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mercoledì 23 dicembre 2015

L'OCEANO INDIANO



L'importanza dell'oceano Indiano come rotta di transito tra Asia e Africa lo ha reso sede di numerosi conflitti. A causa della sua grandezza, nessuna singola nazione lo ha dominato fino all'inizio del XVIII secolo, quando la Gran Bretagna riuscì a controllare per diverso tempo gran parte delle terre che lo circondano. La sua importanza strategica è ancora oggi enorme. La sua linea di divisione ufficiale con l'Oceano Atlantico è rappresentata da Capo Agulhas, estremità meridionale del continente africano.

Vicino all'oceano Indiano si sono sviluppate le più antiche civiltà conosciute, nelle valli del Nilo, del Tigri e dell'Eufrate, nella valle dell'Indo e nell'Asia sudorientale. Durante la prima dinastia dell'Egitto (circa 3000 a.C.), una spedizione venne mandata a Punt, che si pensa facesse parte della Somalia odierna. Le navi portarono indietro oro e schiavi. Greci e Fenici frequentarono il Mar Rosso a partire dal VII secolo a.C. al soldo degli Egiziani, e probabilmente superarono lo stretto di Bab el-Mandeb, raggiungendo l'attuale Somalia. I Greci chiamavano l'oceano Indiano mare Eritreo. I Romani commerciavano con i porti dell'oceano: l'anonimo autore del periplo del Mare Eritreo descrive porti, merci e rotte lungo le coste dell'Africa e dell'India attorno alla metà del I secolo d.C.

Probabilmente durante il I millennio d.C., gruppi di persone parlanti lingue austronesiane, simili al malese, attraversarono l'oceano Indiano e si insediarono nel Madagascar. Marco Polo (circa 1254-1324) fece ritorno dall'Estremo Oriente passando attraverso lo Stretto di Malacca. Le spedizioni cinesi raggiunsero l'Africa nel XV secolo, ma i commercianti arabi dominavano le rotte dell'oceano Indiano prima che Vasco da Gama doppiasse il Capo di Buona Speranza nel 1497 e arrivasse all'India, il primo europeo a seguire questa rotta. Dopo questa impresa, il Portogallo cercò di dominare la regione, ma dovette cedere agli olandesi all'inizio del XVII secolo. Cento anni dopo, sia la Francia che l'Inghilterra cercarono di assicurarsi il controllo dell'oceano, ma solo gli inglesi ci riuscirono.

L'apertura del Canale di Suez nel 1869 ravvivò l'interesse europeo per l'Oriente, ma nessuna nazione riuscì a dominare le altre nel commercio. Dopo la seconda guerra mondiale, la Gran Bretagna si è ritirata dall'oceano Indiano, ma è stata solo parzialmente rimpiazzata dall'India, dall'Unione Sovietica e dagli Stati Uniti. A definizione dell'importanza dell'oceano alcune nazioni vi hanno stabilito basi navali.

Negli anni Novanta, l'intervento degli Stati Uniti nella guerra del Golfo (1991), quale forza di maggior consistenza all'interno dello schieramento multinazionale, e la quasi contemporanea dissoluzione dell'Unione Sovietica determinavano un mutamento quantitativo e qualitativo della presenza statunitense in tutta la regione dell'Oceano Indiano e in quella più ristretta del Golfo Persico, dove, tuttavia, l'influenza degli USA assumeva una valenza particolarmente significativa. Tra gli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) e Washington venivano firmati diversi accordi che permettevano agli USA di realizzare manovre militari congiunte e concesso facilitazioni aeree e navali. In queste regioni l'egemonia statunitense diveniva assoluta, oltre che per la sua preponderanza militare rispetto agli Stati della regione, anche per l'incapacità dimostrata dalla Federazione Russa di esercitare sulla zona lo stesso tipo di controllo praticato dalla potenza sovietica. L'assenza di una controparte capace di bilanciare la preponderanza degli Stati Uniti era tangibile anche nelle altre zone dell'Oceano Indiano: nonostante il peso sempre crescente dei giganti locali, quali per esempio, la Repubblica Sudafricana, l'India, l'Australia, nessuno di essi si era dimostrato capace di proporre un progetto politico a scala regionale, tale da unificare i diversi interessi nella comune difesa dell'autonomia e del controllo delle grandi vie marittime di comunicazione, passanti per importantissimi stretti strategici (Bab al Mandab, Hormuz, Palk, Malacca, Sonda, Lombok, Torres). Nel Mar Rosso e nel Corno d'Africa la situazione era molto incerta: l'equilibrio geopolitico si era modificato dopo il conseguimento dell'indipendenza da parte dell'Eritrea (1993), in seguito alla quale l'Etiopia era stata privata dello sbocco al Mar Rosso.

L'oceano Indiano occupa circa il 20% della superficie terrestre coperta da oceani e il suo volume è stimato in 292 131 000 km³. È situato completamente nell'emisfero orientale ed è delimitato a nord dall'Asia meridionale, a nord-ovest dalla Penisola arabica, ad ovest dall'Africa, a sud-ovest dall'oceano Atlantico, a nord-est dall'Indocina, ad est dall'Arcipelago Malese e dall'Australia, a sud-est dall'Oceano Pacifico, a sud dall'oceano Antartico, se lo si considera esistente, altrimenti dall'Antartide.

Comprende i mari: Mar Rosso, Golfo Persico, Mar Arabico, Golfo del Bengala, Mare delle Andamane, Golfo di Aden, Golfo di Oman, Canale del Mozambico, Stretto di Malacca. Molte isole punteggiano i 66 526 km di coste dell'oceano Indiano e alcune di esse sono stati indipendenti: il Madagascar (la quarta isola più grande del mondo), le Comore, le Seychelles, le Maldive, Mauritius e lo Sri Lanka. L'Indonesia si trova al suo confine col Pacifico, ma appartiene a quest'ultimo.


La circolazione delle acque si svolge secondo due sistemi, uno meridionale e uno settentrionale, diversi tra loro. Nel primo le acque si spostano dai pressi dell’Australia occidentale alle coste del Madagascar, si volgono a N, giungendo fino all’altezza del Capo Delgado, sulla costa africana, e qui si dividono in due rami: uno, con direzione nord, entra nel circuito delle correnti settentrionali; l’altro, con direzione sud, dopo aver percorso il Canale di Mozambico (Corrente del Capo o delle Aguglie), si dirige verso le coste sud-occidentali dell’Australia dove devia verso N (Corrente Australiana) e quindi a NO, chiudendo così il circuito delle correnti meridionali. Nella parte settentrionale dell’oceano le direzioni delle correnti si alternano in sensi opposti per l’influenza esercitata dallo spirare dei monsoni.

La salinità delle acque superficiali varia dal 33 al 36‰, ma nel Mar Rosso e nel Golfo Persico può anche superare il 40‰. La temperatura, a cavallo dell’equatore, si mantiene sui 28 °C, mentre scende sui 16 °C nell’area oceanica posta all’altezza della punta meridionale dell’Africa. Ancora più a S, in prossimità dell’Antartide, la temperatura scende a 0 °C. Le maree hanno un’escursione media di 2-4 m e sono generalmente semidiurne; maree diurne si hanno nel Mare Arabico e sulle coste occidentali australiane.

La profondità media dell'oceano è di 3 890 m. Il suo punto più basso, la Fossa di Giava, raggiunge i 7 450 m. A nord della latitudine 50° sud, l'86% del bacino principale è coperto da sedimenti pelagici. Il rimanente 14% è coperto da sedimenti terrigeni, costituiti principalmente dalle due enormi conoidi torbiditiche dell'Indo, a ovest, e del Gange-Brahmaputra, a est del subcontinente indiano. Le latitudini più a sud sono dominate da sedimenti originati dai ghiacciai dell'Antartide.



Le piattaforme continentali orlano con continuità le coste africane, arabiche, indiane, malesi e australiane, come pure la costa occidentale del Madagascar, con un'ampiezza inferiore ai 100 km lungo il versante afro-arabico. Altrove l'ampiezza della piattaforma oscilla tra i 200 e i 300 km, ma supera di gran lunga questi valori nell'Australia meridionale, al largo di Bombay (Mumbai), del Bengala e della Birmania (Myanmar). Le coste indonesiane di Sumatra e Giava, nonché la costa orientale del Madagascar, precipitano, invece, in profonde fosse oceaniche. Le piattaforme continentali, secondo una recente scoperta, sono segnate da una fitta rete di canyons, che, posti per lo più in corrispondenza delle maggiori foci fluviali, si prolungano per centinaia di chilometri fino alle piane abissali. Rilievi e scandagli hanno messo in evidenza come il fondo dell'oceano sia percorso da alcune dorsali sottomarine (di Carlsberg, delle Chagos, dell'Indiano centrale, orientale e sud-occidentale, delle Kerguelen) che individuano vari bacini, quali quelli Arabico, dei Somali, dell'Indiano Centrale, del Madagascar, delle Kerguelen, dell'Australia occidentale, dell'Australia meridionale.La profondità media delle sue acque è di 3900 m, mentre quella massima, misurata nella Fossa della Sonda, a S di Giava, raggiunge i 7450 m. Numerose sono le isole: la maggiore è il Madagascar che, insieme con le Comore, le Seychelles e le Mascarene, è situata nel settore occidentale. Nel Mare Arabico sono le isole di Socotra, le Kuria Muria, le Laccadive e le Maldive; nel golfo del Bengala sono Sri Lanka (Ceylon), le Andamane e le Nicobare e a S, infine, sono le isole Chagos, Mentawai, Christmas, Cocos, Amsterdam, San Paolo, Kerguelen, Crozet, Marion, Principe Edoardo, Heard e McDonald. Per quanto riguarda il clima, a causa del diverso grado di riscaldamento e raffreddamento delle acque oceaniche e delle terre circostanti, si stabilisce nella zona un'ineguale distribuzione delle pressioni, che danno origine a un particolare tipo di venti periodici, i monsoni, spiranti in senso alterno secondo le stagioni, e precisamente dal mare verso terra (monsoni di mare) nel periodo estivo, e dalla terra verso il mare (monsoni di terra) nel periodo invernale, e il cui influsso è soprattutto sensibile nella parte settentrionale dell'oceano. Il regime dei venti influenza notevolmente anche le correnti marine superficiali. Sotto l'azione costante dell'aliseo di SE, le acque si spostano dalle coste occidentali dell'Australia (corrente dell'Australia Occidentale) verso W, formando la Corrente Equatoriale, che, giunta all'altezza del Madagascar, si divide in tre rami: uno scorre verso S lambendo le coste orientali del Madagascar (corrente del Madagascar), il secondo percorre il canale del Mozambico da N a S (Corrente del Mozambico), mentre il terzo volge a N lungo le coste dell'Africa orientale. I primi due rami si riuniscono a S del Madagascar formando la Corrente delle Agulhas (o del Capo); nell'Oceano Indiano settentrionale, invece, le correnti si alternano in senso opposto in corrispondenza all'alternanza dei monsoni. Nel periodo estivo le correnti sono generalmente dirette da W verso E e lambiscono le coste della Somalia da SW a NE; nel periodo invernale, invece, sono dirette in prevalenza da E verso W e si dirigono verso SW lungo le coste della Somalia. La temperatura delle acque superficiali varia da quasi 30 ºC a N (Mar Rosso, Golfo Persico, Golfo del Bengala) a.0º a S, presso l'Antartide: la salinità assume valori compresi tra il 32 e il 36‰. I valori più elevati sono raggiunti nel Mar Rosso, nel Golfo Persico e nel Mar Arabico, quelli più bassi nel golfo del Bengala e nel settore meridionale, a causa della rilevante quantità di acqua dolce apportata, rispettivamente, dai fiumi e dalle acque di fusione dei ghiacciai antartici. I principali fiumi che sfociano nell'Oceano Indiano sono lo Zambesi, lo Shatt al ?Arab (formato dalla confluenza del Tigri con l'Eufrate e tributario del Golfo Persico), l'Indo, il Gange con il Brahmaputra, l'Irrawaddy e il Murray. Gran parte del fondo dell'oceano è ricoperta da uno spesso strato di sedimenti, costituiti prevalentemente da argille rosse nel settore orientale, da melme a globigerine in quello occidentale e da melme a diatomee in quello meridionale.

Numerosi sono i porti che si affacciano all'Oceano Indiano, tra cui gli africani Port Elizabeth, East London, Durban, Maputo, Dar es Salaam, Mombasa, Port Sudan e Suez (all'estremità meridionale del canale omonimo, che collega l'Oceano Indiano col Mar Mediterraneo), gli asiatici Aden, Karachi, Bombay (Mumbai), Colombo, Chennai, Calcutta (Kolkata), e gli australiani Perth e Adelaide. La pesca è largamente praticata dai Paesi rivieraschi del N e dell'E (India, Birmania, Malaysia), dove rappresenta una cospicua risorsa alimentare; lungo il litorale del Mar Rosso è diffusa la pesca delle perle, mentre ai bordi dell'Antartide si caccia la balena. Un cenno particolare merita il notevole incremento turistico registrato in molte parti dell'Oceano Indiano: nel corso degli anni Sessanta e Settanta, le prime mete furono alcune località costiere del Kenya e della Tanzania, nonché del Mar Rosso, ad accogliere un rilevante numero di turisti internazionali, mentre le isole Seychelles già da tempo rappresentavano un'area turistica di élite. In seguito, il movimento ha assunto maggiori proporzioni, investendo anche altre aree, come le Comore e le Maldive, meta di flussi cospicui.

Numerose specie marine in pericolo vivono nell'oceano Indiano, tra cui i dugonghi, le tartarughe e le balene. Il Mare Arabico, il Golfo Persico e il Mar Rosso soffrono di un inquinamento da residui petroliferi.

Nell'Oceano Indiano vivono oltre cinquemila specie ittiche.

Le isole dell’Oceano Indiano sono distribuite irregolarmente: la parte occidentale è ricca di arcipelaghi e di numerose isole, tra cui primeggia quella di Madagascar; la zona meridionale e la orientale, invece, ne sono poverissime. Quelle di origine corallina occupano una zona delimitata a sud da una linea che potremmo tracciare unendo la Baia di Maputo con la punta meridionale di Madagascar e con le isole Houtman Abrolhos (Australia occidentale).

La funzione economica dell’Oceano Indiano è essenzialmente riconducibile allo sfruttamento delle risorse minerarie, in particolare all’estrazione, raffinazione e commercializzazione di petrolio, che hanno del tutto soppiantato le tradizionali attività pescherecce. Si estraggono inoltre minerali di stagno (ai limiti orientali, presso Malacca) e di titanio (lungo le coste occidentali e sud-occidentali dell’Australia). Gli intensi traffici sviluppatisi in funzione di tali risorse e di altre precedenti produzioni (legname, carbone, caucciù) fra i paesi industrializzati dell’Atlantico e del Mediterraneo, alcuni paesi africani e asiatici e l’Australia, hanno determinato l’affermazione di un gran numero di porti, alcuni di notevole importanza strategica e commerciale, altri come sbocchi al mare dei rispettivi retroterra. Tra i primi: Singapore, Colombo, Aden, oltre ai terminali petroliferi del Golfo Persico. Tra i secondi: Mumbai, Durban, Adelaide, Yangon, Calcutta, Chennai, Karachi, Port Elizabeth.

La sua evoluzione è strettamente connessa con la nascita della catena montuosa himalaiana. L’oceano, infatti, si andò individuando allorché l’India si staccò dal Gondwana (circa 100 milioni di anni fa) e migrò verso N, per scontrarsi nel Terziario con la zolla eurasiatica. Lo studio delle anomalie magnetiche misurate sul fondo ha rivelato una evoluzione estremamente complessa, che ha dato luogo a una complicata struttura topografica, caratterizzata da segmenti di dorsali e faglie trasformi. Le dorsali che si elevano dal fondo formano una Y capovolta, delimitando così tre zolle litosferiche divergenti: zolla africana, zolla australiana e zolla antartica. La Dorsale di Carlsberg (il tratto che ha direzione N-S) è posta tra la penisola indiana e il bordo orientale africano: essa è rigettata da una serie di faglie trasformi che la piegano verso il Golfo di Aden. All’estremità meridionale, questa dorsale si biforca: il ramo occidentale, piegando verso SO, corre tra Africa e Antartide per poi congiungersi con la dorsale medioatlantica; il ramo orientale ha invece direzione E e SE ed è situato tra Australia e Antartide. Due dorsali oceaniche non più attive, che decorrono sempre con direzione N-S, sono la Dorsale 90° Est e quella delle Chagos-Laccadive. A E della prima è presente il Bacino delle Cocos, mentre tra le due è situata la Piana di Sri Lanka. A O della Dorsale di Carlsberg si estende il Bacino di Somalia. Sul fondo dell’Oceano I. si accumulano grandi quantità di sedimenti provenienti dall’erosione della catena himalaiana, i quali, trasportati dall’Indo e dal Gange, costruiscono estese conoidi sottomarine.




mercoledì 2 dicembre 2015

L'OCEANO ATLANTICO



L'oceano Atlantico è il secondo oceano della Terra, di cui ricopre circa il 20% della superficie. Il nome dell'oceano, derivato dalla mitologia greca, significa "mare di Atlante".

I geofisici sono riusciti a inserire i vari tasselli della storia dell'oceano grazie ai modelli termici, alla teoria della tettonica a zolle, e alle misurazioni compiute in profondità. Unitamente a questo, gli esperti hanno realizzato una carta topografica del fondo dell'oceano, grazie all'impiego di strumenti atti a generare e a propagare onde acustiche riflesse dal fondo, oltre allo studio di frammenti di campioni prelevati dal fondale e delle anomalie magnetiche presenti nelle rocce magmatiche che spuntano sul fondo.

L'oceano Atlantico sembra essere il più giovane degli oceani: l'Atlantico si è formato infatti 150 milioni di anni fa, con lo spezzarsi del supercontinente Pangea a causa del fenomeno del magma fuso risalente dal mantello che formò una nuova crosta intercorrente fra Africa e America del nord e che ebbe l'effetto di dividere le terre dell'emisfero settentrionale dall'Africa e dall'America del sud. Da allora è andato espandendosi, un movimento che dura ancora oggi: le Americhe si separano da Europa e Africa a un ritmo di alcuni centimetri all'anno.

In un periodo databile 125 milioni di anni fa, nella zona centrale dell'Atlantico settentrionale si formò una attiva Dorsale medio oceanica e proprio in questo periodo l'America del sud iniziò a staccarsi dall'Africa. Il movimento fra le due Americhe fece sorgere una compressione nella zona caraibica che provocò la subduzione della zolla venezuelana.

La Dorsale medio atlantica alimenta questa espansione: attraversa tutto l'Atlantico da nord a sud, e da essa emergono nuove sezioni del fondo marino che spingono verso l'esterno quelle già esistenti. In prossimità dei continenti, il fondo marino viene spinto verso il basso, rientra nel mantello terrestre e favorisce la formazione di isole vulcaniche.

Una delle conseguenze di questo movimento è che il fondo marino dell'atlantico è una zona geologicamente giovane, con un'età spesso inferiore al centinaio di milioni di anni.

All'incirca 80 milioni di anni fa l'Atlantico settentrionale assunse le sembianze, per davvero, di un oceano, e in alcune zone la profondità raggiunse i 5000 metri e finalmente una circolazione di acqua che consentiva uno scambio fra i vari oceani; in questo periodo si staccarono la Groenlandia e l'America settentrionale. Circa 65 milioni di anni fa la Groenlandia si allontanò dall'Europa e fino a 20 milioni di anni fa, una dorsale asismica vicino all'Islanda aveva protetto l'Atlantico dal fluire di acque fredde artiche. Una buona parte della topografia dell'oceano è stata impostata 36 milioni di anni fa, solamente la penisola iberica e l'Europa erano ancora lontani dall'Africa.

La storia batimetrica dell'oceano consente di chiarire alcune anomalie, quali ad esempio il rilevamento di sedimenti carbonatici in uno strato inferiore a quello del carbonato di calcio; questo fenomeno accade perché la crosta oceanica quando si forma si colloca sopra la profondità di compensazione del carbonato di calcio e perciò viene inevitabilmente coperta da sedimenti carbonatici; ma in una seconda fase il fondo allontanandosi dal centro, subisce una subsidenza che lo trascina più in basso della profondità di compensazione e ai sedimenti carbonatici a questo punto si sovrappongono argille e fanghi silicei oltre a sedimenti terrigeni.

L'Atlantico è stato esplorato estensivamente. I Vichinghi, i Portoghesi e Cristoforo Colombo sono tra i più famosi primi esploratori. I Vichinghi colonizzarono la Groenlandia prima dell'anno Mille, ma la colonia fu spazzata via da un peggioramento del clima.

Dopo Colombo, l'esplorazione europea accelerò rapidamente, e furono stabilite molte nuove rotte commerciali. Il risultato è che l'Atlantico era e rimane la sede del maggior traffico commerciale tra Europa e America. Sono state intraprese numerose esplorazioni scientifiche per studiare l'Oceano e il suo ambiente.

L'Oceano ha anche contribuito significativamente allo sviluppo economico delle nazioni che si affacciano su di esso. Oltre ad ospitare le maggiori rotte commerciali, l'Atlantico offre abbondanti giacimenti di petrolio nelle rocce sedimentarie delle piattaforme continentali, e le maggiori riserve di pesca del mondo. Per preservare queste riserve e l'ambiente oceanico, esistono numerosi trattati che cercano di ridurre l'inquinamento causato da versamenti di petrolio e rifiuti plastici.

Dopo aver remato per 81 giorni e 4 766 km, il 3 dicembre 1999 Tori Murden divenne la prima donna ad aver attraversato l'oceano Atlantico da sola, quando raggiunse Guadalupa dalle isole Canarie.

Questo oceano occupa un bacino a forma di "S", disposto nella direzione nord-sud. È diviso in due sezioni principali, l'Atlantico del Nord e l'Atlantico del Sud, da correnti equatoriali poste a circa 8° di latitudine nord. È delimitato ad ovest dal continente americano (sia dalla parte settentrionale che da quella meridionale) e ad est dall'Europa e dall'Africa (ma due dei suoi mari adiacenti, il Mediterraneo e il Mar Nero bagnano anche l'Asia).

Comunica con l'oceano Pacifico attraverso il Mare Glaciale Artico a nord, e il Canale di Drake (nella Terra del Fuoco) e Capo Horn a sud. Inoltre esiste una connessione artificiale tra i due oceani, il Canale di Panamá, che si trova vicino all'equatore, nell'istmo che unisce le due Americhe. Ad est comunica con l'oceano Indiano, attraverso il Capo Agulhas, al 20° E (e non dal Capo di Buona Speranza come si ritiene comunemente), ma anche attraverso il canale artificiale di Suez.

L'oceano propriamente detto copre un'area di circa 82 362 000 km² (pari a 8 volte quella dell'Europa), che raggiunge i 106 450 000 km² se si considerano anche i suoi mari adiacenti. Le terre occupate dal bacino idrografico dell'Atlantico sono quattro volte quelle del Pacifico o dell'Indiano. Il volume dell'oceano Atlantico è di 323 600 000 km³, e di 354 700 000 km³ considerando anche i mari adiacenti.



La profondità media (volume/superficie) dell'Atlantico è di 3 926 m, ridotta a 3 332 m se si prendono in considerazione i mari adiacenti. La profondità maggiore è di 9 219 m, raggiunta nell'abisso Milwaukee, che si trova nella Fossa di Porto Rico, circa 135 km a nord dell'isola di Porto Rico. La larghezza dell'Atlantico varia tra 2 848 km nel punto più stretto, tra il Brasile e la Liberia, fino a 4 830 km tra gli Stati Uniti e l'Africa settentrionale.

La caratteristica principale della topografia del fondo oceanico dell'Atlantico è una grande catena di montagne sottomarine, chiamata la Dorsale medio atlantica. Si estende dall'estremità nord, accanto all'Islanda, fino all'estremo sud a 58° di latitudine, raggiungendo una larghezza massima di circa 1 600 km. Lungo la dorsale, nei pressi della sommità, si trova una grande fossa che scorre per la maggior parte della catena montuosa. La profondità delle acque sopra la dorsale è spesso inferiore a 2 700 m, e numerosi picchi si ergono fuori dall'acqua, formando delle isole, quali ad esempio le Azzorre. L'Atlantico del Sud presenta anche altre due ristrette dorsali asismiche, la Catena di Walvis e la Catena di Rio Grande.

La Dorsale medio atlantica separa l'oceano Atlantico in due grandi sezioni, che hanno una profondità compresa tra 3 000 e 5 500 m. Dorsali trasversali, che uniscono i continenti alla Dorsale medio atlantica, dividono il fondo oceanico in numerosi bacini. Alcuni dei più grandi sono i bacini della Guiana, del Nord America, di Capo Verde e delle Canarie nell'Atlantico del Nord, mentre in quello del Sud si trovano i bacini dell'Angola, dell'Argentina e del Brasile.

Il fondo marino è considerato in genere abbastanza piatto, anche se non mancano montagne, fosse e altre caratteristiche. Due fosse superano gli 8 000 m di profondità. Le piattaforme continentali, vicino alle terre emerse, costituiscono circa l'11% del fondo oceanico. Inoltre, molte formazioni simili a canali scavati tagliano queste piattaforme.

I sedimenti depositati sul fondo hanno origini disparate.

I depositi terrigeni sono composti da particelle di sabbia, fango e roccia, formate dall'erosione dell'acqua, del vento e dall'attività vulcanica della terraferma, e poi trasportate da fiumi e piogge verso il mare. Questi materiali si trovano principalmente:

sulle piattaforme continentali, ove sono più spessi presso la foce dei grandi fiumi (come il delta del Niger);
ai piedi delle scarpate continentali, ove si accumulano in grandi conoidi torbiditiche per opera delle correnti torbide prodotte da grandi frane sottomarine o convogliate direttamente dalle foci dei fiumi attraverso canyon sottomarini (è il caso del Congo).
I deposti pelagici sono formati dai resti di organismi che vanno a fondo quando muoiono (possono essere silicei, come i radiolari e le diatomee, o calcarei, come i foraminiferi). Coprono la maggior parte del fondo marino, con spessori che vanno da 120 a più di 3 000 m, con lo spessore minimo in corrispondenza della Dorsale. I depositi autogenici o autigeni sono assembramenti di minerali, come i noduli di manganese, prodottisi per precipitazione dalle acque oceaniche in particolari condizioni di chimismo e temperatura. Sono comuni dove le altre tipologie di sedimentazione sono assenti.

La salinità delle acque di superficie nell'oceano aperto va da 33 a 37 parti per mille, e varia con la latitudine e le stagioni. Anche se i valori minimi di salinità si trovano appena a nord dell'equatore, in genere i valori più bassi si trovano alle alte latitudini, e vicino alle foci di grandi fiumi che immettono le loro acque dolci nell'oceano. I massimi valori di salinità si trovano attorno alla latitudine 25° nord. I valori di salinità superficiale sono influenzati dall'evaporazione, dalle precipitazioni, dall'apporto di acqua dolce dei fiumi e, nelle zone più fredde, dallo scioglimento dei ghiacci.

La temperatura delle acque superficiali varia con la latitudine, con le correnti, le stagioni e la distribuzione di energia solare. Lungo l'Oceano, varia da meno di 2 °C nelle regioni polari fino a 29 °C all'equatore. Nelle medie latitudini, la temperatura è intermedia, ma soggetta a grandi variazioni (fino a 7 o 8 °C). A causa delle basse temperature, la superficie è normalmente coperta di ghiaccio nel mare del Labrador, nello Stretto di Danimarca e nel mar Baltico da ottobre a giugno.

L'oceano Atlantico consiste di quattro principali masse d'acqua. Le acque centrali dell'Atlantico del Nord e del Sud costituiscono le acque superficiali. L'acqua intermedia sub-antartica si estende alle profondità di 1 000 m. L'acqua profonda del Nord Atlantico raggiunge la profondità di 4 000 m. L'acqua antartica di fondo occupa i bacini oceanici a profondità maggiori di 4 000 m.

A causa della forza di Coriolis, l'acqua del Nord Atlantico circola in senso orario, mentre l'acqua del Sud Atlantico circola in senso antiorario. Le maree dell'Oceano sono semidiurne, cioè comprendono due alte maree nell'arco delle 24 ore. Le maree sono un'onda che si muove da sud a nord. A latitudini superiori a 40°, è presente anche un'oscillazione est-ovest.

Il clima Atlantico e delle terre adiacenti allo stesso Oceano ed è influenzato dalla temperatura delle acque superficiali, dalle correnti oceaniche e dai venti che soffiano sopra le acque. A causa della grande capacità dei mari di trattenere il calore, i climi marittimi sono temperati, e non presentano variazioni stagionali estreme. Le precipitazioni risentono enormemente dell'Oceano, perché l'evaporazione dell'acqua oceanica è una delle fonti principali di vapore acqueo.

Le zone climatiche cambiano con la latitudine: le zone più calde attraversano l'Atlantico a nord dell'equatore. Le zone più fredde si trovano a grandi latitudini, e specialmente nelle zone coperte di ghiaccio.

Le correnti oceaniche contribuiscono al clima, trasportando acqua calda e fredda in diverse regioni. I venti che soffiano su queste acque contribuiranno poi a riscaldare o raffreddare le terre adiacenti.

La corrente del Golfo, per esempio, riscalda l'atmosfera delle isole Britanniche e dell'Europa del Nord (che altrimenti sperimenterebbero temperature ben più basse), mentre le correnti fredde contribuiscono alla formazione di nebbia al largo delle coste nordest del Canada, e delle coste nordovest dell'Africa. Dona alle zone un clima più caldo rispetto alle altre aree situate alla stessa latitudine.

I cicloni tropicali (uragani) si sviluppano al largo della costa africana vicino a Capo Verde, e si muovono verso ovest nel mare Caraibico. Gli uragani possono formarsi da maggio a dicembre, ma sono più frequenti tra agosto e novembre. Le tempeste sono comuni nell'Atlantico del Nord durante l'inverno, rendendo pericolosa la traversata.

Un metodo che calcola la temperatura dell'acqua nella parte settentrionale dell'Oceano è l'indice AMO.

Gli iceberg sono molto comuni nello stretto di Davis, nello stretto di Danimarca, e nell'Atlantico nordoccidentale da febbraio ad agosto. A volte sono stati visti anche molto a sud, vicino alle Bermude e alle isole Madeira. Le navi svilupperanno ghiaccio sulla loro struttura nell'Atlantico più a nord da ottobre a maggio. Il caso più famoso di incidente dovuto a un iceberg nel Nord Atlantico è l'affondamento dell'RMS Titanic il 15 aprile 1912. La nebbia persistente può essere un pericolo da maggio a settembre. Uragani da maggio a dicembre. Nell'Ottocento si verificarono casi di affondamento di navi a vapore con scafo in legno, quindi più fragile nell'impatto con le onde durante le tempeste.

Ci sono molte specie marine in pericolo, tra cui le mante, i leoni marini, le tartarughe, le balene, le foche ed anche specie ittiche che per riprodursi migrano risalendo i fiumi che sfociano nell'Oceano come la cheppia (Alosa fallax). Le reti a strascico hanno accelerato il declino delle riserve di pesca e sono soggetto di aspre dispute internazionali. Inquinamento da fogne al largo degli Stati Uniti, del sud del Brasile e dell'Argentina. Inquinamento da petrolio nel mare Caraibico, nel Golfo del Messico, e nel mare del Nord. Inquinamento da fogne e industrie nel mar Baltico e mare del Nord.

Punti critici sono lo Stretto di Gibilterra e l'accesso al Canale di Panamá. Gli stretti strategici includono lo Stretto di Dover, gli Stretti della Florida, il Canale della Mona e il Canale Sopravento. Durante la guerra fredda, il cosiddetto passaggio di Groenlandia-Islanda-Regno Unito (GIUK) era un problema strategico di grande importanza, e il fondale fu riempito di idrofoni per rilevare il movimento dei sottomarini sovietici.

Nell’Oceano Atlantico settentrionale una microscopica alga marina è così fiorente da sfidare ogni previsione scientifica, suggerendo un che sia in corso da decenni un rapido cambiamento ambientale dopo un aumento dell’anidride carbonica nell’oceano.

Il CPR survey è uno studio in continuo del  plancton, organismi galleggianti che formano una parte fondamentale della catena alimentare marina. Il progetto è stato lanciato da un biologo marino britannico nel Nord Atlantico e del Mare del Nord nei primi anni ’30 ed è condotto da navi commerciali che trainano retini per la raccolta di plancton mentre  navigano lungo le loro normali rotte.

Un altro degli autori, lo statunitense William M. Balch del the Bigelow Laboratory for Ocean Sciences del Maine, uno dei massimi esperti di alghe del mondo, ha detto che «Gli scienziati si aspettavano che l’acidità degli oceani, dovuta ad un aumento dell’anidride carbonica avrebbe soppresso questi organismi dal guscio calcareo. Non è stato così. D’altra parte, un loro maggiore abbondanza è coerente con la loro storia di indicatori del cambiamento ambientale. I coccolitoforidi sono stati in genere più abbondante durante il periodo interglaciale caldo della Terra e nei periodi con elevata CO2. I risultati qui presentati sono coerenti con tutto questo e possono far presagire, come il “canarino nella miniera di carbone”, dove siamo diretti climatologicamente. Questo ci  fornisce un esempio di come le comunità marine di  un intero bacino oceanico stanno rispondendo all’aumentare dei livelli di biossido di carbonio. Tali esempi di vita reale dell’impatto di aumentare di CO2  sulla rete trofica marina sono importanti da evidenziare  mentre il mondo si riunirà a Parigi la prossima settimana in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici».

I coccolitoforidi sono alghe monocellulari ricoperti di singolari strutture chiare fatte di carbonato di calcio e svolgono un ruolo nel ciclo del carbonato di calcio, un fattore che determina i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera. Nel breve periodo rendono più difficile da rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera, ma nel lungo periodo –  di decine e centinaia di migliaia di anni – aiutano a rimuovere la CO2 dall’atmosfera e degli oceani e a confinarla nelle profondità oceaniche.

Queste minuscole creature da eoni lasciano il loro segno sul nostro pianeta, aiutando gli odierni scienziati a decifrare i cambiamenti ambientali più significativi. Le bianche scogliere di Dover sono candidea causa dei massicci depositi di coccolitoforidi. Ma un esame più attento mostra che  i depositi bianchi sono interrotti da sottili strati scuri di selce, prodotte da organismi che hanno gusci vitrei in silicio, Gnanadesikan spiega che «Questi rappresentano chiaramente importanti cambiamenti nel tipo di ecosistema. Ma se non si capisce che cosa provoca l’abbondanza dei  coccolitoforidi, non possiamo capire che cosa sta provocando questi cambiamenti. E’ l’anidride carbonica?»

Scoperte per la prima volta in mare aperto delle 'zone morte', nell'oceano Atlantico, al largo delle coste dell'Africa occidentale. Si tratta di aree in cui i livelli di ossigeno sono talmente bassi che la vita è quasi impossibile e in cui riescono a vivere solo alcune specie di microorganismi. A osservarle i ricercatori guidati da Johannes Karstensen, dell'Helmholtz Centre for Ocean Research di Kiel in Germania, il cui lavoro è pubblicato sulla rivista Biogeosciences. Le zone morte sono aree inospitali per la maggior parte delle specie marine, create dalla circolazione delle correnti e grandi vortici d'acqua che si muovono lentamente verso ovest.

Arrivando in prossimità di un'isola, potrebbero provocare l'uccisione di massa di molti pesci. "Prima del nostro studio - spiega Karstensen - si pensava che il mare aperto del Nord Atlantico avesse delle concentrazioni minime di ossigeno di un millimetro di ossigeno dissolto per litro. Una concentrazione molto bassa, ma sufficiente a far sopravvivere i pesci". Ora si è invece scoperto che hanno un livello minimo di ossigeno 20 volte inferiore a quello stimato prima, cioè inadatte per la vita della maggior parte degli animali marini.

Le zone morte sono molto comuni vicino i litorali dove i fiumi sversano fertilizzanti e altre sostanza chimiche nell'oceano, scatenando la crescita di alghe. Quando queste muoiono, cadono sui fondali morali e vengono decomposte dai batteri, che consumano tutto l'ossigeno in questo processo.

Le correnti oceaniche possono muovere queste acque con poco ossigeno dalla costa, ma una zona morta che si forma in oceano aperto ancora non era stata scoperta. "I vortici che abbiamo osservato con maggiore dettaglio - continua Karstensen - sono come dei cilindri rotanti di 100-150 km di diametro e un'altezza di diverse centinaia di metri, con la zona morta che occupa i 100 metri più in alto. L'area intorno a questi vortici di zone morte rimane ricca di ossigeno. Abbiamo stimato che il consumo di ossigeno nei vortici - conclude - è 5 volte maggiore che nelle condizioni oceaniche normali".




venerdì 21 agosto 2015

LA FOSSA DELLE MARIANNE



Un posto scuro, silenzioso ed estremamente pauroso. E sicuramente molto solitario: è così che la maggior parte di noi deve immaginare il fondo della Fossa delle Marianne, la depressione oceanica più profonda della Terra, 11 chilometri sotto la superficie del mare, al largo della costa delle Filippine nel Pacifico occidentale. E, probabilmente, lo scenario che tutti immaginiamo è abbastanza verosimile. Tuttavia, ne sappiamo ancora troppo poco per stabilire con certezza cosa ci sia là sotto. Tra i pochi privilegiati che in questo momento possono vantare di conoscere qualcosa di più, sicuramente c’è il regista James Cameron che a febbraio 2012 si è calato nell’abisso a bordo del sommergibile australiano Deepsea Challenger.

La fossa, che forma un leggero arco lungo circa 2 500 km, si trova in corrispondenza dell'incontro di due placche tettoniche, in una zona di subduzione, dove la placca del Pacifico si insinua sotto la placca delle Filippine.

Il punto più profondo si trova a circa 11 000 metri sotto il livello del mare.

Nei pressi della fossa delle Marianne (così come per tutte le altre fosse sottomarine), sono presenti molti vulcani sottomarini (come ad esempio in Giappone).

I primi rilievi della profondità di questa zona dell'Oceano Pacifico furono effettuati dalla spedizione Challenger, che tra il dicembre 1872 e il maggio 1876 compì quella che è considerata la prima spedizione oceanografica, percorrendo 68 890 miglia circumnavigando il globo. Le misurazioni effettuate dalla corvetta Challenger nella zona scoprirono l'esistenza della depressione, rilevando una profondità massima di 4 475 braccia, equivalenti a 8 184 metri.



Nel 1899 la carboniera statunitense Nero, incaricata di effettuare rilievi idrografici, riportò una profondità massima di 9 636 m (5 269 braccia).

Nel 1951 il vascello Challenger II della Royal Navy esplorò per la prima volta la zona utilizzando un sonar, scoprendo la depressione profonda 10 900 m posta a 11°19'N 142°15'E, in seguito battezzata Challenger Deep. Il rilevamento venne eseguito misurando con un cronometro il ritorno del segnale al ricevitore e, dato che tale misura era effettuata a mano, fu necessario applicare una correzione di circa 40 metri, cosicché la profondità venne rettificata a 10 863 m.

Nel 1957, il vascello sovietico Vitjaz misurò una profondità di 11 034 m. Tuttavia, dato che successive spedizioni dell'epoca non avevano potuto ripetere tale misura, essa non venne considerata accurata. Nel 1962 la M.V. Spencer F. Baird registrò la più grande profondità dell'epoca, pari a 10 915 m.

Nel 1984 il vascello giapponese Takuyo, nave altamente specializzata, misurò con il sonar multi-direzionale di cui era dotato una profondità massima di 10 924 m. Il 24 marzo 1995, undici anni dopo, un'altra sonda nipponica, la Kaiko, ottenne una nuova misurazione record di 10 916 m.

Nel 2009 fu effettuata una misurazione mediante il robot Nereus, che rilevò 10 902 m.

L'ultima misura è stata effettuata il 7 dicembre 2011, mediante mappatura del fondo marino con un sonar scientifico (echosounder) posto su una nave idrografica; secondo gli autori della ricerca, il punto più profondo (Challenger Deep), si trova a 10 994 ± 40 m sotto il livello del mare. Questa misura sarebbe, tra l'altro, compatibile con quella effettuata dal vascello sovietico Vitjaz nel 1957.

In un'immersione senza precedenti, il batiscafo Trieste (di progettazione svizzera e produzione italiana) della U.S. Navy (prima batteva bandiera civile marina italiana) raggiunse la profondità della fossa il 23 gennaio 1960 alle 13:06. Sul batiscafo erano presenti il tenente di vascello Don Walsh e Jacques Piccard. Come zavorra vennero usati pellet di ferro, mentre per favorire il galleggiamento fu usata benzina, più leggera dell'acqua. Il riempimento con benzina aveva anche lo scopo di rendere lo scafo incomprimibile. Gli strumenti di bordo individuarono una profondità di 11 521 m, più tardi rettificati a 10 916 m. Sul fondo della fossa Walsh e Piccard furono sorpresi di trovare delle particolari specie di sogliole o platesse, lunghe circa 30 cm e anche dei gamberetti. Secondo Piccard, «il fondo appariva luminoso e chiaro, un deserto che faceva trapelare diverse forme di diatomee».

Nel 2012 è stata organizzata una nuova immersione con il sommergibile Deepsea Challenger costruito da un'équipe australiana con la collaborazione dello Scripps Institution of Oceanography, del Jet Propulsion Laboratory e della Università di Hawaii.



Fragile e pallido come un fantasma, con pinne ampie come ali, che fendono l'acqua quasi senza muoverla: è questo l'aspetto del pesce più "profondo" mai osservato finora, un liparide (fam. Liparidae), forse di una nuova specie, filmato a 8.145 metri nella Fossa delle Marianne.
I ricercatori dello Schmidt Ocean Institute, da tempo impegnati a scandagliare la depressione oceanica, l'hanno scoperto il 6 dicembre scorso nella loro 14esima e ultima spedizione, mentre esaminavano il filmato di un'esca attorno alla quale nuotano altre numerose creature abissali (come particolari crostacei chiamati anfipodi).
Il pesce, lungo circa 15 cm, agita le ampie pinne ricoperte di sensori gustativi per "assaggiare" l'acqua in cerca di cibo. Simile nell'aspetto a un fazzoletto di carta abbandonato in mare, ha il corpo trasparente che lascia intravedere gli organi interni. Gli scienziati l'hanno filmato 500 metri più in basso del pesce fino ad oggi detentore del record di maggiore profondità, e appena 55 metri più in alto di quello che è normalmente ritenuto il limite invalicabile per la sopravvivenza di un pesce.

Sotto gli 8200 metri, infatti, il corpo delle creature marine è teoricamente incapace di produrre osmoliti, i componenti chimici che aiutano le cellule a sopportare le incredibili pressioni raggiunte a quelle profondità. Purtroppo i biologi non sono riusciti a catturare l'esemplare per studiarne le caratteristiche e attribuirgli un nome scientifico: il pesce è passato a favore di telecamera, per poi nuotare via, disinteressato all'esca.

I liparidi non sono nuovi alle grandi profondità: erano già stati osservati nuotare tra i 6.500 e i 7.500 metri nella Fossa di Kermadec, vicino alla Nuova Zelanda, e nella Fossa del Giappone.

A quanto pare, c’è ancora un’altra creatura di dimensioni superiori alla norma sul fondo della fossa. Nascosti dietro pile di sabbia instabili e irregolari ci sono dei protisti filamentosi giganti, detti foraminiferi. Si tratta di esseri viventi simili ad amebe, dotati di tentacoli lunghi e ramificati con cui afferrano il cibo. Spesso sono provvisti di gusci di carbonati di calcio di grande complessità e bellezza: per resistere alla pressione degli abissi, mille volte superiore a quella superficiale, i gusci sono morbidi e flessibili. Non è ancora ben chiaro se si tratti di creature unicellulari nel senso stretto del termine.



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