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domenica 27 marzo 2016

GEYSER



I geyser sono una manifestazione del vulcanismo secondario, che si ottiene quando è presente una caratteristica struttura a sifone. In essa ci sono rocce permeabili, nelle quali circola l'acqua, dirette prima verso il basso e poi verso l'alto, circondate da rocce impermeabili, e nelle vicinanze è poi posta una camera magmatica. L'acqua entra nella struttura a sifone ed è riscaldata a causa della vicina camera magmatica, ma la profondità e la conseguente pressione litostatica impediscono che essa diventi vapore. In seguito risale in superficie e, con una pressione minore, l'acqua e il vapore sono liberi di esplodere in getti periodici. Il periodo è dovuto proprio al tempo necessario affinché il sifone si riempia.

I geyser sono abbastanza rari in quanto richiedono una combinazione di caratteri geologici e climatici che esistono solo in poche aree. Ci sono sette zone nelle quali si trovano molti geyser:

Il parco nazionale di Yellowstone (Wyoming, Stati Uniti)
L'Islanda
La zona di Taupo, (Isola del Nord, Nuova Zelanda)
La penisola di Kamcatka, (Russia)
La zona di El Tatio (Cile)
L'isola di Umnak sulle isole Aleutine (Alaska, Stati Uniti)
Fra i deserti e le lagune di Potosí (Bolivia)
Si trovano in prossimità di vulcani o nei luoghi dove la crosta terrestre è meno spessa.

Tra i geyser più famosi vi sono quelli situati in Islanda dove vi è il Geysir, anche detto Grande Geysir, che ha dato universalmente il nome (modificato in Geyser) al fenomeno, con getti alti da 30 a 40 metri. Cominciò la sua attività nel XIV secolo per ridursi quasi completamente all'inizio del XX secolo, sembra a causa del continuo gettare pietre all'interno da parte dei turisti; tuttavia resta tuttora in attività, sebbene con periodi di eruzione molto più lunghi e irregolari rispetto al vicinissimo Strokkur. È ancora attivo il vicino Strokkur (ubicato ai piedi dell'osservatorio sull'altopiano di Reykjavik) i cui getti di acqua fredda raggiungono i venti metri: hanno una frequenza di circa cinque/otto minuti (fino al primo pomeriggio) e i salti dell'acqua possono essere spettacolarmente due o tre. Intorno al sito si trovano altre sorgenti di acqua calda, il Piccolo Geysir, torrenti caldi e depositi minerali che rendono la zona simile a quella di "un altro pianeta".

L'acqua dei geyser è soprattutto ricca di silice idrata, disciolta o meglio dispersa in essa allo stato di idrosol. Questa silice, in seguito alla parziale evaporazione dell'acqua e al suo progressivo raffreddamento, si deposita intorno alla bocca del geyser sotto forma d'incrostazioni concrezionate appartenenti a una varietà di opale detta geyserite che si accumula dando origine a un caratteristico conetto biancastro. Si hanno anche geyser calcarei che danno luogo a depositi di carbonato di calcio. Essi però non sono frequenti, essendo stati osservati sinora solo nel Parco nazionale del Yellowstone (Stati Uniti). Il carbonato di calcio è costituito da calcite concrezionata che dà origine a conetti simili a quelli dei geyser silicei, ma facilmente riconoscibili per la loro differente costituzione chimica.
Il Damour, da un'analisi quantitativa compiuta su 1000 parti di acqua emessa dal Gran Geyser d'Islanda, ottenne i risultati seguenti: SiO2 = gr. 0,510; Na2CO3 = gr. 0,194; Na2SO4 = gr. 0,107; K2SO4 = gr. 0,047; NaCl = gr. 0,254; CO2 = gr. 0,056; oltre a tracce di (NH4)2 CO3, di MgSO4, di Al2O3 e di Fe3O3. Egli ammise che la silice dei geyser si trovi, invece che allo stato libero, combinata allo stato di silicati alcalini che verrebbero decomposti all'atto dell'efllusso per opera di vapori cloridrici e solforosi e dell'anidride carbonica penetranti nell'interno del condotto dei geyser dalle fenditure laterali. Questa ipotesi non è però necessaria, non essendo la quantità di silice superiore a quella che nelle ordinarie condizioni di temperatura e pressione si può mantenere disciolta; e tanto più poi se si pensa che essa si trova in parte allo stato di idrosol disperso nell'acqua. È quindi più logico supporre che si tratti inizialmente di acque termali, acide per acido cloridrico, solforico e carbonico, le quali, passando attraverso rocce silicate, le decompongano formando cloruri, solfati, e carbonati solubili e lasciando in libertà la silice, la quale verrebbe in parte anch'essa disciolta o asportata allo stato di colloide. Il che concorda con le esperienze di G.-A. Daubrée e dello Spezia sull'energia chimica molto grande che l'acqua acquista ad alta temperatura e sotto elevate pressioni; specialmente quando si tratta di acque ricche in acidi minerali. Il che appunto si avvera per le acque proprie delle regioni vulcaniche le quali sono sempre ricche dei predetti acidi.



Caratteristica è fra le acque cloridriche quella di White Island nella Nuova Zelanda, che su 1000 parti ne contiene 104 di acido cloridrico libero e 27,5 di cloruro ferrico, oltre a piccole quantità di altri cloruri e di solfati; e fra le solforiche quella di Oak-Orchard negli Stati Uniti che su 1000 parti di acqua ne contiene 2, 10 di anidride solforica libera, oltre a numerosi solfati. Le masse dei depositi geyseriani hanno forme terrose, stalattitiche e concrezionate, talvolta anche spugnose come nella vlandite del Parco nazionale del Yellowstone. Sono prevalentemente formate da geyserite con molte impurezze. Quella del Gran Geyser d'Islanda contiene 84% di silice, 8% di acqua, 30% di allumina, 2% di sesquiossido di ferro oltre a tracce di ossidi di calcio, magnesio e di metalli alcalini. Le proporzioni dell'acqua variano assai, avendosi nel Parco nazionale del Yellowstone delle geyseriti che da un massimo di 13% di acqua giungono, come nella pealite, a un minimo di 1,5%.

Tipico è il modo di funzionare del Gran Geiser d'Islanda che fu il primo che venne studiato. Esso presenta alla sua base un cono appiattito di geyserite, alto circa 10 metri, che contiene un bacino largo una settantina di metri al cui centro si apre un piccolo cratere largo 20 metri e profondo due e che si prolunga in basso in un condotto verticale largo circa tre metri. All'inizio di una fase attiva, il condotto e il bacino appaiono pieni di acqua calda ma ancora calma. In seguito questa comincia a gorgogliare e a sussultare raggiungendo un vero ribollimento, a cui fa seguito la proiezione di una colonna d'acqua alta fino a 40 metri, del diametro di 2 o 3 metri, circondata da una nube di vapori acidi. Questo getto acquista la massima intensità dopo qualche minuto ed è seguito da una successione di altri getti che vanno diminuendo d'intensità e che determinano la completa vuotatura del bacino e del condotto. Poi, sia per la ricaduta di una gran parte dell'acqua espulsa nel bacino e nel condotto sia per l'apporto di nuova acqua dovuta alle infiltrazioni laterali, avviene un nuovo riempimento, e il fenomeno si ripete. A qualche ora di distanza dalla fine di ogni fase esplosiva si sentono nell'inteno delle detonazionì dovute all'immissione di vapori soprariscaldati nella massa relativamente fredda delle acque occupanti il condotto.

Gl'intervalli fra le varie fasi di attività variano assai da un geyser all'altro, anche in un medesimo distretto; ed è anche da notarsi, e ciò in rapporto con l'affievolirsi dell'attività vulcanica in generale, che col tempo l'attività geyseriana va lentamente diminuendo. Così il Gran Geyser d'Islanda, che ai tempi in cui fu per le prime volte visitato a scopo di studio, cioè verso il 1846, dava un'esplosione ogni sei od otto ore, attualmente invece ne dà solo ogni 24 o 36. Nella stessa isola vi è un altro geyser, lo Strokkur, le cui acque ribollono continuamente e che solo ogni due o tre giorni dà luogo a violentissime esplosioni. Si hanno però geyser molto più attivi, come ad esempio l'Old Faithful (Vecchio Fedele) del distretto americano del Yellowstone, che dà un'esplosione esattamente ogni 65 minuti. Il meccanismo delle esplosioni fu dapprima spiegato dal Tyndall. La spiegazione dei Tyndall è fondata sullo studio delle temperature che si hanno nel Gran Geyser d'Islanda a differenti profondità del suo condotto in rapporto a quelle che si richiedono perché l'acqua possa passare allo stato di vapore, tenendo conto dell'innalzamento che esse subiscono in causa della pressione esercitata dalla soprastante colonna d'acqua.

I distretti geyseriani che corrispondono realmente per tutti i loro caratteri a tale tipo di manifestazioni vulcaniche secondarie sono essenzialmente tre. Fra questi il più anticamente noto (fin dal sec. XIII) e studiato è quello dell'Islanda. Esso si trova in una desolata pianura, circondata da ghiacciai, alla base del M. Barnefell a circa 45 km. a NO. dell'Hecla e consta di un numero limitato di geyser attivi. Fra questi sono specialmente da menzionare i Gran Geyser e Strokkur. Il secondo distretto è quello molto più vasto del Parco Nazionale del Yellowstone negli Stati Uniti. In esso il numero dei geyser supera l'ottantina, essendo taluni di essi calcarei. Sono da ricordare il Gigante; il Beehive meno violento del precedente; il Geyser architetturale; e il già menzionato attivissimo Old Faithful. Il distretto geyseriano della Nuova Zelanda era certamente il più importante, occupando una lunghezza di oltre 230 km. con una ininterrotta e imponente successione di fenomeni vulcanici secondari di tutti i tipi (vi erano oltre a settanta geysers), ma nel 1886, in seguito a una violentissima deflagrazione vulcanica, esso fu sconvolto e quasi del tutto demolito. Ai geyser si possono anche riferire le caldeiras dell'isola di San Miguel nelle Azzorre.


mercoledì 28 ottobre 2015

LE OASI



La parola oasi, attestata già nell'Antico Regno, in origine era un toponimo che designava una specifica località, sembra nell'attuale oasi di Dakhla, e probabilmente era un termine della lingua locale (libico-berbero).

Nonostante costituisca lo sfruttamento di una risorsa naturale già presente, ossia l'acqua e l'ambiente favorevole da essa creato, in realtà un'oasi non è mai di origine integralmente naturale. Per oasi, infatti, si intende tutto il complesso ecosistema formato da insediamento umano, palmeto, coltivazioni, e, spesso, elaborati sistemi di captazione e gestione idrica. Si tratta, quindi, di un paesaggio colturale in cui le palme da dattero sono piantate e meticolosamente coltivate e dove si arriva, a volte, a controllare anche gli stessi sistemi dunari, creando dune artificiali protettive. Pietro Laureano dà questa definizione di oasi:

« oasi è un insediamento umano che in condizioni geografiche aride usa le risorse disponibili localmente per creare una amplificazione di effetti positivi e determinare una nicchia vitale autosostenibile e un ambiente fertile in contrasto con l'intorno sfavorevole »
Per ottenere una varietà di prodotti vegetali, quali datteri, fichi, olive, pesche e albicocche, l'acqua disponibile deve essere utilizzata in modo accorto. La coltivazione avviene quindi in strati altimetrici, dei quali il primo e più importante è costituito dalle palme da datteri, piante a elevato sviluppo verticale che forniscono l'ombreggiatura per alberi più bassi come quelli da frutta. A loro volta questi possono fornire un ambiente adeguato alla coltivazione di verdure ed eventualmente, se le condizioni lo consentono, di cereali. Questo sistema minimizza la dispersione idrica dovuta all'esposizione al sole diretto, e quindi consente un utilizzo efficiente dell'acqua disponibile.

La posizione di un'oasi è di importanza critica per le rotte commerciali e di trasporto delle aree desertiche. Le carovane devono viaggiare di oasi in oasi per assicurarsi il rifornimento di acqua e cibo. Quindi il controllo militare o politico di un'oasi può in molti casi significare il controllo di un particolare commercio o rotta commerciale. Per esempio, le oasi di Augila, Ghadames e Kufra, nella Libia moderna, sono state, in vari momenti, vitali sia al commercio Nord-Sud, sia a quello Est-Ovest nel Deserto del Sahara.



Huacachina è un'oasi considerata tra le più secche del pianeta e sembra assurdo che questa piccola città abitata da 96 abitanti continui a proliferare. L'oasi è diventata una meta molto ambita ma è meglio andarci preparati perché non c'è acqua.

L'acqua può avere diversa provenienza, o da un fiume (oasi di Merv nel Turkestan), o da sorgenti (oasi di Siwah), o più spesso da falde sotterranee di non grande profondità che vengono raggiunte mediante pozzi; da essi l'acqua è poi sollevata e distribuita con varî mezzi (la maggior parte delle oasi del Sahara italiano; oasi dello Mzab, ecc.). Più raro è il caso di oasi create col trasporto d'acqua da lontano, mediante acquedotti, come nell'antica Palmira. Si comprende agevolmente come, tranne in quest'ultimo caso, le oasi si trovino di preferenza in zone depresse, o lungo il corso di uadi (oasi del Fezzan: U. el-Agiál, U. Abergiúsc) o in depressioni d'altro genere, spesso poste sotto il livello marino. Dal punto di vista morfologico le più interessanti sono le depressioni alberganti le oasi del Deserto Libico, depressioni che oggi i più propendono a ritenere prodotte dall'azione di scavo e di asporto di materiali (deflazione) operata dal vento.
L' estensione delle singole oasi è limitata dalla quantità d'acqua disponibile, la quale perciò viene sapientemente utilizzata e distribuita, spesso con norme rigorose. La distribuzione avviene per lo più mediante una rete di canali abilmente sistemati, sì da recare il prezioso alimento su tutta l'area coltivata. Questa è perciò scrupolosamente custodita e la proprietà è di solito molto frazionata: i singoli appezzamenti sono ricinti da siepi e ogni palmo del terreno è utilizzato. La popolazione è per solito sedentaria e vive disseminata nelle oasi, dove ogni proprietario di terreno ha la sua casa; non mancano peraltro esempi di popolazioni che vivono abitualmente in agglomerazioni urbane fuori dell'oasi e hanno poi case di campagna nelle singole proprietà.

Poiché l'estensione dell'oasi non si può ampliare, mentre la popolazione tende a moltiplicarsi, si arriva facilmente al sovrapopolamento, onde caratteristiche di molte oasi sono le migrazioni di gruppi che a un certo momento lasciano le loro sedi e vanno a cercare altrove lo spazio e i mezzi per vivere.

Accanto all'elemento sedentario, si ha spesso nelle oasi un elemento di popolazione nomade; anzi talune piccole oasi, povere di risorse, sono visitate esclusivamente da nomadi, che le frequentano periodicamente, abbandonandole quando i pascoli per le greggi e le altre magre risorse si esauriscono.

Spesso le oasi rappresentano aree di rifugio o di accantonamento dove gruppi di popolazioni hanno conservato linguaggi, usi, costumanze proprie, ovvero riti religiosi, ecc. (oasi dello Mzab e di Cufra nel Sahara; oasi del Ned in Arabia).

Nel Sahara, dove si hanno le oasi più tipiche, la loro distribuzione spaziale ha grande importanza perché ha determinato le direttrici delle vie carovaniere transahariane; tutto il traffico carovaniero era, e, dove ancora sussiste, è tuttora legato all'utilizzazione delle oasi come luoghi di tappa e di rifornimento. Da ciò anche l'importanza del possesso di taluni gruppi di oasi che rappresentano veri e propri nodi stradali.

Manca un calcolo complessivo dell'area totale delle oasi sahariane. Fuori del Sahara s'incontrano oasi dello stesso tipo in Arabia, nell'Asia centrale, nell'Iran; invece nei deserti australiani, come per esempio nel Kalahari, mancano vere e proprie oasi, almeno del tipo classico (a palme, e a tre piani di vegetazione).




domenica 25 ottobre 2015

Le CASCATE



Generalmente le cascate si formano lungo i corsi dei fiumi perché, in un tratto del loro corso, la parte del terreno su cui scorrono è meno resistente all'erosione rispetto alla parte più a monte; con l'andare del tempo si forma un dislivello tra le due parti e viene così generata una cascata che può crescere in altezza lentamente con il passare degli anni.

Alcune cascate si formano nell'ambiente montano dove l'erosione è più rapida e il corso della corrente può essere soggetto a cambiamenti repentini. In questi casi per la formazione della cascata non sono necessari svariati anni di erosione. In altri casi la formazione di una cascata può essere "istantanea" a causa di processi geologici molto violenti come terremoti o eruzioni vulcaniche, come nel caso dell'Islanda che possiede più di diecimila cascate. In altri casi le cascate si formano in ambiente montano quando l'acqua delle precipitazioni piovose o dello scioglimento delle nevi anziché penetrare nel terreno come accade in suoli carsici scorre direttamente in superficie accumulandosi e confluendo in valli che poi bruscamente si interrompono con un dislivello altimetrico dando vita al salto o semplicemente scorrendo in forte quantità nei valloni.

Le cascate possono anche essere artificiali, fatte per abbellire giardini o il paesaggio o dovute a chiuse e a dighe costruite per creare un lago artificiale durante il corso del fiume. Possono essere presenti anche in corsi d'acqua sotterranei all'interno di grotte.

In ogni caso le cascate sono dei fenomeni "temporanei" destinate a lungo andare ad essere distrutte dalla forza di erosione delle acque. Con il passare degli anni gli estremi delle rocce che formano la cascata sono destinati a rompersi ed a spostarsi sempre più a monte verso le sorgenti. Alle volte sotto allo strato di terreno più duro vi è un terreno più soffice che può essere a sua volta eroso formando una caverna sotto la cascata stessa.

Le cascate sono state da sempre un grosso ostacolo per il trasporto fluviale. In molti casi il problema è stato risolto costruendo canali artificiali che aggirano l'ostacolo. In altri casi sono state costruite delle vasche che vengono chiuse tramite sbarramenti e riempite d'acqua ogni volta che un'imbarcazione vi entra, in questo modo è possibile innalzare il natante fino al livello del fiume sopra la cascata; lo stesso principio applicato al contrario permette alle navi di discendere il fiume oltre la cascata.



L'acqua è un elemento molto apprezzato in fotografia: che sia essa il soggetto principale o semplicemente una componente secondaria, la sua presenza può regalare allo scatto quel "qualcosa in più" in grado di valorizzarlo, rendendolo originale e particolarmente interessante.

Laghetti, ruscelli, cascate, ma anche fontane e onde del mare sono solo alcuni esempi di questa categoria che da sempre attraggono l'attenzione dei fotografi.

Normalmente si tende ad immortalare l'acqua come l'occhio umano la percepisce, cioè ferma ad un dato istante, o al più lievemente mossa (effetto peraltro ottenuto involontariamente); riprese di questo tipo possono però risultare eccessivamente classiche e prive di creatività.

Ma data la sua natura di fluido, l'acqua si presta perfettamente anche per scene "dinamiche": essere in grado di riprenderla durante il suo movimento è indubbiamente affascinante.

Non sono certo una novità fotografie di torrenti in cui sembra scorrere della seta o cascate che assomigliano a drappeggi bianchi: dietro a queste particolari immagini, gradevolmente surreali e oniriche, si cela una tecnica ben precisa, la "lunga esposizione".

L’arcobaleno o iride è un fenomeno ottico e meteorologico che produce uno spettro quasi continuo di luce nel cielo quando la luce del Sole attraversa le gocce d'acqua rimaste in sospensione dopo un temporale, o presso una cascata o una fontana.

Visivamente è un arco multicolore, rosso sull'esterno e viola sulla parte interna, senza transizioni nette tra un colore e l'altro. Comunemente, tuttavia, lo spettro continuo viene descritto attraverso una sequenza di bande colorate; la suddivisione tradizionale è: rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco e violetto. Esso è la conseguenza della dispersione e della rifrazione della luce solare contro le pareti delle gocce stesse. In casi più rari è possibile assistere a più arcobaleni, tipicamente due, di cui uno appare bianco e più attenuato.



L'aspetto di un arcobaleno è provocato dalla dispersione ottica della luce solare che attraversa le gocce di pioggia. La luce viene prima rifratta quando entra nella superficie della goccia, riflessa sul retro della goccia e ancora rifratta uscendo dalla goccia. L'effetto complessivo è che la luce in arrivo viene riflessa in una larga gamma di angoli, con la luce più intensa riflessa con un angolo di 40°–42°. L'angolo è indipendente dalla dimensione della goccia, ma dipende dal suo indice di rifrazione. L'acqua del mare ha un indice più alto di quella della pioggia, quindi il raggio di un arcobaleno negli spruzzi di acqua di mare è più piccolo di quello di un arcobaleno di pioggia. Questo è visibile a occhio nudo dal disallineamento di questi due archi.

Un arcobaleno non è qualcosa di concreto che abbia esistenza effettiva in una particolare posizione del cielo. Si tratta solo di un fenomeno ottico la cui posizione apparente dipende dal punto in cui si trova l'osservatore e dalla posizione del sole. La posizione di un arcobaleno nel cielo è sempre dalla parte opposta rispetto al sole, e l'interno è sempre leggermente più luminoso dell'esterno. Tutte le gocce di pioggia rifrangono la luce solare nello stesso modo, ma solo la luce di alcune di esse raggiunge l'occhio dell'osservatore. Questa luce è quella che costituisce l'arcobaleno per quel determinato osservatore.

L'arco è centrato sull'ombra della testa dell'osservatore, apparendo ad un angolo di 40°–42° rispetto alla linea tra la testa dell'osservatore e la sua ombra. Come risultato, se il sole è più alto di 42°, allora l'arcobaleno si trova sotto l'orizzonte e non può essere visto siccome di solito non ci sono abbastanza goccioline di pioggia tra l'orizzonte (che è l'altezza degli occhi) e la terra per contribuirvi. Eccezioni avvengono quando l'osservatore si trova sopra la terra, per esempio su di un aeroplano, su di una montagna o su di una cascata. Un arcobaleno può essere generato utilizzando uno spruzzino da giardino, ma perché vi siano abbastanza gocce, esse devono essere molto fini.



giovedì 15 ottobre 2015

L' ACQUARIO



Allevare pesci voleva dire avere una nuova e costante fonte di cibo a disposizione, ma significava anche saper costruire e mantenere vasche adatte alla vita di questi animali.
per questo motivo i primi allevamenti di pesci sono attestati in zone costiere o nei pressi di fiumi e laghi, dove fosse facile collegare le vasche ad una perenne fonte d'acqua.
Nell'antico Egitto e nell'antica Roma l'allevamento dei pesci era già pratica comune. In Egitto era famoso l'allevamento della perca nilotica. Nell'impero romano, poi, l'allevamento dei pesci era considerato indispensabile per rifornire la tavola di prelibatezze, tanto che non c'era villa che non fosse fornita di vasche con dighe e chiuse che permettevano un ottimale ricambio d'acqua al fine di avere sempre a disposizione i pesci migliori. Le murene, in particolare, erano considerate una leccornia e venivano allevate con amore dai ricchi patrizi.
Durante il medioevo, l'allevamento dei pesci continuò in Europa e nel vicino oriente sempre per scopi alimentari.
In Cina, invece, tra il X e il XII secolo, durante la dinastia Sung, per la prima volta si iniziò ad allevare pesci per scopi ornamentali. Apparvero vasche e laghetti nei giardini e i primi acquari casalinghi nei quali iniziavano a nuotare gli antenati dei nostri pesci rossi. Selezionati e allevati per la loro bellezza, i pesci rossi cinesi derivano da alcune specie di carpe, animali resistenti e abituati a vivere in acqua stagnante, che dunque ben si adattavano alla cattività.
E' solo nel corso del XIX secolo che sorgono in Europa i primi acquari pubblici. Il più antico è quello di Londra, del 1837, mentre l'acquario di Milano, inaugurato nel 1906 per festeggiare l'apertura del traforo del Sempione, è il terzo ad essere stato aperto.
In quel periodo, però, gli acquari, sopratutto quelli che ospitavano pesci tropicali, non erano affatto dei congegni sicuri: per illuminare e scaldare l'acqua si usavano delle lampade a gas o a petrolio. E' solo dagli anni quaranta che la tecnologia dell'acquario si è affinata, permettendo di costruire vasche sempre più grandi e spettacolari, dove i pesci possano vivere in un ambiente quanto più simile possibile a quello naturale.



In Italia l’evoluzione dell’acquario avviene solo in un secondo tempo rispetto a ciò che invece accade nel resto d’Europa, in particolar modo Germania e Olanda. Negli anni Cinquanta e Sessanta il panorama dell’acquariofilia in Italia è abbastanza desolante, con pochissimi negozi e aziende specializzate e un mercato decisamente poco sviluppato.
Negli anni Settanta il numero degli appassionati comincia a crescere anche se le tecniche disponibili sono ancora abbastanza primitive: gli acquari sono molto rustici, incollati a mastice, con sistemi di filtraggio molto rudimentali, per lo più ad aria e pochissimi pesci importati, quasi tutti di acqua salmastra.

È a partire dalla fine anni Settanta - inizi anni Ottanta che scoppia il vero boom dell’acquariologia: sempre più aziende credono nel settore e cominciano ad investire nella ricerca e nella tecnologia, nuovi prodotti vengono creati per facilitare la vita di coloro che scelgono di ospitare in casa i primi acquari prodotti in serie a livello industriale.
Le importazioni di pesci crescono notevolmente, si affacciano sul mercato nuovi esportatori soprattutto dall’Asia che arricchiscono il numero di specie commercializzate.

Quando si tratta di acquistare i pesci molte volte gli acquariofili ricercano solo il negoziante che fa il prezzo più basso anche se questo il più delle volte è sinonimo di poca cura nel mantenimento degli animali, poco tempo di quarantena e quindi di poche garanzie sul loro stato di salute.

Dagli anni Ottanta ad oggi il mercato si è sviluppato in maniera esponenziale, l’acquario si è trasformato da oggetto di culto riservato a pochi facoltosi, nell’acquario facile, con costi alla portata di tutti ed accessibile anche alle persone meno abbienti. Di anno in anno le mode si sono alternate, si è passati dagli acquari salmastri e dai biotopi degli anni Settanta, all’acquario olandese degli anni Ottanta, fino all’acquario naturale degli anni Novanta (con le concezioni zen di professionisti asiatici) per arrivare ai giorni nostri dove spopolano le tecniche di aquascaping con la creazione di panorami subacquei mozzafiato.
Se da una parte la tecnica ha continuato ad evolversi, con l’invenzione costante di nuovi sistemi di filtraggio, di illuminazione e sistemi di manutenzione degli acquari di nuova concezione, dall’altra lo sviluppo di una cultura dell’acquario fra le persone comuni non è cresciuto di pari passo.

Purtroppo ad oggi i veri appassionati dell’acquario e dei pesci sono ancora relativamente pochi e per appassionati intendiamo non chi acquista l’acquario d’impulso, magari al supermercato, ma piuttosto colui che cerca di ricreare in cinque vetri un piccolo mondo acquatico, che non sceglie i pesci in base al colore ma che si interessa, si informa e cerca di ospitare in pochi litri d’acqua animali che possano convivere tranquillamente, originari delle stesse zone tropicali quindi con necessità ed esigenze similari di allevamento.

Purtroppo molte persone sono disposte a spendere centinaia di euro per la vasca e per gli accessori da utilizzare come lampade ultra-tecnologiche, sistemi di filtraggio all’ultimo grido, ma lesinano quando si tratta di spendere qualche euro in più per l’acquisto degli animali.
Se un pesce costa al di sopra di una certa cifra è da scartare a priori, l’elemento di discriminazione nell’acquisto di pesce è il più delle volte solo il prezzo e non il suo stato di salute che spesso viene messo in secondo piano.



L'acquario di acqua dolce è di gran lunga il tipo più diffuso e anche i piccoli negozi di animali spesso vendono alcune specie d'acqua dolce come pesci rossi, Guppy o Scalari. Anche se la maggior parte degli acquari d'acqua dolce sono allestiti come acquari di comunità dove vengono allevati pesci di varie specie che possono convivere pacificamente, molti acquariofili scelgono di allevare una sola specie, spesso con il proposito di ottenerne la riproduzione. Tra i pesci più semplici da riprodurre in cattività ci sono i Guppy ed altri Poecelidi che non depongono uova ma partoriscono direttamente gli avannotti, ma gli acquariofili riescono a far riprodurre numerose altre specie, tra cui varie specie di Ciclidi, Siluriformi, Caracidi e Killifish.
L'acquario marino è generalmente più difficile da gestire e mantenere e i pesci e gli invertebrati da introdurre sono significativamente più costosi rispetto a quelli d'acqua dolce; di conseguenza questo tipo d'acquario tende ad attrarre soprattutto gli acquariofili più esperti. Tuttavia gli acquari marini possono risultare straordinariamente belli da vedere, grazie alle vivaci forme e colori dei coralli e dei pesci originari delle barriere coralline che solitamente vi si allevano. Acquari marini di zone temperate come gli acquari mediterranei non sono molto diffusi nell'acquariofilia casalinga principalmente perché non si sviluppano bene alla temperatura ambiente delle abitazioni. Un acquario che contenga specie marine di acque fredde necessita quindi o di essere collocato in stanze molto fresche come cantine non riscaldate o raffreddati artificialmente con un refrigeratore.
L'acquario di acqua salmastra combina insieme elementi dei due acquari precedentemente descritti, in quanto contiene acqua con un grado di salinità medio tra quello dell'acqua marina e quello di acqua dolce. I pesci che vengono allevati negli acquari di acqua salmastra provengono da habitat diversi che hanno un grado di salinità variabile, come le foreste di mangrovie e gli estuari dei fiumi e quindi non possono essere allevati costantemente in acqua dolce. Anche se gli acquari di acqua salmastra non sono molto conosciuti, in realtà un numero sorprendente di pesci abitualmente posti in commercio come pesci d'acqua dolce o marina in realtà preferirebbero un ambiente di questo tipo, tra i quali alcuni Pecilidi, diversi Gobidi, pesci palla e Scatofagidi e praticamente tutte le specie di Soleidi d'acqua dolce.
Le persone che allevano pesci sono noti con il nome di acquariofili perché il loro interesse non è rivolto soltanto ai pesci. Molti di loro allestiscono vasche in cui l'attenzione è concentrata sulle piante acquatiche piuttosto che sui pesci. Un acquario di questo tipo è conosciuto come acquario olandese, riferendosi al fatto che gli acquariofili nordeuropei furono tra i primi a progettare tali vasche. Uno dei più popolari acquariofili a dedicarsi a vasche incentrate sulle piante è il giapponese Takashi Amano. Gli acquariofili marini spesso cercano di riprodurre l'ambiente della barriera corallina servendosi di grosse quantità di rocce vive, ovvero pietre calcaree e porose ricoperte ed incrostate da alghe, spugne, vermi ed altri piccoli organismi marini. Più tardi, quando l'acquario è maturato, aggiungono altri invertebrati di dimensioni maggiori, gamberi, granchi, ricci e molluschi, oltre ad una certa varietà di piccoli pesci. Questo è il cosiddetto acquario di barriera.

I laghetti da giardino sono sotto certi aspetti simili agli acquari d'acqua dolce, ma di solito sono molto più grandi ed esposti alle stesse condizioni climatiche dell'ambiente in cui si trovano. Ai tropici è possibile allevare nei laghetti anche pesci tipici di quelle zone, ma nelle aree temperate in genere si allevano specie come il pesce rosso, la Carpa koi e altri Ciprinidi.



martedì 8 settembre 2015

I PIRANHA



Entrato nella fantasia collettiva come uno dei più feroci "pesci killer" che esistano sul nostro Pianeta, il Piranha (o Piraña) ha in realtà una fama ampiamente immeritata.

Si tratta di un animale sì potenzialmente pericoloso per l'uomo che ha goduto nel corso dei decenni di una pubblicità negativa portatagli principalmente da un libro e da tanti film "da brivido".

I piranha (in portoghese, oppure piraña, in spagnolo) sono un gruppo di pesci d'acqua dolce che vivono in fiumi e lagune del Sudamerica. Appartengono a cinque generi della sottofamiglia dei Serrasalminae (che include anche pesci erbivori quale il Piaractus brachypomus e il Metynnis argenteus). Normalmente sono lunghi dai 15 ai 25 cm, anche se sono stati scoperti esemplari che raggiungevano i 40 cm di lunghezza. Sono celebri per i loro denti affilati, capaci di tranciare un amo, e un appetito vorace per la carne.

I piranha si trovano di norma nel Rio delle Amazzoni e nei fiumi della Guyana (dove viene chiamato Pirai) e del Paraguay. Tuttavia sono diffusi anche in tutti i sistemi lacustri dal bacino amazzonico, dell'Orinoco e del Rio della Plata. Da notare che, gli indios sparsi nel bacino del Rio delle Amazzoni, lo chiamano anche Caribe perché lo accomunano appunto ai popoli dell'etnia Caribe, noti per la loro ferocia e per la pratica del cannibalismo.

Ricerche sui piranha Serrasalmus brandtii e Pygocentrus nattereri effettuate durante le piene del lago Viana (nei pressi di Pindaré-Mirim) e pubblicate nel 2005 hanno dimostrato come queste specie mangino sostanze vegetali in alcune fasi del loro ciclo vitale. Ciò dimostra come essi non siano pesci strettamente carnivori.

Il piranha non è un pesce di grossa taglia, difficilmente supera il mezzo metro, se non nelle specie più grandi. Vive abitualmente in vasti branchi che possono contare anche alcune migliaia di individui.

L'aspetto del piranha è complessivamente simile a quello di un qualunque pesce di fiume. Il corpo è molto alto e marcatamente compresso lateralmente; lungo tutto il dorso scorre una cresta che si congiunge alla prima pinna dorsale, mentre la seconda è in genere piccola e atrofica. Le squame sono piccole, il colore varia a seconda della specie, dal verde opaco con sfumature rossicce al nero, fino a toni argentati. Rapido, a dispetto della costituzione apparentemente tozza, ha muscoli potenti e può spostarsi molto velocemente.

La caratteristica più distintiva della specie è senza dubbio la bocca, simile ad una tagliola. La mandibola, molto pronunciata, è armata con una fila di grandi denti triangolari, molto affilati, i cui margini coincidono perfettamente con quelli dei denti nella mascella superiore, più piccoli ma ugualmente affilati. Questa struttura, assieme ai potenti muscoli delle mascelle, rende la bocca del piranha uno strumento oltremodo efficiente, in grado di tranciare di netto e con un solo morso un boccone di carne dalla preda.

Il piranha è un pesce gregario, vive in gruppi anche molto numerosi che a volte giungono a popolare interi tratti di fiume. Molto discusse le sue abitudini alimentari. Se, infatti, nell'immaginario collettivo sono dipinti come voraci cacciatori, studi e testimonianze fanno emergere dati contrastanti. Se in alcune zone, infatti, gli abitanti possono fare tranquillamente il bagno nei fiumi, in altre sono pochi gli individui che non hanno perso almeno un dito a causa dei pesci. Fattori come il periodo dell'anno e la temperatura dell'acqua sembrano influenzare il comportamento imprevedibile del piranha, a tal punto che uno stesso esemplare può assumere a tratti anche una dieta erbivora.
Le abitudini predatorie del piranha sono comunque esagerate; esso attacca principalmente altri pesci e piccoli animali acquatici e solo occasionalmente aggredisce i grandi animali che entrano in acqua, ma quando succede il risultato è devastante. La pericolosità del piranha sta nel numero; un banco medio-grande di alcune centinaia di individui può spolpare in pochi minuti una pecora o un cavallo, e, mentre succede, l'acqua tutt'attorno sembra ribollire.

A dispetto però della sua cattiva fama, il piranha svolge un'importante funzione di "spazzino" del fiume, eliminando le carcasse di animali morti, evitandone la putrefazione e mantenendo pulite le acque.

Secondo alcuni, i piranha avrebbero lo stesso sistema sensorio degli squali che permette loro di percepire quantità anche minuscole di sangue nell'acqua; perciò nuotare con una ferita aperta aumenterebbe le probabilità di un attacco.



Secondo Corniff, fin dal 1913, quando il presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt dopo un viaggio in Amazzonia li descrisse come “i più feroci pesci del mondo”, i piranha sono diventati uno dei bersagli preferiti del nostro «blaterare pure e semplici assurdità».
Per cominciare, Corniff elenca una serie di episodi in cui si è trovato faccia a faccia con i piranha e loro si sono comportati in modo opposto a rispetto all’idea comune. Una volta Corniff si calò dentro una vasca piena di piranha nell’acquario di Dallas: appena si immerse i pesci corsero a nascondersi tutti nell’angolo opposto. Un’altra volta si mise a pescare piranha immerso fino alla vita nelle acque del Rio Napo, un fiume nell’Amazzonia peruviana. Un’altra volta ancora gettò in acqua la carcassa di un pollo, per vedere quanto tempo avrebbero impiegato i piranha a spolparla. Alla fine delle giornata, racconta, c’era ancora abbastanza carne da sfamare una famiglia.
Ovviamente questo non significa che il piranha sia un animale pacifico ed innocuo: può essere pericoloso per l’uomo, ma, come molti altri animali, lo è soltanto in particolari condizioni. Ad esempio, la leggenda dei banchi di piranha che si lanciano furiosamente contro il cibo, sbranandolo in un’orgia di morsi che fa tremare e ribollire l’acqua non è del tutto inventata. I piranha, però, si fanno prendere dalla frenesia raramente, in genere quando è disponibile un’improvvisa e abbondante fonte di cibo – ad esempio quando i pescatori ripuliscono il pescato gettandone in acqua le interiora.
C’è anche un’altra leggenda che è vera almeno in parte. Quando è stata data la notizia degli attacchi di Rosario, molti giornali hanno sottolineato un recente studio secondo il quale i piranha hanno un morso più potente di quello di uno squalo, di un’orca e persino di un tirannosauro. È vero, spiega Corniff, ma bisogna precisare che il loro morso è più potente in proporzione, a parità di peso (come si dice della forza delle formiche, ma nessun umano pensa di poter essere trasportato da una formica). In altre parole, il morso di un normale piranha non è più forte di quello di un tirannosauro: lo sarebbe quello di un piranha che pesa tanto quanto un tirannosauro. Inoltre, anche se hanno un morso molto potente, i piranha non lo usano quasi mai per sbranare vive le loro prede. Di solito si nutrono di carcasse, oppure utilizzando i loro denti per strappare squame o pinne ai pesci di passaggio, piuttosto che pezzi di carne dal corpo).
Bisogna anche sottolineare quanto siano poco frequenti gli attacchi di piranha agli essere umani. Tornando al caso dell’attacco di Rosario, Corniff nota che anche i più esperti avrebbero dei problemi a ricordare molti altri attacchi simili. Corniff ne cita un paio: uno avvenuto negli anni ’50 e l’altro nei primi anni 2000, entrambi in Suriname, uno stato nel nord-est del Sudamerica. Fatto abbastanza interessante, tutti questi attacchi avevano parecchio in comune con quello avvenuto a Rosario.
Tanto per cominciare, in tutti questi attacchi non ci sono stati “sciami di piranha inferociti che strappavano brandelli di carne”, come alcune descrizioni sui giornali sembravano suggerire. A quanto pare, tutte le vittime hanno subito una ferita, o al massimo due, e sono riuscite a tornare a riva sulle proprie gambe. Le cause del comportamento dei piranha a Rosario, e anche negli altri casi, possono essere due. La prima: i piranha sono stati attirati da grandi quantità di cibo che si trovava vicino alla spiaggia (interiora di pesci gettate in acqua da pescatori, o rifiuti di cibo lasciati in acqua dai bagnanti). In questo caso i piranha avrebbero morso le persone per “assaggiarle”, preferendo poi passare alle altre fonti di cibo, più piccole e meno rischiose da mangiare.
Secondo Corniff, però, la spiegazione, almeno dell’attacco di Rosario, è un’altra: si è trattato di un attacco difensivo. A dicembre, in quell’area dell’Argentina, per i piranha è la stagione degli accoppiamenti. I bagnanti, probabilmente, sono entrati nel territorio di riproduzione dei maschi, e questi ultimi, spaventanti, hanno cercato di allontanare le persone mordendole a scopo intimidatorio, per poi battere in ritirata.



Di recente ne sono stati trovati anche negli Stati Uniti, dove sono stati introdotti come pesci d’acquario. Alcuni esemplari sono stati rintracciati nel fiume Potomac e nei laghi Ozark e Winnebago.

Delle varie specie di piranha esistenti, oltre la metà non solo non attacca l’uomo o altri grandi mammiferi ma non attacca affatto, limitandosi a staccare pezzetti di squame o pinne a pesci più grossi di passaggio, che il più delle volte ne vengono al massimo infastiditi senza subire danni permanenti.

Al contrario, non è infrequente che l’uomo mangi i piranha, che sono un cibo popolare tra gli indigeni, anche se risultano difficili da pescare perché un piranha all’amo viene spesso attaccato dai suoi simili prima di essere estratto dall’acqua. Quel che resta viene comunque utilizzato per costruire utensili e armi, o essere impagliato e venduto come souvenir ai turisti.

Sono anche diffusi come pesci d’acquario in varie parti del mondo, per quanto siano illegali in diverse zone degli Stati Uniti.

Attacchi veri e propri sono estremamente rari e si verificano solo in particolari condizioni, come periodi in cui l’acqua è molto bassa o il cibo molto scarso, e se i pesci sono eccitati dalla presenza di sangue nell’acqua. La maggior parte degli attacchi registrati è infatti avvenuta in prossimità di porti dove vengono gettate in acqua le viscere dei pesci appena pescati.

Anche i casi di morti attribuite ad attacchi di piranha sono più probabilmente casi in cui la vittima è morta per altre cause e i piranha hanno poi divorato il corpo, dato che questi pesci sono anche spazzini oltre che predatori.




lunedì 7 settembre 2015

LE CORRENTI MARINE



Le correnti marine sono movimenti costanti delle acque, paragonabili a grandi fiumi che scorrono attraverso gli oceani a velocità comprese tra 2 e 10 km/h e che si distinguono dalle acque circostanti per temperatura e salinità.

Le correnti possono avere origine diversa: possono essere dovute all'azione combinata dei venti e delle differenze di pressione atmosferica oppure essere innescate dalle maree oppure ancora dipendere dalle differenze di densità dell'acqua del mare, causate, per esempio, dal diverso riscaldamento delle varie parti degli oceani e da diversi valori di salinità.

Le correnti marine possono svilupparsi sia in superficie (correnti superficiali), sia in profondità (correnti profonde) e si distinguono in:

correnti calde, se hanno una temperatura maggiore di quella delle acque circostanti (che interessano il lato occidentale dei continenti);
correnti fredde (che interessano il lato orientale dei continenti) nel caso contrario
Nel loro insieme, le correnti stabiliscono un circuito oceanico, cioè producono un moto ciclico delle acque marine, che compiono lunghi percorsi chiusi all'interno di uno stesso bacino oceanico. Le masse d'acqua alle latitudini polari hanno densità maggiore a causa dei forti raffreddamenti e tendono a precipitare in profondità; espandendosi sui fondali marini, si muovono verso latitudini con temperature più elevate. Lo sprofondamento dell'acqua polare richiama superficialmente altra acqua proveniente da latitudini inferiori. Le acque calde superficiali delle basse latitudini galleggiano in superficie e vengono così trasportate a latitudini più elevate, dove si raffreddano, diventano più dense e affondano, ripetendo così il ciclo

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Le correnti marine svolgono un ruolo molto importante nel trasferimento di calore dalle regioni tropicali alle regioni polari, esercitando una funzione mitigatrice del clima: infatti, trasportando acqua calda dalle basse alle alte latitudini, esse innalzano la temperatura dell'atmosfera, alla quale cedono parte del loro calore. Così, per esempio, durante l'inverno i porti della Norvegia sono liberi dai ghiacci, proprio perché la calda Corrente del Golfo lambisce le coste norvegesi recandovi le tiepide acque dell'Atlantico centrale; invece, la penisola canadese del Labrador, a latitudini poco più basse della Norvegia, ha porti chiusi dai ghiacci per la maggior parte dell'anno, perché nessuna corrente calda viene a lambirne le coste e risente invece dell'influsso della fredda Corrente del Labrador, che porta verso sud le fredde acque artiche.

La presenza delle correnti può essere individuata attraverso satelliti artificiali dotati di apparecchiature sensibili ai raggi infrarossi (radiazioni termiche) emessi dalla superficie degli oceani: queste apparecchiature registrano la temperatura, e quindi il percorso delle correnti, distinguendo le zone degli oceani con differenti temperature.

Le cause primarie della circolazione superficiale delle acque sono i venti, che trascinano nel loro movimento le masse d'acqua alla superficie degli oceani, e l'energia del Sole, che riscalda maggiormente le zone comprese fra i tropici; le acque vengono messe in movimento dall'energia che il vento, per attrito, cede allo strato superficiale delle acque stesse. Le correnti superficiali sono limitate ai primi 200 m di profondità.

L'andamento delle correnti superficiali è influenzato dalla forza di Coriolis: le correnti oceaniche sono deviate verso destra, rispetto alla loro direzione ideale di movimento, nell'emisfero settentrionale e verso sinistra nell'emisfero meridionale; il percorso delle correnti può essere influenzato anche dalla presenza di ostacoli, come dorsali oceaniche e continenti.



Le più note correnti superficiali includono la Corrente del Golfo, che si forma dalla corrente nord-equatoriale, il cui motore è l'aliseo tropicale. Essa si origina nel Golfo del Messico, alla confluenza della corrente delle Antille con quella di Florida. La corrente costeggia dapprima le coste sud-orientali degli Stati Uniti, poi attraversa l'Atlantico del nord, lambisce la costa delle isole britanniche, della penisola scandinava e si dirige verso l'Islanda. Lungo il percorso, un braccio piega verso sud, in direzione delle Canarie, poi verso ovest e ritorna al Golfo del Messico, chiudendo il circuito.

Lungo le coste orientali dei continenti, in particolare lungo le coste della California e del Perù, quando il vento soffia verso l'Equatore parallelamente alla costa provoca un movimento dell'acqua superficiale verso il largo (a causa dell'effetto di Coriolis): la massa d'acqua che si allontana dalla costa viene rimpiazzata da acqua che risale dagli strati sottostanti, determinando il fenomeno della risalita di acque profonde (noto anche col termine inglese di upwelling), che riveste grande importanza biologica. Infatti, le acque profonde che vengono richiamate in superficie sono ricche di sostanze nutrienti che giacevano sul fondo e che vengono così immesse nel ciclo biologico della vita marina.

La circolazione oceanica di profondità dipende essenzialmente dalla forza di gravità ed è provocata da differenze di densità delle acque; poiché l'acqua fredda e salata è più densa e perciò più pesante di quella più calda e meno salata, tende a sprofondare e a scorrere sotto quella più leggera: le correnti di questo tipo sono dette correnti di gradiente o correnti di densità. Per tale motivo, la circolazione oceanica profonda è detta anche circolazione termoalina (dal greco thermós, caldo e alós, sale), cioè causate dalla diversa temperatura e salinità. Il tempo necessario affinché le acque dalla superficie scendano in profondità e poi risalgano varia in media dai 500 ai 2000 anni.

Le masse d'acqua profonde si classificano a seconda della regione d'origine e della profondità alla quale scorrono: le correnti di densità interessano in particolare il Mediterraneo e le regioni polari, dove le acque superficiali fredde e salate hanno elevata densità e si inabissano fino a raggiungere il fondo oceanico. Dalle zone polari artiche e antartiche si crea quindi un flusso sul fondo oceanico verso latitudini minori.

L'insieme delle correnti oceaniche dà vita alla circolazione termoalina, ossia la circolazione oceanica regolata da due importanti forze quali: la differenza di densità dell'acqua e il vento.

Vi sono vari tipi di correnti marine, classificate in base a diversi aspetti:
processo formativo (correnti di gradiente, correnti di deriva)
distanza dal fondale (correnti di superficie, di profondità media e profondità abissali)
temperatura media interna
calde: correnti superficiali che vanno dall'equatore ai poli.
fredde: correnti superficiali che vanno dai poli all'equatore.
tipo di flusso
orizzontali: correnti che si spostano parallelamente alla superficie.
verticali: correnti che si spostano perpendicolarmente alla superficie.
Le correnti che vanno dall'equatore ai poli trasportano anche aria calda, come la corrente del Golfo. Le correnti che vanno dai poli all'equatore mitigano le fasce intertropicali.

Questo tipo di correnti, la cui origine è essenzialmente termoalina (da differenze di temperatura e salinità delle masse d'acqua), non va confuso con le correnti costiere, la cui genesi è dovuta principalmente al vento e al moto ondoso.

Le correnti marine hanno una notevole importanza anche nella biosfera, poiché:

condizionano il clima (le correnti calde lo rendono più mite, le correnti fredde favoriscono la desertificazione)
contribuiscono alla diffusione delle specie vegetali e animali (trasportando semi e uova di animali a volte anche da un continente all'altro)
trasportano il plancton (che è alla base della catena alimentare e viene seguito da molti pesci, da cui deriva la pescosità di alcuni mari).

La direzione del movimento è dovuta alla rotazione terrestre (forza di Coriolis) che ne determina movimenti circolari. Nell’oceano Atlantico venti regolari e costanti, gli Alisei, spostano masse superficiali d’acqua verso l’equatore dove vengono deviate dalla forza di Coriolis verso ovest (corrente nord equatoriale); quando raggiungono il continente americano vengono sospinte verso nord e si accumulano nel Golfo del Messico. Le acque continuano a defluire verso l’Atlantico e formano la corrente del Golfo che segue la costa degli Stati Uniti per suddividersi poi in due parti: una si dirige verso le Canarie e riprende il giro descritto, l’altra si muove verso nord est, raggiunge le coste nord occidentali dell’Europa e ne mitiga il clima. Nelle zone polari le acque si raffreddano, diventano più dense e cadono in profondità dove si muovono verso l’equatore. Man mano si scaldano, diventano meno dense e più leggere, e tenderanno a risalire in superficie. Questo movimento, che forma le correnti marine profonde, è molto lento: il tempo necessario perché una massa d’acqua sprofondata ritorni in superficie è anche di un migliaio di anni.
Il mare Mediterraneo è molto salato rispetto all’oceano Atlantico, perciò le sue acque sono più dense. Le masse d’acqua del Mediterraneo scendono in profondità e passano nell’Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra; le acque dell’oceano, più leggere entrano nel Mediterraneo muovendosi in superficie. Il mar Nero è in collegamento con il mar Egeo attraverso lo stretto del Bosforo e i Dardanelli, che supera in superficie perché le sue acque sono meno dense e meno salate. L’acqua proveniente dal mar Egeo è densa e si muove sul fondo, ma non riesce a raggiungere il mar Nero perché il Bosforo non è abbastanza profondo; di conseguenza il ricambio di acqua del mar Nero è scarso e limitato.



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domenica 23 agosto 2015

LA FORMAZIONE DEI MARI



Tra le teorie più accreditate c’è quella che mette in relazione l’origine delle acque con il graduale raffreddamento della Terra. Quest’ultima era ricoperta, inizialmente, da una nuvola di gas e vapori incandescenti rilasciati dalla crosta e dai vulcani. Col tempo, il nostro pianeta cominciò a subire un lento e graduale raffreddamento che portò alla condensazione del vapore che, dunque, si trasformò in acqua. Questa precipitò al suolo insieme con l’anidride carbonica dando origine ai primi mari e oceani.

Teorie più recenti hanno invece ipotizzato che parte dell’acqua presente sulla Terra sia stata generata dall’impatto con comete (o altri corpi) ghiacciati. Oggi, infatti, si è scoperto che le comete hanno nuclei ricchi di acqua. Tuttavia, diversi studiosi dissentono con questa teoria in quanto sarebbe stato dimostrato che l’acqua contenuta nelle comete non ha caratteristiche analoghe a quelle dell’acqua terrestre.

Un’ultima ipotesi spiega come l’acqua, inizialmente, fosse contenuta in alcuni tipi di rocce costituite da particolari composti (silicati idrati). Con il passare del tempo (circa un miliardo di anni), tali composti, avrebbero cominciato, lentamente, a liberare l’acqua contenuta al loro interno dando così origine a una sorta di oceano primordiale.

Gli oceani dominano lo scenario attuale della superficie terrestre, occupandone più dei due terzi. Benché sulla Terra l'acqua esista sia in forma di vapore, di liquido e di ghiaccio, la fase liquida è di gran lunga la più abbondante ed è principalmente raccolta nei mari e negli oceani. Il vapore è quella presente in quantità minore. Il rapporto fra il contenuto totale di vapore nell'atmosfera e il contenuto totale degli oceani è meno di 1 a 100.000. In altri termini, gli oceani hanno uno spessore medio di circa 4 chilometri che aumenterebbe di poco più di un paio di centimetri se tutto il vapore dell'atmosfera, condensando, vi venisse riversato.

I ghiacci sono presenti in una quantità intermedia: produrrebbero, sciogliendosi interamente, un aumento di 60 metri del livello del mare.



Gli scambi fra fase liquida e vapore sono particolarmente intensi. La radiazione solare riscalda la superficie oceanica, da cui l'acqua evapora, soprattutto nelle regioni tropicali, ad un ritmo di circa un metro all'anno. Questo processo viene limitato dalla concentrazione massima di vapore nell'aria, che, alla superficie terrestre, è di circa 30 grammi per chilo d'aria: un bicchierino di whisky per ogni metro cubo di atmosfera. Poiché tale valore di saturazione aumenta esponenzialmente con la temperatura, ossia l'aria calda può trattenere una maggiore quantità di vapore dell'aria fredda, il rapporto quantitativo fra vapore e liquido dipende dalla temperatura dell'aria.

L'aria, contenente il vapore prodotto per evaporazione, alla superficie del mare, sale all'interno della troposfera, i 10 chilometri inferiori dell'atmosfera terrestre, si espande al diminuire della pressione con la quota, quindi si raffredda, il vapore condensa, e precipita sulla superficie terrestre come pioggia o neve. Il vapore permane nell'atmosfera in media per una settimana, durante la quale può venire trasportato per migliaia di chilometri.

Le caratteristiche di questo processo ciclico determinano la prevalenza della fase liquida rispetto al vapore e quindi l'esistenza degli oceani nella loro quantità attuale. Questo scenario persiste da più di 4 miliardi di anni, durante i quali gli oceani hanno cambiato forma a causa della deriva dei continenti e quindi anche la loro circolazione si è modificata. Glaciazioni sono state identificate a partire da due miliardi e mezzo di anni fa. Inizialmente gli oceani erano presumibilmente più caldi per effetto di un maggiore effetto serra.

Ma in realtà questi cambiamenti, fondamentali per l'ecosistema ed il clima in cui viviamo, sono piccoli in confronto alla veloce evoluzione iniziale. Infatti, all'inizio della storia della terra una grigia incandescente atmosfera, satura di quantità enormi di vapore d'acqua avvolgeva la terra, e non esisteva nulla di confrontabile con gli oceani attuali. Come si sono formati gli oceani? Sono sempre stati presenti, fin dall'origine della Terra? Le teorie recenti sostengono che il nostro pianeta, al pari di Venere e Marte, si formò con un violento processo circa 4,5 miliardi di anni fa. Nella nube protoplanetaria del sistema solare iniziarono a formarsi dei granuli rocciosi, i granuli crebbero in planetesimi, i planetesimi in corpi di dimensioni variabili da 1 a 100 km ed una successione di violente collisioni determinò la formazione della Terra. Al termine di questo processo di accrescimento sulla Terra assieme agli altri costituenti del pianeta era arrivata anche l'acqua. In realtà, sebbene il nostro ambiente sia dominato dalla presenza dell'acqua, in percentuale non è molta; attualmente solo lo 0,25 per mille della massa totale del pianeta è costituita da acqua.

In altri termini, il rapporto fra la quantità d'acqua presente sulla Terra e la massa totale del pianeta è quello che c'è fra un bottiglione d'acqua e un cubo di ferro il cui lato misura un metro.



Da dove e' arrivata? Oltre ai planetesimi, che erano, probabilmente, corpi ormai privi di apprezzabili quantità d'acqua, anche le comete, proveniente dalle regioni esterne del sistema solare e costituite da grandi quantità di ghiaccio, contribuirono all'accrescimento della Terra.

Secondo alcune stime, le comete portarono, durante la fase di accrescimento, circa 10 volte il contenuto attuale di acqua degli oceani. Quindi al momento della formazione della Terra, la quantità d'acqua oggi riscontrata era ampiamente disponibile. Questa disponibilità, tuttavia, non assicura la formazione di un pianeta ricco di acqua, a causa dell'estrema violenza del processo di formazione: in 100 milioni di anni un corpo di circa 10 chilometri crebbe nella Terra con le sue dimensioni attuali, ossia, oltre 6.000 chilometri di raggio. L'energia degli impatti fuse la superficie terrestre, produsse un oceano di magma, da cui fuoriuscivano getti di vapore e gas che costituivano la primordiale atmosfera. Mentre gli impatti meno violenti aumentavano la massa della Terra, quelli più violenti gliene sottraevano e ne strappavano, proiettandola nello spazio, la primitiva atmosfera. Ancor oggi, le componenti volatili sfuggono all'attrazione terrestre negli strati esterni dell'atmosfera. A 500 chilometri sopra la superficie terrestre, nell'esosfera, la densità è così bassa che le singole molecole di gas, attraversano lunghe distanze, centinaia di chilometri, senza collidere fra loro e possono, al pari di proiettili lanciati lontano dalla terra, sfuggire al suo campo di gravità se superano una velocità di soglia, circa 11 km/s. Questa velocità può essere acquisita attraverso urti con altre molecole, particelle o fotoni. La stessa agitazione termica delle molecole di un gas nell'esosfera ne può determinare la fuga dal campo di attrazione terrestre.

Nella rovente atmosfera iniziale della Terra, questo processo di fuga era molto più efficiente di ora. Esso agì sommato allo svuotamento dell'atmosfera dovuto agli impatti durante l'accrescimento della Terra. Così, è probabile che grandi quantità d'acqua si siano decomposte per fotolisi nella parte esterna dell'atmosfera e siano andate perdute. Questi processi determinarono la scomparsa quasi completa dell'acqua sia in Marte, più piccolo della Terra e quindi con una gravità inferiore e una minore velocità di fuga, sia in Venere, più caldo della Terra per un effetto serra più intenso.

Gradualmente gli impatti diminuirono mentre la massa di asteroidi e planetesimi si concentrava progressivamente nei pianeti attuali e la quantità di corpi con orbite in collisione diminuiva. Gradualmente la Terra si raffreddò. Il rovente vapore dell'atmosfera, invece di sfuggire all'attrazione terrestre, iniziò a condensare e ricadere sulla superficie terrestre per formare i primi mari. Il raffreddamento non fu una tranquilla transizione. Gli oceani furono presumibilmente più volte vaporizzati interamente da colossali impatti. La presenza stessa del vapore acqueo nell'atmosfera determinava un enorme effetto serra e un'altissima temperatura in superficie. Così, nonostante la somiglianze nella composizione iniziale e nella collocazione nel sistema solare di Venere, Marte e Terra, solo quest'ultima riuscì a conservare l'abbondante riserva d'acqua e a formare immensi oceani, che ora possiamo ammirare, consapevoli della loro complessa origine ed iniziale precarietà.






mercoledì 19 agosto 2015

L'ACQUA




" Un giorno la terra emerse dalle acque per l'opera creatrice di Dio, e come ogni bambino esce dalle acque amniotiche per vedere la luce, così l'emersione, che segue ad un'immersione nel mikvè, ripete simbolicamente ogni volta un processo di rinascita"

Fin dai tempi antichi della religione ebraica, ma ancora ai giorni nostri, il mikvè rappresenta una piscina per le immersioni rituali dei proseliti, in altre parole per coloro che si convertono all'ebraismo.

Tale piscina deve corrispondere a criteri precisi: deve essere costruita nel terreno o ad esso connesso; deve contenere una quantità d'acqua sufficiente ad un'immersione totale; l'acqua deve essere piovana e non può essere veicolata in alcun modo attraverso tubature o contenitori, non può quindi avere interferenze artificiali.

Paradossalmente si può parlare d'acqua che dona la vita, ma anche la morte.

Laddove si rinasce è necessario prima morire, questa è la filosofia della maggior parte delle religioni, in altre parole, la morte del corpo terreno ci permette la rinascita dello spirito e dell'anima ad un'altra vita.

Rimanendo al tema della gravidanza, anche qui si può applicare il concetto della vita che scaturisce da una morte precedente.

Al momento della nascita, infatti, il piccolo lascia l'ambiente in cui ha vissuto per nove mesi e rinasce ad una nuova vita: la sua vita nel grembo materno "muore", attraverso il parto ha una fase di transizione, che si conclude con una nuova nascita, la nascita dell'essere umano alla vita terrena.

Nel mikvè così come nel grembo materno ci troviamo in una situazione transitoria, in un punto di confine fra un passato che non è già più e un futuro che non è ancora.



Fin dall'antichità si parla dell'acqua come fonte originaria della vita e le religioni dalla Genesi alla mitologia Indù, dall'Islam al Corano, citano l'acqua come luogo di nascita delle creature animate e inanimate dell'Universo.

L'acqua viene espressa come principio cosmico femminile, anima del Mondo, Madre per eccellenza, genitrice di vita.

Quest'aspetto femminile lo esprime attraverso attributi di passività, accoglienza, recettività.

Il suo stato liquido la rende libera da qualsiasi vincolo e le dà la capacità di trasformarsi e assumere qualsiasi forma, riempiendo gli spazi e colmando i vuoti.

E' l'elemento che mette in comunicazione, crea un ponte tra lo spirito e la materia.

Se l'acqua è simbolo della vita e la vita nasce dall'amore, l'acqua è anche simbolo dell'amore che, come l'acqua abbraccia senza stringere.

In generale si può affermare che l'acqua, così come può pulire materialmente può "lavare" anche l'anima dal peccato, per questo motivo nelle varie religione essa viene utilizzata attraverso formule e rituali o attraverso persone investite di potere religioso.

Nella religione romana e italica troviamo già i riti di purificazione, attraverso le frequenti cerimonie di lustrazione, che avevano lo scopo di purificare persone e luoghi fisici attraverso l'aspersione di acqua.
Inoltre, per i romani era oggetto di culto, la fonte dedicata alle Camene (ninfe delle fonti), perchè si riteneva, che le sue acque avessero il potere di risanare gli infermi.



La religione ebraica, già nominata in precedenza, afferma che all'inizio della Creazione lo spirito di Dio aleggiasse sulle acque, l'acqua vista quindi come manifestazione di Dio.
Tutto l'antico Testamento esalta il segno di benedizione dell'acqua: il Diluvio e il passaggio attraverso il Mar Rosso segnano la sua forza distruttrice, ma anche la rinascita dell'umanità.

Per la religione cattolica il rituale del battesimo esprime bene il significato rigeneratore di purificazione dal peccato originale.
L'acqua assume quindi un significato di purificazione ed iniziazione.

Gli ortodossi hanno la tradizione, durante il rito del battesimo, di immergere completamente per ben tre volte il neonato nella fonte battesimale.
I musulmani possono compiere la loro preghiera rituale solo in uno stato di purezza e in un passo del corano si legge: "Nessuno può rifiutare l'acqua in eccedenza senza peccare contro Allah e contro l'uomo".

Per l'uomo primitivo che viveva in stretto contatto con la natura, le cose veramente importanti erano poche e riconducibili ai quattro elementi: il fuoco, la terra, l'aria e l'acqua, considerati dunque "divini".

L'acqua tra i quattro elementi è il più presente nella speculazione simbolica, perchè esso più di ogni altro si carica di significati legati all'origine della vita e rappresenta per eccellenza il principio vitale che penetra le cose della natura.

Nel corso degli anni l'acqua ha assunto significati a livello religioso, mitologico, letterario, mantenendo sempre la connotazione di elemento puro e purificatore, ma nello stesso tempo misterioso e inquietante.

Nell'immaginario collettivo l'acqua non ha mai perso completamente la connotazione cosmica di elemento originario, alla stregua del liquido amniotico dell'ambiente protettivo intrauterino.

Nei miti greci si narra che da Oceano, il figlio maggiore di Urano e Gaia, si generarono tutti i mari, i fiumi, le fonti, i laghi e tutte le sorgenti di acqua dolce e salata.

Nell'epica omerica, in particolare, il dio del mare era raffigurato da Poseidone, che esercitava il proprio potere su tutti i mari.

Sarebbero migliaia le citabili leggende e credenze greco-romane, che vedono protagonista l'acqua, ma per amor di sintesi riporto quella che mi ha più affascinata, vale a dire il mito di Egeria.

Egeria era la ninfa che secondo la tradizione sarebbe stata amante e musa ispiratrice di Numa Pompilio.

Alla morte di questi, gli dei impietositi dal suo dolore la trasformarono in fonte, a simboleggiare l'eternità di quell'amore.



L'acqua può anche assumere le funzione di specchio, così come dimostra il mito di Narciso.

Essa permette di scoprire la bellezza e raggiungere la consapevolezza di sé (narcisismo positivo), ma poi Narciso sbaglia, dando amore solo a se stesso e spezzando il compimento del proprio ciclo vitale ritorna alla madre (narcisismo negativo).

Inoltre l'acqua è collegata alle profezie degli oracoli, infatti, spesso, una profezia veniva rivelata attraverso una fontana o una sorgente oppure erano gli stessi siti oracolari che terminavano con una fonte, come gli oracoli di Apollo a Didima, Delfi e Rodi.

In Messico il primo lavaggio di un neonato avveniva tra litanie di ringraziamento alla dea dell'acqua, considerata la vera madre del bambino.

Ungheresi e Finnici pregavano la madre acqua, simile alla madre terra, per avere figli.

In Gambia le donne con problemi di fertilità s'immergevano e s'immergono ancora oggi negli stagni del coccodrillo sacro, perché le loro acque sono ritenute propizie al concepimento.

Gli Aztechi pensavano che la pioggia fosse il seme del dio della tempesta Tlaloc, quindi sottolineavano l'importanza dell'acqua che attraverso la pioggia feconda la terra.

Perfino la luna può essere paragonata all'acqua o addirittura, in talune circostanze, viene citata come la "Signora Delle Acque", perché essa domina le acque, sia corporee, sia degli oceani, inoltre domina i sentimenti, le emozioni.

Nel campo della psicoanalisi (Freud e Jung) viene affidata una grande importanza all'elemento acqua, essendo, infatti, l'acqua materna il primo contatto per gli esseri umani con la vita.

Secondo Jung la proiezione dell'immagine materna sull'acqua conferisce a quest'ultima delle qualità quasi magiche, peculiari della madre, come quelle di dare la vita, appunto attraverso l'acqua.



Nei sogni e nelle fantasie, inoltre, il mare, o una qualsiasi vasta distesa di acqua, significa l'inconscio.

Anche quest'ultimo può essere collegato all'aspetto materno dell'acqua, perché esso viene considerato in psicoanalisi come madre o matrice della coscienza.

L'acqua del mare, per esempio, è liquido e cibo vitale per migliaia di pesci che lì vivono e che si nutrono inconsciamente di particelle infinitesimali di cibo disciolte in esso, al pari di un bambino che si nutre al seno materno senza sapere cosa sta inghiottendo.

Nell'acqua non c'è ricerca di cibo, come c'è sulla terra, ma tutto scorre e fluttua insieme al liquido stesso.

Bachelard, afferma inoltre che l'acqua, tra tutti, è l'elemento che più si avvicina all'uomo per la sua analogia con la scorrevolezza: la vita dell'uomo scorre così come scorre un fiume nel suo letto.

Fabio Piangiani (compositore) afferma che una prima similitudine tra acqua e musica si trova nello scorrere e nel fluire, movimenti che appartengono all'acqua come alla musica, quindi si trovano ad essere simbolo e manifestazione del procedere del tempo.

Nelle sue varie forme (fiume, mere, pioggia, neve, ghiaccio, nebbia...) l'acqua è come la musica, espressione della creazione infinita, che nel suo incessante mutare, rimane sempre se stessa.

Se ci pensiamo l'acqua produce musica e suoni: ad esempio l'infrangersi delle onde, il ticchettio della pioggia, il gorgoglio di un ruscello....

Non dimentichiamo quanti cantanti e compositori abbiano associato al loro lavoro l'elemento acqua: il mare, un fiume, un lago che potevano essere dispensatori di pace e allegria, ma anche di oscuri presagi.

Lo scienziato e ricercatore giapponese Masaru Emoto ha messo a punto una tecnica per esaminare al microscopio e fotografare i cristalli che si formano durante il congelamento di diversi tipi di acqua, come l'acqua di rubinetto di diverse città del mondo, l'acqua proveniente da sorgenti, laghi, paludi, ghiacciai di varie parti del mondo.

Le immagini osservate a microscopio mostrano come l'acqua sia quasi un nastro magnetico liquido in grado di registrare in modo molto sensibile le informazioni energetiche che riceve dall'ambiente.

Si rileva come l'acqua di torrenti e sorgenti incontaminati mostra dei bellissimi disegni geometrici nella struttura cristallina.

Al contrario, l'acqua inquinata, tossica o stagnante, mostra forma e strutture cristalline distorte e non armoniche.

Grazie agli studi sulla musico terapia, Emoto ebbe l'intuizione di esporre l'acqua alla musica per vederne gli effetti sulla struttura.

Quest'esperimento ha evidenziato come l'acqua trattata con parole "positive", forma dei cristalli bellissimi, simili a quelli della neve; l'acqua trattata con parole "cattive" reagisce in modo "negativo", creando forme amorfe e brutte.

Questo ci dimostra sempre di più che l'acqua può avere notevoli effetti benefici se correttamente energizzata ed influenzata, pensiamo per esempio all'omeopatia ed ai fiori di Bach.



Dante Alighieri e nella "Divina Commedia" nella parte riguardante l'inferno, cita i famosi due fiumi dell'oltretomba: Acheronte e Stige.

Il primo segnava il confine con l'oltretomba ed era attraversato dalle anime sulla barca guidata da Caronte, mentre le acque dello Stige erano considerate venefiche e rappresentavano la palude che circonda la città di Dite.

Dante non si limita a dare solo un simbolo di connotazione negativa all'elemento acqua, infatti, nel paradiso cita altri due fiumi, il Lete e l'Eunoè, in cui le anime che stavano per passare in paradiso s'immergevano per cancellare la memoria dei peccati commessi in vita e rafforzare la memoria delle opere buone.
Nell'opera dantesca si vede come l'acqua può segnare un passaggio doloroso per i dannati dell'inferno, ma altresì un passaggio purificatore per i beati del paradiso.

Questo elemento accompagna gli svariati destini degli esseri umani nel bene e nel male.

Ogni elemento possiede una propria dissoluzione, la terra ha la polvere, il fuoco il fumo, mentre l'acqua dissolve nel modo più completo, quindi ci aiuta a morire totalmente.

L'acqua è un liquido flessibile, si muove secondo le impressioni che riceve.

L'acqua assimila, interiorizza, ammorbidisce, mescola, inibisce, omogeneizza, riempie e risolve, si espande, è profonda, ricettiva, purificante e terapeutica.

L'acqua vince sempre, cedendo, cambiando forma, adattandosi alle circostanze, aggirando gli ostacoli che incontra, ma inesorabilmente dalla sorgente in cui nasce piano piano giunge al mare, diventando prima torrente e poi fiume in un continuo processo di trasformazione che è la sua vera forza.

Questo percorso assomiglia un po' a quello che deve affrontare una donna in gravidanza, perché come l'acqua, ella cambia forma, si adatta alle circostanze, incontra ostacoli e paure, che deve avere la forza di riuscire ad aggirare, ma alla fine del percorso di nove mesi, giunge al suo mare, rappresentato dalla nascita del bambino che porta in grembo.

Così come l'acqua dalla sorgente ha l'unico scopo di giungere al mare ed è disposta ad affrontare ogni ostacolo, così la donna dalla sua nascita sviluppa un percorso ricco d'esperienze, gioie e dolori, che quasi sempre la porteranno alla sua naturale realizzazione suprema, quella della procreazione.




L'acqua è la sorgente di vita e mezzo di purificazione e di rinascita.

In India, l'acqua è la materia prima, la Prakriti. Il Brahmanda, l'Uovo del mondo, è covato alla superficie delle acque. Analogamente, nella Genesi, lo spirito di Dio aleggia sulle superfici delle acque. Per i Cinesi, l'acqua è il Wu-chi, il senza culmine, il Caos primitivo. La nozione di acque primordiali è quasi universale. In Polinesia e presso la maggior parte dei popoli austro-asiatici individuano nell'acqua la potenza cosmica. L'acqua è origine e veicolo di ogni forma di vita. La linfa è acqua ed in alcuni testi tantrici l'acqua rappresenta il prana, cioè il soffio vitale. Sul piano fisico, ed in quanto dono del cielo, è simbolo universale di fecondità e fertilità.

Altrettanto generale è la concezione dell'acqua come strumento di purificazione rituale. Dall'Islam al Giappone nei riti degli antichi fu-shui taoisti e naturalmente nelle aspersioni di acqua benedetta del cristianesimo, l'abluzione ha una funzione fondamentale. In India ed in tutto il Sud est asiatico, l'aspersione delle statue sacre e dei fedeli, specialmente al Capodanno, è rito insieme di purificazione e di rigenerazione.

Nelle tradizioni ebraica e cristiana, l'acqua simboleggia innanzi tutto l'origine della creazione. Tuttavia, come avviene per ogni simbolo, l'acqua presenta anche un'ambivalenza totale e a tutti i livelli, come del resto avviene per tutti i simboli. E' fonte di vita e fonte di morte, creatrice e distruttrice. Lo scatenamento delle acque è simbolo delle più gravi catastrofi: in questo caso l'acqua punisce i peccatori, ma non colpisce i giusti che nulla hanno da temere dalle grandi acque.

L'acqua si presenta come un simbolo cosmogonico: poiché essa purifica, guarisce e ringiovanisce, essa introduce all'eternità.

L'acqua possiede in se stessa una virtù di purificazione, ed anche per questo è considerata sacra, e per sua virtù, cancella ogni colpa. L'acqua del battesimo lava i peccati e viene somministrata una sola volta perché essa fa accedere ad un altro stato, a quella di uomo nuovo. Questa scomparsa del vecchio uomo, può essere paragonata ad un diluvio, perché quest'ultimo simboleggia una scomparsa, una cancellazione: un'epoca scompare, un'altra sorge. L'immersione nell'acqua è rigeneratrice, opera una rinascita nel senso che essa è contemporaneamente morte e vita.