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venerdì 14 ottobre 2016

LA COSTA D'AVORIO



La Costa d'Avorio è uno Stato dell'Africa occidentale.

Confina ad ovest con la Liberia e la Guinea, a nord con il Mali e il Burkina Faso, ad est con il Ghana e a sud con il Golfo di Guinea.

Nell'ottobre 1985 il governo ivoriano chiese che il paese fosse conosciuto in ogni lingua come Côte d'Ivoire. Infatti, secondo la legge nazionale, il nome del paese non può essere tradotto dal francese. Malgrado ciò, com'è ovvio, il nome continua ad essere tradotto nelle varie lingue. La Costa d'Avorio fa, tuttavia, applicare con tenacia questa sua volontà in ambito ONU, dove il nome non è mai tradotto, neanche in inglese.

La Costa d'Avorio, ex colonia francese, ha ottenuto l'indipendenza nel 7 agosto 1960. Il suo presidente fondatore è stato Félix Houphouët-Boigny, in carica fino al 1993.

La storia degli imperi coloniali è dominata da due periodi fondamentali. Il primo periodo inizia alla fine del Quattrocento e si chiude alla fine del Settecento, il secondo si apre all'alba del XIX secolo e si prolunga fino al 1950. Il primo è caratterizzato da tentativi di espansione commerciale: dall'oltremare si importano merci di grande valore (oro, pietre preziose, spezie e schiavi) in quanto i costi di trasporto sono molto alti. La seconda fase invece prende piede con la rivoluzione industriale che abbassa i costi di trasporto e aumenta il consumo di materie prime. Fino al 1880, l'Inghilterra è dominatrice assoluta della corsa coloniale, seguita dai Paesi Bassi e dalla Francia. Dopo il 1880, la rivalità fra le potenze coloniali acquisisce una nuova dimensione, dopo la comparsa di nuovi concorrenti (Germania, Italia, Stati Uniti, Belgio e Giappone). La colonizzazione di estende dall'Africa subsahariana, ultima regione a subire l'espansione territoriale europea. La conquista dell'Africa nera, terminata intorno al 1913, segna, in pratica, la fine della spartizione della Terra. All'alba dell'era industriale, la colonizzazione interessa il 18% delle terre emerse e circa il 3% della popolazione. Intorno al 1938, momento del suo apogeo, s'impone sul 42% delle superfici e sul 32% degli abitanti del pianeta. L'esplorazione dell'Africa inizia nel ‘400, quando gli Europei cercano una via alternativa per le Indie, da dove importavano le spezie. Questo commercio, prima della conquista ottomana della Terra Santa, era in mano a mercanti italiani (in particolare genovesi). Così nel 1400, alcuni navigatori italiani, e poi portoghesi, cominciarono a esplorare la costa occidentale dell'Africa. Nel 1498, Vasco de Gama doppia il capo di Buona Speranza, aprendo quindi una via marittima diretta tra l'Europa e le Indie. Progressivamente gli Europei esplorano le coste dell'Africa e risalgono i grandi fiumi dove trovano mercati d'oro, pietre preziose, schiavi, avorio e caffè. Fino al XIX secolo, il continente africano presentava solo forme di colonialismo commerciale diffuso lungo le coste. Dal XIX secolo inizia il colonialismo moderno, voluto allo sfruttamento delle risorse dei paesi colonizzati. Ebbe inizio così la corsa alle colonie in Africa: le potenze europee (soprattutto Gran Bretagna e Francia) inviano militari per occupare i vasti territori africani nell'entroterra. Questi territori, secondo gli europei, formalmente non appartenevano a nessuno e venivano occupati sia con la forza, si con la diplomazia, con trattati coi capi delle tribù africane che in questa maniera cedevano sovranità alle potenze europee.

I portoghesi, seguiti da olandesi e francesi, iniziarono a commerciare con l'Africa occidentale nel Cinquecento ma la scarsità di porti naturali della Costa d'Avorio impedì una colonizzazione europea del suo territorio. L'unico commercio che si sviluppò nel Seicento fu quello dell'avorio, che condusse gli elefanti della zona all'estinzione, tanto che questo commercio all'inizio del Settecento cessò del tutto. A metà dell'Ottocento i Francesi istituirono i primi avamposti di Assimie e Grand-Bassam, stipulando dei trattati con i capi locali ai quali pagavano un dazio per l'uso della terra. La sconfitta della Francia nella guerra franco-prussiana (nel 1871) costrinse i francesi a ritirare le loro guarigioni militari dai loro avamposti nell'Africa occidentale, lasciandovi solo le comunità di mercanti. L'avamposto di Grand-Bassam fu affidato ad un armatore di Marsiglia, Arthur Verdier, che nel 1878 divenne il ministro residente (agente diplomatico) francese nella regione, col compito di restaurare i presidi militari per proteggere le installazioni commerciali. Nel 1885, Francia e Germania organizzarono una conferenza a Berlino per regolare la “corsa alle colonie” in Africa. Nel 1886 la Francia procede all'occupazione effettiva della Costa d'Avorio (chiamata in francese Côte-d'Ivoire). L'anno dopo il tenente Louis Gustav Binger, intraprese un viaggio d'esplorazione di due anni all'interno della Costa d'Avorio. Durante questo viaggio, egli negoziò quattro trattati con capi locali della Costa d'Avorio e nello stesso anno un suo agente (Laplène) negoziò altri cinque trattati che estesero l'influenza francese su tutto il paese fino al bacino del Niger. Nel 1889 anche la Gran Bretagna riconobbe la sovranità francese su quest'area e la Francia promosse Laplène a governatore del territorio. Nel 1893 la Costa d'Avorio fu proclamata una colonia francese e Binger, già capitano, fu nominato governatore. La capitale della colonia fu Grand-Bassam, successivamente trasferita a Bingerville, dal 1893 al 1896. Abidjan iniziò a svilupparsi e negli anni '30 diventò la città più importante della colonia. Accordi con la Liberia nel 1892 e con la Gran Bretagna nel 1893 permisero di fissare i confini occidentali e orientali della colonia, ma i confini settentrionali non furono fissati fino al 1947 perché i francesi speravano di annettere parti dell'Alto-Volta (attuale Burkina Faso) e del Sudan francese (attuale Mali) alla colonia della Costa d'Avorio. Il 10 marzo 1893 la Costa d'Avorio diventò colonia francese. Binger cominciò una serie di campagne militari contro Samari-Ture, fondatore dell'impero Luassdu che resistette ai francesi nell'Africa occidentale dal 1882 fino alla cattura nel 1898. Samari-Ture importava armi da fuoco moderne dalla colonia britannica del Sierra Leone. La conquista delle miniere d'oro di Buè (poste tra Mali e Guinea) gli permise di formare un esercito moderno con più di 30.000 soldati, organizzati su modello europeo. I francesi riuscirono a catturarlo solo nel 1898 e a pacificare la regione.

La Francia si interessò alla Costa d'Avorio intorno al 1840, persuadendo i capi locali a dare il monopolio dei commerci lungo la costa ai mercanti francesi. Successivamente, i francesi costruirono delle basi navali per tenere lontano gli altri mercanti e iniziarono una conquista sistematica dell'interno. L'occupazione fu ottenuta soltanto intorno al 1890 dopo una lunga guerra contro i Mandinka, originari per lo più del Gambia.Tra il 1900 e il 1911, la popolazione ivoriana fu vittima di un genocidio, riducendosi da 1,5 milioni a 160.000, a causa della schiavitù imposta dal colonialismo francese. La resistenza armata da parte dei Baoulé e di altri gruppi dell'est continuò fino al 1917. I francesi avevano un obiettivo prevalente: stimolare la produzione di generi per l'esportazione. In breve tempo furono avviate lungo la costa delle piantagioni per la produzione di caffè, cacao e olio di palma. La Costa d'Avorio divenne l'unico paese dell'Africa Occidentale con una apprezzabile popolazione di coloni; altrove, in Africa occidentale e centrale, i francesi e gli inglesi erano essenzialmente dei burocrati. Di conseguenza, un terzo delle piantagioni di cacao, caffè e banane erano nelle mani di cittadini francesi e un odiato sistema di lavoro forzato divenne la spina dorsale dell'economia. Nel 1900 i francesi introdussero la tassa del testatico, col che poterono iniziare una serie di lavori pubblici nella colonia. In breve tempo furono avviate lungo la costa delle piantagioni per la produzione di caffè, cacao e olio di palma. Durante la seconda guerra mondiale (1943) tutte le colonie dell'Africa occidentale passarono al potere di Charles de Gaulle. Fino al 1958, Parigi amministrava la Costa d'Avorio, nominandovi i propri governatori. Nel dicembre 1958, dopo un referendum, la Costa d'Avorio proclamò l'indipendenza.

Félix Houphouët-Boigny, figlio di un capo Baoulé, era destinato a diventare l'artefice dell'indipendenza della Costa d'Avorio. Nel 1944 fondò il primo sindacato agricolo dei coltivatori di cacao come lui. Irritati dal fatto che la politica coloniale favorisse i proprietari di piantagioni francesi, i coltivatori si unirono per reclutare lavoratori migranti per le loro aziende. Houphouët-Boigny assunse in breve un ruolo di rilievo e dopo solo un anno venne eletto al Parlamento di Parigi. Un anno dopo la Francia abolì il lavoro forzato. Man mano che Houphouët-Boigny iniziò ad apprezzare il potere e il denaro della sua nuova posizione, divenne più amichevole nei confronti dei Francesi, e lasciò gradualmente cadere le rivendicazioni più radicali. La Francia lo ricompensò facendolo diventare il primo Africano a diventare ministro in un governo Europeo.

Al momento della indipendenza della Costa d'Avorio nel 1960, il Paese era nettamente il più prospero dell'Africa Occidentale Francese, da qui proveniva infatti oltre il 40% alle esportazioni totali della regione. Quando Houphouët-Boigny divenne il primo Presidente della Costa d'Avorio, il suo esecutivo assicurò ai coltivatori prezzi elevati per stimolare ulteriormente la produzione. La produzione di caffè aumentò in modo significativo lanciando la Costa d'Avorio al terzo posto come volume totale esportato dopo Brasile e Colombia. Per il cacao avvenne lo stesso: già nel 1979 il Paese ne era il maggiore produttore mondiale, diventando ben presto anche il maggior esportatore africano di ananas e olio di palma. Tecnici francesi avevano pilotato da dietro le quinte questo programma, noto come il "miracolo Ivoriano". Se nel resto dell'Africa gli Europei venivano espulsi a seguito dei processi di indipendenza, in Costa d'Avorio al contrario aumentavano vistosamente. La comunità francese crebbe da 10000 a 50000 unità, la maggior parte dei quali insegnanti e consiglieri. Per 20 anni l'economia mantenne un tasso annuo di crescita di quasi il 10%: il maggiore fra i paesi africani non esportatori di petrolio.

Houphouët-Boigny governò con una fermezza definita da alcuni "pugno di ferro" e da altri "metodo paternalistico". La stampa non era indipendente ed era ammesso un unico partito politico. Houphouët-Boigny fu anche il maggior ideatore Africano di progetti faraonici. Fu aspramente criticato per avere utilizzato ingentissime risorse allo scopo di trasformare il suo villaggio, Yamoussoukro, nella nuova capitale. All'inizio degli anni ottanta l'economia ivoriana fu scossa dai contraccolpi della recessione internazionale e dalla siccità locale. Anche a causa del taglio indiscriminato degli alberi da alto fusto e della caduta del prezzo dello zucchero, il debito estero triplicò. L'eco dell'aumento della criminalità ad Abidjan arrivò sino in Europa. Il miracolo era finito.

Nel 1982 Laurent Gbagbo fondò in esilio il Fronte Popolare Ivoriano, ispirandosi al Partito Socialista Francese.

Nel 1990 centinaia di lavoratori civili scioperarono, insieme agli studenti che protestavano contro la corruzione istituzionale. L'agitazione forzò il governo ad accettare la democrazia multipartitica. Houphouët-Boigny divenne sempre più debole e morì nel 1993. Il suo successore fu Henri Konan-Bédié.

Nell'ottobre 1995 Bédié venne confermato alla presidenza con il 96% dei voti contro un'opposizione frammentata e disorganizzata. Il suo governo perse però in breve tempo il sostegno internazionale. Bédié favorì l'aumento della corruzione, causando la diffusione del malcontento anche all'interno dell'esercito. Mandò in prigione diverse centinaia di sostenitori dell'opposizione ma d'altro canto migliorò l'economia, almeno superficialmente, con la diminuzione dell'inflazione e un tentativo di eliminare il debito estero.

Al contrario di Houphouët-Boigny, che fu molto attento nell'evitare ogni forma di conflitto etnico lasciando l'accesso alle posizioni di potere a tutti i cittadini indipendentemente dalla provenienza, Bedié enfatizzò il concetto di "ivorianità" (Ivoirité) tramite il quale escluse dalle elezioni presidenziali Alassane Ouattara, suo principale rivale e candidato dell'opposizione, usando come pretesto le sue presunte origini dal Burkina Faso. La decisione dell'esclusione di Ouattara infiammò l'opposizione, in gran parte sostenuta dagli Ivoriani del nord. Reagendo all'esclusione del suo candidato migliore, l'opposizione boicottò in maniera massiccia lo scrutinio e denunciò la manovra. Poco dopo, il presidente Bédié allontanava il generale Gueï, capo dell'esercito, dopo che quest'ultimo aveva rifiutato di impegnare le sue truppe contro l'opposizione.

Quattro anni dopo essere stato allontanato, cioè il 24 dicembre 1999, il generale Robert Gueï, alla testa di un gruppo di soldati, rovesciò il governo di Henri Konan Bédié. Accolto come un riparatore dei torti dalla popolazione, il generale Gueï promise di ridurre il crimine e la corruzione; i generali fecero pressioni per introdurre severe misure di austerità economica, e auspicarono una società meno dispendiosa, anche attraverso campagne di sensibilizzazione lungo le strade. L'esercito instaurò il 4 gennaio 2000 un Comitato di Salute Pubblica con il compito di condurre al più presto a libere elezioni nel paese.

Il 1º agosto 2000 la Costa d'Avorio si dotò di una nuova costituzione, approvata dall'86% degli elettori ivoriani in occasione di un plebiscito popolare condotto nel mese precedente. Grazie alla nuova costituzione, il generale Gueï, su modello del suo predecessore, Henri Konan Bédié, decise a sua volta di invocare il concetto di ivorianità per escludere Alassane Ouattara dalla corsa elettorale per una seconda volta. Il generale Gueï e Laurent Gbagbo, candidato del Fronte Popolare Ivoriano, si trovarono allora ad essere i soli candidati alla presidenza del paese.

L'elezione, tenutasi nell'ottobre del 2000, non fu né pacifica né democratica: la vigilia delle elezioni fu segnata da agitazioni sia tra le file dell'esercito che tra i civili. Il tentativo di brogli elettorali da parte di Guéi portò a un sollevamento popolare, che causò la morte di 180 persone e la sua rapida sostituzione con il vincitore delle elezioni, Gbagbo. Appena eletto, il presidente Gbagbo respinse la legittimità politica di Alassane Ouattara, capo del RDR (raccolta dei repubblicani) scatenando violente proteste nel nord del paese.

Il 19 settembre 2002, truppe di ribelli provenienti dal nord guadagnarono il controllo di gran parte del paese. L'ex presidente Guéi rimase ucciso nei combattimenti. Una prima tregua con i ribelli, che godevano del pieno appoggio della popolazione del nord, prevalentemente musulmana, si rivelò di breve durata e ripresero i combattimenti per conquistare le principali zone di coltivazione del cacao. La Francia inviò delle truppe per il rispetto dei confini della tregua; milizie irregolari, comprendenti signori della guerra e combattenti provenienti dalla Liberia e dalla Sierra Leone, approfittarono della crisi per impossessarsi di parte delle regioni occidentali.

Nel gennaio 2003, il presidente Gbagbo e i capi dei ribelli firmarono degli accordi per la creazione di un governo di unità nazionale. Il coprifuoco fu tolto e le truppe francesi ripulirono il confine occidentale del paese, che era fuori controllo. Ma i problemi centrali rimasero e nessuna delle due fazioni riuscì a realizzare i propri obiettivi.

Da allora, il governo di unità nazionale si è dimostrato estremamente instabile. Nel marzo 2004, 120 persone furono uccise durante un raduno dell'opposizione. Un rapporto sull'accaduto concluse che le uccisioni erano state premeditate. Nonostante i mediatori delle Nazioni Unite fossero sul posto, le relazioni tra Gbagbo e l'opposizione continuarono a deteriorarsi.

Il 31 ottobre 2010 si sono svolte nuove elezioni presidenziali: tra i candidati vi erano Alassane Ouattara, candidato del Raggruppamento dei Repubblicano, e Laurent Gbagbo, candidato del Fronte Popolare Ivoriano, che ottennero al primo turno rispettivamente il 32,08% e il 38,02%. Il 28 novembre si è svolto il ballottaggio, al termine del quale la Commissione elettorale indipendente ha dichiarato vincitore Alassane Ouattara con il 54,10% dei voti. Gbagbo, contestando il risultato a lui avverso, non ha lasciato la Presidenza nonostante le innumerevoli pressioni provenienti anche dall'estero. Con il fallimento di tutte le trattative diplomatiche si è così giunti ad un nuovo sanguinoso scontro tra opposte fazioni che ha percorso tutto il paese. Dopo l'intervento di truppe francesi (su mandato ONU a seguito della risoluzione 1975 votata quasi all'unanimità), l'11 aprile 2011 Gbagbo viene arrestato e consegnato alla Corte Penale Internazionale dove è detenuto con l'accusa di crimini contro l'umanità. Lo stesso giorno il Consiglio Costituzionale proclama Alassane Ouattara nuovo Presidente della Costa d'Avorio.

La lingua ufficiale della Costa d'Avorio è il francese che è parlato da circa il 70% della popolazione, mentre per il restante 30% la lingua baulé, dioula e agni sono le più diffuse.



La religione tradizionale è il cristianesimo, diffuso in circa il 37% ( 30% della popolazione è cattolico mentre il restante 7% è protestante. A seguire, religioni più professate sono l'islam con il 28% e quella animista con il 25%. Il restante 10% pratica altre religioni o si dichiara ateo.

Area di popolamento abbastanza recente e piuttosto limitato a causa soprattutto delle non favorevoli condizioni ambientali offerte dalla foresta, la cui estensione era un tempo assai superiore all'attuale, la Costa d'Avorio fu presumibilmente alle origini abitata da genti pigmoidi, cacciatori e raccoglitori, stanziate nella fascia forestale e di cui esistono ancora modestissimi gruppi. Furono le successive immigrazioni di genti sudanesi dedite all'agricoltura a originare i primi consistenti nuclei stabili. L'attuale popolazione ivoriana è molto eterogenea, essendo mancato un processo di fusione dei differenti gruppi, molti dei quali sono presenti anche nei Paesi limitrofi; è composta da akan (42%), voltaici (18%), mande del Nord (17%), krou (11%), mande del Sud (10%), altri (2%). Prevalgono numericamente gli anyi e i baulé, appartenenti al grande gruppo degli akan; affini perciò agli ashanti del Ghana, donde giunsero, sono in prevalenza concentrati nelle regioni centrorientali del Paese. Tra gli altri i gruppi principali sono: i mande, d'origine sudanese, che vennero dal bacino del Niger e si stabilirono nell'area savanica occidentale; i senufo e i lobi, anch'essi sudanesi ma appartenenti al gruppo “voltaico” e che abitano invece la regione delle savane orientali; le varie popolazioni genericamente denominate kru (gueré, dan, dida ecc.), stanziate nella regione forestale di SW, dalla Liberia al corso del Bandama e tra le quali vengono talvolta inclusi anche i cosiddetti “lagunari”, giunti da E e concentrati appunto nella fascia delle lagune, dove tradizionalmente praticano la pesca. Mancano dati precisi riguardo alla passata consistenza demografica del Paese; si ritiene però che la popolazione sia stata lungamente stazionaria e che sin verso la prima metà del sec. XIX si aggirasse sui 2 milioni di abitanti. Negli ultimi quarant'anni del Novecento i valori numerici appaiono essersi quadruplicati, oltre che a causa dell'elevata natalità, sia per effetto del diminuito indice di mortalità, conseguente alle migliorate condizioni igienico-sanitarie e alla lotta condotta contro le molte e gravi malattie endemiche, sia per la forte immigrazione dai Paesi confinanti. Il Paese ospita infatti un elevatissimo contingente di stranieri, soprattutto africani, che provengono dai Paesi vicini (Burkina, Mali, ecc.). La densità della popolazione (65 ab./km²) è tra le più elevate dell'area guineana; le zone di più fitto insediamento sono quella centrale e quella meridionale attorno ad Abidjan, città che, essendo stata in passato la capitale, è stato un forte polo di attrazione demografica. Il tradizionale insediamento del villaggio, comunque, è ancora molto diffuso, anche se nel 2006 già il 46% della popolazione era urbanizzato. Nel frattempo con un fenomeno tipico di tutto il continente africano, dovuto inizialmente all'avvento coloniale, sono nate città sulla costa ma anche nell'interno, nella zona delle foreste e nella savana. Altri centri importanti sono Bouaké, tradizionale centro economico-culturale dei baulé, che ha registrato un notevole sviluppo grazie anche all'installazione di nuove industrie e Yamoussoukro, villaggio natale di Houphouet-Boigny, scelto nel 1983 dall'allora presidente come nuova capitale del Paese. Sorge a 220 km a NW di Abidjan, in corrispondenza di un importante nodo stradale per la Guinea e il Burkina. La scelta della nuova capitale era servita ad alleggerire la pressione demografica su Abidjan, divenuta insostenibile.

Le colture industriali, il cacao principalmente, sono state la chiave del miracolo ivoriano e continuano a essere la principale risorsa del Paese. Il settore primario contribuisce per il 25,4% alla formazione del PIL (2008) e impiega il 49% della forza lavoro. D'altro canto il settore sconta le sensibili fluttuazioni della domanda sul mercato internazionale e i programmi governativi volti ad aumentare esponenzialmente le superfici coltivate hanno fatto sì che vaste porzioni di foresta andassero distrutte e si sviluppasse, nelle zone settentrionali, un preoccupante processo di desertificazione. Il principale prodotto di esportazione è il cacao che rappresenta l'80% delle esportazioni, seguono il caucciù (la cui produzione è aumentata notevolmente durante gli anni di guerra e la conseguente crisi del cacao) e il caffè, di cui è il terzo produttore africano (2007). Il panorama agricolo comprende anche banani, ananas, cotone, palme da olio, canna da zucchero ecc. I principali prodotti agricoli destinati al consumo locale sono la manioca e alcuni cereali, coltivati con metodi decisamente arretrati sia nelle regioni centrosettentrionali, come il miglio, il sorgo e il mais, sia nella fascia meridionale, come il riso. L'altra grande risorsa della Costa d'Avorio è il patrimonio forestale, già soggetto però a un eccessivo sfruttamento che ne ha ridotto l'importanza economica. Una carente politica di riforestazione ha visto scendere, nell'arco di un ventennio, le aree forestali che, nel 2008, comprendevano il 32,7% della superficie del Paese. Le foreste danno legname assai pregiato, mogano soprattutto; anche in questo settore la Costa d'Avorio è tra i maggiori produttori africani, che in parte alimenta varie segherie locali, ma che essenzialmente viene esportato verso i mercati europei e nordamericani. § L'allevamento è invece assai meno sviluppato. Nelle aree savaniche centrosettentrionali sono presenti ovini e caprini, oltre ai bovini, mentre un poco ovunque si allevano animali da cortile; si deve però ricorrere all'importazione per soddisfare il fabbisogno interno.  Rilevante è la pesca: Abidjan è il maggiore centro per la pesca del tonno dell'Africa.

Il settore secondario impiega solo il 14% della forza lavoro, ma produce quasi il 28% del PIL (2008). L'industria si è sviluppata, come accennato, grazie ai guadagni provenienti dall'agricoltura e fin dai primi anni dopo l'indipendenza ha visto nascere manifatture alimentari e industrie per la lavorazione di legno e cotone. Tra gli altri impianti sono alcuni cementifici alcuni zuccherifici. Una grande raffineria di petrolio e stabilimenti metallurgici e meccanici si trovano a Vridi (periferia di Abidjan). Abidjan e l'area circostante rappresentano la zona di maggior concentrazione industriale dello Stato; questa crescita, avvenuta senza predisporre organici piani regolatori, ha provocato un fortissimo esodo rurale verso la città ex-capitale e quindi un forte squilibrio territoriale, tanto che sono aumentati gli sforzi del governo per determinare un più omogeneo sviluppo del Paese mediante il decentramento delle nuove attività industriali. La Costa d'Avorio possiede modeste risorse minerarie: alcuni giacimenti di diamanti, piccole riserve di ferro, bauxite, oro e gas naturale. Nel 1995 sono entrati in produzione i giacimenti petroliferi off shore la cui produzione è in costante crescita. La produzione di energia elettrica è sopratutto di origine idrica: sono in funzione diversi impianti idroelettrici sui fiumi Bia, Bandama, Comoè e Cavalla.

La bilancia commerciale si è mantenuta attiva (si è notato un decremento globale e rimane, in seguito alle difficoltà dell'economia del Paese, un consistente debito estero (13.938 ml $ USA nel 2007), grazie al notevole peso delle esportazioni; esse poggiano sui prodotti agricoli e forestali (caffè, cacao, legname, banane, cotone, frutta fresca ecc.), benché un discreto ruolo comincino a svolgere taluni prodotti industriali e minerari. Oltre alla Francia, gli scambi si svolgono soprattutto con Paesi Bassi, Stati Uniti, Nigeria e Germania. Molto sviluppate, se comparate agli altri Paesi del continente, sono le vie di comunicazione. La Costa d'Avorio possiede una linea ferroviaria che da Abidjan attraversa da S a N tutto il Paese, proseguendo poi nel Burkina Faso; ma è sulla rete stradale, che nel 2004 si estendeva per 80.000 km di cui ca. 6.500 asfaltati, una delle migliori dell'Africa occidentale, che si svolge la maggior parte dei traffici. Scarso rilievo hanno invece le vie navigabili interne; i tratti inferiori dei fiumi e le lagune costiere sono però usati per i trasporti locali. Infine il Paese può contare, a sostegno dei sempre più vivaci scambi con l'estero, sull'attivissimo porto di Abidjan, di San Pedro e di Tabou, al confine con la Liberia. Esistono una quindicina di aeroporti: quello internazionale si trova nella capitale. A partire dagli anni Settanta del Novecento, si è promosso molto il turismo, creando anche un apposito ministero, tanto che negli anni precedenti alla guerra civile si erano registrati fino a 300.000 ingressi all'anno.

L'arte della Costa d'Avorio si contraddistingue per le peculiarità delle varie popolazioni che la abitano.
Per i Baulé e per i Guro la produzione artistica è strettamente collegata sia alle esigenze agricole sia alla tradizionale religione ancestrale e quindi tipiche sono sia le maschere, raffiguranti animali legati all'alimentazione, sia quelle rappresentanti figure umane impreziosite da elementi simbolici, come il sole, la fecondità e la potenza.
Per gli Agni, invece, le sculture in terracotta, rappresentanti teste o figure di antenati illustri rappresentano la massima espressione artistica.

Le guerre civili che ancora all'inizio del sec. XXI dilaniano il Paese hanno bloccato in gran parte i rapporti con il resto del mondo e lo sviluppo ulteriore di una 'cultura' moderna così come viene comunemente intesa. Fortunatamente le produzioni artigianali e artistiche, che sono sempre state straordinarie, restano tra le migliori di questa parte del continente: maschere e statue di legno intagliato o di rame, stoffe dipinte con motivi geometrici e animali, strumenti musicali. Tra le feste, molto suggestive sono quelle legate al periodo di carnevale. Uno dei carnevali più importanti del continente è quello di Bouaké, una sorta di festa dell'amicizia che dura circa una settimana. Particolarmente interessante è la Fête de l'Abissa a Grand Bassam (ottobre), in occasione della quale si onorano i defunti. Altro evento notevole è la Festa delle Maschere, che si svolge vicino a Man nel mese di febbraio: danzatori e maschere delle regioni circostanti si riuniscono qui, a testimoniare la grande importanza che le maschere mantengono per l'etnia dan. Per quanto riguarda la musica, ha assunto una risonanza internazionale il reggae di Alpha Blondy (nome d'arte di Seydou Koné), nato a Dimbokro nel 1953. Le aree dichiarate patrimonio dell'umanità dall'UNESCO sono parchi nazionali.

Nella grande varietà delle tradizioni culturali è possibile ravvisare, a grandi linee, alcune concezioni comuni a tutto il Paese. Le tante ricorrenze sono spesso riferibili a momenti della vita familiare o della vita del villaggio, in genere connesse con le stagioni e i lavori agricoli e collegate a musiche, danze e all'impiego di maschere . Molto famose sono le danze sui trampoli dei giovani dan che si svolgono nei villaggi di montagna; i partecipanti danzano su trampoli alti tre metri, indossando maschere e travestimenti spaventosi. Altro spettacolo molto particolare è quello a cui si può assistere in alcuni centri come Bloleu e Diourouzon, dove alcuni uomini organizzano esibizioni come giocolieri utilizzando delle bambine. La donna conserva il semplice costume tradizionale (pagne) ma è ampiamente affermato l'abbigliamento europeo. L'alimentazione si incentra su un piatto di base, di solito riso, attiéké (manioca) o fufu (igname), integrato da una “salsa” di arachidi, o di noci oppure di melanzane, arricchito talvolta con della carne. La pietanza tradizionale è pollo o faraona cotti con verdure in una pentola di terracotta (kedjenou). Altro piatto molto popolare è l'aloco, a base di banane fritte nell'olio di palma.

La Costa d'Avorio presenta il caso di una cultura nazionale in gestazione. La varia tradizione orale conserva la sua vitalità, ma ha perso le radici rituali e sta per ridursi a folclore. Molti studiosi, dei quali A. J. Amon d'Aby è il più illustre, cercano di salvarne il patrimonio evitando però di ridurlo a reperto archeologico. La scolarizzazione in lingua francese ha prodotto una nuova cultura, in cui gli apporti della civiltà occidentale si sono sovrapposti o fusi con le culture autoctone, e la lingua francese stessa si evolve sotto l'influsso delle lingue vernacolari. La produzione scritta del Novecento appare, nel suo insieme, di buon livello. Il teatro è il genere più ampiamente rappresentato, con drammi storici e commedie satiriche. Si segnalano le opere di Essoi Adiko, Joseph Miezan Bognini, Amadou Koné, Charles Zegono Nokan, Bernard Zadi Zaouru, che sono anche poeti e prosatori. Ma su tutti campeggia Bernard B. Dadié, le cui opere ben rappresentano le tendenze letterarie nazionali: da un lato l'esaltazione dei grandi eroi del passato, dall'altro la satira dei costumi e la critica morale o sociale della vita contemporanea. A Dadié si deve inoltre il primo romanzo, Climbié (1956). La poesia, pur cantando l'amore, la natura e l'angoscia della morte, è dominata dal tema della libertà, ed è spesso strumento di denuncia delle ineguaglianze sociali, rimanendo sempre nell'ambito della négritude. A partire dagli anni Sessanta del Novecento il romanzo ha subito un processo di maturazione non solo contenutistica, con l'immissione di una più esatta valutazione della realtà sociale, ma anche formale. Nei decenni successivi lo sviluppo letterario è stato potenziato da due case editrici operanti ad Abidjan, che incoraggiano la narrativa e promuovono ricerche nel campo della tradizione orale. Il romanzo raggiunge la piena maturità e prevale sugli altri generi, con una produzione quantitativamente impressionante che affronta tutti i temi della società. Vanno ricordati Ahmadou Kourouma (1927-2006), che con Monné, outrages et défis (1990; Monné, oltraggi e provocazioni) ha ottenuto una larga e meritata fama internazionale per lo stile personalissimo; Jean-Maria Adiaffi, scrittore assai originale (La carte d'identité, La carta d'identità, 1980); e poi G. Oupoh, T. Dem, I. B. Koulibaly (Les deux amis, I due amici, 1978), P. Yao Akoto. La narrativa si è arricchita con le opere di Jérôme Carlos e con i novellisti P. Demanois, J. C. Guenaman e Bandama Maurice, il cui libro Le fils de la femme mâle (1993; Il figlio della donna uomo) è stato coronato dal Gran Premio letterario dell'Africa nera. Avvincenti ricerche letterarie, inaugurate da Niangoran Porquet e A. Touré con il lancio della griotique (sintesi teatrale dell'arte del narratore, del poeta e del drammaturgo), continuano con B. Zadi, A. Kodé e L. A. Kanié. Nel mondo letterario contemporaneo fanno spicco Tanella Boni (n. 1954), che insegna in università in Francia: scrittrice, poetessa, critica letteraria e d'arte, è osservatrice attenta e attiva del mondo femminile africano.

La Costa d'Avorio riunisce una sessantina di etnie (malinké, senoufo, lobi, dan, krou, baoulé, akan...) ed ognuna di esse possiede ricche usanze e molteplici riti iniziatici. Sul piano artistico, queste etnie, in particolare i dan e i baoulé, hanno prodotto maschere e statue di rara bellezza, che oggi figurano tra le opere più quotate sul mercato artistico africano. A parte i malinké e i dioula, convertiti all'islamismo, la maggior parte delle etnie sono animiste, ossia venerano un dio unico presente in modo diffuso nell'insieme dell'universo. Anche i culti si basano su una serie di intermediari di natura concreta, come geni, antenati, dei secondari, al fine di captare le influenze benefiche e di tenere lontane le potenze maligne. Bisogna assistere alle cerimonie iniziatiche e alle feste rituali, costellate di danze al suono di tam tam, flauti e zucche utilizzate come strumenti, come per esempio i riti di Poro, dell'etnia sénoufo, o la danza dei trampolieri, nel paese di Yacouba. Le feste tradizionali possono essere legate ai raccolti (festa dell'ignam), all'iniziazione a una nuova fascia d'età, a occasioni come funerali, eccetera. Ogni etnia possiede le sue tradizioni e per questo le feste hanno un calendario molto variabile. Per quanto riguarda i costumi, i villaggi della savana presentano un'organizzazione sociale molto rigida. Ogni individuo ha il suo posto all'interno di una serie di legami familiari e dello spirito di clan. All'interno di queste gruppi, la solidarietà tra i membri, la sottomissione al capo e il rispetto dei tabù sono regole assolute. Per tale motivo un visitatore non può entrare in un villaggio e ancor meno in una casa, senza essere stato invitato dal capo villaggio, con il quale avrà preso contatto in precedenza, attraverso la mediazione di una guida.

Il gruppo etnico principale vi giunse in epoca piuttosto recente, dalle zone vicine: il popolo Kru migrò dalla Liberia attorno al 1600; i Senoufo e i Lubi vi giunsero scendendo verso sud dal Burkina Faso e dal Mali. Bisogna aspettare il XVIII e XIX secolo perché vi giungesse anche il popolo Akan, inclusi i Baoulé, che emigrarono dal Ghana nell'area orientale del paese, insieme ai Malinké, migrati nello stesso periodo dalla Guinea verso il nordovest della Costa d'Avorio.

La Costa d'Avorio si è qualificata per la prima volta nella sua storia ai Mondiali di calcio nel 2006, nell'edizione disputata in Germania, concludendo le qualificazioni in testa al Gruppo 3 della Zona Africana, davanti al Camerun. Ai Mondiali, si è piazzata terza nel proprio gruppo, in un girone non facile, mancando così il passaggio agli ottavi di finale; precisamente, dopo aver perso di misura le prime due partite, sempre per 2-1, contro le forti nazionali di Argentina e Paesi Bassi, ha vinto per 3-2 l'ultima partita contro la Serbia e Montenegro. Successivamente, la selezione ivoriana è riuscita a qualificarsi anche ai Mondiali del 2010 in Sudafrica, vincendo il proprio gruppo di qualificazione. Anche stavolta la Costa d'Avorio ha trovato un girone non facile, finendo insieme a Brasile, Portogallo e Corea del Nord: e di nuovo è arrivata terza, pareggiando 0-0 col Portogallo, perdendo 1-3 col Brasile e vincendo 3-0 la Corea del Nord e dunque è stata eliminata. Durante le qualificazioni al mondiale di Brasile 2014 chiude in testa il suo girone ed avanza agli spareggi contro il Senegal che sconfigge 3-1 nella gara di andata per poi pareggiare 1-1 il ritorno. Centra così la sua terza qualificazione consecutiva alla fase finale di un mondiale di calcio. Stavolta viene inserita in un girone più abbordabile con Colombia, Grecia e Giappone. L'esordio è positivo: dopo aver chiuso in svantaggio il primo tempo sconfigge per 2-1 la nazionale giapponese ottenendo per la prima volta una vittoria all'esordio. Nella seconda giornata contro la più quotata Colombia viene sconfitta di misura per 2-1, restando tuttavia al secondo posto del girone. Un pareggio contro la Grecia le permetterebbe la prima storica qualificazione agli ottavi di finale. Dopo essere passata in svantaggio nel primo tempo, pareggia nel secondo, ma un rigore concesso ai greci al minuto 93 e trasformato da Samaras li condanna per la terza volta consecutiva all'eliminazione al primo turno. Ha vinto l'edizione della Coppa d'Africa 2015 battendo in finale il Ghana dopo i calci di rigore.

Dal golfo di Guinea a S la Costa d'Avorio si spinge a N sino agli altopiani sudanesi; presenta una morfologia non molto complessa, così come semplice è la struttura geologica. Il Paese poggia infatti su uno zoccolo di rocce precambriane (scisti, gneiss, quarziti, graniti), con prevalenza di affioramenti granitici nelle regioni settentrionali e occidentali, e di vaste formazioni scistose in quelle sudorientali. La fascia costiera orientale infine presenta una copertura sedimentaria del Cenozoico, con limitate sovrapposizioni alluvionali più recenti. Prevalgono le aree pianeggianti e le distese tabulari; il prolungato processo di erosione ha logorato ovunque i rilievi. Si possono distinguere tre principali regioni fisiche: una fascia pianeggiante meridionale, che penetra profondamente nell'interno ed è sovrastata da vari dossi, la cui quota non supera i 200 m; una zona centrale, con cime isolate relativamente più elevate (monte Tiguititi, 604 m) e che a W è accidentata dalle propaggini del massiccio dei monti Nimba (monte Tonkoui, 1189 m), estremo tratto orientale dell'ampia dorsale guineana; infine una regione settentrionale di alteterre, con altitudine media di 350-500 m, che formano vaste distese tabulari separate le une dalle altre da ripide scarpate e sovrastate anch'esse nella sezione occidentale da affioramenti granitici (monte Tiouri, 914 m). La costa, che si sviluppa per 550 km, è per lo più rocciosa a W, dato che qui i rilievi si spingono sino al mare, bassa e sabbiosa a E, dove presenta sino al confine con il Ghana una caratteristica serie di lagune (di Ébrié, Aby ecc.) che formano uno specchio d'acqua pressoché ininterrotto per quasi 350 km.

Data la generale morfologia del territorio – sorta di piano inclinato da N a S – il sistema idrografico del Paese poggia su corsi d'acqua, pressoché paralleli, defluenti dagli altopiani settentrionali all'Atlantico; i maggiori sono il Sassandra, il Bandama, il Comoé e il Cavally, che segna in parte il confine con la Liberia: tutti hanno il corso interrotto da rapide e sono perciò scarsamente utilizzabili per la navigazione. La Costa d'Avorio nordoccidentale tributa però al fiumeNiger, cui apportano le loro acque, tramite il Bani, il Bagoé e il Baoulé.

Per la sua posizione, tra i 4º e i 10º di lat. N, la Costa d'Avorio ha un clima di transizione tra il subequatoriale e il tropicale; fondamentalmente esso trae origine dall'alternanza nel corso dell'anno degli influssi delle masse d'aria continentali e di quelle oceaniche, queste ultime però sempre meno marcate man mano che si procede verso Nord. Nella regione meridionale si hanno di conseguenza piogge abbondanti (2000-2500 mm annui, con punte massime persino di 5000 mm nella zona costiera occidentale), che cadono in due stagioni, da maggio a luglio e da settembre a ottobre, cui si alternano quelle secche; le temperature sono invece costantemente elevate, con medie annue sui 27 ºC. Nell'area settentrionale le precipitazioni diminuiscono a 1000 mm e nell'estremo NE persino a 700 mm annui, concentrate in un'unica stagione piovosa, da maggio a ottobre, cui si contrappone quella secca, durante la quale fa sentire il suo influsso l'harmattan, vento secco d'origine sahariana. La zona settentrionale, infine, è caratterizzata da precipitazioni sensibilmente meno abbondanti, che raggiungono in media i 1200 mm annui. In rapporto all'alternanza delle due stagioni, le temperature variano notevolmente durante l'anno; anche le escursioni giornaliere sono particolarmente accentuate arrivando, durante la stagione secca, fino a 20-25 °C.

In relazione alle condizioni climatiche il paesaggio vegetale presenta in tutta la parte meridionale del Paese la foresta pluviale, ricca di essenze pregiate da ebanisteria (mogano soprattutto), tra una profusione di liane e una grande varietà di palme. La foresta si prolunga verso N con sottili fasce ai margini dei corsi d'acqua, in un ambiente già dominato dalla savana, che è prevalentemente arborata nella zona centrale, caratterizzate da alberi come il lingué (Afzelia africana), il teli (Erythrophloeum guineense), l'iroko e la samba; nelle zone più aride dell'estremo settentrione predomina la savana erbacea e arbustiva, con piante come la noce di karité. Sciacalli, iene, pantere, elefanti, ippopotami, numerose varietà di scimmie, e molti altri mammiferi sono ampiamente diffusi. Tra i rettili abbondano coccodrilli e serpenti velenosi come vipere, mamba e molti altri. La deforestazione e l'inquinamento delle acque costituiscono i problemi ambientali più gravi a cui il Paese deve far fronte. Le sue foreste, in passato le più grandi dell'Africa occidentale, sono state quasi interamente distrutte. Inoltre liquami domestici e rifiuti chimici, agricoli e industriali avvelenano le sorgenti d'acqua. La superficie protetta copre complessivamente il 20,4% del territorio, all'interno della quale si individuano otto parchi nazionali e tre aree dichiarate patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO, e sono: il Parco nazionale Taï (1982), la riserva naturale del Monte Nimba (1981) e il Parco Nazionale di Comoè (1983). Purtroppo le ultime due aree sono state inscritte nella lista dei patrimoni mondiali in pericolo.





martedì 19 luglio 2016

SKELLIG MICHAEL



Skellig Michael è l'isolotto più grande delle due isole Skellig. Situato a circa 17 km dalle coste del Kerry, Irlanda, è un luogo di notevole importanza sia a livello paesaggistico e naturalistico, ma soprattutto per la presenza sulla sua sommità di uno straordinario quanto poco accessibile monastero di origine cristiana costruito nel 588 e divenuto patrimonio dell'umanità protetto dall'UNESCO nel 1996.

Il luogo non è oggetto di moltissime visite da parte dei turisti, scoraggiati dalla sua remota e sperduta posizione, ma anche da numerose restrizioni da parte del governo irlandese; solo 10 imbarcazioni hanno il permesso di salpare dalle coste del Kerry, con un massimo di 12 persone a bordo e soltanto una volta al giorno. Ne deriva che il posto è preservato in maniera eccellente.

Skellig Michael riveste particolare importanza religiosa e storica. I primi riferimenti storici all'isola, che figura anche nelle leggende irlandesi, risalgono addirittura al 1400 a.C. Una storia nata attorno al 200 d. C. circa racconta di Daire Domhain ("Re del mondo") che si prepara qui prima di un'epica battaglia con il guerriero Fionn mac Cumhaill (Finn McCool) e l'esercito dei Fianna. Ma a distinguere realmente Skellig Michael è la possibilità che offre di scoprire la vita di una comunità di monaci isolati e in balia delle intemperie.

Gli insediamenti monastici, di cui sono testimonianza le capanne in pietra a forma di alveare in cima all'isola, si ritiene risalgano al sesto secolo. Gli storici raccontano che i monaci che costruirono il sito monastico salivano ogni giorno più di 600 scalini per raggiungere l'acqua da cui pescare il cibo per la colazione. I monaci condussero quest'esistenza estrema e ascetica in questo luogo fino al XIII secolo, quando si ritiene che il peggioramento del clima li indusse a trasferirsi sulla terraferma a Ballinskelligs.

Oggi, le capanne sono ancora sferzate dal maltempo e i visitatori devono salire i 600 gradini per raggiungerle, il che significa che non è un luogo consigliato a chi ha una ridotta mobilità. Anche chi soffre di vertigini potrebbe trovare un po' eccessiva la cima, situata a circa 218 metri sull'oceano Atlantico.

Il fascino delle Skellig non si limita soltanto alle glorie del passato. Con il gruppo di isole gemelle, le Blasket, a nord, le Skellig ospitano alcune delle più numerose colonie al mondo di berte minori atlantiche e pulcinelle di mare. La natura di questo fenomeno unico è tale che un documentario radiofonico irlandese ha trascorso una notte su Skellig Michael per registrare l'effetto acustico creato dagli uccelli delle tempeste e dalle berte minori atlantiche che vivono sull'isola.

L'interno del monastero, spartano fino all'eccesso, è un'immagine palese dell'ascetismo e della vita rigorosa praticata dai monaci del primo Cristianesimo irlandese.



Il monastero sopravvisse a una razzia vichinga nell'823, con una successiva espansione culminata con la costruzione della cappella centrale all'inizio del II millennio. Fu abbandonato un secolo dopo circa dall'ultima espansione e riscoperto nel XVI secolo per pellegrinaggi annuali, ma senza residenti fissi. Nel 1826 fu costruito un faro e nel 1986 furono intrapresi dei lavori di restauro per aprire il luogo ai turisti.

Recentemente, tuttavia, l'accesso ai turisti è stato sempre più limitato per cercare di conservare al meglio questo luogo eccezionale e unico al mondo; ciò che desta più preoccupazione è la particolare scalinata, da un lato non molto sicura per le persone, dall'altro in pericolo di degradazione se percorsa da troppi visitatori.

Skellig Michael è tornata a far parlare nelle pagine dei quotidiani irlandesi il 30 luglio 2007, quando il nuotatore a lunga distanza Robert Bohane da Ballinhassig, Contea di Cork, è divenuto la prima persona ad aver mai nuotato da Skellig Michael fino alla terra ferma. L'impresa è iniziata alle 09:07 locali e terminata 6 ore e 29 minuti dopo col raggiungimento del porto di Portmagee dove 200 persone tra locali, familiari, amici e sostenitori lo stavano attendendo. Il percorso è stato di 18,7 km (11,6 miglia) in lunghezza, dato che Portmagee non è il punto più vicino alle isole.

L'aspetto selvaggio e particolare dell'isola e le sue caratteristiche hanno influenzato vari artisti di ogni genere, dai musicisti agli scrittori. George Bernard Shaw visitò Skellig Michael rimanendone estremamente colpito. Il libro per ragazzi di David Almond Skellig deve il suo nome proprio alle isole ed il ragazzo protagonista del libro si chiama proprio Michael. La canzone della cantante Loreena McKennitt Skellig parla delle ultime parole di un monaco proveniente proprio dal monastero di Skellig Michael. Anche il gruppo musicale Clannad ha scritto una canzone intitolata sempre Skellig, che parla direttamente delle isole descrivendole. Il poeta irlandese Derek Mahon ha dedicato allo Skellig Michael la poesia "At the Butler Arms".

Nell'aprile del 2008 sono state realizzate delle monete euro commemorative raffiguranti Skellig Michael per celebrare l'ingresso del sito nei luoghi protetti UNESCO avvenuto 12 anni prima.

Nel 2014 l'isola di Skellig Michael è stata usata come set cinematografico per girare alcune scene di Star Wars: Il risveglio della Forza; è stato inoltre annunciato che verrà usata anche per il secondo film della nuova trilogia della saga, con il titolo momentaneo "Episodio VIII".

Sette luoghi sacri, dedicati a san Michele, si trovano a circa 1000 chilometri di distanza l'uno dall'altro, allineati lungo una retta che, prolungata in linea d'aria, conduce (dopo circa 2000 chilometri) a Gerusalemme. Partendo dal luogo più a Nord: l'isola di Skellig Michael in Irlanda, St Michael's Mount in Cornovaglia, Mont-Saint-Michel in Francia, Sacra di San Michele all'imbocco della Val di Susa in Piemonte (vicino Torino), santuario di San Michele Arcangelo in Puglia (vicino a Foggia), Monastero di Symi in Grecia, Monastero del Monte Carmelo in Israele.

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giovedì 24 dicembre 2015

L'ISOLA DI SUMATRA



Sumatra è la sesta isola più estesa del pianeta, con una superficie di circa 470.000 km² ed è la terza isola più grande dell'arcipelago Indonesiano dopo Nuova Guinea e Borneo.

Uno dei primi nomi con cui Sumatra venne indicata nell'antichità fu Suvarna Dvipa (in saanscrito Isola dell'Oro), che probabilmente meritò per via dell'attività estrattiva di minerale aurifero iniziata sin dalla più remota antichità.

Grazie alla sua collocazione strategica sulla rotta commerciale navale tra la Cina e l'India, sull'isola fiorirono numerose città commerciali, specialmente sulla costa orientale, perlopiù influenzate dalla cultura e dalle religioni Indiane. Una delle più notevoli fra queste città fu senza dubbio Srivijaya (probabilmente identificabile con l'odierna Palembang), che dette vita ad una monarchia buddhista che tra il VII ed il IX secolo d.C. governò un impero talassocratico che arrivò ad estendersi nella penisola Malese e nel Borneo Occidentale, ed a cui probabilmente dobbiamo l'estendersi in quest'area della cultura e dell'etnia Malese.

L'influenza di Srivijaya diminuì fino a sparire del tutto nel corso dell'XI secolo, quando l'isola venne successivamente conquistata dai regni giavanesi di Singhasari e Majapahit. Fu in questo periodo che l'Islam giunse a Sumatra, probabilmente portato dai mercanti Arabi ed Indiani.

Durante il tardo XIII secolo, il monarca del regno di Samudra (corrispondente approssimativamente all'odierna provincia di Aceh) si era già convertito all'Islam. Ibn Battuta, che visitò il regno durante i suoi famosi viaggi, trascrisse la pronuncia come Sumatra, da cui derivò il nome odierno dell'isola. Samudra venne presto rimpiazzata come potenza egemone dal potente Sultanato di Aceh, che sopravvisse fino al XX secolo. Con l'arrivo degli olandesi, molti piccoli principati in cui era divisa Sumatra caddero uno dopo l'altro nelle loro mani, finché, nel XIX secolo, non si arrivò al confronto finale con il Sultanato di Aceh nel corso della lunghissima e durissima Guerra di Aceh (1870-1905). Il patriota italiano Nino Bixio morì nell'isola di Sumatra il 16 dicembre 1873 mentre stava navigando per commercio fra le Isole della Sonda.

Il 26 dicembre 2004, la costa occidentale di Sumatra, tra cui in particolare la provincia di Aceh, è stata colpita e devastata prima da un immane terremoto che ha raggiunto una magnitudo pari a 9,0 e quindi da un imponente tsunami, che ha raggiunto in alcuni punti della costa i 25 metri, rendendo quest'area la più colpita dal Maremoto dell'Oceano Indiano; pochi mesi dopo, il 28 marzo 2005, fu colpita di nuovo da un violento terremoto di 8,7 Richter che interessò l'intera area nord-occidentale dell'Indonesia. In modo particolare colpita l'isola di Nias, dove ci furono ingenti danni e centinaia di morti.

Il 30 settembre 2009, l'isola è nuovamente devastata da un terremoto di magnitudo 7,6, colpendo principalmente la città di Padang.

Il 25 ottobre 2010 si registra ancora un terremoto, di magnitudo 7,7 della scala Richter, con epicentro a largo della costa occidentale di Sumatra, precisamente nell'arcipelago delle Isole Mentawai, alle 21:42 ora locale. Il terremoto ha provocato uno tsunami che ha colpito molte isole con onde che hanno raggiunto un'altezza di 3 metri e sono penetrate fino a 600 metri nell'entroterra, provocando oltre 400 vittime nonché danni a oltre 4.000 abitazioni e a 20.000 abitanti.

La densità di popolazione di Sumatra è elevata, dato che è abitata da circa 96 persone per km², per una popolazione totale di circa 45 milioni di abitanti in un territorio grande poco più di una volta e mezza l'Italia. I maggiori centri urbani sono Medan e Palembang.

La popolazione appartiene perlopiù all'etnia malese, anche se è piuttosto frammentata, tanto che si arrivano a parlare ben cinquantadue lingue. Sono presenti minoranze etniche cinesi soprattutto nei centri urbani.

La maggior parte degli abitanti di Sumatra professano la religione musulmana, ma non mancano minoranze cristiane (sia cattoliche che protestanti), induiste, buddhiste o adepti delle credenze tradizionali cinesi.

L'imponente isola, la sesta più estesa dell'intero pianeta, appartiene al territorio indonesiano, così come le Isole della Sonda. La bellissima Sumatra è circondata dalle acque dell'Oceano Indiano che accarezzano anche celebri luoghi ritenuti veri e propri paradisi terrestri come le Seychelles, le Maldive, le Mauritius e il Madagascar, senza dimenticare le altre isole dell'arcipelago Indonesiano fra le quali la Nuova Guinea ed il Borneo.
Sumatra sorge tra la penisola malese, a nord ovest, e l'isola di Giava, a sud est, perfettamente posizionata lungo la linea dell'equatore che taglia pressoché a metà l'isola.
Il clima risulta pertanto essere quello tipico equatoriale, caratterizzato da temperature elevate in ogni stagione dell'anno ed abbondanti precipitazioni, in particolare di tipo monsonico che sono assai frequenti tra novembre e fine aprile.
Il clima contribuisce anche al fiorire di una flora lussureggiante, caratterizzata da vaste foreste fluviali, ampie savane e boschi di conifere: una significativa varietà motivata dalla stessa conformazione di Sumatra, molto diversificata all'interno dei suoi 420.000 km quadrati di superficie.
Il territorio è contraddistinto dalla catena dei Monti Barisan che si distendono per 1700 km lungo l'isola, raggiungendo vette di 3800 metri con il Monte Kerinci. La peculiarità della catena del Barisan è rappresentata dai numerosi vulcani che la costellano, i quali costituiscono una delle attrattive principali dell'isola insieme ai laghi, sempre di origine vulcanica, fra cui il celebre Toba. Se ad occidente predominano le montagne, ad oriente si trovano numerose pianure, rese fertili dai molti fiumi, e fitte giungle che preservano rare specie di flora e di fauna in ecosistemi unici la mondo. Bisogna, tuttavia, ricordare che la situazione ambientale di Sumatra presenta preoccupanti zone d'ombra causate dal disboscamento selvaggio da cui discendono significativi rischi per l'ecosistema millenario, nonchè la stessa sopravvivenza dell'animale più rappresentativo dell'isola, ovvero l'orango tango, che è in via d'estinzione.



Il Toba è il lago più vasto del sud est asiatico che si distende nella parte nord orientale dell'isola di Sumatra. Le origini vulcaniche del lago donano un'aurea unica al paesaggio naturale che accoglie i turisti, posti a confronto con la forza della natura nel momento in cui si trovano di fronte alle antiche colate laviche e alle pareti dalle quali nascono le cascate.

Celebre anche Berastagi (Brastagi), centro che si trova ad un'altitudine di 1300 metri, unendo caratteristiche della flora tropicale, come bambu e palme, a piante montane quali gli abeti. La meta si rivela quindi particolarmente indicata per coloro che amano il trekking che possono scegliere tra i molteplici splendidi percorsi proposti. Brastagi, inoltre, è abitata dai Karo Batak, un'antica comunità che conserva tradizioni e riti millennari che destano vivo interesse nei turisti.
Molto diversa è l'atmosfera di Medan, la capitale della parte settentrionale di Sumatra, nonchè terza città dell'Indonesia per grandezza, un immenso centro urbano che espande continuamente i propri confini. Presenta alcune caratteristiche tipiche delle metropoli cresciute troppo velocemente ed in maniera disordinata, mescolando i maestosi edifici di epoca coloniale e le fatiscenti abitazioni delle famiglie più povere. Le profonde contraddizioni non privano, tuttavia, Medan del suo enorme fascino, e la città incantai visitatori con la bellezza della moschea Mesjid Raya e dell'Istana Maimoon.
Dopo un vasto centro abitato, ci si può calare nuovamente nel regno della natura che a Sumatra manifesta tutta la sua potenza. Una meta da non perdere è il Centro di Riabilitazione degli Oranghi che sorge nel villaggio di Bukit, a circa 80 km da Medan. Una fitta giungla consente agli oranghi che hanno trascorso periodi in cattività di riscoprire il loro ambiente naturale per tornare a vivere in esso in modo non traumatico. Il centro è sorto all'interno del Parco Nazionale del Gunung Leuser e può essere visitato insieme alle guide ufficiali che accompagnano gli amanti della natura lungo un percorso da fare a piedi ed in canoa.

Il Monte Merapi, in lingua indonesiana Gunung Merapi, è uno spettacolare vulcano conico della Giava centrale in Indonesia. Il suo nome letteralmente significa montagna di fuoco ed è uno dei vulcani più attivi dell’Indonesia. Dal 1548 il Monte Merapi ha eruttato circa 68 volte. Le continue eruzioni avvenute dal 1992 al 2002 hanno provocato il decesso di numerose persone in particolare modo del 1994. L’ultima eruzione avvenuta nel 2010, è stata una delle più potenti e intense degli ultimi secoli e causò la morte di ben 353 persone.

Il Monte Merapi viene considerato dall’International Association of Volcanology and Chemistry of the Earth’s Interior, uno dei vulcani più interessanti da studiare in relazione alle sue numerose e distruttive eruzioni in aree densamente popolate. Il Merapi è in assoluto il vulcano che ha provocato il numero più copioso di nubi ardenti ed è considerato un “Decade Vulcano” ovvero uno dei vulcani meno affidabili al mondo dato il suo carattere ‘fumantino’ ed ‘esplosivo’. All’acme del Monte Merapi si trova un duomo craterico instabile ed attivo che, quando collassa, da vita a flussi piroclastici e a gas.

Il Jam Gadang, che letteralmente significa “Grande Orologio“, è una monumentale torre dell’orologio ed un importante punto di riferimento della città di Bukittinggi nell’isola di Sumatra in Indonesia. La Jam Gadang rappresenta una delle principali attrazioni della città e presenta numerosi orologi su ogni lato. La torre dell’orologio indonesiana, venne costruita nel 1926, durante l’epoca coloniale olandese in qualità di dono della regina della città.

La Jam Gadang venne progettata e realizzata dagli architetti Yazin e Sutan Gigi Ameh; ab originem al vertice della struttura venne posto un gallo che successivamente fu trasformato in un Jinja giapponese.

Dopo l’indipendenza dell’Indonesia, la torre venne rimodellata e modificata. Ogni orologio della Jam Gadang presenta un diametro di 80 centimetri. La base della torre è di 13 metri per 4 e l’altezza misura 26 metri. Grazie alla sua interessante e particolare struttura, la Jam Gadang è spesso oggetto di souvenir da parte dei turisti.

Il Lago Maninjau è uno scenografico lago situato a pochi km dalla città di Bukittinggi nell’Isola di Sumatra in Indonesia. Questo splendido lago è stato formato da un’eruzione vulcanica avvenuta circa 52.000 anni fa; i depositi dell’eruzione sono stati trovati in una distribuzione radiale intorno a Maninjau che si estende sino a 50 km ad est, 75 km a sud-est e ad ovest sino alla linea della costa. La caldera presenta una lunghezza di 20 km ed una larghezza di 8 km.

Il Lago Maninjau occupa la ragguardevole superficie di 99,5 km quadrati ed è caratterizzato da una lunghezza di 16 km ed una larghezza di circa 7 km. La profondità media di questo lago dell’isola di Sumatra è di circa 105 metri, mentre la profondità massima si aggira intorno ai 165 metri.

Il Lago Maninjau è l’unico lago dell’intera isola di Sumatra ad avere uno sbocco naturale sulla costa occidentale. Dal 1983, quest’acqua è stata utilizzata per generare potere idroelettrico sulla parte ovest di Sumatra. Le persone che vivono nei pressi del Lago Maninaju sono prevalentemente Minangkabau e si nutrono di pesca.

La Baituirrahman Grand Mosque è una monumentale moschea situata nella città di Aceh, nell’isola di Sumatra in Indonesia. Questa grandiosa moschea è un importante simbolo della religione, della cultura, dello spirito, della lotta, della forza e del nazionalismo della popolazione di Aceh.

L’originale Grande Moschea venne costruita nel 1612 durante il regno di Iskandar Muda, il sultano della città di Aceh. Alcuni studiosi sostengono che la moschea venne addirittura edificata prima del 1292 ad opera del sultano Alaidin Mahmudsyah.

In passato la grande moschea divenne un centro di resistenza armata e venne rasa al suolo nel gennaio del 1874 dal Governatore Generale delle Indie Van Swieten. Nel 1877, lo stesso governatore olandese propose di ricostruire la moschea per la gente del posto e, nel 1879, i lavori di costruzione della nuova moschea cominciarono.

Tengku Qadhi Malikul Adil fu il primo a porre la prima pietra della nuova moschea. Completata nel 1881, la Baituirrahman Grand Mosque data la sua nascita ad opera degli olandesi, non fu subito bene accetta dai cittadini locali ma attualmente rappresenta il luogo più importante della città di Aceh. La Baituirrahman Grand Mosque si presenta caratterizzata da un minareto e diverse cupole e lo stile con il quale venne edificata è quello squisitamente revival Mughal.

Internamente la grande moschea è dotata di pareti armoniosamente decorate e sollevate da colonne, scale in marmo proveniente dalla Cina, porte in legno ben decorate e suggestivi lampadari in bronzo. Oggi la Baituirrahman Grand Mosque incarna l’orgoglio del popolo di Aceh, nell’Isola di Sumatra.

Molto consistenti sono le esportazioni di gas e petrolio, la cui produzione è qui pari ai ¾ di quella totale indonesiana. Vengono anche esportati in grandi quantità gomma e olio di palma. Sono da ricordare le grandi piantagioni di tabacco, palme da cocco, tè e soprattutto caucciù che compete con quello malese. Sumatra è inoltre famosa per il pepe nero.

Vi è anche una forte produzione di legname con conseguente disboscamento della foresta, con il rischio di estinzione di molti vertebrati locali, tra cui la famosa Tigre di Sumatra (Panthera tigris sumatrae).



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lunedì 10 agosto 2015

LE CONCHIGLIE



Le conchiglie sono oggetti amati quasi da tutti, sparse sulle spiagge, come gioielli di mare che da sempre bambini e adulti raccolgono. Pochi sanno, tuttavia, che per gran parte della storia, le conchiglie ebbero un ruolo fondamentale per l’uomo, vennero utilizzate in tutti i campi, dai soldi all’arte. Gli uomini primitivi dell’età della pietra utilizzavano le conchiglie per decorare i loro gioielli, case e barche. In molti paesi tropicali, le tribù utilizzavano le conchiglie come moneta di scambio. Gli Inca seppellivano delle conchiglie con i loro morti. Nel corso della storia, architetti e artisti incorporarono nelle loro opere svariati simbolismi tra cui appunto la conchiglia. Tra le rovine a Pompei, vennero trovate conchiglie usate per decorare le statue delle divinità.

Il risultato di queste antiche usanze fu che le conchiglie vennero assorbite nel nostro inconscio collettivo come simbolo positivo.

Nei miti greci e romani le conchiglie erano un simbolo di prosperità, di rinascita e, se associate al mare, indicavano la fonte della fertilità. Tutti proveniamo dal mare, la conchiglia divenne così simbolo del grembo materno e della nascita della dea Venere o Afrodite.

Per questo motivo, la conchiglia rappresentò la divinità femminile nel culto pagano, e venne associata all’amore, alla nascita, alla riproduzione.

Nella mitologia romana si dice che, Venere, la dea dell’amore e della fertilità, venne creata dalla schiuma portata a riva sulla cima di una conchiglia. Molti dipinti rappresentanti la Venere raffigurano quindi una conchiglia per identificarla. Un esempio classico è “La Nascita di Venere” del Botticelli.



Spesso capita nelle nostre chiese di vedere il simbolo della conchiglia riprodotto in varie situazioni pittoriche e decorative ma in modo del tutto particolare nelle acquasantiere. Queste occorrenza simbolica non è affatto casuale poiché la conchiglia ha rivestito per tutto il medioevo un significato proprio legato all’acqua ma anche alla resurrezione e quindi alla tomba. La polisemia della parola arca, termine derivato da arcēre, proteggere, è particolarmente adatta a spiegare la densità di significati che si raccoglie intorno alla figura-simbolo della conchiglia. Arca, infatti, è un semantema pertinente al sarcofago, alla cassa dove si ripongono gli oggetti preziosi (si pensi all’arca dell’alleanza) e all’imbarcazione biblica per eccellenza. Curiosamente, ma non troppo, arca è anche un genere di bivalvi comune in tutto il Mediterraneo catalogato con questo nome da Linneo (1758) per la sua forma che collega così l’immagine del sepolcro alla simbologia della conchiglia. La duplice valenza della conchiglia, emblema di fertilità e al contempo simbolo della tomba, trova spiegazione nel fatto che in entrambi i casi si tratta di un occultamento che prelude a un disvelamento secondo un punto di vista precedente anche all’avvento del pensiero cristiano. Su tale substrato, come sempre avviene nei casi di tessiture simboliche così ricche e cangianti, il cristianesimo ha posto il suo impianto interpretativo facendo diventare il binomio conchiglia-sepolcro un emblema non solo di vita ma anche di redenzione. È evidente che il primo e più perfetto frutto della conchiglia-sepolcro, in un’ottica squisitamente cristiana, non può essere che il Cristo il quale è dunque perla di perfezione. Anche Giovanni, il figlio che aveva sussultato nel ventre materno al saluto di Maria, gode di un’iconografia che gli attribuisce la valva della conchiglia quale strumento di identificazione del suo ruolo di battista, ossia di precursore del Cristo-perla. Il Physiologus, primo bestiario cristiano a cui si ispireranno gli altri testi a venire, descrive il rapporto tra Giovanni e Cristo come simile a quello tra la perla e l’agata che, per la sue proprietà intrinseche, era utilizzata nella pesca delle conchiglie: «Vi è una pietra che è chiamata agata: i cercatori di perle le trovano per mezzo della pietra d’agata; i pescatori infatti legano l’agata con un filo solidissimo e lo lasciano affondare in mare; e l’agata va verso la perla e non si muove più; allora i pescatori possono così seguire la fune e recuperare la perla» (Physiologus latinus, VIII sec., par. XXII). L’agata sta alla perla come Giovanni sta Gesù poiché come l’una pietra mostra l’altra, così il Battista rivela agli uomini il Salvatore.



Un passo del Tesoro di Brunetto Latini, peraltro ripreso dal suddetto Physiologus, descrive il comportamento della conchiglia: «Cochilla è un pesce di mare, lo quale sta chiuso con due ossa grosse, ed apre e chiude, e sta in fondo di mare, e la mattina e la sera viene a sommo, e toglie la rugiada. E poi sta al sole, e indurano alquanto queste gocciole della rugiada; poi quando sono cavate di queste cochille elle indurano e queste sono quelle che l’uomo chiama perle, le quali sono pietre di grande nobiltà, e specialmente in medicina; e come la rugiada è pura e netta, così sono le perle bianche e nette».

Ecco dunque che il simbolo che così spesso troviamo negli edifici sacri cristiani, ma non solo, prende senso alla luce della storia che ci ha preceduti e della sua interpretazione della natura. Anche se troppo spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto.

La Capasanta o conchiglia di San Giacomo è il simbolo del Pellegrinaggio nella città di Santiago de Compostela.

Il Pellegrino o “Peregrino” nel corso dei secoli ha da sempre raccolto sulle spiagge galiziane e sulla costa di Finis Terrae (in lingua galiziana Fisterra) le conchiglie di San Giacomo di Compostela.

La conchiglia di San Giacomo doveva essere cucita sul mantello o sul cappello ed era l’indicazione o il simbolo da mostrare a tutti che il Pellegrino aveva raggiunto e visitato la tomba di San Giacomo nella lontanissima e verdeggiante regione della Galizia nella penisola iberica.

“Las conchas” di San Giacomo nel medioevo e nei secoli successivi diventavano delle testimonianze e delle certificazioni simili a dei documenti con sigillo dell’avvenuto pellegrinaggio nella città di Santiago de Compostela e della visita alla tomba dell’apostolo di Gesù.

Le conchiglie di San Giacomo, trasportate e custodite con molto rispetto, servivano come certificazione da mostrare alle autorità preposte una volta rientrati nella città o paese natale per ottenere esenzioni dalle tasse o dal pagamento di pedaggi lungo il viaggio di ritorno.

Oggi,nei moderni pellegrinaggi, le conchiglie di San Giacomo possono essere trovate e comprate lungo tutto il tratto del “Cammino” da Roncisvalle fino all’arrivo nella città di Santiago de Compostela e vengono esibite con orgoglio sui moderni e utili zaini a testimonianza del moderno sacrificio lungo tutto il tratto del pellegrinaggio.



La conchiglia è un simbolo spesso usato per rappresentare l´amore.

Il guscio infatti rappresenta la protezione, la sicurezza, così come in una coppia affiatata.