: Il risveglio della Forza; è stato inoltre annunciato che verrà usata anche per il secondo film della nuova trilogia della saga, con il titolo momentaneo "Episodio VIII".

Sette luoghi sacri, dedicati a san Michele, si trovano a circa 1000 chilometri di distanza l'uno dall'altro, allineati lungo una retta che, prolungata in linea d'aria, conduce (dopo circa 2000 chilometri) a Gerusalemme. Partendo dal luogo più a Nord: l'isola di Skellig Michael in Irlanda, St Michael's Mount in Cornovaglia, Mont-Saint-Michel in Francia, Sacra di San Michele all'imbocco della Val di Susa in Piemonte (vicino Torino), santuario di San Michele Arcangelo in Puglia (vicino a Foggia), Monastero di Symi in Grecia, Monastero del Monte Carmelo in Israele.

LEGGI ANCHE:  http://popovina.blogspot.it/2016/07/la-linea-dellarcangelo-michele.html





mercoledì 23 settembre 2015

LE ISOLE FAER OER



Un arcipelago formato da 18 isole, immerse nell'oceano Atlantico settentrionale, e territorio autonomo danese situato più a nord. Le isole Faroe, con i suoi 50,000 abitanti, sono un paradiso naturalistico straordinario che rivela paesaggi mozzafiato, pittoreschi villaggi di pescatori, innumerevoli specie di uccelli e greggi di pecore.

Questa è la carta d'identità delle Isole Faroer, appartenenti politicamente alla Danimarca, ma fiere della loro autonomia, tanto che il loro territorio non fa parte dell'Unione Europea: si tratta infatti di una regione autonoma associata alla Danimarca, forse perché i suoi orgogliosi abitanti sono più affini agli antichi Vichinghi e ai popoli scandinavi che al continente Mitteleuropeo.

Esseri fatati, saggi gnomi portafortuna, folletti dispettosi e soprattutto il mitico "Popolo dei Grigi", rappresentazione leggendaria di entità potenti e ostili alla natura, sono gli interpreti principali di favole centenarie giunte fino ai nostri giorni grazie agli affascinanti racconti dei pescatori locali. I Grigi hanno abitudini inconsuete ed inquietanti, fra le quali quelle di dimorare sottoterra o in caverne o scomodi anfratti, e non sanno nuotare, attitudine piuttosto insolita per chi vive in un territorio interamente circondato dal mare.

Interminabili distese di prati verdi che si interrompono improvvisamente nell'azzurro del mare tempestoso; maestose cascate che compaiono inaspettatamente fra le valli e che si tuffano nell'oceano, fra imponenti scogliere e tenebrosi faraglioni, dove dimorano migliaia di uccelli marini, il cui stridio interrompe il silenzio della solitudine, inframmezzato unicamente dall'incessante sibilo del vento.

E' proprio la caratteristica forma geografica delle Faroer a creare panorami unici, grazie al fatto che nessun luogo delle isole dista dal mare più di cinque chilometri, che la montagna più alta non supera i 900 metri di altezza e che la quasi totale mancanza di alberi consente allo sguardo di spaziare senza limiti verso un orizzonte di 360°, comunicando a chi osserva una duplice sensazione di solitudine e di intima e totale appartenenza allo sconfinato universo del Creato.

Un popolo abituato a vedere la luce solo per poche ore durante il lungo inverno, approfitta di ogni momento utile per stare all'aria aperta durante la bella stagione. Le Faroer sono infatti attraversate dal 7° meridiano ad ovest di Greenwich e dal 62° parallelo a nord dell'Equatore, a pochi gradi dal Circolo Polare Artico, ma il loro clima è mitigato dalla Corrente del Golfo, che rende le temperature invernali non molto diverse da quelle di Milano, grazie ad un mare sempre sgombro di ghiacci, mentre l'estate somiglia ad una lunga e umida primavera, con temperature che oscillano fra i 10 e i 15° centigradi.



Il toponimo Fær Øer (in feringio Føroyar e in danese: Færøerne), la cui prima parte è attestata in norreno nella forma scritta fær, viene tradizionalmente interpretata secondo il danese fåre-øerne, "isole delle pecore". Troviamo per la prima volta questa interpretazione nella Historia Norvegiae, dove l'errata lezione nordica farcar è tradotta con insulæ ovium: il testo aggiunge che i coltivatori faroesi possedevano ricchi greggi di pecore composte da migliaia di capi. La difficoltà è che il termine fåre/fær è sconosciuto in norreno e nelle lingue scandinave occidentali ("pecora" è in norreno sauðr, da cui il feringio seyður e il norvegese sau).

Recentemente si è anche discusso sulla possibilità, peraltro data ormai quasi per certa e largamente accettata, che il nome significhi "isole remote" (dall'antico germanico Far-Før-Fær, ovvero "lontano", presente anche nell'inglese far, e dal norvegese Øy, ovvero "isola").

Tra le proposte alternative, interessante ma remota quella secondo la quale il toponimo si originerebbe da una radice celtica: fær deriverebbe da un irlandese fearann, "terra", parola che i coloni scandinavi avrebbero accolto, rimotivandola.
.
La storia delle origini dell'arcipelago delle Fær Øer non è ben nota, anche se si ritiene l'ex-presenza dei vichinghi coloni di Naddoddr, lo scopritore dell'Islanda. Si pensa ci fossero anche monaci irlandesi giunti dalla vicina Scozia o direttamente dall'Irlanda verso il VI secolo. San Brendano di Clonfert, monaco irlandese e Papar, si suppone abbia visitato le Fær Øer in due o tre occasioni (512-530), nominando due delle isole Sheep Island e Paradise Island of Birds. Nel tardo settimo secolo agli inizi del secolo ottavo nelle isole vi era la presenza di monaci provenienti dall'Irlanda, per la conversione e l'evangelizzazione e anche per la solitudine del romitaggio, infatti sia le Fær Øer sia l'Islanda erano per loro come un eremo.

Secondo la Saga dei Faroesi, gli emigranti che lasciarono la Norvegia per sfuggire alla tirannia di Harald I si insediarono nelle isole all'incirca all'inizio del IX secolo. Nell'XI secolo il Cristianesimo venne introdotto da Sigmundur Brestirson, la cui famiglia era originaria delle isole del sud, ma era stata sterminata nel corso di un'invasione degli abitanti delle isole del nord, obbligandolo a rifugiarsi in Norvegia. Sigmundur Brestirson venne poi inviato a conquistare le isole dal re di Norvegia Olaf I. Dopo aver preso possesso delle isole, Sigmundur Brestirson fu assassinato, ma i norvegesi mantennero il loro controllo fino al 1397, quando la Norvegia entrò in un'unione con la Danimarca, che gradualmente evolse nella doppia monarchia Danese-Norvegese. La riforma protestante raggiunse le Fær Øer nel 1538. Quando la Norvegia venne separata dalla Danimarca con il trattato di Kiel del 1814, fu la Danimarca a mantenere il possesso delle Fær Øer.

Il monopolio danese del commercio con le Fær Øer fu abolito nel 1856. Il paese cominciò allora a svilupparsi in una nazione moderna, dedita principalmente alla pesca, e con una propria flotta. Il risveglio dei sentimenti nazionali, cominciato nel 1888, fu all'inizio orientato sull'ambito culturale, in particolare sulla rinascita della lingua faroese. Dopo il 1906 si rafforzò l'indipendentismo politico, con la fondazione dei primi partiti politici delle Fær Øer.

Il 12 aprile 1940, le Fær Øer furono occupate dalle truppe del Regno Unito, come contromossa all'invasione della Danimarca da parte della Germania nazista. Questa azione fu decisa per scongiurare una possibile occupazione tedesca nelle isole, che avrebbe potuto avere gravi conseguenze per gli esiti della seconda battaglia dell'Atlantico. Tra il 1942 e il 1943 gli Inglesi costruirono l'unico aeroporto delle Fær Øer, l'aeroporto di Vágar.



Il controllo delle isole ritornò alla Danimarca dopo la guerra, ma nel 1948 venne introdotta la cosiddetta Hjemmestyre (o, in feringio, Heimastýrislógin), che garantiva un alto grado di autonomia locale. Le Fær Øer scelsero di non unirsi alla Danimarca al momento del suo ingresso nella Comunità europea, ora Unione europea, nel 1973. Le isole hanno incontrato considerevoli difficoltà economiche in seguito al crollo dell'industria della pesca nei primi anni novanta, ma da allora si sono moltiplicati gli sforzi per aumentare il grado di diversificazione dell'economia. Nel frattempo è cresciuto il sostegno popolare per l'indipendenza, che è l'attuale obiettivo del governo.

La lingua nazionale è la lingua faroese, lingua indoeuropea appartenente al gruppo delle lingue germaniche e al sottogruppo del germanico settentrionale (o scandinavo), assieme al danese, al norvegese (bokmål e nynorsk), allo svedese e all'islandese.

Il Trattato di Kiel del 1814 pose fine all'unione tra Danimarca e Norvegia. La Norvegia passò sotto il controllo del Re di Svezia, ma le Fær Øer, l'Islanda e la Groenlandia rimasero in mani danesi. In seguito a questi eventi, il Løgting fu sciolto nel 1816, e il governo delle Fær Øer divenne quello di una regione della Danimarca, con un Prefetto incaricato del controllo delle isole. Nel 1852 il Løgting venne ristabilito, ma fino al 1948 non ebbe altri poteri al di fuori di quelli consultivi.

Alla fine della seconda guerra mondiale, parte della popolazione era favorevole all'indipendenza dalla Danimarca, e il 14 settembre 1946 si tenne un referendum sull'eventuale secessione. Era la prima volta in cui i Faroesi avevano l'opportunità di esprimersi a favore dell'indipendenza, o di scegliere di continuare a far parte del Regno di Danimarca. Il risultato del referendum produsse una piccola maggioranza a favore della secessione, ma fu immediatamente seguito da alcuni eventi che impedirono di portare a termine la separazione dalla Danimarca.

La maggioranza nel parlamento faroese cadde e, in seguito a nuove elezioni, i partiti contrari all'uscita dal Regno di Danimarca, avendo visto crescere il loro elettorato, formarono una coalizione e decisero di non approvare la secessione. Al suo posto venne raggiunto un compromesso e il parlamento danese approvò un regime di ampia autonomia, detto anche Home Rule, che entrò in vigore nel 1948. Le Fær Øer cessarono così di essere considerate una dipendenza della Danimarca, ottennero un ampio controllo sui propri affari e un sostegno economico annuale non irrilevante dalla Danimarca.

Gli isolani sono a tutt'oggi divisi tra quelli favorevoli all'indipendenza e quelli che preferiscono continuare a essere parte del Regno di Danimarca, con numerose opinioni intermedie. Alcuni sono a favore di un'immediata e unilaterale dichiarazione d'indipendenza, altri ritengono sia necessario raggiungere l'autonomia gradatamente e in pieno consenso con il governo danese. Sono anche molti coloro che accettano di buon grado un graduale incremento dell'autonomia, ma sempre mantenendo un forte legame con la Danimarca.

In seguito al Trattato di Famjin del 29 marzo 2005 stipulato tra la Danimarca e le Fær Øer, le isole acquisiscono una sempre maggiore autonomia nel campo della politica estera e della sicurezza.

Dopo un periodo di crisi economica nei recenti anni novanta, che ha portato a un drastico calo dell'attività di pesca, negli ultimi pochi anni le Fær Øer si sono riprese, e la disoccupazione è scesa al 5% a metà 1998, per poi tuttavia risalire negli anni successivi. Tuttavia, la quasi totale dipendenza nella pesca fa sì che l'economia resti estremamente vulnerabile. I Faroesi sperano di ampliare la loro base economica costruendo nuove strutture per il processo dei prodotti ittici. Il petrolio trovato vicino alle Fær Øer dà una speranza per l'esistenza di giacimenti nell'area circostante, che potrebbero garantire una sicura prosperità economica.

Dal 2000, sono stati promossi nelle Isole la tecnologia dell'informazione e alcuni progetti economici per attrarre nuovi investimenti. Il risultato di questi progetti non è ancora noto, ma si spera possa portare una migliore economia di mercato nelle Fær Øer.

Le Fær Øer hanno una bassa percentuale di disoccupazione, ma questo non è necessariamente segno di una riconversione economica, dal momento che giovani e studenti si spostano in Danimarca e in altri paesi una volta terminata la scuola dell'obbligo. Rimane nelle Isole una fascia di popolazione di età medio-alta, che non ha gli strumenti e le conoscenze per espandere l'utilizzo delle tecnologie moderne nelle Fær Øer.

Si segnalano alcune esperienze positive nell'utilizzo delle energie rinnovabili (in particolare, fornita dal moto ondoso), la cui quota ammonta al 45% del totale del consumo energetico dell'arcipelago.



La caccia ai globicefali, o Grindadráp, è sia un'attività economica sia una tradizione per i faroesi. La maggior parte di essi la considera parte della propria cultura e non condivide le tesi di chi ne chiede l'abolizione. Voci critiche però contestano la sostanza e la modalità con cui ha luogo la mattanza e sono molteplici le iniziative a tutela dei cetacei. In particolare è criticata la tradizionale cruenta caccia che avviene all'inizio di ogni estate, in cui un migliaio di globicefali, specie di cetacei chiamati anche balena pilota e balena dalle pinne lunghe vengono spinti in prossimità delle spiagge e uccise con ami, lame e funi. Nonostante la rilevanza del fenomeno rispetto ai soli 50000 abitanti delle Fær Øer, i pescatori faroesi ostacolano l'accesso dei media per evitare maggiori critiche che comprometterebbero il turismo nelle isole.

Sull'isola Vágar è attivo l'omonimo aeroporto, da cui partono voli per diverse destinazioni in Danimarca e in Europa, mentre dal porto di Tórshavn ci sono collegamenti regolari con nave-traghetto per Norvegia e Danimarca.

A causa del territorio roccioso e scosceso delle Fær Øer, per lungo tempo il suo sistema di trasporti non è stato tanto esteso quanto quello di altri Paesi. Questa situazione è cambiata, e oggi le infrastrutture sono state sviluppate estensivamente. Circa l'80% della popolazione nelle isole è connessa da tunnel che passano al di sotto delle acque, da ponti e da argini che collegano le tre isole più grandi nel nord-est, mentre le altre due maggiori isole a sud sono connesse alla concentrazione urbana settentrionale con moderni e veloci traghetti.

In particolare il tunnel Norðoyatunnilin, lungo 6300 metri sotto lo stretto del Leirvíksfjørður, che collega la città di Klaksvík sull'isola di Borðoy con la città di Leirvík sull'isola di Eysturoy ha velocizzato i collegamenti all'interno delle isole.

Ci sono buone strade che collegano ogni villaggio nelle isole, eccetto sette piccole isole dove sorge un solo villaggio che sono comunque collegate con navette che le raggiungono almeno due volte al giorno. A oggi altri tunnel sono in progettazione per migliorare ulteriormente un già ottimo ed efficiente sistema stradale.

La maggior parte della popolazione è di etnia faroese, di origini scandinave e celtiche.

Il feringio è parlato da tutti e quasi tutti parlano anche il danese. Pressoché tutta la popolazione parla correntemente l'inglese, insegnato nelle scuole fin dall'età di cinque anni. Tra le altre lingue in genere si insegnano danese e norvegese.

La popolazione è distribuita sulla maggior parte del paese; solo recentemente si è avuto un significativo aumento dell'urbanizzazione. Le isole inoltre possiedono il tasso di fertilità più alto di tutta l'Europa, con 2,6 figli per coppia contro la media europea di 1,3.

L'industrializzazione è stata significativamente decentralizzata; il paese ha quindi potuto mantenere in modo significativo la propria cultura contadina. I villaggi dotati di strutture portuali insufficienti non hanno potuto beneficiare pienamente della conversione dall'agricoltura all'economia basata sulla pesca, e nelle zone agricole più periferiche restano solo pochi giovani. Queste zone, come Fugloy, Svínoy, Mykines, Skúvoy e Stóra Dímun, che hanno pessime reti di comunicazione col resto del paese, non possono sempre essere raggiunte a causa del cattivo tempo. Nei decenni trascorsi, la struttura sociale organizzata sulla base dei villaggi è stata sottoposta a notevoli pressioni, mentre vi è stata una crescita dei "centri" che possono offrire le merci e i servizi richiesti dalle periferie. I negozi e i centri di servizio sono dunque stati spostati dai villaggi verso i centri urbanizzati.

A dispetto di quanto potrebbe apparire, la popolazione faroese è moderna e dinamica; l'uso delle carte di credito è ovunque diffuso (persino in tutti i taxi), così come quello di internet. Qui si vengono a integrare moderno e antico, cultura e natura, la splendida natura di queste isole che da sempre ha ispirato artisti locali e non.






lunedì 17 agosto 2015

I PIRATI



I pirati abbandonando per scelta o per costrizione la precedente vita sui mercantili, abbordano, depredano o affondano le altre navi in alto mare, nei porti, sui fiumi e nelle insenature.

Il sostantivo deriva dal latino ‘pirata, piratae’, che a sua volta deriva dal greco "πειρατής" (peiratès), dal verbo "πειράομαι" (peiráomai) che significa “fare un tentativo, provare un assalto”.

Le aree considerate ad alto rischio perché interessate dalla presenza di pirati sono cambiate nel corso della storia. Tra queste, il Mare Caraibico, la zona dello stretto di Gibilterra, il Madagascar, il Mar Rosso, il Golfo Persico, la costa indiana di Malabar e tutta l'area tra le Filippine, Malesia e Indonesia, dove spadroneggiavano i pirati filippini.

Il Mar Cinese Meridionale ospitava all'inizio del XIX secolo la più numerosa comunità di pirati, si stima circa 40.000, nonché la più temuta per le atrocità di cui si rendevano responsabili.

Il fenomeno della pirateria è antichissimo. Vi sono esempi di pirati nel mondo antico con gli Shardana o classico tra i Greci e i Romani, quando ad esempio gli Etruschi erano conosciuti con l'epiteto greco Thyrrenoi, (da cui poi deriva Mar Tirreno) e avevano la fama di pirati efferati; all’inizio del primo secolo a.C. il giovane Gaio Giulio Cesare fu preso prigioniero da pirati che veleggiavano nelle acque intorno all’isola di Rodi, con grandi flotte di navi enormi, secondo un famoso aneddoto riferito da autori come Svetonio (nelle Vite dei Cesari, libro I) e Plutarco (nelle Vite parallele). Gneo Pompeo Magno condusse una vera e propria guerra contro i pirati, con il sostegno del Senato romano.I pirati erano, quasi sempre, giustiziati pubblicamente.

Man mano che le città-stato della Grecia crebbero in potenza, attrezzarono delle navi scorta per difendersi dalle azioni di pirateria.

Il Mar Mediterraneo vide sorgere e consolidarsi alcune fra le più antiche civiltà del mondo ma, nello stesso tempo, le sue acque erano percorse anche da predoni del mare. L'Egeo, un golfo orientale del Mediterraneo e culla della civiltà greca, era un luogo ideale per i pirati, che si nascondevano con facilità tra le migliaia di isole e insenature, dalle quali potevano avvistare e depredare le navi mercantili di passaggio. Le azioni di pirateria erano inoltre rese meno difficoltose dal fatto che le navi mercantili navigavano vicino alla costa e non si avventuravano mai in mare aperto. L'attesa dei pirati, su una rotta battuta da navi cariche di mercanzie, era sempre ricompensata da un bottino favoloso. I pirati attaccavano spesso anche i villaggi e ne catturavano gli abitanti per chiedere un riscatto o per rivenderli come schiavi.

I pirati più conosciuti nel Medioevo furono i Vichinghi, che dalla Scandinavia attaccarono e depredarono principalmente tra l’ VIII e il XII secolo. Saccheggiarono le coste e gli entroterra di tutta l’Europa occidentale e successivamente le coste del Nord Africa e dell’Italia. La mancanza di poteri centralizzati in tutta Europa nel Medioevo favorì la pirateria in tutto il continente.

I Vichinghi navigatori esperti, i guerrieri norreni originari della Scandinavia e della Danimarca pianificavano i loro attacchi in anticipo e di solito riuscivano a sorprendere le loro prede grazie alla velocità e alla mobilità, elementi chiave delle incursioni norvegesi che le rendeva difficili da prevenire.

I pirati norvegesi si svilupparono nei primi anni dell'epoca vichinga. Dopo un primo periodo di nomadismo, stabilirono basi stabili sulle coste, insediandosi con le loro famiglie in posti come Jorvik (York), Islanda, Novgorod (Russia) e Normandia. La pirateria mise le basi per l'esplorazione finché la civiltà norvegese raggiunse il Nord America. Famosi per la loro abilità di navigatori e per le lunghe barche, i vichinghi in pochi secoli colonizzarono le coste e i fiumi di gran parte d'Europa, le isole Shetland, Orcadi, Fær Øer, l'Islanda, la Groenlandia e Terranova; si spinsero a sud fino alle coste del Nordafrica e a est fino alla Russia e a Costantinopoli, sia per commerciare sia per compiere saccheggi.

Il loro declino avvenne in coincidenza con la diffusione del Cristianesimo in Scandinavia; a causa della crescita di un forte potere centralizzato e al rinforzarsi delle difese nelle zone costiere dove erano soliti compiere saccheggi, le spedizioni predatorie divennero sempre più rischiose, cessando completamente nell'XI secolo, con l'ascesa di re e grandi famiglie nobili e di un sistema semi feudale.



I vichinghi, nell'immaginario moderno, sono associati a falsi miti, tra i quali che fossero molto alti (secondo studi moderni erano solo di media statura), che indossassero elmi con le corna (assai scomodi in battaglia), che vivessero solo per depredare (erano al contrario abili commercianti), usassero i teschi come tazze e fossero selvaggi e sporchi. Il cuore della società vichinga era in realtà basato sulla reciprocità, sia a livello personale e sociale sia a livello politico. Riguardo all'igiene, erano in realtà considerati "eccessivamente puliti" dalle popolazioni britanniche per la loro abitudine di fare almeno un bagno a settimana e usavano pettini e sapone. Ciò non toglie che effettivamente i Vichinghi terrorizzavano chiunque fosse da loro assalito; spesso trucidavano la popolazione locale, depredando tutti i beni e il bestiame, schiavizzavano i bambini e le donne, talvolta arrivando a commettere infanticidio, secondo le loro usanze belliche.

Verso la fine del IX secolo, i Mori si erano instaurati lungo le coste della Francia meridionale e l’Italia settentrionale. Nel 846 i Mori saccheggiarono Roma e danneggiarono il Vaticano. Nel 911, il Vescovo di Narbona fu impossibilitato al ritorno in Francia per via del controllo che i Mori esercitavano su tutti i passi delle Alpi. Dall’824 al 916 i pirati Arabi raziarono per l’intero Mediterraneo. Nel XIV° secolo gli assalti dei pirati Mori e Arabi costrinsero il Ducato Veneziano di Creta a chiedere al Gran Duca di tenere costantemente in allerta la sua flotta navale.

Dopo le invasioni compiute dagli Slavi. della ex provincia romana della Dalmazia nel V e VI secolo, una tribù chiamata Narentani prese comando, a partire dal VII secolo, sul mare Adriatico. Le loro incursioni aumentarono al punto che viaggiare e commerciare attraverso l’Adriatico non era più sicuro.

I Narentani furono liberi di attaccare e saccheggiare nel periodo in cui la Marina Veneziana era impegnata in campagne militari fuori dai propri mari, ma al momento del suo ritorno nell’Adriatico, i Narentani abbandonarono i loro assalti, e furono costretti a firmare un trattato con i Veneziani ed a riconoscere il Cristianesimo. Negli anni 834-835, rotto il trattato precedentemente stipulato, attaccarono nuovamente ai danni di commercianti Veneziani di ritorno da Benevento. Seguirono quindi, negli anni 839 e 840, dei tentativi di punirli da parte dei militari Veneziani che andarono completamente falliti.

Successivamente gli attacchi ai danni dei Veneziani si fecero più frequenti e videro anche la partecipazione degli Arabi. Nell’anno 846, i Narentani saccheggiarono la laguna di Caorle passando alle porte di Venezia. I Narentani rapirono degli emissari del vescovo di Roma, che facevano ritorno dal Consiglio Ecclesiastico di Costantinopoli. Questo causò delle azioni militari da parte dei Bizantini che riuscirono a sconfiggerli e convertirli al Cristianesimo.Dopo le incursioni da parte degli Arabi, sulla costa adriatica nell’ 872 e il ritiro della Marina Imperiale, i Narentani continuato le loro scorrerie nelle acque Veneziane, provocando nuovi conflitti con gli italiani nell’ 887-888.

I Veneziani inutilmente continuarono a combattere contro di loro nel corso dei secoli X e XI.

Il programma di espansione dell'Aragona era incentrato prevalentemente sulle attività marinare di pirateria e di corsa. Molte furono le lamentele da parte di diverse regioni vicine e lontane, attestando così l'efficacia di tali attività.

Nel 1314 due ambasciatori marsigliesi accusarono i pirati Catalani di aver venduto alcuni commercianti e marinai provenzali, dopo averli di beni ed imbarcazioni. Attorno al 1360, sempre da parte dei marsigliesi, si ha notizia dell'invio alla Regina Giovanna di Napoli di ambasciatori per la richiesta di risarcimento di danni conseguenti a razzie catalene, che ammontavano a ben 40.000 fiorini d'oro. I Re Aragonesi non sempre mantenevano un atteggiamento chiaro nei confronti degli alleati, ai quali da un lato promettevano amicizia, mentre permettevano che i propri sudditi si volgessero contro di loro per saccheggi e attacchi ai mercantili. il controllo sul movimento dei porti aragonesi era rigido e veniva precisato da speciali norme che stabilivano le regole e le precauzioni secondo le quali si doveva navigare. L'editto reale del 1354 prevedeva infatti che nessuna imbarcazione potesse salpare dalla spiaggia di Barcellona o da altri porti del Regno, senza una licenza o un lasciapassare e che soltanto le navi armate potessero trasportare merci pregiate.

Una organizzazione così minuziosa dell'attività mercantile sottolinea la volontà di programmare anche il commercio in funzione dei problemi dell'offesa e della difesa e quindi della pirateria e della guerra di corsa.

Fu il Re Enrico III D'Inghilterra (1216-1272) ad emettere le prime lettere di marca conosciute.

Ve ne erano di 2 differenti tipi: in tempo di guerra il re emetteva lettere di corsa che autorizzavano i corsari ad attaccare le navi nemiche, ed in periodo di pace i mercanti che avevano perso le navi od il carico per colpa di pirati potevano richiedere una lettera di marca speciale che permetteva loro di attaccare navi appartenenti allo Stato d'origine del pirata, per recuperare le perdite.

La gravità di questo fenomeno è testimoniata da provvedimenti cruenti ed esemplari come per esempio quello preso dal Re Enrico III nei confronti di un pirata di nome William Maurice, condannato per pirateria nel 1241 e conosciuto come la prima persona ad essere stata impiccata e squartata a fronte di una condanna per atti di pirateria.

L'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni, detti anche Cavalieri del Santo Sepolcro, fu fondato nell'XI secolo durante le Crociate con l'intento di difendere Gerusalemme, in mano ai Cristiani, dagli attacchi delle forze dell'Islam (tra i cui attacchi vi era anche la "Corsa barbaresca" alle coste corrispondenti all'attuale area di Israele); Esiste una miniatura che mostra i crociati che caricano le navi per il viaggio in Terra Santa. I Cavalieri costruirono anche ospedali dove ricoverare i crociati feriti.

Nel Mar Mediterraneo operò quella che divenne la pirateria barbaresca, ossia ad opera dei corsari barbareschi, provenienti delle regioni "barbaresche" (cioè a maggioranza berbera che si affacciano sul Mediterraneo), che cominciarono ad operare dal XIV secolo.

Le scorrerie degli arabi nel Mediterraneo iniziarono con l'occupazione del cantiere navale di Alessandria d'Egitto (642) e la successiva costruzione del cantiere navale di Qayrawan, presso Tunisi (690 circa).

Gli Stati barbareschi (Algeri, Tripoli e Tunisi) erano città-Stato musulmane situate sulle coste del Mediterraneo, la cui principale attività era rappresentata dalla guerra marittima di corsa, soprattutto ai tempi delle crociate, guerre religiose che videro scontrarsi, a partire dalla fine dell'XI secolo, cristiani e musulmani.

Fino a circa il 1440, il commercio marittimo sia nel Mare del Nord e nel Mar Baltico era seriamente in pericolo di attacco da parte dei pirati.

I musulmani continuarono anche nel Rinascimento a depredare navi, e finirono progressivamente di operare solo nel XIX secolo, partendo comunque sempre e solo dalle coste marocchine, algerine, tunisine o libiche, ma senza essere pirati; ciò è dimostrato dal fatto che i corsari barbareschi non aggredivano navigli musulmani ma rapinavano esclusivamente imbarcazioni cristiane.

Tuttavia la pirateria moderna inizia realmente solo nel XVII secolo nel Mare Caraibico ed in meno di mezzo secolo si estende in tutti i continenti; il Mar delle Antille rimane ad ogni modo il centro della pirateria, sia perché là i pirati riescono a godere di una serie di appoggi e favori sulla terraferma, sia perché le numerose isole presenti sono ricche di cibo e i fondali bassi impediscono inseguimenti da parte delle già lente navi da guerra. Tra le cause dello sviluppo della moderna pirateria vi fu l'azione della Francia e dell'Inghilterra che, per contrastare la Spagna nel Mare dei Caraibi, finanziarono vascelli corsari che saccheggiassero i mercantili spagnoli. Successivamente, sia per il venir meno dell'appoggio anglo-francese, sia per una acquisita abitudine allo stile di vita libero ed indipendente, molti corsari divennero pirati.

Nel 1717 e 1718 Re Giorgio I di Gran Bretagna offrì il perdono ai pirati nella speranza di indurli ad abbandonare la pirateria, ma il provvedimento si dimostrò di nessuna efficacia. Per rendere i mari più sicuri si organizzò allora una sistematica "caccia ai pirati" da parte di navi corsare, specificamente autorizzate dai governi per combattere i pirati. Infatti, sebbene nel momento della massima espansione, attorno al 1720, i pirati dell'Atlantico non superassero il numero di 4 000, essi furono in grado di porre una pesante minaccia sullo sviluppo capitalistico dei commerci tra Inghilterra e colonie. Ciò fu reso possibile, oltre che dalla oggettiva difficoltà di opporsi alla pirateria, da alcune cause più generali. Con il trattato di Utrecht, la fine della guerra di successione spagnola ed il nuovo equilibrio tra potenze che si venne a creare a partire dal 1714, le marinerie militari di Francia, Spagna e Inghilterra furono molto ridotte e da quel momento fino al 1730 circa vi fu anche una certa diminuzione dei commerci internazionali. La disoccupazione che colpì i marinai, la drastica diminuzione dei salari che ad essa si accompagnò, ed il contemporaneo peggioramento delle condizioni di vita a bordo dei vascelli, spinse un gran numero di marinai verso la pirateria che prometteva loro guadagni più facili e condizioni di vita più umane.

La pirateria è un fenomeno presente anche nel mondo contemporaneo. I pirati d'oggi hanno armi sofisticate, ma usano le stesse tecniche di abbordaggio. Attaccano navi mercantili disarmate e inoffensive; in alcuni casi uccidono i marinai e s'impossessano del carico, altre volte prendono in ostaggio l'equipaggio e chiedono un riscatto. Si calcola che le perdite annue ammontino tuttora a una cifra compresa tra 13 e 16 miliardi di dollari, in particolare a causa degli abbordaggi nelle acque degli Oceani Pacifico e Indiano e negli stretti di Malacca e di Singapore, dove transitano annualmente più di 50 000 carghi commerciali. I più pericolosi sono gli indonesiani, che nel 2000 si sono meritati il nome di "feroci pirati" per aver depredato 86 mercanti.

Mentre il problema si presenta saltuariamente anche sulle coste del Mediterraneo e del Sud America, la pirateria nei Caraibi e in America del Nord è stata debellata dalla Guardia costiera degli Stati Uniti. La pirateria si annida nel Golfo di Aden e Corno d'Africa.

Diversi sono i termini con i quali sono indicati i pirati nel corso del tempo. Tra questi, bucanieri, derivato da Boucan, e filibustieri, derivato dal francese flibustier (in inglese freebooter). Benché spesso accomunati ai pirati, i corsari erano invece combattenti al servizio di un governo che, in cambio di un'autorizzazione a rapinare navi mercantili nemiche (lettera di corsa, da qui corsari), incameravano parte del bottino.

La differenza più evidente fra pirati e corsari era che questi ultimi, se catturati, soggiacevano alle norme previste dal diritto bellico marittimo, venendo imprigionati, al pari di un qualsiasi prigioniero di guerra, mentre i pirati catturati erano sommariamente giustiziati, in genere per impiccagione alla varea (estremità, parte terminale) del pennone di un fuso maggiore, al fine di fornire una tangibile prova della potenza della giustizia umana e fungere al contempo da salutare ammonimento per chi fosse tentato d'intraprendere una simile attività.

Stando al libro sui pirati del capitano Charles Johnson, la vita a bordo di una nave pirata era piena di contrasti. Sulle navi non mancava il lavoro per l'equipaggio impegnato in una costante manutenzione della nave. Le regole che l'equipaggio doveva rispettare erano poche ma molto dure.

Tra queste:

Ognuno ha il diritto di voto, a provviste fresche e alla razione di liquore
Nessuno deve giocare a carte o a dadi per denaro
Le candele devono essere spente alle otto
Tenere sempre le proprie armi pronte e pulite
Ognuno deve lavare la propria biancheria
Donne e fanciulle non possono salire a bordo
Chi diserta in battaglia viene punito con la morte o con l'abbandono in mare aperto.
I pirati prendevano le loro decisioni in maniera collettiva. Non esisteva un leader assoluto; il comandante veniva eletto da tutta la ciurma riunita (dall'ultimo mozzo al timoniere) per effettuare le scelte relative alla conduzione della nave. Il bottino veniva diviso in quote uguali assegnando in certi casi due quote al comandante e una e mezzo al capitano.

Ogni comandante aveva un proprio regolamento che modificava in alcuni punti quello base. I pirati, commettendo attività illecite, si riunivano in basi. La base dei pirati più famosa fu un'isola a forma di tartaruga detta appunto la Tortuga, che si trova nei pressi dell'isola di Hispaniola.

Le prime navi dei pirati furono le galere. Una galera è una grande barca a remi fornita di vele. Quando il vento era a favore, le vele venivano sfruttate per accelerare la navigazione. I pirati avevano galere molto grandi, tanto che erano necessari un centinaio di rematori per muoversi. Quelle navi imbarcavano anche soldati e proprio per questo raramente navi del genere partivano per lunghi viaggi oceanici. C'erano così tanti uomini a bordo che non restava posto per le provviste!



Durante il periodo d'oro della pirateria, la maggior parte delle navi pirata erano velieri, che utilizzavano il vento come forza motrice per i loro lunghi viaggi in cerca di tesori. Tutti i velieri erano abbastanza simili fra loro. Erano di legno e avevano grandi vele di tessuto pesante e resistente. Le vele erano appese a travi trasversali chiamate "pennoni" che a loro volta erano fissati ad alti pali chiamati "alberi". I velieri dei pirati avevano spazi appositi per conservare le provviste e custodire il tesoro. Molti erano armati di cannoni e altre armi da fuoco più piccole per attaccare le navi di passaggio.

Lo Sloop è una delle imbarcazioni preferite dai pirati. Era una piccola barca con un solo albero. Gli sloop dei pirati non potevano trasportare tanti cannoni e uomini come le navi più grandi, ma in battaglia si muovevano molto velocemente. Per i pirati la velocità era fondamentale. Le loro imbarcazioni dovevano cogliere di sorpresa le navi che intendevano attaccare e dovevano anche essere svelte per sfuggire alle navi che volevano attaccare loro!

Il brigantino è uno snello veliero, maneggevole e di dimensioni contenute, dotato di due o tre alberi, con una stazza lorda che va dalle 100 alle 300 tonnellate. Il termine è di origine italiana (derivato da brigante, nella sua espressione originaria di componente una brigata, cioè gruppo di più persone da cui il termine). I "brigantini a palo" avevano tre o più alberi. Erano più lenti delle imbarcazioni più piccole, ma alcuni pirati li preferivano perchè potevano trasportare più cannoni e un bottino più consistente.

La Goletta è un'imbarcazione veloce ma con buon stivaggio, eccelle nelle andature contro vento e venne utilizzata anche nella guerra di corsa. Si tratta di un'imbarcazione a vela fornita di due alberi leggermente inclinati verso poppa ed armati con vele auriche; presenta il bompresso, ossia l'albero inclinato protendente dalla prua dell'imbarcazione. Viene chiamata "goletta a palo" la variante che presenti un terzo albero, collocato a prua e fornito di vele quadre, chiamato albero di trinchetto.

Nessuno potrà mai certificare quante navi pirata siano affondate con i loro ricchissimi carichi o quanti tesori siano stati sotterrati per i tempi futuri e mai più recuperati. Certamente la prima ipotesi é più probabile della seconda visto che i pirati molto difficilmente abbandonavano le proprie navi ma piuttosto affondavano con esse e le ricchezze stivate. Le leggende sui tesori nascosti alla Tortuga o in altre isole Caraibiche si sono tramandate per secoli, mentre i riscontri concreti sono stati veramente pochi. A regolari intervalli vengono ritrovate antiche mappe o presunte tali e documenti che danno nuovi stimoli ed incentivi ai “Cacciatori di tesori”.

Alcuni nomi e località leggendarie sono il tesoro di Cocos Island in Costarica, l’isola che ha ispirato il celeberrimo romanzo di Stevenson “L’isola del tesoro” dove si favoleggia che diversi famosi pirati abbiano seppellito le loro ricchezze; Il tesoro del pirata Jean Lafitte, di William Kidd, del pirata Francesco Nau detto l’Olonese.

Cocos Island è il rifugio di corsari e pirati durante il XVII E XVIII secolo nell’oceano Pacifico al largo del Costarica; Jacques Cousteau che di mari certamente se ne intendeva la definì l’isola più bella del mondo, per molto tempo ignorata dalle carte nautiche. Abbastanza lontana dal continente, ricca di acqua dolce, cascate, anfratti, caverne, ideale per nascondervi forzieri. Si narra che addirittura Morgan vi seppellì il bottino del saccheggio di Panama del 1671. Altre leggende parlano di William Davies nel 1684, Bennet Graham, Lionel Wafer o di Benito "Espada Sangrienta" Bonito nel 1819. Ma c’é di più: si favoleggia che sia qui anche il mitico “Tesoro di Lima”, tonnellate d’oro rubato dalle cupole delle chiese Sudamericane. L’oro navigava sulla “Mary Dear”e nel 1821 scomparve senza lasciare tracce.

Nel 1998 un satellite della NASA rilevò presenze d’oro sull’isola,due tracce sulla terraferma ed una in mare, tanto che anche il governo del Costarica ha promosso ricerche. Si calcola che non meno di 5.000 spedizioni siano state organizzate nel corso dei secoli, alcune artigianali,altre molto professionali ma aldilà di qualche moneta,gioiello e doblone nessuno ha mai messo le mani sul “Grande Tesoro”nonostante gli studi delle antiche mappe e le incisioni trovate sulle rocce dell’isola.