mercoledì 27 gennaio 2016

ISCHIA



Ischia è un'isola dell'Italia appartenente all'arcipelago delle isole Flegree, della Città metropolitana di Napoli.

L’isola fu dai Latini chiamata Pithecusa, nome che la tradizione fa derivare dal Greco “pithos” (vaso), cioè l’Isola dei vasai. Altra interpretazione, del tutto fantasiosa, collega il nome a “pithekos” (scimmia). È stato proposto che il nome descriva una caratteristica dell’Isola, ricca di pinete. “Pitueois” (ricco di pini), “pituis” (pigna), “pissa, pitta” (resina) appaiono termini descrittivi dai quali potrebbe derivare Pithecusa, che significherebbe dunque “isola della resina”, una importante sostanza usata, tra l’altro, per rendere impermeabili i vasi vinari (Strabone, Geografia, V,1,12). L’espressione “insula visca”, con l’aggettivo greco “(v)ixos” (appiccicoso) e la consueta caduta della “v” iniziale, fornisce una probabile origine del moderno “Isola d’Ischia”. Ai piedi del Vesuvio coperto di pini, il nome popolare di Ercolano era “Resìna”, forse reminiscenza di un antico mercato di questo prodotto, similmente al toponimo “Pizzo” in Calabria, da dove proveniva la resina migliore, la “pece brettia” ottenuta dai pini della vicina Sila (Strabone, Geografia VI.1.9). (Tripodi G., Vinci F. Tracce di una arcaica geografia descrittiva in alcuni toponimi mediterranei. Atti Accad. Peloritana dei Pericolanti, Messina 86, 310-317, 2010).

I Greci chiamarono la loro colonia sull'isola Pithekoussai, nome dalla etimologia incerta. Secondo Senagora il nome deriverebbe da pithekos, scimmia, e alluderebbe al mito dei Cercopi, abitanti delle isole flegree trasformati da Zeus in cercopitechi. Plinio il Vecchio (Nat. Hist. 111, 6.82) fa invece derivare il nome da pythos, anfora, teoria suffragata da ritrovamenti archeologici che testimoniano la produzione greco-italica di ceramiche (e in particolare di anfore da vino) nell'isola e nel golfo di Napoli.

Le prime testimonianze del nome dell'isola risalgono all'anno 812, in una lettera di Papa Leone III nella quale informa l'imperatore Carlo Magno di devastazioni occorse nell'area, chiamando l'isola Iscla maior «Ingressi sunt ipsi nefandissimi Mauri in insulam, quae dicitur Iscla maiore, non longe a Neapolitana urbe». Alcuni studiosi ricollegano il termine alla parola di origine semitica I-schra, "isola nera" che in sé potrebbe anche essere accettabile se non fosse che dal punto di vista geologico l'isola per i suoi prodotti vulcanici appare soprattutto bianca. Peraltro la frequentazione fenicia dell'isola è archeologicamente documentata in epoca molto antica. Nella diffusione in Campania ed Etruria meridionale, fin dall'VIII secolo a.C., di oggetti di produzione o ispirazione egiziana, «hanno certo parte i mercanti fenici installati a Ischia e poi frequentatori delle coste tirreniche».

Il nome Aenaria, utilizzato dai latini, è legato alle officine metallurgiche (da aenus, metallo) localizzate sulla costa orientale, sotto il Castello.

L'isola d'Ischia era abitata fin dal Neolitico, come dimostrano i vari reperti ritrovati ad esempio sulle alture di punta Imperatore, nella frazione di Panza, nella zona sud-ovest dell'isola.

Il ritrovamento fortuito di muri a secco, avvenuto nel 1989 a seguito di uno smottamento, in località punta Chiarito, avvenuto sempre nella frazione di Panza, ha dato l'avvio tra il 1993 ed il 1995 ai lavori di scavo che hanno permesso il ritrovamento di una fattoria greca tenuta da agricoltori benestanti, come dimostra la buona fattura dei vasi che sono stati rinvenuti ed ha permesso di anticipare lo sbarco dei primi coloni greci di circa venti anni rispetto all'originaria ipotesi, cioè intorno al 790, 780 a.C. Inizialmente, si riteneva, infatti, che lo sbarco fosse avvenuto proprio a Monte Vico, nel comune di Lacco Ameno, dove i coloni euboici arrivati da Eretria e Chalkis nell'VIII secolo a.C., avrebbero stabilito un emporio per il commercio con gli Etruschi della terraferma.

Grazie agli scavi del 1993, si è capito che in realtà, i primi coloni si stabilirono a S-O dell'isola, sulle alture di punta Chiarito, a Panza, frazione del comune di Forio. La baia di Sorgeto, che si trova ai piedi di punta Chiarito, offre un riparo ideale per le navi, soprattutto dai venti di scirocco, un requisito importante per i Greci, nella scelta di un approdo. Tale requisito, infatti, non è presente nella zona di monte Vico e costituiva per gli studiosi una non facilmente spiegabile anomalia.

A vent'anni circa dall'originario sbarco, colonizzata buona parte dell'isola, viene fondata la colonia di Pithecusa, il cui centro principale sarà, però, sulle alture di monte Vico, nella zona nord dell'isola, prospiciente il continente, in modo da avere un più rapido scambio con la terraferma. Con il suo porto la colonia fece fortuna grazie al commercio del ferro con il resto dell'Italia; nel periodo di massimo splendore contava circa 10.000 abitanti.

Nel 1953, nella necropoli di San Montano a Lacco Ameno, l'archeologo tedesco Giorgio Buchner ritrovò la coppa di Nestore, risalente al 725 a.C. circa. Costituisce il più antico esempio pervenutoci di poesia scritta in lingua greca.

Nel 474 a.C. l'isola è occupata dal tiranno siracusano Gerone I, nel quadro delle sue campagne espansionistiche.

Dal IV secolo a.C., dopo le guerre sannitiche, l'isola passò con Napoli sotto il dominio romano, e divenne centro di attività commerciali e manifatturiere. Oltre al sito di origine greca di Pithecusae (località Mazzola sopra Lacco Ameno), è stato infatti individuato in località Carta Romana, nello specchio d'acqua antistante l'isolotto del Castello Aragonese, un insediamento industriale comprendente una fonderia di piombo e stagno (da cui il nome di Aenaria) e una fabbrica di vasellame, i cui reperti più significativi, lingotti di piombo iscritti (di provenienza spagnola), stagno e taluni oggetti ceramici, sono esposti nella sala VIII del Museo archeologico di Pithecusae a Lacco Ameno. Il sito, a 5-7 metri sotto il livello del mare, sprofondò per bradisismo verso il 130-150.

Nell'immaginario latino l'isola era associata anche alla figura di Enea, che qui avrebbe fatto scalo. Virgilio la identificò con Arime, isola citata nell'Iliade (II, 783).

Qui trovò rifugio Gaio Mario inseguito da Silla. Per punire i napoletani di ciò, Silla sottrasse l'isola al loro dominio assoggettandola direttamente al Senato di Roma. Qualche decennio dopo, tuttavia, Augusto la restituì alla città di Napoli, tenendo per sé la prediletta Capri.

Con la decadenza dell'impero, Ischia venne minacciata dai saccheggi barbarici da parte di Visigoti (410 circa) e Vandali (dopo il 430). Nel 476, con la caduta dell'Impero d'Occidente, Ischia entrò a far parte del dominio di Odoacre, mentre nel 493 entrò a far parte, con l'intera penisola, del regno ostrogoto di Teodorico il Grande. Intorno al 536 fu conquistata dagli eserciti bizantini capitanati da Belisario. In seguito alla riorganizzazione dell'Italia bizantina conseguente all'invasione longobarda (568), Ischia entrò a far parte del ducato di Napoli, ducato bizantino dipendente dall'Esarcato d'Italia.

Tra il IX e il X secolo l'isola è esposta alle scorrerie del saraceni: di quella di agosto dell'812 si ha memoria in una lettera del papa Leone III a Carlo Magno; un'altra è ricordata nell'847, quando alcuni navigli pirati rifugiati ad Ischia per una tempesta sono distrutti dai sorrentini che avevano in precedenza subito attacchi, e un'altra ancora nel 991.

I saraceni non erano interessati a conquiste permanenti: le loro scorrerie erano infatti finalizzate al saccheggio e non all'occupazione. Così gli ischitani svilupparono varie tecniche di resistenza, il cui fulcro era il castello, fortificato già da Gerone I nel V secolo a.C.: all'avvistamento delle imbarcazioni saracene gli abitanti dei casali di campagna venivano avvisati dal suono della "tofa", usata a mo' di corno, che si diffondeva da un casale all'altro, e si mettevano in salvo come potevano - rifugiandosi nel castello, se abbastanza vicini, o in grotte scavate nel tufo, o disperdendosi per le campagne.

Fino al 1130 Ischia segue le sorti di Napoli sotto i duchi, finché nel 1135, Ruggero il Normanno saccheggia l'isola, nuovamente invasa da Tancredi, il cui figlio Guglielmo III fu vinto da Arrigo il Severo. Nel 1194 genovesi e pisani invadono l'isola e, occupato il Castello Aragonese (presente sull'isola dal 474 a.C.), consegnano l'isola ad Arrigo VI.

La dinastia sveva prende il governo dell'isola nel 1214.

Prima che Carlo I, duca d'Angiò, fosse incoronato re di Napoli, Ischia, tenuta dai conti di Ventimiglia dopo la caduta di Manfredi, è invasa dalla galee pisane con lo scopo di provocare una sommossa contro Carlo I d'Angiò a favore di Corradino. Non riuscendo nell'intento, i pisani si abbandonano a massacri e ruberie. Re Carlo I, vittorioso dopo la battaglia di Tagliacozzo (1268), ordina un'inchiesta e convoca rappresentanti dei vari casali dell'Isola che confermano la loro fedeltà al nuovo re. Nel testo della deposizione compaiono:«11 uomini de casale Moropani (poi diventato Buonopane), 7 de casale de Vico (Lacco Ameno), 11 de casale Furio (Forio), 5 de Villanova (Panza), 22 de guarno (guarnigione nel castello), 3 de Sancto Sosso (sul continente)».

Con Carlo I inizia l'opera di fortificazione del Castello Aragonese e la sua dinastia procede al riordino delle vecchie strutture del governo dell'isola. Nel 1282, però, accesa la scintilla in Sicilia da Giovanni da Procida, gli isolani cacciano gli Angioini e acclamano re Pietro III d'Aragona, marito di Costanza di Hohenstaufen, l'unica figlia di Manfredi, sfuggita a Carlo d'Angiò che per punire l'isola, la invade nuovamente. Alla morte di Carlo I d'Angiò, l'isola passa nelle mani del nipote Carlo Martello, in attesa del legittimo erede Carlo lo Zoppo. Il 22 giugno 1287, Ischia passa sotto il governo di Carlo II d'Angiò detto "lo Zoppo", che grava di un pesante dazio il vino uscente dall'isola. Gli isolani indignatisi sotto la guida di Piero Salvacossa hanno la meglio sulle galee angioine inviate a sedare gli animi. Ma nel 1299 Carlo II d'Angiò invia 400 sgherri sull'isola allo scopo di riconquistarla facendo sgozzare il Salvacossa. Nel gennaio del 1301 una terribile eruzione squassa l'isola che abbandonata da molti isolani si ripopola solo nel 1305. Nel 1309 succede a Carlo II, Roberto d'Angiò detto il Saggio e alla morte di questi Giovanni I d'Aragona. La lotta per il trono si accende tra Luigi d'Angiò e Carlo III di Durazzo. Il primo occupa Ischia nel 1385 riconquistata l'anno seguente dal figlio di Carlo II, Ladislao I. Alla sua morte, gli succede Giovanna II senza prole. I baroni allora chiamano il figlio di Luigi d'Angiò, Luigi III, ma Giovanna II gli oppone Alfonso V di Aragona.

Alfonso V di Aragona approda a Ischia nel 1423, su invito di Michele Cossa, cittadino d'Ischia e IV signore di Procida e occupato il Castello Aragonese, lo ristruttura e vi si stabilisce in attesa di poter conquistare anche Napoli. Nel 1441, partendo da Ischia, assedia Napoli dove può trionfalmente entrare il 26 febbraio del 1443. Per ricompensare gli isolani dell'appoggio fornito, il sovrano concede ampi favori all'isola. Innamorato dell'isola, ne affida il governo alla sua favorita Lucrezia d'Alagno al cui fianco scorrazza per i boschi di Campotese a Panza e di Piano Liguori a Ischia trasformati in sue riserve di caccia. Lucrezia d'Alagno affida a sua volta il governo dell'isola, al cognato Giovanni Toriglia o Torella. Morto nel 1458 e lasciato sul trono il figlio Ferdinando I, i baroni napoletani e lo stesso Toriglia alzano bandiera angioina. Lucrezia è costretta all'esilio, mentre si attende l'arrivo di Giovanni d'Angiò, figlio di Renato d'Angiò. Il figlio di Alfonso V di Aragona, re Ferrante o Ferdinando, desideroso di difendere i privilegi degli aragonesi, ordina ad Alessandro Sforza di occupare l'isola e di cacciare il Toriglia. Ferrante però è sconfitto da Giovanni d'Angiò a Troia, in Puglia e si rifugia al Castel dell'Ovo a Napoli per poter poi riparare ad Ischia. Ma l'isola, nel frattempo, era stata rioccupata dal Toriglia, grazie all'aiuto dei Cavalieri di Rodi. Ferrante tuttavia non si perde d'animo ed insieme ad Alessandro Sforza, con due galee fa rotta verso Ischia. Qui ha ragione sui ribelli ed entra trionfalmente nel Castello Aragonese. Nel 1494, muore Ferrante. Il figlio Alfonso II si prepara a fermare Carlo VIII che di lì a poco incombe sull'Italia. Abdica perciò a favore del figlio Ferrante II (o Ferdinando II).

Carlo VIII scende trionfante lungo la Penisola e Ferrante II, caduta Napoli in mano francese si rifugia a Ischia, portando con sé la vecchia regina Isabella, la figlia Giovanna (divenuta poi sua moglie), Innico d'Avalos, Giovanni Pontano e Jacopo Sannazzaro. Vi resta un mese, facendo rotta poi verso Messina dove lo attende il fratello. Affida il governo dell'isola a Innico d'Avalos, marchese del Vasto, che rifiuta di arrendersi a Carlo VIII. Questi affida a Ludovico Sforza, il compito di assaltare l'isola.

Inutilmente il 6 giugno 1496, Ludovico Sforza prova ad assalire la roccaforte isolana. Innico II d'Avalos eroicamente mette in fuga l'assaltatore. Ludovico Ariosto, celebra l'eroismo di Innico d'Avalos nel suo Orlando Furioso:

« Vedete Carlo ottavo, che discende da l'Alpe, e seco ha il fior di tutta Francia, che passa il Liri e tutto 'l regno prende senza mai stringer spada o abbassar lancia, fuor che lo scoglio ch'a Tifeo si stende su le braccia, sul petto e su la pancia; che del buon sangue d'Avalo al contrasto la virtù trova d'Inico del Vasto. »
(Canto XXXIII ott.24)
Ferrante II torna dall Sicilia, premia Innico II d'Avalos e la città di Ischia, ma il 7 ottobre 1496, muore, lasciando il regno allo zio Federico che non ha la forza di fermare la lotta tra Francia e Spagna per il trono di Napoli. Affida perciò il governo del regno al generale d'Aubigny e si trasferisce con la famiglia ad Ischia. Giuntovi, affida a titolo feudale l'isola a Innico II d'Avalos, con tutte le riserve, i boschi ed il padiglione di caccia che possiede nei tenimenti di Panza.

Fa incidere a lettere d'oro sul frontespizio della cattedrale del Castello Aragonese l'iscrizione latina: Quorum eximia servitia in omni tempore nostra fortuna elucescunt. Catturato e tradotto in Francia, Federico, che è trattato da amico da Luigi XII scrive a Innico II d'Avalos di cedere Ischia a Luigi XII. Innico II d'Avalos rifiuta e con sua sorella Costanza d'Avalos di prepara a respingere l'attacco francese. Muore in battaglia nel 1503 e Costanza d'Avalos, nuova castellana d'Ischia, oppone una fiera resistenza ai francesi per ben 3 anni.

Vinti i francesi, il regno passa nelle mani di Ferdinando il Cattolico, che grato per la fedeltà dimostratagli, affida il governo dell'isola a Costanza d'Avalos che si circonda di poeti e cavalieri, trasformando il Castello Aragonese, nel cenacolo dei letterati e degli artisti del tempo. Ferdinando il Cattolico le rende visita nel 1507. Il regno di Napoli passa nelle mani di Giovanna II, madre di Carlo V. Costanza d'Avalos richiama ad Ischia, suo nipote Ferrante Francesco d'Avalos, figlio di Innico II d'Avalos, che qui sposa, il 27 dicembre 1509, Vittoria Colonna, marchesa di Pescara.

È ad Ischia che Vittoria Colonna apprende che il marito è morto nella battaglia di Pavia nel 1525. Ischia è perciò ora sotto il controllo del cugino, Alfonso d'Avalos, marchese del Vasto. Nel gennaio del 1538 Alfonso d'Avalos è nominato governatore della Lombardia e lascia per sempre l'isola.

Nel 1535 Carlo V era sbarcato a Napoli per celebrare il trionfo di Alfonso d'Avalos che sotto le mura di Tunisi aveva sconfitto centocinquantamila turchi comandati dal feroce Barbarossa. Questi per vendicarsi dell'affronto subito un decennio prima, il 22 giugno 1544, giunto nella baia della Scannella devasta il casale di Panza e da qui Forio e altri casali dell'isola. Circa duemila furono gli isolani uccisi o deportati come schiavi. Un cronista dell'epoca annota: "Anno Domini 1544 a dì 25 de junio in Sessa ce fo nova che la armata del Turcho de Barbarossa Capitanio de dicta armata havea abrusciata Proceta et un Casale de Ischia, quale haveano fatto presuni certi cristiani in su l'armata...".

L'isolotto su cui sorge il Castello Aragonese è collegato con un istmo all'antico borgo di mare di Ischia Ponte o borgo di Celsa. Questa piccola isola nell'isola pare essersi originata tra i 280.000 e i 340.000 anni fa in seguito ad un'eruzione vulcanica.

Qualche autore attribuisce la costruzione del Castello a Gerone, tiranno di Siracusa, che nel 474 a.C., avrebbe edificato e fortificato una fortezza su questa roccia vulcanica, con accesso dal mare. Da qui il nome ‘Gironda’ con il quale si identifica il castello. Sulle basi di questa antica fortezza sarebbe poi stato costruito intorno al 1438, per volere di Alfonso V di Aragona, il Castello che vediamo oggi, con accesso dall'isola. Ma secondo la tesi più accreditata, il nome Giron-Gironis deriverebbe dalla naturale morfologia dell'isolotto che si può circumnavigare.
Il castello sarebbe in realtà nato come postazione strategica militare intorno al V secolo, in epoca bizantina, quando nell’ambito dell’ordinamento territoriale, vengono eretti, spesso sulle coste, nuovi "castra o "castella", cui la flotta assicura rifornimenti e aiuti. Il nome che gli viene dato, "castrum Gironis", starebbe ad indicare proprio la presenza sullo scoglio di una guarnigione.

Dal 1433, con Alfonso d’Aragona detto ‘il Magnanimo’, ha inizio una serie di interventi grazie ai quali il Castello acquista una nuova fisionomia e assume un ruolo strategico, politico e culturale sempre più importante. Vengono restaurate le mura esterne e le costruzioni interne, al ponte di legno si sostuisce il ponte in muratura che tuttora congiunge l’isolotto a Ischia Ponte. Nel soffitto vengono aperti dei fori, da cui, in caso di attacchi, si lanciano sui nemici pietre, piombo fuso e acqua bollente.
Inizia in quest’epoca anche la frequentazione di artisti e letterati; il Castello diventa centro di vita di corte, sede di feste e convivi, oltre che luogo di rifugio per la nobiltà in tempi di guerra e di assedio dell’isola.

La povertà degli insediamenti sull’isola e le condizioni di precarietà per i continui attacchi alterni di Angiò e Aragonesi, ma anche per le frequenti incursioni barbariche, inducono a privilegiare sempre più, nel corso degli anni, il Castello come sede di residenza e di riparo. Il ruolo del Castello come luogo di difesa e punto di comunicazione con Napoli diventa così importante che Scipione Mazzella si espresse così: ‘nell’isola vi è una fortezza così grande che è tenuta la seconda chiave del Regno’.
Per molto tempo la storia di Ischia è indissolubilmente legata al Castello, capace di accogliere e offrire riparo anche a più di cinquemila persone.

Nel 1509 si celebrano al Castello le nozze tra Ferrante d'Avalos e Vittoria Colonna, la quale, rimasta vedova, compone proprio ad Ischia i sonetti amorosi che l'hanno resa famosa. Si racconta che questi versi impressionarono tanto Michelangelo, che andò ad abitare nella Torre del Guevara, situata di fronte al Castello e conosciuta, infatti, anche come “Torre di Michelangelo”.

Il ‘700 segna l’inizio della decadenza dell’importanza del Castello, prima abbandonato dalle famiglie nobili e sempre più isolato dal resto dell’isola, quindi distrutto da un bombardamento nel 1809 e poi privatizzato, diventa monumento abbandonato, che per molto tempo gli stessi Ischitani ‘guardano a distanza’.

Ma nella memoria di tutti resta sempre viva la storia di un Castello, cenacolo di artisti, letterati e poeti, che ha attraversato inespugnato secoli di storia, resistendo a tutti gli assalti e offrendo riparo ad abitanti, contadini e avventori. Sicuramente, uno dei castelli più belli e ricchi di storia del mediterraneo.

Il borgo antico di Ischia Ponte, anche detto Borgo di Celsa per la presenza dei gelsi, è un antico centro di marinai e pescatori, la cui esistenza è documentata già nel XIII secolo.
Unico centro di Ischia, di tradizione più che altro contadina, da sempre dedito alla pesca, il Borgo ha avuto una grande espansione alla fine del ‘700, con il cessare delle incursioni dei pirati, quando l’attenzione si distoglie dal Castello, fino ad allora centro primario di vita e di riparo, e torna a concentrarsi sulla terraferma.
Per tutto il XVIII Ischia ponte è la città più ricca e prosperosa dell’isola, il suo destino va progressivamente staccandosi da quello del Castello che nel frattempo vive un periodo di decadenza, in seguito all’abbandono delle famiglie nobili e benestanti.
Nel tempo la struttura del borgo, con vicoli stretti, palazzi signorili alternati a caratteristiche casette basse, si è conservata inalterata, così come le famose via Roma e Corso Vittoria Colonna che conducono alla "Mandra", l’antico villaggio dei pescatori.



Ha invece attraversato diverse vicissitudini la bellissima Cattedrale dell’Assunta, costruita nel 1301 e rimaneggiata nel 1700, quindi bombardata dagli Inglesi nel 1809. La cripta, decorata con affreschi della scuola di Giotto, conserva ancora le spoglie delle famiglie nobili dell’isola.
Lo scalo di Ischia ponte è rimasto il preferito dagli Ischitani per molto tempo anche dopo l’apertura del Porto borbonico. Questa predilezione ha contribuito ad alimentare la vita e conservare florida l’attività del centro.

Nel 1853 Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, seguendo l’esempio di suo nonno Ferdinando IV, si reca a Ischia per soggiornare a palazzo Buonocore, nei pressi dell’antico lago del bagno.
Il posto gli piace tanto che decide di trascorrervi buona parte del suo tempo libero e per raggiungere più comodamente il palazzo, decide di far predisporre direttamente lì il posto per l’attracco, anziché passare per Ischia Ponte.
L’incarico di trasformare l’antico lago vulcanico in porto viene dato a Luigi Oberty e Domenico Milo, successivamente a Camillo Quaranta. Il progetto prevedeva l’eliminazione della striscia di terra che separava il lago dal mare. I lavori hanno inizio nell’estate del 1853 e coinvolgono buona parte della popolazione, oltre a un gran numero di prigionieri ‘ospiti’ delle carceri del Castello.
Nel luglio 1854 il real piroscafo Delfino fa il suo ingresso trionfale nel nuovo porto, ma l’inaugurazione ufficiale è a settembre dello stesso anno. I festeggiamenti per il grandioso evento, cui prendono parte la famiglia reale e tutta la popolazione di Ischia, si protraggono per diversi giorni.
Nell’arco di pochi decenni cambia notevolmente l’immagine della piccola Villa de'Bagni, da luogo delle sorgenti, con vasche a cielo aperto a capitale dell’isola. Nascono nuovi edifici, soprattutto lungo l’arteria principale, corso Vittoria Colonna, mentre piazza Croce diventa il punto di incontro, cuore della vita e delle attività. La Casina Reale conserva il suo nome, ma viene trasformato in stabilimento militare. Tra le diverse misure che negli anni contribuiscono a promuovere ed abbellire il posto, fondamentali sono la costruzione delle Antiche Terme Comunali e l’operazione del botanico di corte Giovanni Gussone che, con le famose pinete, ha riportato il verde sulle vicine zone brulle dell’Arso.
Nel secondo dopoguerra Ischia Porto registra uno sviluppo velocissimo, con grande afflusso turistico attirato soprattutto dalle sue bellezze naturali.

In prossimità di Ischia Ponte, si trova la baia di Cartaromana, famosa per la sua bellissima spiaggia ed i caratteristici scogli, ma soprattutto per la storia che la ricollega all’antica Aenaria, florido insediamento romano tra il I sec. a.C.e il IV sec. d.C. oggi sommerso nelle acque della baia.
L’etimologia del nome Aenaria è stata spesso associata alla leggendaria figura di Enea, così come al latino aenum, metallo, ipotesi questa avvalorata dal rinvenimento di reperti metallici nelle acque tra il Castello e i vicini scogli di Sant’Anna. Un’altra tesi fa invece risalire l’origine del nome al greco e significherebbe ‘isola del vino’.
Dai reperti, è stato possibile accertare con sicurezza lapresenza di fabbriche e terrecotte, di botteghe per la lavorazione dei metalli, prove di una grande operosità industriale, legata alla fervida vita del porto. Prove dell’intensa attività commerciale sono le anfore orientali, le coppe etrusche e i molti altri reperti trovati sul fondo marino delle ‘plagae romanae’.

La città di Aenaria appare sostanzialmente divisa in due grandi quartieri: la parte alta, prevalentemente residenziale, con le fabbriche artigianali e la necropoli, e una parte bassa dedicata all'industria e al commercio.
Ma i Romani fanno di Ischia anche e soprattutto un luogo di villeggiatura, valorizzando la presenza delle sorgenti termali. Dalle incisioni sui reperti risulta che da ogni parte dell’impero si accorreva a Aenaria per risalire alla sorgente di Nitrodi a “rinfrescarsi, rinnovarsi la pelle, curarsi i capelli e ricercare la vageggiata fons juventutis”. In quest'epoca, tuttavia, l'isola viene flagellata da terremoti, frane e almeno quattro eruzioni vulcaniche. Questo continuo rischio sismico e vulcanico sembra essere il motivo per cui, pur amandola tanto, i nobili Romani non costruiscono sull'isola edifici termali monumentali né ville signorili. E sempre questo sarebbe il motivo per cui Augusto arriverà a cederla ai napoletani in cambio di Capri, molto più piccola e priva di sorgenti termali.

Tra il 130 e il 150 d.C., Aenaria scompare bruscamente, sommersa da una colata lavica. in seguito a un assestamento del terreno.
Sempre a Cartaromana si trova la Torre del Guevara, uno dei monumenti simbolici di Ischia insieme al Castello. La Torre nasce probabilmente nell'ambito del progetto di fortificazione dell'isola predisposto da Alfonso d'Aragona, che nel 1433 prevedeva l'edificazione di torri lungo la costa. La sua costruzione è attribuita a Don Giovanni di Guevara, venuto dalla Spagna al seguito di Alfonso I d'Aragona, o ad un altro membro della stessa famiglia, Don Francesco de Guevara, fatto governatore a vita dell'isola alla fine del 1400, da Carlo V.

La torre è sempre stata, fin dagli inizi dell'800, di proprietà dei Guevara, duchi di Bovino, ma è anche comunemente detta ‘Torre di Michelangelo’ perché la tradizione racconta che l’artista vi abbia a lungo soggiornato per vivere accanto a Vittoria Colonna, residente al Castello, cui sarebbe stato legato da una segreta relazione amorosa.

L'Acquedotto, detto dei Pilastri, si trova al confine tra il Comune d'Ischia ed il Comune di Barano. L'acquedotto viene iniziato dal cavaliere Orazio Tuttavilla nel 1580, ma i lavori si interrompono e restano sospesi per quasi un secolo, fino al 1673, quando Mons. Girolamo Rocca riprende l'esecuzione dell'opera volta a portare a Ischia Ponte l'acqua della sorgente di Buceto. Il costo dei lavori viene sostenuto dal popolo, cui viene imposta una forte tassa sui cereali. A lavori compiuti, però il sacrificio è dimenticato da tutti e si dice che la storia sia stata così riassunta dallo stesso monsignor Rocca:
HAS SUDAVIT AQUAS CERERIS PATIENTIA CURTAE EDOCUITQUE FAMEM FERRE MAGISTRA SITIS, cioè "Queste acque si sono ottenute col sacrificio sul cibo: la sete, da buona maestra, ha insegnato a sopportare la fame".
Le pinete, oasi di verde nel centro di Ischia, sono tre piccoli parchi nati sul terreno brullo lasciato dalla famosa eruzione dell'Arso del 1302, che seppellì per sempre l'antica e prospera “Città Plana” o “Aenaria”.
Cinque secoli dopo, nel 1850, quel paesaggio arido viene reso nuovamente verde dal botanico di corte Ferdinando II dei Borbone, Giovanni Gussone, che sceglie per l'operazione le conifere, piante tipicamente poco esigenti. In particolare la scelta ricade sul pino domestico o Pinus pinea L., dalla caratteristica chioma ad ombrello.
La scelta è vincente e in poco tempo le pinete crescono e rivestono di verde le zone rocciose. Alla loro ombra, si è poi sviluppato un insieme spontaneo di piante arbustive tipicamente mediterranee, che hanno trovato un habitat tanto ideale da aver dato vita a una vegetazione bellissima, rigogliosa, unica. Ischia gode infatti di condizioni climatiche speciali, il suo clima mediterraneo è reso particolarmente mite da una serie di fattori geografici, geologici e d'esposizione.
Pinete come la Villari e la Nenzi Bozzi sono diventate famose per la loro bellezza. Forse la più interessante, prevalentemente di pino domestico e di pino marittimo, è quella nata proprio sui terreni delle lave dell’Arso, dove ai pini si alternano grandi ammassi di pietra lavica che rendono ancora più affascinante lo spettacolo.
Si trovano molti sempreverdi o sclerofille, come il leccio, pini domestici, ma anche pini marittimi e pini d'Aleppo. Numerose sono anche le quercie, diversi gli arbusti tipici del sottobosco, come il mirto, il corbezzolo, il lentisco, il lauro, il leccio e l'erica. Le erbacee sono particolarmente interessanti sia per il ruolo che hanno nella formazione della macchia sia per le caratteristiche medicinali che alcune posseggono. Infine Ischia ha anche elementi di vegetazione esotica come agavi, fichi d'India o mesembriantemi.

Il palazzo Reale viene fatto erigere dal protomedico Onofrio Buonocore nel 1735 e diventa presto la meta preferita di villeggiatura dei nobili.
Dopo la rivoluzione del 1799 viene acquistata dai Borbone. Ferdinando IV re di Napoli e delle Due Sicilie, la utilizza principalmente come base per cacciare e pescare nell’antico Lago del bagno, mentre suo nipote, Ferdinando II, estende il suo interesse a tutta l’isola: trasforma in porto l’antico lago e dà inizio alla costruzione delle Antiche Terme Comunali per sfruttare le acque delle tre sorgenti di Pontano, Fornello e Fontana.
Sempre per volere di Ferdinando II, ad opera del botanico di corte Giovanni Gussone, la distesa di lava lasciata dall’eruzione dell’Arso viene ricoperta da una bellissima e rigogliosa pineta. Nell’ambito di questa operazione, Gussone incrementa anche il giardino della casina reale, con esemplari di platani, querce, lauri, eucalipti e altri ancora, provenienti dall’Orto botanico di Napoli. L’architettura del giardino è completata e abbellita da false grotte rivestite con schiuma vulcanica e da un sapiente uso decorativo degli agrumi, in particolare dell’arancio amaro.
Il destino del palazzo è strettamente legato a quello dei Borbone, con la loro caduta infatti, la casina attraversa una fase di declino fino al 1865, quando si progetta di trasformarla in stabilimento termale riservato al personale militare. Per un breve periodo, dopo il terremoto del 1883, ospita l’Osservatorio meteorologico e geodinamico.

La zona, come tutta l’isola, è di origine vulcanica, attualmente il terreno è costituito da residui di cenere, lapilli e scorie che hanno dominato la scena geologica dell’isola nei secoli. È una zona particolarmente ricca e fertile che ospita ospita vigneti, oliveti, ed una florida boscagli di fiori, piante spontanee, piante da frutto. Ma la particolarità del luogo è l'offerta di panorami mozzafiato che abbracciano parte dell'isola e le "dirimpettaie" Capri e Cuma, un'esperienza che merita di essere vissuta con lunghe passeggiate a contatto con la natura.

Le tesi più attendibili fanno derivare il nome del vulcano Epomeo da Epopon o Epopos che significa "io miro", "io guardo". Per Plinio e Strabone il nome deriverebbe dal greco Epopeus, 'da dove si vede intorno'. In effetti il monte Epomeo è alto 787 m. e la sua vetta regala un'incantevole vista di Ischia a 360 gradi.
Un'altra etimologia si ricollega a Epopon, ovvero "monte che sovrasta tutte le sorgenti". L’origine è vulcanica, il monte Epomeo nasce diverse migliaia di anni fa, in seguito alla cosiddetta 'eruzione del Tufo Verde dell'Epomeo' che determina lo sprofondamento della parte centrale dell’isola e la formazione di una caldera. Da questa eruzione ha origine un complesso fenomeno che nel tempo porta al sollevamento delle rocce depositate nella caldera fino a formare il Monte Epomeo.
L'Epomeo ha alle spalle anni di storia civile e religiosa, come testimonia la presenza, in cima al monte, della chiesetta dedicata a San Nicola di Bari, i cui corridoi conducono fino all'altro lato della montagna, e di cui Pontano nel suo De bello Napolitano attesta l'esistenza già nel 1459.
Si racconta che nelle grotte del monte si nascondessero gli abitanti dell'isola per sfuggire agli assalti dei pirati e che dalle sue cime venissero inviati segnali di fumo a Napoli e Roma in caso di avvistamento di navi nemiche. Vulcano molto attivo soprattutto nell'età romana, ha avuto la sua ultima violenta eruzione nel 1301, la famosa eruzione dell'Arso.
Lamartine lo descrive come "luogo paradisiaco dove l'anima si innalza a Dio e dal quale l'occhio beato si espande in un panorama incantevole e meraviglioso che nessuna penna potrà riprodurre, dove si vive l'aria di un altro mondo."

A due passi dalla vita mondana di Ischia, c'è il lido di Ischia, una lunga distesa di spiagge ed anfratti rocciosi che uniscono la punta del Porto con quella del Ponte. La prima spiaggia, venendo dal porto è la spiaggia di San Pietro, dove un tempo si tiravano le barche a secco. L'altra grande spiaggia è la spiaggia dei Pescatori, di sabbia fine, che si estende dal porto fino ad Ischia Ponte, a qualche centinaio di metri dal pontile del Castello. La lunga spiaggia, facilmente raggiungibile, è ben attrezzata, con diversi stabilimenti balneari e molte attività ricreative.
La spiaggia dei Pescatori, situata nella zona della Mandra, era la spiaggia del villaggio dei pescatori, nel borgo antico d'Ischia Ponte. Ha alle spalle i palazzi più belli del borgo, il vescovado, lo “Scuopolo”, la dimora dell’antipapa Baldassarre Cossa.

A sud del Castello Aragonese, tra gli scogli di Sant'Anna, dopo la Torre del Guevara, si trova la splendida spiaggia di Cartaromana, rinomata per la sua bellezza e per la sua particolarità; sulla spiaggia si possono ammirare i caratteristici scogli neri di roccia vulcanica modellata dal mare.
Oltre che per la sua bellezza, è celebre perchè è uno dei rari posti in cui il termalismo si manifesta nel mare e anche in pieno inverno è possibile fare bagni caldi, grazie alle conche naturali in cui si sprigionano le sorgenti calde. Inoltre, la zona marina di Cartaromana, compresa nell'area archeologica di Ischia e ricca di posidonia oceanica, è molto amata dai sub, che possono usufruire di uno stabilimento ben attrezzato.
Nei suoi fondali, vi è la storia antica di Aenaria, vi sono stati scoperti i resti di una fonderia di piombo e stagno, oggi sommersa a una profondità tra i 5 e i 7 metri sotto il livello del mare.
La spiaggia si raggiunge percorrendo via Cartaromana e poi seguendo, a piedi, un sentiero lungo circa 700 metri (oppure in barca, con i taxi boat, da Ischia Porto o da Ischia Ponte).

Questa incantevole spiaggia si trova nella zona della contrada Sant'Alessandro, a circa 800 mt. dal porto di Ischia. Si può raggiungere via terra attraverso una stradina pedonale lungo la collina di Sant'Alessandro o dalla banchina Olimpica (dietro il Palazzo d'Ambra, sede delle biglietterie dei traghetti). Altrimenti, via mare, ci si può servire dei taxi boat di Ischia Barche, da Ischia Porto o da Ischia Ponte. È una spiaggia riparata e molto adatta ai bambini (chè il mare aumenta di profondità gradualmente). Viene considerata impropriamente una spiaggia "fredda" per la collocazione a nord. È lunga poco più di 200 metri, la spiaggia è di ciottoli e sabbia. Ha un tratto libero ed un altro con stabilimento balneare.

Ancora incontaminata e attenta alla qualità della vita, Ischia non è solo un centro di turismo internazionale, ma anche e soprattutto l'isola della natura, la Capitale del Benessere. Ma Ischia non è solo natura, sport e divertimento. Le sorgenti e le antiche terme regalano intensi momenti di piacere e relax, imperdibili in ogni stagione e ad ogni età. Da millenni le acque ischitane svolgono i loro effetti terapeutici e di bellezza, il patrimonio idro-termale di Ischia è fra i più ricchi ed interessanti del mondo: 29 bacini termali, 67 fumarole e 103 sorgenti hanno reso ramosa l'isola già ai tempi di Plinio e Strabone.

Non vi è un luogo in cui vi sia una così alta concentrazione di sorgenti e di stabilimenti termali come l’isola d’Ischia.
Le acque di quest’isola vulcanica e ribollente di energia naturale sono note in tutto il mondo per la loro efficacia terapeutica.
Alcune di esse, ancora oggi, sono fruibili liberamente, così come sgorgano dal sottosuolo e dal fondo marino: calandosi in vasche naturali ricavate sulle spiagge, ci si può immergere in acque marine miscelate a quelle termali. E non è difficile imbattersi, nel corso di un trakking sui monti dell’Isola, in una naturale scultura di terra argillosa e biancastra dalla quale esalano lievi getti di vapore sulfureo, che va respirato a bocca semi-aperta, come se fosse un grande e naturale apparecchio inalatorio.

È ancora attiva la benefica vita geologica di quest’Isola verde per le sue risorse arboree e per il suo particolare tufo, con il quale si costruiscono o nel quale si escavano sudatori e stufe.
In questa cornice, svariati sono gli stabilimenti termali in cui è possibile curarsi con bagni e fanghi, inalazioni e irrigazioni, massaggi e applicazioni. La cultura delle terme a Ischia ingloba perciò sia la naturale predisposizione del territorio che l’attenta offerta di servizi sempre all’avanguardia.
Immergersi nella rigenerante acqua termale di Ischia significa fruire di un benessere che giunge dall’intero ambiente naturale, in un’armonico equilibrio in cui il corpo è parte della terra, delle piante, dell’aria e delle acque.

Proprio alle acque, nell’antichità classica, venivano riconosciute proprietà terapeutiche e sacrali. La sorgente di Nitrodi a Barano, ad esempio, veniva utilizzata già a quell’epoca come fonte per curare le malattie della pelle e dei capelli, come documentano antichi bassorilievi ora conservati al Museo Archeologico Nazionale.
Ma è solo nel Cinquecento, con l’opera del medico e idrologo Giulio Iasolino, che le acque termali di Ischia acquistano rinomanza in tutta Italia. Iasolino censisce e studia centinaia di polle e di sorgenti, di stufe e di sudatori che potevano essere utilizzati a fini terapeutici. Nel comune di Ischia ritrova pozzi inattivi da tempo e ne favorisce l’utilizzo di nuovi: ancora oggi, l’uso dell’acqua del "Pozzillo" o della "Mortita" è vivo nel ricordo degli anziani. Grazie al suo libro "De’ rimedi naturali" e alla sua opera medica, Ischia viene nel tempo valorizzata come Isola della salute, al punto che nel secolo successivo il Pio Monte della Misericordia fonda a Casamicciola un enorme sanatorio in cui i poveri della città di Napoli vengono curati con le acque termai del luogo.
Nell’Ottocento Ischia diventa una delle capitali del termalismo europeo, al pari delle più note stazioni inglesi e austriache. Le "Antiche Terme Comunali", che sorgono sul Porto, diventano un punto di riferimento anche per gli studiosi.
Sede dell’annuale "Borsa Internazionale del Termalismo", ancora oggi Ischia mantiene inalterato il suo primato turistico-termale.
Alle classiche cure termali, si sono aggiunti altri servizi e proposte legate al beauty-farm e al benessere psicofisco.

Dalla forma approssimativa di un trapezio, l'isola dista all'incirca 18 miglia marine da Napoli, è larga 10 km da est a ovest e 7 da nord a sud, ha una linea costiera di 34 km e una superficie di circa 46,3 km². Il rilievo più elevato è rappresentato dal monte Epomeo, alto 788 metri e situato nel centro dell'isola. Quest'ultimo è un vulcano sottomarino sprofondato negli ultimi 100.000 anni. Infatti, l'intera isola, altri non è che il picco del Monte Epomeo, ultimo punto del vulcano ancora in superficie.

Strabone riporta quanto dice Timeo, storico greco del IV secolo a.C., a proposito di un maremoto verificatosi a Ischia poco prima del suo tempo. In seguito all’attività vulcanica dell’Epomeo“… il mare era retrocesso per tre stadi; in seguito si era rivolto ancora indietro e il suo riflusso aveva sommerso l’isola quelli che abitavano sul continente fuggirono dalla costa verso l’interno della Campania” (Geografia V, 4, 9). È di qualche interesse che “Cuma”, non distante da quella costa, in greco significa “onda”.
L'attività vulcanica ad Ischia è stata generalmente caratterizzata da eruzioni non molto consistenti e a grande distanza di tempo. Dopo le eruzioni in epoca greca e romana, l'ultima è avvenuta nel 1301 nel settore orientale dell'isola con una breve colata (Arso) giunta fino al mare.

Diverse parti del suo litorale sono comprese nell'area marina protetta Regno di Nettuno.

La viticoltura ad Ischia ha origini millenarie. Sulla coppa di Nestore, ritrovata a Monte Vico (Lacco Ameno), è incisa una frase che inneggia al buon vino locale e testimonia che gli Antichi Eubei, che avevano colonizzato l'isola, avevano introdotto la coltivazione della vite e quindi la produzione del "nettare degli Dei". La tecnica di coltivazione, in particolare modo, richiama alla tradizione greca e differisce da quella etrusca usata nel centro Italia e nelle zone interne della Campania. La viticoltura è stata alla base dell'economia isolana per lunghi periodi storici, condizionandone la vita e i costumi degli stessi abitanti. Le colture sull'isola si estendono dalle coste fin sugli irti pendii montani dove cellai e terrazzamenti, costruiti con rinforzi di muri a secco di pietra di tufo verde, consentono la coltivazione della vite. Dal 1500 il vino bianco sfuso veniva esportato via mare verso la terraferma ai principali mercati italiani e stranieri fino in Dalmazia, veniva posto in "carrati" trasportati dalle vinaccere (barche a vela). Dal 1955 il cambiamento dell'economia isolana è stato radicale. Lo sviluppo rapido del turismo, che è diventato la principale risorsa economica dell'isola, ha indebolito e in parte cancellato il passato culturale di una tradizione che andava protetta e salvata.

Le isole dell'Arcipelago Campano sono meta di migliaia di turisti all'anno. Specificatamente, l'Isola di Ischia, insieme a quella di Capri, sono molto gettonate da turisti non solo italiani, ma anche da stranieri provenienti da ogni parte del globo. L'isola è famosa per il suo mare cristallino, per le note località balneari e per i famosi negozi sul lungomare come "Rive droite" nel comune di Ischia.

L'agricoltura è stata per anni la principale fonte d'economia isolana, anche se la maggior parte dei terreni non viene coltivata per il grande sviluppo del turismo, che ha reso l'agricoltura un settore meno redditizio rispetto al passato. Forio, è sempre stato il principale distretto agrario, il suo suolo molto fertile, permette diverse colture come la vite, che offre rinomati vini, olivi e agrumi, oltre che cereali, castagni, ortaggi e frutta.

Tradizionalmente la pesca e la marineria sono sempre state attività di minor rilievo, sebbene l'isola sia, specie sul versante costiero settentrionale, ricca di approdi e spiagge.

Il versante settentrionale, le cui coste basse scendono dolcemente sotto il livello del mare con un'ampia piattaforma costiera, fino ai 300 m., si apre su un tratto di mare favorevole alla pesca mentre le coste orientali, prive di approdi, e soprattutto quelle meridionali, subito al largo delle quali il mare raggiunge notevoli profondità (più di 600 m), sono meno favorite.

Queste caratteristiche hanno fatto in modo che Ischia Ponte divenisse nei secoli il centro del peschereccio, in cui risiede la metà dei pescatori, mentre il resto è sparso negli altri centri.

Il periodo più favorevole e adatto alla pesca è quello che va da maggio ad ottobre, tuttavia molti pescatori abbandonano da giugno ad agosto le acque della Campania, andando momentaneamente verso il pescoso medio ed alto Tirreno.

Alcune limitazioni nella pesca si sono avute con l'istituzione, mediante la legge 394/91 di un'area marina protetta denominata Regno di Nettuno che interessa i fondali marini circostanti le isole di Procida, Vivera ed Ischia.

L'attività di volontariato ad Ischia è molto varia. Comitati ed associazioni lavorano per promuovere turisticamente il territorio e fornire servizi ed iniziative per i residenti. Numerose associazioni sportive svolgono l'attività su tutta l'isola. L'isola ha un suo fiduciario C.O.N.I. e per la sua peculiarità è sede del Comitato Tecnico Territoriale della F.I.B.(Federazione Italiana Bocce) unica sede di Comitati periferici di FSN sull'isola. Degna di menzione è la Società Sportiva Ischia Isolaverde, società calcistica fondata nel 1922.

Il territorio dell'isola è stato caratterizzato negli ultimi decenni (anche a causa del forte sviluppo turistico) da una forte pressione antropica che ha portato a problematiche di abusivismo edilizio (notizia del 30/06/06).

Alcune inchieste hanno portato alla luce situazioni estreme, come ad esempio quella nel comune di Forio, in cui a fronte di 17.000 abitazioni sono state presentate 19.000 richieste di condono edilizio. Il cedimento di una palazzina priva di permesso di costruire, con la morte di quattro persone, ha riportato di grande attualità questa annosa questione.

Nell'estate 2007, in seguito alla rottura di alcuni cavi Enel che collegano Cuma con Lacco Ameno, nel mare, al largo dell'Isola, è stato rilevato dall'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania (ARPAC) presenza di Policlorobifenili, sostanza tossica nonché cancerogena, 1860 volte superiore ai limiti consentiti dalle legge. Da allora è stato però effettuato un intervento di bonifica.

In passato i traghetti utilizzavano oltre alla banchina principale, anche la banchina Scivolo, sia per la presenza di un secondo terminal da parte di Medmar, sia per snellire meglio il traffico durante i giorni di partenza/arrivo turistici. A causa della presenza di un limite di transito per i veicoli oltre 3,5 tonnellate lungo la strada adiacente, era rischioso sbarcare ed imbarcare i veicoli oltre tale peso, e le sanzioni erano elevate a carico del conducente della vettura, anziché verso l'armatore.



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