Il territorio della regione è costituito quasi interamente dall'isola omonima, la più grande isola dell'Italia e del Mediterraneo, nonché la 45ª isola più estesa nel mondo; la parte rimanente è costituita dagli arcipelaghi delle Eolie, delle Egadi e delle Pelagie e dalle isole di Ustica e Pantelleria. È la regione più estesa d'Italia e il suo territorio è ripartito in 390 comuni a loro volta costituiti in nove province. È l'unica regione italiana ad annoverare due città fra le dieci più popolose del Paese: Palermo e Catania. È bagnata a nord dal Mar Tirreno, a ovest dal Canale di Sicilia, a sud dal Mar di Sicilia, a est dal Mar Ionio e a nord-est dallo stretto di Messina che la separa dalla Calabria.
Le più antiche tracce umane nell'isola risalgono al 12.000 a.C. circa. In era protostorica fiorirono culture dette di Thapsos, di Castelluccio, di Stentinello. Popoli provenienti dal continente o dal Mediterraneo vi si insediarono successivamente: tra essi i Sicani, i Siculi e gli Elimi. L'VIII secolo a.C. vide la Sicilia colonizzata dai Fenici e dai Greci e nei successivi 600 anni divenire campo di battaglia delle guerre greco-puniche e romano-puniche. L'isola venne così assoggettata dai Romani e fu parte dell'impero fino alla sua caduta nel V secolo d.C..
Fu quindi terra di conquista e, durante l'Alto Medioevo, conquistata da Vandali, dagli Ostrogoti, dai Bizantini, dagli Arabi e dai Normanni. I Normanni sono l'unico popolo nordico (germani settentrionali) a conquistare e fondare uno stato nordico in Europa meridionale, il Regno di Sicilia che durò dal 1130 al 1816. Il Regno di Sicilia divenne culla della cultura nordica insieme ai paesi scandinavi ed è l'unica terra (Regno di Sicilia comprendeva anche il Sud Italia) di cultura nordica in Italia e in Europa meridionale. Successivamente fu conquistata dagli Angioini e con la rivolta del vespro passò agli Aragonesi; successivamente al Sacro Romano Impero, ai Savoia e all'Austria e, infine, ai Borbone sotto i quali si trasformò in Regno delle Due Sicilie. La Sicilia fu unita al Regno d'Italia nel 1860 con un referendum, in seguito alla spedizione dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi durante il Risorgimento. Nel 1946 la Sicilia, costituita in regione autonoma a statuto speciale, ha nuovamente un proprio parlamento, ancor prima della nascita della Repubblica italiana.
Tra 5,96 e 5,3 milioni di anni, durante il Messiniano (ultima fase del periodo Miocene), il Mediterraneo rimase isolato dall'oceano Atlantico probabilmente a causa di un aumento dell'attività tettonica. Ciò portò alla crisi di salinità: il mar Mediterraneo iniziò ad evaporare più velocemente e la concentrazione del sale aumentò. Carbonati e solfati vennero depositati in grandi quantità sui fondali e ne è rimasta traccia a lungo nelle miniere di salgemma e gesso che si possono trovare tuttora nelle province di Agrigento, Caltanissetta ed Enna.
Un fenomeno geologico peculiare è il vulcanesimo sedimentario, riscontrabile nei siti delle macalube di Aragona, in provincia di Agrigento, e delle maccalube di Terrapelata, a Caltanissetta. Questo raro fenomeno rende l'area interessata brulla, di colore biancastro e popolata da una serie di vulcanelli di fango, alti intorno al metro. Il fenomeno è legato alla presenza di terreni argillosi poco consistenti, intercalati da livelli di acqua salmastra, che sovrastano bolle di gas metano sottoposto ad una certa pressione. Il gas, attraverso discontinuità del terreno, affiora in superficie, trascinando con sé sedimenti argillosi ed acqua, che danno luogo ad un cono di fango, la cui sommità è del tutto simile ad un cratere vulcanico. Il fenomeno assume talora carattere esplosivo, con espulsione di materiale argilloso misto a gas ed acqua scagliato a notevole altezza.
A causa della sua posizione, la regione e le isole circostanti sono interessate da un'intensa attività vulcanica. I vulcani più importanti sono: Etna, Stromboli e Vulcano. Essi hanno la singolarità di appartenere a tre tipologie differenti: eruzioni di lave basaltiche intervallate a periodi di calma il primo; eruzioni continue, e fontane di lava, il secondo, le cui caratteristiche sono state prese come modello tipologico dagli scienziati del settore, che hanno coniato il termine Tipo stromboliano per designare le attività similari dei vulcani terrestri; infine di tipo esplosivo o pliniano il terzo, caratterizzato da lunghi periodi di apparente calma ed eruzioni violente.
Infine si ricorda l'attività eruttiva che nell'Ottocento, nella zona del canale di Sicilia oggi denominata banco di Graham, ha portato alla nascita dell'effimera isola Ferdinandea.
Le più antiche tracce umane rinvenute nell'isola si ritiene risalgano al XIII millennio a.C.. Secondo lo schema del Laplace all'epigravettiano antico risalirebbe un complesso scavato agli inizi del XX secolo nei pressi di Canicattini Bagni, alcuni ritrovamenti nell'entroterra siracusano e nella grotta Niscemi nel palermitano. In questa le pareti presentano incisioni rupestri zoomorfe. Al cosiddetto epigravettiano evoluto, la grotta di Cala dei Genovesi a Levanzo e il riparo di San Corrado nell'entroterra siracusano. All'epigravettiano finale, la grotta di San Teodoro Acquedolci, la grotta Corruggi (presso Pachino), la grotta Mangiapane e il riparo del Castello di Termini Imerese.
La presenza umana nell'area palermitana è attestata sin dall'epoca preistorica dai graffiti e dalle pitture rupestri delle grotte dell'Addaura: figure danzanti in un rito magico propiziatorio, forse "sciamani" di un popolo non identificato che abitò l'isola. La grotta del Genovese, nell'isola di Levanzo fu abitata dall'uomo tra i 10.000 e i 6.000 anni prima di Cristo. Altre grotte dell'isola, dei Porci, di Cala Tramontana, di Punta Capperi hanno fornito materiale risalente al paleolitico superiore. L'analisi stratigrafica al carbonio-14 ha indicato l'anno 9230 a.C. (epigravettiano evoluto): la presenza nella sequenza stratigrafica di un frammento calcareo di notevoli dimensioni, con un bovide inciso, di stile del tutto affine alle raffigurazioni parietali sulle pareti, ha permesso di ottenere questa datazione assoluta. La grotta dell'Uzzo all'interno della Riserva naturale orientata dello Zingaro presenta analoghe tracce di insediamento.
Scavi a Lipari hanno prodotto testimonianze stratificate delle civiltà che dal Neolitico (VI millennio a.C.) in poi hanno colonizzato l'isola. Lipari era un centro di produzione di ossidiana e di ceramiche. Significative le rovine di un villaggio neolitico sul promontorio di Capo Graziano a Filicudi. Non è tuttavia ancora chiara l'identità o la provenienza dei primi abitanti dell'isola.
Il capoluogo siciliano fu fondato come città-porto dai coloni Fenici di Tiro (l'odierno Libano) intorno al 734 a.C. Come luogo d'insediamento scelsero un promontorio di roccia prospiciente il mare contornato da due fiumi che corrisponde alla zona attualmente occupata dalla cattedrale di Palermo e dalla villa Bonanno.
La Sicilia entra nella Storia con la colonizzazione greca, che inizia con la fondazione di Naxos per opera dei Calcidesi e di Siracusa per opera dei Corinti, verso la metà dell'VIII secolo a.C.; sempre i Calcidesi, ma in data imprecisata, fondarono Zancle. Naxos, a sua volta fondò Katane e Leontinoi e i greci megaresi fondarono Megara Hyblaea. Nella prima metà dell'VII secolo a.C. sorsero Ghelas per opera dei rodio-cretesi ed poi Akrai ed Eloro per opera dei siracusani. Selinunte per opera dei megaresi di Sicilia ed Himera, opera dei calcidesi-zanclei, sorsero a metà del VII secolo. Al principio del VI secolo Akragas fu fondata dai gelesi mentre i siracusani fondarono Kamarina. Verso la metà del VI secolo a.C. greci di origine calcidese giunsero a Morgantina. Già prima dei Greci giunsero sull'isola i Fenici. Nel secolo VI la costa occidentale dell'isola apparteneva ai Cartaginesi, fondatori di Zyz, Mozia e di Solunto mentre le città di Eryx e Segesta furono fondate dagli Elimi.
La civiltà dei discendenti dei Greci stabilitisi in Sicilia (Sicelioti) è analoga a quella della Grecia propriamente detta. La loro entità politica è la "polis", la città-stato; anche quando si formano stati più vasti, questi sono pur sempre aggregati ad essa. Non pare che nelle città siceliote (come neppure in quelle Italiote) vi sia stata mai la monarchia, sebbene prerogative monarchiche ebbero alcuni tiranni sicelioti. L'aristocrazia fondiaria mantenne generalmente il potere fino alla metà del secolo VI; gareggiò poi con essa la plutocrazia industriale e commerciale. Successivamente al periodo di egemonia aristocratica si ha la lotta tra l'aristocrazia e il popolo, mirante quest'ultimo ad ottenere l'uguaglianza dinanzi alla legge (donde le legislazioni attribuite a personaggi leggendari, tra i quali Caronda) e la partecipazione ai diritti politici. L'opposizione all'aristocrazia favorì, come in Grecia, il sorgere dei tiranni, che intorno al 500 a.C. salirono al potere in quasi tutte le città siceliote.
La Sicilia fu, al pari della Magna Grecia, un centro di cultura greca: si ricordano Archimede, Caronda, Empedocle, Epicarmo, Gorgia, Sofrone e Stesicoro. Splendida fu la fioritura artistica, specialmente nell'architettura religiosa. Tra la fine del secolo VII e il principio del VI sorsero i primi templi, ad esempio, a Siracusa e Agrigento; nel corso del VI secolo si ebbero le grandi costruzioni dei templi dorici. Con le costruzioni architettoniche si sviluppò la decorazione scultorea: famose sono le metope di Selinunte. Di grande valore artistico sono anche le monete delle città siceliote.
Al primo posto per importanza politica in Sicilia fu Siracusa, che divenne antesignana nella lotta con Cartaginesi ed Etruschi. La sua ascesa risale al principio del V secolo sotto il tiranno Gelone, vincitore ad Imera (circa 480) dei Cartaginesi, mentre il fratello e successore Gerone sconfisse gli Etruschi a Cuma per mare (474). Dopo la sua morte si ebbe a Siracusa una rivoluzione in senso democratico, che provocò il ristabilimento dell'indipendenza delle città siciliane assoggettate dai tiranni siracusani. Siracusa tuttavia proseguì la sua attività marittima fin nell'Italia centrale. Si ebbe in Sicilia un tentativo dei Siculi di liberarsi dal dominio greco e di costituire un regno proprio sotto Ducezio, che sollevò un vasto movimento di rivolta nazionalistica, una vera e propria lega sicula, tentativo che finì per fallire (460-440). Nella seconda metà del V secolo Atene venne a contrastare la potenza della dorica Siracusa, ma la grande spedizione ateniese del 415-413 a.C. finì in un disastro. Di quest'indebolimento dei Greci approfittò Cartagine per una ripresa in Sicilia, occupando nel 409 a.C. Selinunte e nel 405 a.C. Agrigento. Siracusa venne alla riscossa sotto il tiranno Dionigi il Vecchio, che però non spinse a fondo la guerra contro i Cartaginesi perché impegnato nella sottomissione delle città siceliote e nei tentativi espansionistici in Italia, ove si spinse fin nell'Adriatico superiore. Dopo la sua morte si ebbe a Siracusa un lungo periodo di sconvolgimenti, terminato nel 343 con il ristabilimento della libertà per opera di Timoleonte, il quale vinse i Cartaginesi, promosse la liberazione delle città siceliote e la loro alleanza.
Siracusa riprese la politica egemonica intorno al 316 a.C. per opera del tiranno Agatocle, che sottomise le altre città greche, assunse il titolo di re (305) e combatté contro Cartagine. Morto lui (289) Siracusa tornò in libertà. Premuta nuovamente da Cartaginesi, essa, assieme ad Agrigento, invitò Pirro re dell'Epiro che era venuto in Italia su chiamata di Taranto, a combattere i Romani. Pirro passò in Sicilia e ottenne successi; ma la discordia insorse tra lui e i suoi alleati ed egli allora fece ritorno sul continente. I Cartaginesi ristabilirono la loro potenza sull'isola, mentre Siracusa doveva difendersi dai Mamertini, mercenari campani impadronitisi di Messina. Durante la guerra contro di essi si ebbe la costituzione a Siracusa della nuova tirannia di Gerone II (270) e l'intervento dei Romani, chiamati dai Mamertini. Di qui l'inizio della prima guerra punica.
A seguito della prima guerra punica (264-241 a.C.) l'isola fu assoggettata a Roma, che dopo la vittoria di Torquato Attico e Catulo sulle truppe cartaginesi di Annone nella battaglia delle Isole Egadi, ne fece la sua prima provincia Romana: una parte del territorio venne considerato ager publicus mentre il resto fu sottoposto a tributo. Vi si mantennero tuttavia, o vi si formarono, città federate (fra cui Siracusa, che mantenne per alcuni decenni una limitata autonomia) e municipi romani. Per quanto concerne l'ambito economico-produttivo il territorio siciliano fu coltivato estensivamente a frumento per approvvigionare Roma, al punto tale da definire le Sicilia stessa il granaio di Roma.
Durante la seconda guerra punica (218-202 a.C.) vi furono ribellioni siceliote contro i Romani, principalmente ad Agrigento e Siracusa. Celebre fu il lungo assedio che quest'ultima subì da parte dell'esercito romano, che culminò nel 212 a.C. con l'espugnazione e il saccheggio della città. Le misure repressive che vennero adottate da parte dei vincitori recarono un grave colpo alla Sicilia. Siracusa divenne una città tributaria, mentre l'intera popolazione di Agrigento fu ridotta in schiavitù, venduta e sostituita da siciliani provenienti da zone rimaste fedeli a Roma. Le confische di beni e territori portarono allo sviluppo del latifondo e a una stagnazione della popolazione isolana, costituita in gran parte da schiavi che diedero vita alle guerre servili. Fra queste ultime rivestì una certa importanza quella scoppiata nel 138 a.C., in cui emerse anche un risveglio di sentimenti d'indipendenza da parte di alcuni centri abitati dell'isola. La rivolta fu capeggiata dallo schiavo Euno, una volta proclamato re arrivò a contare un esercito di 200.000 Siciliani, la rivolta venne successivamente soffocata dal console Publio Rupilio. La feracità dell'isola fece di essa, fin da tarda età repubblicana, una delle regioni cereagricole più importanti del mondo romano. Dopo la morte di Giulio Cesare, la Sicilia fu governata, per alcuni anni, insieme alla Sardegna, da Sesto Pompeo. In età augustea si moltiplicarono gli stanziamenti dei veterani e dei coloni romani che favorirono il processo di latinizzazione di gran parte dell'isola. Essa, tuttavia, nell'ordinamento delle regioni augustee, era considerata come non facente parte dell'Italia. La concessione generale della cittadinanza romana fatta a suo tempo da Marco Antonio non fu tuttavia mantenuta da Augusto, il quale però assegnò alle principali città lo status di municipio romano o di colonia latina.
La Sicilia godette di un relativo benessere fino ad epoca Antonina, ma nel III secolo partecipò al generale processo di decadenza economica e politica dell'Impero. Con il nuovo ordinamento amministrativo ideato da Diocleziano (Diocesi d'Italia) e mantenuto in massima parte dagli imperatori successivi, la Sicilia, con la Sardegna e la Corsica, venne unita amministrativamente all'Italia. All'effimera ripresa culturale ed economica dell'Impero durante il IV secolo l'isola non restò probabilmente estranea: di quest'epoca è la celebre villa romana del Casale di Piazza Armerina, che con i suoi 3.500 m² di mosaici costituisce uno dei più superbi esempi di arte romana tardoantica. Attorno alla metà del V secolo i Vandali di Genserico, stabilitisi in Africa, s'impadronirono dell'isola.
Alla caduta dell'Impero romano d'Occidente, Odoacre ne ottenne la restituzione da Genserico dietro pagamento di tributo. Nel 493 Teodorico, re degli Ostrogoti, ne conservò il possesso senza più pagare il tributo. I Goti non fecero stanziamenti in Sicilia, rimanendo effettivamente nel dominio dei latifondisti romani (fra cui principale il vescovo di Roma) e questo facilitò la sua immediata adesione al generale imperiale Belisario quando vi sbarcò nel 535 d.C. iniziando la riconquista della penisola. L'isola rimase per tre secoli sotto la dominazione bizantina senza far parte né della circoscrizione italiana, né di quella africana, in dipendenza diretta da Costantinopoli, come una specie di dominio imperiale. È nota la grandissima influenza che continuò ad avervi la chiesa romana, che possedeva numerosi possedimenti amministrati da rettori inviati direttamente dal Papa. Durante la dominazione Bizantina la Sicilia dovette subire una pesante tassazione che impoverì la popolazione.
Nel VII secolo, iniziarono le incursioni musulmane dall'Africa, che reputavano la Sicilia come punto strategico da dove si poteva controllare tutto il mar Mediterraneo. Verso la fine del VII secolo, la Sicilia sotto il regno di Giustiniano II, divenne un themata (Sikelia) dell'Impero Bizantino. La successiva disgregazione dell'Impero bizantino e la sua debolezza, alimentarono un forte malcontento in Sicilia, così tra il 663 e il 668 l'imperatore d'Oriente Costante II trasferì la capitale dell'impero da Costantinopoli a Siracusa, ma, anziché portare benefici alla Sicilia e all'Impero, causò una lunga guerra tra le due città e l'indipendenza del thema di Sikelia. Il turmarca della flotta siculo-bizantina Eufemio di Messina, che aveva dichiarato l'indipendenza da Costantinopoli nell'823, venne cacciato dai nobili locali e sconfitto duramente dai Bizantini sotto la guida di Fotino, e costretto fuggì in Ifriqiya (all'incirca l'attuale Tunisia). Li Eufemio trovò rifugio presso l'emiro aghlabide di Qayrawan, Ziyadat Allah I, cui chiese aiuti per realizzare uno sbarco in Sicilia e cacciare gli odiati bizantini, i musulmani, che forse avevano già progettato un'invasione delle Sicilia, prepararono una flotta di 70 navi, chiamando al jihad marittimo il maggior numero di volontari. Eufemio assassinato a Castrogiovanni durante l'assedio dell'828-829, verrà considerato come l'uomo che causò l'invasione islamica della Sicilia e l'inizio dei due secoli della loro dominazione sull'isola.
L'occupazione stabile dell'isola da parte dei musulmani ebbe inizio però solo con lo sbarco nell'827 a Mazara del Vallo. La conquista proseguì lentamente: nell'831 fu presa Palermo, nell'843 Messina, nell'859 Castrogiovanni. Rimase ancora ai Bizantini (ma forse è meglio dire in stato di semi-anarchia, dato che le flotte bizantine lasciarono la Sicilia abbandonata a se stessa) una striscia ad oriente con Siracusa, che cadde solo nell'878, e Taormina, che resse ancora fino al 902. L'occupazione islamica della Sicilia e dei suoi arcipelaghi terminò con Rometta nel 965. Vari fattori assicurarono per secoli il dominio dei musulmani in Sicilia: l'efficienza del loro sistema amministrativo, fiscale ed economico (con la dissoluzione del latifondo e la facilità dei rapporti commerciali con il più avanzato e contiguo mondo nordafricano in particolare e islamico in genere), la forza delle strutture militari (che godevano tra l'altro della prossimità degli stanziamenti musulmani nell'Italia meridionale), la divisione politica delle potenze italiche e l'impotenza dei vari sovrani cristiani.
Furono invece i Normanni stabilitisi nel Mezzogiorno che, prima ancora di compiere la conquista del continente, concentrarono i propri sforzi per cacciare dall'isola i musulmani, forti del placet papale. Ruggero I d'Altavilla iniziò l'impresa nel 1060 e la compì nel 1091 tenendo la Sicilia col titolo comitale come feudo di Roberto il Guiscardo. A lui succedette Ruggero II, che alla Sicilia riunì il Mezzogiorno continentale ed ebbe nel 1130 dall'antipapa Anacleto II, e poi nel 1139 da Innocenzo II, la corona di Sicilia come feudo della Santa Sede. Scelse come sede reale, la cittadina di Cefalù, dove fece erigere nel 1131 la Basilica Cattedrale come suo mausoleo. Gli successe il figlio Guglielmo il Malo (1154-1166), cosiddetto per la durezza con cui egli, o piuttosto il suo potente ministro, l'ammiraglio Maione di Bari, represse le rivolte dei grandi, specialmente di Puglia. Questi si erano rivolti a Federico Barbarossa e all'imperatore bizantino Manuele I Comneno. Le milizie bizantine sbarcarono in Puglia, occupando Brindisi e Trani. Creando una base a Brindisi (1156),andarono però perdute le conquiste di Ruggero II.
Successo a Guglielmo I il secondogenito Guglielmo il Buono (1166-1189), il regno si andò pacificando. Nella contesa tra il papato e i comuni da una parte e il Barbarossa dall'altra, Guglielmo II stette con i primi per difendersi dalle mire imperiali. Dopo Legnano egli concluse a Venezia, al pari dei comuni lombardi, una tregua con il Barbarossa (1177) e la pace a Costanza (1183).
Il che favorì un'intesa fra impero tedesco e regno normanno: Guglielmo II fidanzò l'unico discendente legittimo della dinastia, Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II, con il figlio dell'imperatore Enrico (1184). Il matrimonio fu celebrato a Milano nel gennaio 1186.
Morto Guglielmo II, contro Enrico VI si levò un forte partito che gli oppose un rampollo illegittimo della casa normanna, Tancredi, conte di Lecce, che fu riconosciuto da papa Clemente III. Una prima spedizione di Enrico VI (1191) non riuscì nella conquista del regno; una seconda, avvenuta dopo la morte di Tancredi (febbraio 1194), portò al successo, e alla fine del 1194 Enrico fu incoronato Re di Sicilia a Palermo. Tentativi di rivolta furono da lui ferocemente repressi. Egli intendeva fare del regno una base per una grande spedizione contro l'Impero bizantino, ma la morte sopraggiunse improvvisamente a Messina nel settembre 1197.
La storia della Sicilia sotto suo figlio, Federico II, detto stupor mundi, il quale procedette ad un riordinamento generale del regno, è narrata nella voce relativa; e il seguito di essa in quella su Manfredi. Caduto questi a Benevento (1266), Carlo I d'Angiò, al quale il pontefice aveva trasmesso il regno, ne rimase padrone; e vana riuscì la spedizione di Corradino di Svevia (1268), che venne decapitato a Napoli.
La Sicilia fu particolarmente malcontenta del governo angioino, innanzitutto per il suo fiscalismo. Alcune parziali sollevazioni in favore di Corradino vennero ferocemente domate con lo sterminio d'intere cittadinanze, e molti nobili furono spogliati per dare i loro beni ai francesi. Inoltre la Sicilia si sentiva posposta a Napoli, ove Carlo aveva la sua sede. Il popolo era malcontento anche per il modo licenzioso con cui i francesi trattavano le donne siciliane: malcontento che scoppiò nell'insurrezione dei Vespri Siciliani, iniziata il 31 marzo 1282, cui seguirono l'intervento di Pietro III d'Aragona acclamato re di Sicilia e la guerra cosiddetta del Vespro fra Angioini e Aragonesi.
Con la pace di Caltabellotta (1302) la Sicilia rimase a Federico III di Aragona col titolo di re di Trinacria. Alla sua morte l'isola sarebbe dovuta tornare agli Angioini; invece Federico fece riconoscere per successore il figlio Pietro. Di qui una lunga guerra fra i due regni che fu inconcludente e assai dannosa, con incursioni reciproche e sbarchi sulle coste e con la legislazione e l'appoggio dato a re Roberto; a Pietro successe Luigi (1342-1355). Sotto di lui e il suo successore Federico III, Giovanna I di Napoli e il marito Luigi di Taranto intervennero, chiamati da molti signori, ricevettero a Messina (1356) l'omaggio dei sudditi siciliani e per qualche tempo furono nella maggior parte dell'isola. Ben presto però Federico riprese il sopravvento; e nel 1372 fu conclusa la pace, per la quale la Sicilia rimaneva alla casa cadetta aragonese come del papa. L'isola rimarrà indipendente e con una propria dinastia regale fino al 1410 circa. Morto Federico III nel 1377, la successione della figlia Maria non venne riconosciuta da Pietro IV d'Aragona del ramo principale, che cedette i suoi diritti sulla Sicilia al secondogenito Martino il Vecchio, il quale li trasmise al figlio Martino il Giovane. L'isola si divise in fazione aragonese e siciliana, quest'ultima dominata dai potentissimi baroni Chiaramonte. La regina Maria fu fatta prigioniera dalla fazione aragonese, condotta in Spagna e maritata a Martino il Giovane, e questi venne coronato a Palermo (1392). Pure la guerra civile continuò sin verso la fine del secolo. Morti Maria (1402) e Martino il Giovane (1409), Martino il Vecchio re d'Aragona si dichiarò erede del Regno di Trinacria; ma, morto anche lui quasi subito dopo (1410) ed estintasi la casa d'Aragona, seguì un periodo d'interregno e confusione, finché i siciliani, al pari degli Aragonesi, riconobbero il figliolo della sorella di Martino il Vecchio, Ferdinando I d'Aragona, venendo così a riunire i due regni di Aragona e di Sicilia con l'isola che perdette l'indipendenza.
In Sicilia i primi re aragonesi emanarono molte costituzioni per difendere i diritti popolari dagli abusi feudali e fiscali, e costituirono definitivamente l'istituto del parlamento, un'assemblea d'origine normanna composta di nobili, clero e deputati delle città regie (cioè non feudali), cui fu riservato il diritto di deliberare pace e guerra, di votare le imposte, di censurare i pubblici ufficiali. I re per tener a freno la nobiltà favorirono anche le libertà municipali; ma, nonostante tutto questo, i feudatari acquistarono un potere preponderante a danno dell'autorità regia e dei comuni. Tutto ciò portò l'isola ad una profonda decadenza. Da questi eventi e dalle loro ripercussioni in Sicilia si favorì la ripopolazione e la costruzione di nuovi centri abitati, anche da colonie non siciliane.
Alfonso d'Aragona re di Sicilia, figlio di Ferdinando I d'Aragona, acquistò anche Napoli nel 1442. Ma alla sua morte (1458) la riunione ebbe termine, perché la Sicilia passò con l'Aragona al fratello Giovanni II d'Aragona, mentre Napoli fu lasciata da Alfonso, come acquisto personale, al figlio naturale legittimato, Ferdinando I.
Con Ferdinando il Cattolico figlio di Giovanni, re di Aragona e di Sicilia, che condivise con Isabella il governo dei regni di Castiglia e di Aragona, si ebbe la conquista del Napoletano (1501-03) da lui operata contro la Francia. Ferdinando regolamentò l'istituto del viceré rendendo la carica triennale, attuò una grande riforma fiscale che gli assicurò il consenso parlamentare alla richiesta dei donativi in cambio di una convocazione certa e regolare del Parlamento, ordinariamente ogni tre anni, ed attuò nel suo lungo regno una serie di riforme che disegnarono il sistema di governo del regno per i seguenti due secoli.
Prevalentemente a Palermo (a volte a Messina) risiedé un viceré, alter ego del sovrano lontano, che doveva attenersi nella sua azione ai poteri previsti dagli ordinamenti del Regno di Sicilia. Nel sistema imperiale degli Austrias infatti, ogni Regno o territorio che ne faceva parte (Castiglia, Aragona, Catalogna, Sicilia, Sardegna, Napoli, Milano, Paesi Bassi etc.) manteneva i suoi ordinamenti politici, le sue istituzioni, le sue leggi. le sue unità di misura, la sua moneta, la sua lingua, e dal punto di vista giuridico nessuno poteva 'dominare' sugli altri. Il re legittimo, che casualmente era re e principe di altri territori, poteva esercitare il potere nei modi e nelle forme stabilite dalle costituzioni del Regno e dai capitoli sottoscritti e giurati tra re e communitas Siciliae (regime pattizio). Pertanto le antiche consuetudini, immunità e i privilegi dei vari ceti (feudalità, nobiltà cittadina, clero) rappresentati nel Parlamento del Regno rimasero in vigore e la loro conservazione e salvaguardia costituì l'ideologia ufficiale dei ceti dirigenti siciliani. Sotto il governo degli Austrias (Carlo V imperatore e I di Sicilia, Filippo II, Filippo III, Filippo IV, Carlo II) la Sicilia ebbe un periodo di grande sviluppo economico, sociale, religioso, artistico, demografico che grosso modo durò per tutto il Cinquecento sino ai primi decenni del Seicento, e fu poi coinvolta nella crisi e nel declino dell'Impero spagnolo (bellicismo, fiscalismo, tradizionalismo economico e sociale) anche a causa della grande crisi generale del Seicento e della marginalizzazione del sistema economico mediterraneo a favore della nuova economia atlantica.
Nel periodo spagnolo moderno la popolazione siciliana raddoppiò, nacquero decine di nuovi paesi nell'area interna cerealicola (colonizzazione interna), Palermo passò da 30.000 abitanti a 140.000, Messina da 25.000 a 90.000, entrando nel ristretto novero delle prime dieci città europee per popolazione, ricchezza, e bellezza urbanistica, si svilupparono l'industria dello zucchero e della seta nel Val Demone, decadute nel Seicento per la concorrenza del lavoro schiavile nelle Americhe e della rivolta messinese ma sostituite dall'ampliamento dell'area vitivinicola e agrumicola.
Il bilancio della presenza spagnola nella Sicilia moderna deve tener conto dei fattori negativi, dati soprattutto dal conservatorismo sociale, dalle scelte economiche sbagliate, dall'eccessivo fiscalismo, che tuttavia furono problemi generali di tutta la società spagnola e non certo conseguenza di una inesistente dominazione sui siciliani (che a questi errori contribuirono notevolmente), ma anche dei fattori positivi tra cui i parecchi secoli di pace interna assicurati dal far parte di una grande Potenza che bloccò l'espansionismo turco ed assicurò secoli di pace interna. La forza del sistema economico siciliano, pur diretto con criteri sbagliati, tipici delle credenze economiche dell'epoca e coinvolto nell'epocale crisi mediterranea di fine Seicento, si manifestò nelle capacità di reazione e di ricostruzione seguita alle grandi catastrofi naturali del 1669 a Catania e in tutta l'area etnea (l'eruzione che giunse sino all'interno delle mura cittadine interrando il castello Ursino) e del 1693, il terribile terremoto che atterrò Catania, Noto e distrusse in tutto o in parte una cinquantina di centri della Val di Noto provocando sul momento 60.000 vittime.
La grande crisi secentesca determinò in tutta Europa tensioni sociali e malcontento che sfociarono in episodi numerosi di sommosse, tumulti, moti, jacqueries, rivoluzioni, che non lasciarono immune neanche la Sicilia, dove si registrarono una serie di rivolte in tutti i centri dell'isola, e soprattutto a Palermo nel 1647 e, molto più grave, a Messina (1674-1678). I messinesi trovarono l'appoggio delle armate di Luigi XIV che vennero a combattere nella terra siciliana, ma la loro sconfitta segnò la tragica fine della loro città come grande centro mercantile e manifatturiero, e il crollo economico dell'intera area della seta (il Valdemone) che su questa attività si reggeva. L'ultimo re della dinastia degli Asburgo spagnoli, Carlo II, morì senza figli, e per i legami che Case regnanti avevano tra di loro molti sovrani e principi europei potevano avanzare pretese al trono rimasto vuoto. Ciò diede l'avvio alla guerra di successione spagnola (1701-1713) in seguito alla quale i territori italiani non ebbero più una relazione diretta con la Spagna, la cui corona era passata ai Borbone. Con la pace di Utrecht (1713) il Regno di Sicilia fu dato a Vittorio Amedeo II di Savoia il cui regno durò un quinquennio.
La Spagna sotto la direzione dell'Alberoni tentò di riconquistare i domini italiani e nel 1718 un esercito sbarcò in Sicilia occupandola. La formazione immediata della Quadruplice alleanza costrinse la Spagna a recedere dal suo proposito; e allora la Sicilia fu ceduta all'Austria, che non aveva cessato di reclamarla, passava sotto quella potenza per la ricordata pace di Utrecht. Il figlio di secondo letto di Filippo V, della nuova dinastia borbonica di Spagna, Don Carlos, durante la guerra di Successione polacca compì (1734) una spedizione vittoriosa nel regno che riacquistò in lui un re indipendente, pur essendo strettamente legato politicamente alla Spagna. Sotto di lui (Carlo III, 1734-1759) e sotto il figlio Ferdinando IV, finché fu al governo il Tanucci, si ebbe un indirizzo riformatore. Dopo il ritiro del Tanucci e soprattutto dopo l'inizio della Rivoluzione Francese prevalse un indirizzo reazionario: questo non fece che favorire nella gente colta lo sviluppo delle nuove idee (il cosiddetto giacobinismo). A Palermo si ebbe nel 1795 la congiura del repubblicano Francesco Paolo Di Blasi. Nel 1799 e poi nel 1806-1814 Ferdinando III, per le pressioni dell'Inghilterra, concesse alla Sicilia nel 1812 una nuova costituzione con le due camere dei Pari e dei Comuni, di tipo inglese.
Ferdinando III era stato costretto a concedere la costituzione anche dal fatto che la nobiltà, di dubbia devozione, aveva abbandonato la monarchia. Così, il sovrano era rimasto quasi isolato e non aveva potuto resistere alle pressioni del rappresentante inglese a Palermo, Lord Bentinck. Questo spiega la soppressione del parlamento attuata dal re il 15 maggio 1815, non appena fu sicuro del suo ritorno sul trono di Napoli, e il decreto dell'8 dicembre 1816 con cui ordinava che tutti i suoi domini al di là e al di qua del Faro, cioè i due regni, sino allora distinti, di Napoli e di Sicilia, dovessero formare l'unico Regno delle due Sicilie. Quasi contemporaneamente procedeva all'abolizione delle libertà e delle franchigie della Sicilia, delle sue leggi, dei suoi ordinamenti, della sua zecca e delle sue magistrature. Ma una simile condotta destò subito nell'isola una viva opposizione, che condusse alla rivolta scoppiata nel luglio del 1820, subito dopo quella di Napoli: qui la Carboneria e i militari napoleonici avevano chiesto e ottenuto la costituzione, mentre a Palermo si voleva il riconoscimento dell'indipendenza siciliana. Tuttavia questa richiesta non trovò ascolto neppure presso il nuovo parlamento napoletano, e anche i deputati videro nell'indipendenza dell'isola il perpetuarsi dei privilegi feudali più che la garanzia di una vita libera. Sicché si disposero a sottomettere con la forza Palermo e sconfessarono la convenzione firmata da Florestano Pepe il 5 ottobre, invitando Pietro Colletta che ben presto ebbe ragione della resistenza dei siciliani.
Il particolarismo palermitano non aveva affatto giovato alla rivoluzione napoletana, che si era anzi dovuta logorare nel grave e difficile problema interno. D'altronde, anche quella rivoluzione era piuttosto un ricordo del periodo napoleonico che un'anticipazione dei moti risorgimentali e, pertanto, neppure essa poté resistere a lungo all'esercito austriaco. Negli anni seguenti, che furono gli anni centrali della Restaurazione, Ferdinando I, Francesco I e, soprattutto, Ferdinando II, salito al trono nel 1830, cercarono di temperare il loro governo con un paternalismo, in diverse occasioni, moderato e che voleva apparire desideroso di nuovi metodi. Ma questo non impedì che si susseguissero diverse congiure, fra le quali la più nota è quella del 1º settembre 1831, in cui gli insorti, guidati da Domenico di Marco e appartenenti in maggioranza al ceto degli artigiani (che, allora, erano legati alla nobiltà), percorsero Palermo chiedendo la costituzione. Nel 1837 un'altra rivoluzione scoppiava a Catania e a Siracusa, favorita dalle condizioni in cui versavano le popolazioni colpite dalla carestia e dal colera. Meno avvertita fu in quest'ultimo moto l'esigenza dell'autonomia, che invece continuava ad essere sentita a Palermo, come dimostrò la rivoluzione del 12 gennaio 1848, una rivoluzione che precedette tutte le altre che scoppiarono in quell'anno, ma che pure non esercitò grande influenza proprio perché ancora animata dallo spirito d'indipendenza isolana.
In un primo momento la Sicilia sperò di riuscire ad ottenere da Ferdinando II una costituzione separata, ma il parlamento, radunatosi il 25 marzo, presieduto da Vincenzo Fardella, dovette prendere atto del preciso rifiuto del re e allora dichiarò, nell'aprile, decaduta la monarchia borbonica e, dopo aver conferito a Ruggero Settimo, capo del governo provvisorio, la reggenza, facendo uso dei diritti di “Stato sovrano e indipendente”, scelse il nuovo re nella persona di Alberto Amedeo di Savoia, duca di Genova e figlio di Carlo Alberto. La Sicilia troppo apertamente trasferiva sul piano italiano le sue aspirazioni di indipendenza, mostrando d'intendere la sorte della penisola come una confederazione di liberi stati. Approfittando dell'isolamento in cui si trovava la Sicilia, fu più facile al Borbone, vittorioso a Napoli sul parlamento nella giornata del 15 maggio, condurre la lotta contro la Sicilia; nel settembre, Messina, lungamente bombardata dovette cedere ed entro il 1848 le truppe napoletane completavano l'occupazione della costa orientale, investendo poi, nel nuovo anno, Palermo. Nel 1849, la resistenza che questa città condusse per diverso tempo apparve troppo ai patrioti che ancora combattevano a Roma e a Venezia sotto una diversa luce perché tutti si sentivano legati allo stesso destino e la causa di uno era la causa di comune. Ma ormai non c'era più nulla da fare di fronte alla reazione che stava per trionfare in Italia e in Europa: il 15 maggio 1849 Ferdinando II ritornava in possesso di Palermo e, conseguentemente, di tutta l'isola. Era stata un'amara esperienza, che però diede i suoi frutti nel decennio successivo, quando l'opinione pubblica siciliana si orientò, come avveniva nelle altre parti della penisola, verso il Piemonte e il Cavour.
Alcune insurrezioni rivelarono qual era lo stato d'animo dei Siciliani, finché il 4 aprile 1860, scoppiò la rivolta, capeggiata da Francesco Riso, che fu detta del convento della Gancia. Le truppe borboniche ne ebbero abbastanza facilmente ragione, ma essa offrì il modo a Crispi di dimostrare a Garibaldi come l'isola fosse pronta ad accogliere la spedizione che questi aveva in animo di fare, dopo però che il popolo siciliano si fosse sollevato. La campagna nell'isola contro le forze borboniche fu molto più rapida di quanto si credesse: il 14 maggio da Salemi Giuseppe Garibaldi assumeva la dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II; il giorno dopo sconfiggeva il nemico a Calatafimi, aprendosi la via per Palermo, ove giungeva il 27 maggio. Il 2 giugno il generale formava un governo, nel quale la figura predominante era il Crispi come primo segretario di Stato e, poco dopo, cacciava dall'isola l'inviato di Cavour, il La Farina, ma accettava la collaborazione del Depretis, pure inviato da Cavour, nominandolo anzi prodittatore. Con la battaglia di Milazzo del 20 luglio tutta la Sicilia era conquistata e la spedizione continuava nel continente.
Tuttavia una non indifferente parte della classe dirigente insulare era contraria ad un'annessione pura e semplice e avrebbe voluto conservare l'autonomia, ma Cavour, facendo votare per la fusione nel plebiscito, infranse queste aspirazioni. Il popolo, tradito nelle promesse di riforma (soprattutto agraria) e dai soprusi dei nuovi governanti, ebbe maggiormente a soffrire dell'unità, e, pertanto, alimentò quello che fu detto il fenomeno del brigantaggio post-unitario, fenomeno sociale di ribellione, appunto, al nuovo governo. Tale situazione portò alla rivolta di Palermo del settembre del 1866, in cui si trovarono unite a combattere il governo della Destra e le due opposizioni: da un lato il clero e le classi popolari e dall'altro i democratici e repubblicani, che raccoglievano parte della borghesia delusa dell'unità. Per sette giorni Palermo fu tenuta sotto scacco dagl'insorti e si dovette mandare il generale Raffaele Cadorna per aver ragione della rivolta, venuta alla storia come rivolta del 7 e mezzo.
Dal 1886 al 1894 le condizioni dell'isola invece di migliorare peggiorarono, soprattutto in conseguenza delle leggi economiche del governo centrale, favorente l'economia settentrionale, e della rottura dei rapporti commerciali con la Francia nel 1887 che danneggiò notevolmente l'agricoltura meridionale. Nelle campagne il disagio dei contadini era aggravato dall'occupazione dell'esercito delle terre demaniali, che destò una viva resistenza e che portò al tragico episodio di Caltavuturo (gennaio 1893), quando le truppe governative spararono sui contadini uccidendone undici, mentre nelle campagne e nelle zolfare gli operai chiedevano o lavoro o aumento dei salari. Intanto, a cominciare dal 1890-91, la propaganda socialista era penetrata nell'isola ed erano sorti, numerosi, i Fasci dei lavoratori. Il movimento, che si estendeva sempre più, favorito dalla cattiva situazione economica, fu affrontato dal secondo governo del siciliano Francesco Crispi con la forza: fu decretato lo stato d'assedio e sospesa la libertà di stampa, furono sciolti i Fasci e gli arrestati deferiti ai tribunali militari. Le condizioni dell'isola non migliorarono granché, neppure durante il decennio giolittiano che anzi, col protezionismo industriale, peggiorò la situazione del Meridione in grande prevalenza agricolo. Nel 1893 un palermitano fu presidente del Consiglio: Antonio di Rudinì. Nel Novecento lo sarà anche Vittorio Emanuele Orlando e nella Repubblica Mario Scelba, di Caltagirone.
Dopo la prima guerra mondiale anche in Sicilia si impose il fascismo. Ma il regime totalitario non riuscì a risolvere i problemi della Sicilia (nemmeno definitivamente quello della mafia, che pure con Cesare Mori si vantò di aver estirpato). Nella seconda guerra mondiale i bombardamenti e gli sbarchi anglo-statunitensi, nel luglio del 1943, provocarono danni notevoli e solo lentamente la Sicilia si risollevò. Il generale britannico Harold Alexander, che nella sua veste di comandante supremo dell'armata era anche governatore militare delle zone occupate, pose il colonnello Charles Poletti a capo dell'Ufficio Affari civili dell'AMGOT. Nel febbraio 1944 gli Alleati riconsegnarono l'isola al governo italiano del Regno del Sud, che nominò un Alto commissario per la Sicilia. Intanto, però, riprendeva forza l'antica tendenza all'indipendenza ed all'autogoverno, che nel secolo precedente aveva spinto i siciliani a chiedere il distacco dall'Italia. Si sviluppò il movimento separatista, che tenne agitata la vita dell'isola, anche con le armi, tra il 1943 e il 1945, finché si andò spegnendo, anche per l'istituzione, con il Decreto regio 15 maggio 1946, della Regione Siciliana, che concedeva lo statuto speciale d'autonomia. Nel dopoguerra anche in Sicilia, come nelle altre regioni del Sud, frequenti furono le invasioni dei terreni da parte dei contadini affamati di terra e desiderosi di strapparne un pezzo al feudatario o al grosso latifondista fino all'approvazione della riforma agraria. Intanto nell'aprile del 1947 veniva eletto il primo parlamento siciliano, che il 30 maggio a Palermo eleggeva il primo governo regionale.
Doverosa premessa è che proprio per la sua insularità, per la sua posizione geografica nel Mediterraneo e per la sua unicità culturale, la Sicilia ha sempre goduto di larga autonomia nell'ambito di più vasti imperi, quando non inquadrata in un proprio regno, sostanzialmente indipendente per sei secoli. Le origini di un movimento indipendentista moderno in Sicilia sono invece da ricercare nelle rivolte separatiste del 1820 e nella Rivoluzione indipendentista siciliana del 1848. La data di nascita di un sentimento indipendentista spontaneo (nell'epoca contemporanea), all'interno dello Stato Italiano, può essere considerata il 16 settembre 1866, in cui il popolo siciliano si ribellò, in maniera più o meno violenta, alla dominazione del neonato Regno d'Italia. Quella rivolta fu chiamata del "sette e mezzo", quanti furono i giorni che durò. La ribellione infiammò tutta Palermo, la quasi totalità delle città siciliane e comprendeva molte fazioni politiche nate durante il Risorgimento (repubblicani, filo-clericali, filo-borbonici). Tale rivolta fu sedata violentemente dall'Esercito Italiano e ogni intento di ribellione in nome di una nazione siciliana fu continuamente represso fino alla quasi totale scomparsa del movimento. Nel Primo dopoguerra il sentimento sicilianista rinacque e si rispense con l'avvento del fascismo, dopodiché con lo Sbarco degli Alleati assunse nuovo vigore il separatismo, si costituirono il MIS (guidato dalla figura carismatica di Andrea Finocchiaro Aprile), che alla fine della seconda guerra mondiale vantava più di cinquecentomila iscritti, l'E.V.I.S. il suo braccio militare, (capeggiato prima da Canepa e poi da Giuliano) e altri movimenti minori. Dopo la fallita indipendenza e il compromesso autonomista raggiunto con la nuova Repubblica Italiana, l'indipendentismo siciliano andò sempre più scemando e i consensi elettorali nei confronti dei partiti separatisti furono sempre più bassi, e solo alle elezioni del 1947 per l'Assemblea regionale siciliana il MIS ottenne dieci deputati e scomparve già alle elezioni del 1951.
Movimenti autonomisti e indipendentisti si sono ripresentati nel tempo: nel 1951 la Concentrazione autonomista di Paolo D'Antoni che ottenne solo tre deputati; nel 1959 l'Unione Siciliana Cristiano Sociale di Silvio Milazzo che ottenne 10 deputati; nel 2001, la Nuova Sicilia di Bartolo Pellegrino e Nicolò Nicolosi, con 5 deputati; nel 2006 il Movimento per l'Autonomia di Raffaele Lombardo. Alcuni movimenti e alcune forze extra-parlamentari chiedono anche l'indipendenza, tra questi il MIS, il FNS e Terra e Liberazione oltre ai citati partiti autonomisti ma senza rappresentanti in Parlamento o all'Ars.
In seguito al fiorire di interventi di ricostruzione succeduti al devastante terremoto che investì il Val di Noto nel 1693 alcuni artisti adottarono uno stile comune che oggi ricade sotto la denominazione di barocco siciliano. Prima di questa data il barocco era stato impiegato nell'isola in modo ingenuo, evoluto dall'architettura autoctona piuttosto che derivato dai grandi architetti barocchi di Roma. In seguito al sisma, molti architetti locali adottarono questo stile, che è riconoscibile non solo dalle sue tipiche linee curve e motivi decorativi barocchi ma anche dalle ghignanti maschere e putti, e dall'apparenza particolarmente sgargiante raramente visibile altrove. La loro interpretazione dello stile condusse ad una forma d'arte personalizzata e radicata nei vari territori come il Val di Noto (province di Ragusa e Siracusa) e la provincia di Catania. Nel penultimo decennio del XVIII secolo lo stile finì con l'essere rimpiazzato dalle nuove mode che proponevano il neoclassicismo.
Una delle perle del sud Italia, tutta da scoprire, conoscere e vivere attraverso un ventaglio di itinerari alternativi che spaziano, a seconda dei gusti e delle esigenze, tra natura, storia e tradizione.
E proprio la natura sembra aver destinato a questa terra le sue maggiori meraviglie: monti, colline, e soprattutto il mare, che con i suoi incredibili colori, la trasparenza delle acque e la bellezza dei suoi fondali primeggia sugli altri mari.
In questa terra, il Mediterraneo offre scenari, profumi e sapori così unici e intensi che solo una natura incontaminata può regalare. Basti pensare alle isole che circondano la Sicilia: Eolie, Egadi, Pelagie, Pantelleria e Ustica: così simili per la bellezza del loro territorio e così peculiari per natura, tradizione, arte e storia.
E non dimentichiamo i suggestivi vulcani, alcuni dei quali mai sopiti come l'Etna e lo Stromboli.
Un fascino arricchito anche dalle preziose testimonianze archeologiche che raccontano le antiche origini della Trinacria (antico nome della Sicilia), e dai tanti monumenti, testimonianza di un'arte che ha saputo forgiarsi nel corso dei secoli.
Spiagge di sabbia piatte e infinite, oppure di sassi, piccole e scoscese, scogliere candide, dalle molte sfumature dell'ocra, del giallo e del grigio, perfino nere di lava. Le grandi città offrono tutte lidi attrezzati di grande richiamo, la palermitana spiaggia di Mondello con i suoi eventi sportivi, la sabbia bianca e le palme, l'architettura liberty, o la Playa di Catania cara agli scrittori, il litorale di San Leone fuori Agrigento o Fontane Bianche a Siracusa, solo per citare le più note. Le più affollate in piena stagione sono le spiagge top delle isole minori e quelle delle località turistiche famose per la bellezza della sabbia fine come borotalco, per le azzurre trasparenze del mare e per la natura spettacolare che fa da cornice.
Si pensi alle spiagge della costa tirrenica fra Capo d'Orlando e Patti (Messina), alla caraibica San Vito Lo Capo (Trapani) e le vicine, piccole insenature di Castelluzzo e della riserva dello Zingaro, anch'esse in provincia di Trapani, o ad Isola Bella sotto Taormina (Messina) con le vicine lunghissime spiagge di Letojanni e Fiumefreddo. A Cefalù, la cittadina normanna in provincia di Palermo, si resta senza fiato di fronte all'azzurro del lungomare di sabbia e ciottoli che si stende sotto la Rocca, mentre fuori città si aprono le spiagge libere di Settefrati, Mazzaforno e S. Ambrogio.
In una valle incantata, coi mandorli fioriti, si trova il più imponente insieme monumentale di tutta la Magna Grecia: la Valle dei Templi. Anche in questa commistione tra l'ambiente culturale definito dall'uomo e dal paesaggio naturale è il fascino unico di questo sito. La valle dei templi è sicuramente la più importante testimonianza dell'antica cultura classica di questi luoghi. Riunisce i templi degli dei e delle dee oltre alla zona delle necropoli e dei santuari extra-moenia.
Il tempio di Eracle (Ercole) è il più antico, il dio era venerato con particolare attenzione dagli Akragantini. Al suo interno vi era una statua di bronzo raffigurante lo stesso Ercole, amato come eroe nazionale. Il tempio venne distrutto da un terremoto, oggi ci rimangono solo otto colonne.
Il tempio della Concordia si trova lungo la via Sacra, anch'esso eretto verso il V secolo, oggi è quello meglio conservato. Nel VI secolo fu trasformato in edificio sacro. Il nome Concordia deriva da un'iscrizione latina ritrovata nelle vicinanze del tempio stesso.
Il tempio di Vulcano risalente al V secolo doveva essere una costruzione imponente, oggi ci rimane ben poco. Nelle fondamenta furono rinvenuti i resti di un tempietto arcaico.
La tomba di Terone, in prossimità della Porta Aurea, un imponente monumento di pietra tufacea, di forma piramidale eretto per ricordare i caduti nella seconda guerra punica.
Il tempio di Esculapio fu costruito ben fuori delle antiche mura della città, luogo di pellegrinaggio dei malati che chiedevano di essere guariti. Le pareti del tempio erano ricoperte dalle scritte dei malati che ottenevano la guarigione.
La "città delle ville" per le numerose dimore di lusso che la nobiltà palermitana vi fece realizzare per la propria villeggiatura, andò formandosi nel corso del '700 all'ombra della residenza del principe Giuseppe Branciforti che mise a coltura la campagna e edificò la propria villa nel 1657. Si narra che l'esilio del principe fosse stato causato da dissapori di corte a Palermo ed in seguito a ciò il principe fosse diventato capofila di una schiera di nobili che lo imitarono facendo edificare ville sfarzose tra gli agrumi del luogo. Nel 1769 Salvatore Branciforti tracciò il rettifilo che dalla villa punta verso il mare e la strada che lo incrocia, costituendo gli assi del successivo sviluppo urbano.
Villa Cattolica fu fatta costruire dal principe di Cattolica e Roccafiorita tra il 1706 e il 1736 all'ingresso di Bagheria, il suo stile ricorda un castello medievale (a base quadrangolare) si eleva per 3 piani. Dal 1973 è sede del Museo Guttuso e dal 1990 accoglie anche il sarcofago monumentale contente le spoglie del pittore bagherese. Il piano terra della villa ospita inoltre, un laboratorio teatrale e laboratori di pittura. In atto, l'attività artistica di questo Museo riguarda, principalmente, la fruizione di circa 200 opere del Maestro Renato Guttuso nonché numerose altre di importanti maestri dell'Arte Contemporanea italiana e non, donate dallo stesso Guttuso, tra cui: Carla Accardi, Sal Scarpitta, Mario Schifano, Franco Angeli.
Villa Gravina di Valguarnera fu eretta nel 1721 su progetto di Tommaso Maria Napoli. È la più fastosa e meglio conservata anche per quel che riguarda il parco che la circonda. È inoltre la più fedele al progetto "classico" cinquecentesco che prevedeva due corpi bassi protesi a guisa di quinte davanti alla costruzione centrale, un tipo di impostazione architettonica che nel '700 aveva grandissimo successo e che fu largamente applicato nella costruzione delle ville. Davanti alla casina si apre un vasto piazzale a doppia esedra e un grande scalone a tenaglia mena all'ingresso del piano nobile. Sull'attico si susseguono statue di Ignazio Marabitti e all'interno vi sono ricche decorazioni pittoriche di Elia Interguglielmi.
Villa Palagonia (villa dei mostri) fu progettata dallo stesso architetto della Villa Valguarnera e presenta infatti alcune caratteristiche comuni con essa. Tuttavia ben diversa è la sua originalità e fama, legata non tanto all'edificio in sé ma alle incredibili statue volute da uno dei nipoti del fondatore e di cui ci riferiscono tra lo stupito e l'inorridito i viaggiatori del '700, da Goethe a Brydone, da Swinburne a Houël. Quest'ultimo eseguì un'accurata serie di disegni che ci permettono di immaginare come fosse in originale la villa dello stravagante signore. Ferdinando Gravina, questo il nome del principe, preso da una bizzarra fantasia - da molti contemporanei interpretata come una vera e propria follia - commissionò a diversi artigiani seicento statue mostruose e, a giudicare dai risultati, questi gareggiarono tra loro per creare quello più brutto, più deforme, più impressionante o semplicemente più buffo. Oggi di questa singolare parata di statue restano solo 62 esemplari, posti tutt'intorno al muro di cinta della villa, quasi a corteggiarla in grottesco convegno.
Grazie all'importanza strategica del luogo, protetto da un'imponente rocca, e alla fertilità del territorio, già in epoca primitiva esseri umani si stanziarono nella zona di Cefalù. La loro presenza è testimoniata dai reperti ritrovati nelle grotte del versante orientale della rupe. La storia urbana del centro ha inizio però nel V secolo a.C. l'epoca a cui risalgono i resti delle mura megalitiche che perimetravano la cittadina ai piedi della rocca. Fu proprio quest'ultima, per la sua posizione preminente, a dare il nome all'insediamento, che fu Cephaloedium, cioè "testa", per la forma della rupe stessa. Il centro fu poi rifondato da Ruggero II nel XII secolo e risistemato in base al disegno urbanistico che ancor oggi lo caratterizza. Il significato di questa rifondazione si coglie soprattutto nel duomo, simbolo e sintesi del potere di Ruggero, che accentrò nelle proprie mani non solo il potere politico ma anche quello religioso. A partire dalla seconda metà del XIII secolo ebbe indiscussa supremazia nella cittadina la famiglia Ventimiglia, la cui residenza era l'Osterio Magno, un palazzo fortificato di fondazione normanna, ancora visibile lungo il corso principale. La cittadina, demanializzata nella seconda metà del XV secolo, visse un periodo di tranquillità e benessere, interrotto da un periodo di relativa decadenza nel corso del XIX secolo, dal quale negli ultimi decenni si è risollevata grazie ad una fiorente industria turistica.
La Cattedrale (Trasfigurazione di Nostro Signore) fu fondata nel 1130 per volere di Ruggero II il quale, secondo la leggenda, aveva fatto voto di costruirla se fosse uscito sano e salvo da una terribile tempesta che aveva investito la sua nave in viaggio per Palermo. La furia degli elementi lo scagliò sulla spiaggia di Cefalù, dove dunque il re pose la prima pietra dell'imponente costruzione. Si tratta indubbiamente di una delle più belle cattedrali del mondo, perfetto esempio dello stile romanico meridionale. Il prospetto è fortemente caratterizzato dalle due torri angolari, aggiunte nel 1240, la cui massiccia mole è alleggerita da monofore e bifore. La facciata è decorata da un intreccio di due ordini di finte loggette che la percorrono da un'estremità all'altra. Nel 1472 vi fu aggiunto un arioso portico a triplici archi. L'interno è a tre navate, scandite da due file di colonne in marmo sulle quali poggiano sette arcate. Il soffitto della navata centrale è in legno dipinto e costituisce un importante esempio di arte islamica in Sicilia. L'abside, la crociera e le pareti adiacenti sono decorate da mosaici che fanno capo ad un magnifico Cristo Pantocratore, perfetto esemplare di puro stile e lavorazione bizantina, forse la più sublime rappresentazione del Cristo realizzata nell'arte cristiana. Al di sotto si trovano la Vergine, gli Angeli, gli Apostoli, disposti seguendo i criteri della gerarchia liturgica.
La Fondazione culturale Mandralisca Onlus trae origine dalle idee e dagli ideali di un illuminato mecenate dell'Ottocento, il barone Enrico Pirajno di Mandralisca (Cefalù, 1809-1864), che credeva fermamente nel valore dell'istruzione e a tale convinzione ispirò la sua vita e le sue opere. Da segnalare nella collezione di opere d'arte il sorriso enigmatico dell'Ignoto marinaio di Antonello da Messina , uno degli artisti siciliani rinascimentali più innovatori che ebbe il primato di aver introdotto la tecnica ad olio appresa dai maestri fiamminghi.
Il Lavatoio medievale è considerato la foce dell'antico fiume Cefalino, che nascendo dalle montagne di Gratteri sfociava a Cefalù seguendo un percorso sotterraneo. In passato dalle pareti di questo lavatoio sgorgava un imponente massa d'acqua che proveniva da una sorgente oggi esaurita.
Erice sorge sulla cima di un monte solitario che domina Trapani, la vallata ed il mare. Le sue origini sono antichissime e misteriose, avvolte nella leggenda. Sulla vetta era sorto dapprima soltanto un tempio, dedicato a una divinità femminile della natura feconda. Essa fu sempre veneratissima da tutte le popolazioni del Mediterraneo e fu sua cura principale proteggere i naviganti, i quali da lontano scorgevano il fuoco che ardeva nel sacro edificio e che serviva anche da orientamento. Ben presto vi fu edificata una munitissima fortezza, contesa da fenici, greci, cartaginesi e romani. Fu distrutta dai cartaginesi nel 260 a.C. e gli abitanti furono trasportati a Trapani. ln epoca romana la vecchia fortezza ebbe scarsa importanza. Non così il tempio, che anzi fu messo a capo di una confederazione religiosa di diciassette città siciliane, difeso permanentemente da una guarnigione. Non si hanno più notizie della città e del santuario fino all'epoca araba, quando il centro riappare con il nome di Gebel Hamed. Durante la dominazione normanna e nel corso dei secoli successivi Erice compose il volto urbanistico che è giunto intatto fino a noi e che ne costituisce l'attrattiva principale.
Piazza Umberto I, tutta raccolta in un perimetro triangolare, è una delle cittadine più singolari della Sicilia. Le stradine acciottolate e strette, le piccole piazzette, i cortiletti fioriti, un ricco artigianato che comprende ceramica, dolci, tappeti, la rendono méta irrinunciabile di ogni escursione nel trapanese.
Da un ampio parcheggio fuori le mura (l'antica cinta muraria elimo - punica), si può accedere alla cittadina attraversando la Porta Trapani. Le strette strade lastricate conducono rapidamente al duomo, la Chiesa Madre dove troneggia nella pittoresca piazzetta il massiccio campanile. Piccoli negozi di souvenir, manufatti ericini (soprattutto ceramiche e tappeti dai colori accesi, ma anche deliziosi dolcini alle mandorle) si snodano lungo le vie. Il corso Vittorio Emanuele ci condurrà poi alla piazza principale. Proseguendo verso destra, raggiungeremo quindi la bella chiesa di San Michele e uscendo dal centro incontreremo i giardini del Balio. Ancora una piccola passeggiata panoramica e raggiungeremo il Castello di Venere e quindi la Torre Pepoli.
La Chiesa Madre sorse nel corso della prima metà del secolo XIV e fu dedicata alla Vergine Assunta. La precede un poderoso campanile isolato, coevo alla chiesa, originariamente una torre di vedetta. Alla facciata fu aggiunto nel XV secolo un portico rettangolare su quattro arcate ogivali. L'interno si presenta in un ibrido stile gotico, dovuto ad un rifacimento del 1865. Vi si conservano numerose testimonianze d'arte pittorica, scultorea e artigianale attribuite a noti artisti siciliani, quali il Laurana ed il Mancino.
Il Castello sorge sulle rovine dell'antico tempio dedicato a Venere, del quale conserva testimonianze del V - VII sec. a.C., su un'alta rupe isolata cui si accedeva anticamente per un ponte levatoio. Fu reso inespugnabile dai normanni, che lo dotarono di mura orlate di merli. Del tempio furono rinvenuti, al principio di questo secolo, alcuni rocchi di colonne e frammenti di cornice, risalenti al rifacimento romano. Più tardi, si trovarono anche i resti di un pavimento musivo. Intorno al castello si estendono i Giardini del Balio, magnifici per la disposizione a terrazza e la varietà delle piante coltivate. Prendono il nome del governatore normanno (Bajulo) che risiedeva nell'adiacente castello.
Le Torri Medievali costituivano l'avamposto del Castello di Venere, cui erano uniti da poderose cortine murarie. Furono parzialmente ricostruite nella metà del secolo scorso per volontà del conte A. Pepoli, cui si deve anche l'edificazione della Torretta Pepoli, una manierosa costruzione in vago stile moresco.
Monreale si formò lentamente nel corso del basso Medioevo sulle pendici del Monte Caputo, a 300 metri s.l.m., intorno all'abbazia benedettina e al monumentale Duomo. Vicina è la Cappella di San Benedetto, 1369, con uno splendido rilievo del Marabitti sull'altare maggiore: l'Apoteosi di San Benedetto. Sul fianco destro esterno della chiesa, si addossavano i corpi del convento benedettino, sec. XII, di cui rimane qualche brano. Integro è però il Chiostro, opera mirabile di enorme interesse artistico. Nel palazzo del Comune, del XVIII sec., si trova un interessante dipinto, la Natività, di Mattia Stomer, e un gruppo scultoreo di Antonello Gagini, la Madonna col Bambino e Santi. La chiesa del Monte è decorata da pregevoli stucchi serpottiani, sec. XVIII. La chiesa della Collegiata, edificata nel XVII sec., subì numerosi rifacimenti nel corso dei secoli. All'interno conserva quattro dipinti di pregevole fatturao di Marco Benefial (Deposizione, Resurrezione, Pie donne al sepolcro, Ascensione). Espressivo è il Crocifisso sull'altare maggiore, in processione nei primi di maggio. La chiesa del Collegio di Maria, sec. XVIII, ha pianta ottagonale e cupola sul presbiterio. Dalla piazza Guglielmo II, si va al Belvedere, con veduta sulla ex Conca d'oro, sculture nei viali, e la sede della Galleria civica d'arte moderna (varie opere di scultura e di pittura).
Il Duomo (S.Maria la Nuova) sorse in breve tempo tra il 1174 ed il 1176 per volontà di Guglielmo II. Si narra che il re fece intraprendere la costruzione del grande edificio sacro dopo un'apparizione della Madonna, la quale gli aveva rivelato il luogo in cui era sepolto un ricco tesoro, che egli avrebbe dovuto utilizzare per uno scopo pio. Guglielmo probabilmente era spinto da un forte desiderio di non essere da meno del nonno Ruggero, fondatore della Cattedrale di Cefalù, di S. Giovanni degli Eremiti e della Cappella Palatina a Palermo. La grande chiesa sarebbe servita così a perpetuare anche il suo nome nei secoli. Per la progettazione della chiesa furono chiamati architetti islamici, legati all'arte fatimita, che trasferirono e adattarono al manufatto cristiano modi espressivi e soluzioni spaziali tipiche dell'architettura palaziale del loro paese. Malgrado le aggiunte ed i restauri non sempre felici, il duomo è giunto ai giorni nostri sostanzialmente intatto nel suo splendore. La facciata è decorata da un motivo di archetti ciechi, oggi parzialmente nascosti da un portico, realizzato nel XVIII secolo, sotto il quale si apre un grande portone dai battenti bronzei del 1186, opera di Bonanno Pisano. Lungo il fianco sinistro si svolge un altro lungo portico, opera cinquecentesca di Gian Domenico e Fazio Gagini, ed infine si incontrano le tre grandi absidi, ancora intatte e magnifiche nella loro decorazione in calcare e pietra lavica. L'interno del duomo si presenta ancora nell'aspetto che aveva nel XII secolo (a parte il soffitto ligneo, che è stato rifatto dopo un incendio nel 1811). La pianta è basilicale, la superficie vastissima: 102 m di lunghezza per 40 di larghezza. Le pareti sono quasi interamente coperte di un dorato manto musivo per un totale di 6340 mq. Il livello generale di queste decorazioni, sia riguardo al disegno che all'esecuzione, è sorprendentemente alto. L'esecuzione dei mosaici fu affidata a maestranze bizantine e l'iconografia è infatti greca. Tuttavia gli atteggiamenti rilassati dei personaggi, le loro vesti morbidamente drappeggiate, il ritmo dei movimenti, rivelano una chiara evoluzione dello stile rispetto a quello della Cappella Palatina e della Martorana, un'evoluzione tipicamente italiana. Alla fine del XII secolo, infatti, erano gli artisti italiani a detenere il primato dell'arte iconografica. Il ciclo musivo svolge il concetto del trionfo del Cristianesimo in tre diversi momenti, raffigurando: fatti anteriori all'incarnazione (Antico Testamento); episodi della vita di Gesù (Vangelo); fatti posteriori alla morte di Cristo e vita degli Apostoli (Vangelo e Atti degli Apostoli). Il tutto è dominato da un gigantesco Cristo Pantocratore (la sola mano destra è lunga due metri) nell'abside maggiore, che rappresenta la sintesi e lo scopo di tutta la complessa figurazione.
Il chiostro, anch'esso risalente all'epoca di Guglielmo II, faceva parte di un'abbazia benedettina adiacente al duomo. Si tratta di un quadrato di 47x47 m, la cui indicazione planimetrica appartiene indubbiamente all'area cristiana, ma il cui tono generale rimanda allo spirito e all'atmosfera dei cortili porticati musulmani. Gli archetti che delimitano il ricco giardinetto sono sostenuti da 228 colonnine abbinate, tutte doviziosamente decorate e con i capitelli intarsiati di motivi vegetali, animali e fantastici. È di particolare interesse il 19mo capitello della corsia occidentale, ove è raffigurato Guglielmo II che offre il duomo alla Madonna. Nell'angolo sud, in un piccolo recinto quadrato, è collocata una deliziosa fontana, la cui acqua cristallina sgorga da una colonnina intarsiata.
Il chiostro, anch'esso risalente all'epoca di Guglielmo II, faceva parte di un'abbazia benedettina adiacente al duomo. Si tratta di un quadrato di 47x47 m, la cui indicazione planimetrica appartiene indubbiamente all'area cristiana, ma il cui tono generale rimanda allo spirito e all'atmosfera dei cortili porticati musulmani. Gli archetti che delimitano il ricco giardinetto sono sostenuti da 228 colonnine abbinate, tutte doviziosamente decorate e con i capitelli intarsiati di motivi vegetali, animali e fantastici. È di particolare interesse il 19mo capitello della corsia occidentale, ove è raffigurato Guglielmo II che offre il duomo alla Madonna. Nell'angolo sud, in un piccolo recinto quadrato, è collocata una deliziosa fontana, la cui acqua cristallina sgorga da una colonnina intarsiata.
Neas sarebbe stata fondata da popolazioni sicane, all'epoca della caduta di Troia, sul colle della Mendola. Caduta nelle mani dei conquistatori siracusani, la città assimilò costumi e culto ellenici, e fu elevata a sede di gimnasium. Passata sotto il dominio romano, come città federata, in epoca imperiale fu dichiarata municipium latino, una singolare condizione che procurò alla città notevoli privilegi, tra cui quello di potersi governare con proprie leggi. Conquistata dagli arabi, che ne fecero una roccaforte munitissima, prese il nome attuale e fu capitale di una delle tre valli in cui essi avevano suddiviso la Sicilia. Dopo due secoli di dominio musulmano, nel 1090, Noto trattò la resa con Ruggero.
La storia di Noto, però, oltre che dagli uomini è segnata dalla natura: nel 1693, infatti, fu distrutta dal terremoto che colpì l'intera Sicilia Sud orientale. Ideata come un grande teatro senza quinte, concepita come città libera ed aperta, movimentata e continua, Noto risorse sontuosa e superba, sul declivio del colle Meti, alle pendici meridionali dei monti Iblei. La vicenda architettonica della nuova città fu dominata dall'estro artistico di tre architetti, Rosario Gagliardi, Vincenzo Sinatra e Paolo Labisi i quali seppero sviluppare uno strabiliante capolavoro di unità architettonica. Tre diverse personalità che, pur vivendo ed operando in provincia, conferirono alla città un'impronta originale che esula dal rigido linguaggio barocco, arricchendolo di elementi rinascimentali, spagnoleschi e neoclassici e dando vita ad uno stile fantasioso e sognante.
La cattedrale, che sorge in cima ad una monumentale scalèa, fu iniziata già pochi mesi dopo il terremoto, ma fu completata solo nel 1770. La facciata, spoglia di ornamenti e stravaganze, incorpora motivi barocchi ed elementi classici. Le tre navate della chiesa sono divise da alti pilastri con doppie lesene. Nella cappella di fondo della navata destra è custodita l'Arca argentea del santo patrono della città, San Corrado. Di fronte alla cattedrale si trova Palazzo Ducezio, sede del Municipio. Progettato dall'architetto Sinatra, il palazzo, rialzato rispetto alla piazza su cui sorge, fu costruito tra il 1746 ed il 1830 su un'unica elevazione. Cento anni dopo vi fu sovrapposto un secondo piano che purtroppo ha compromesso la linea neoclassica originaria. Interessante, all'interno, il salone di rappresentanza, ricco di ori e stucchi. Poco lontano si trova Palazzo Villadorata, che prospetta su via Nicolaci, una stretta traversa del corso. L'ampia facciata è movimentata da panciuti balconi in ferro battuto sorretti da mensole d'ogni sorta, con figure antropomorfe e zoomorfe tra volute ed arabeschi, che rappresentano la manifestazione più accentuata del barocco netino. Costruito nel 1731, il palazzo, che fu a lungo residenza dei principi di Villadorata, di recente è stato per buona parteacquistato dal comune. Esso conta novanta vani, con le volte affrescate con dipinti settecenteschi. Quest'impressione è sottolineata dal ricco decoro in pietra e dalle inferriate in ferro battuto. L'omonima chiesa, edificata sul finire del Settecento, si eleva su un ampio piazzale. La sua particolarità è l'evidenza, sulla sua facciata, del passaggio dal barocco al classicismo.
L'Arco di trionfo, lungo il corso, segna l'inizio della città. Sormontato da tre simboliche sculture - una torre merlata (la potenza), un cane (la fedeltà), un pellicano (il sacrificio) - il monumento fu eretto in occasione di una visita a Noto di Ferdinando Il di Borbone che lo inaugurò nel 1838. La porta reale fu costruita col caratteristico calcare dorato utilizzato, nel secolo precedente, per edificare chiese e palazzi della città. La chiesa di San Francesco all'Immacolata si innalza, in cima ad un'imponente scalinata, sulla destra del corso. Fu costruita, con l'annesso convento, tra il 1704 ed il 1745. La chiesa è ad un'unica navata, secondo l'uso francescano. Tutte bianche, le pareti sono decorate con stucchi di stile rococò. La chiesa di Santa Chiara, opera del Gagliardi, espressione di un delicato barocco, fu costruita nel 1785. L'interno, piccolo e ovale, ornato di stucchi e putti, è scandito da dodici colonne ed è uno dei più interessanti esempi delle soluzioni spaziali di questo architetto. Il monastero del SS. Salvatore è il più grande edificio della città, costruito tra il 1710 ed il 1791 su un'area rettangolare di 11.000 mq. Piatti pilastri gemelli incorniciano al primo piano le grandi finestre il cui ricco decoro ricorda lo stile plateresco portoghese. Segue un'ala sporgente che ha la funzione di chiave nella concezione costruttiva; si eleva imponente come una torre su costruzioni e cupole circostanti, e non lascia adito a dubbi sulla superiorità di questo convento rispetto agli altri ordini. Quest'impressione è sottolineata dal ricco decoro in pietra e dalle inferriate in ferro battuto. L'omonima chiesa, edificata sul finire del Settecento, si eleva su un ampio piazzale. La sua particolarità è l'evidenza, sulla sua facciata, del passaggio dal barocco al classicismo.
Nel mese di maggio la via Nicolaci è protagonista di una tradizionale "Infiorata" squadre di artisti dispongono fiori mediterranei per ornare il suolo della strada con miliardi di petali variopinti. La via, a pochi passi dalla maestosa cattedrale risorta, è chiusa in fondo dalla chiesa di Montevergine, attribuita all'architetto Sinatra. Esternamente a forma concava, chiusa tra due torrette laterali, nel suo interno è ad un'unica navata, scandita da colonne corinzie.
La chiesa del Crocifisso è il secondo tempio della città dopo la cattedrale. Essa sorge nella parte alta di Noto, nella piazza Mazzini. Progettata dal Gagliardi (1715) è la più ricca di opere d'arte. All'interno, oltre a due leoni stilofori in pietra, di epoca romanica, recuperati dalle macerie dell'omonima chiesa dell'antica città, si conserva la statua in marmo bianco della Madonna della Neve, del 1471, opera di Francesco Laurana.
Mai come in Sicilia tanta gente si è fermata, si è incrociata, si è amata, combattuta o a malapena tollerata. Occhi così chiari da sembrare trasparenti che fanno capolino sotto chiome corvine, parole d'origine araba che si intrecciano a termini francesi, nitide geometrie elleniche che stanno fianco a fianco con riccioli barocchi e voluttuose curve liberty sono il risultato di tutto questo: il capoluogo è il frutto più maturo di un così composito passato. Un passato che per Palermo significa snelli colonnati punici, rosse cupole islamiche, giardini e corsi d'acqua, tronfi palazzi nobiliari e chiese monumentali, vicerè e santi. Fu fondata dai fenici in riva al mare quasi 3.000 anni fa, il suo nome allora pare fosse Ziz, fiore.
Del periodo precedente alla dominazione normanna scarsissime sono le testimonianze monumentali ed altrettanto scarsi i reperti rinvenuti nel corso delle campagne di scavi condotte negli anni (peraltro in maniera piuttosto sporadica). Solo alcuni avanzi di mura sotto la Cappella di San Cataldo ci ricordano la città punica, mentre la presenza romana è attestata dagli avanzi di una villa patrizia all'interno della Villa Bonanno. Scavi condotti nell'area detta "Castello San Pietro" hanno portato al rinvenimento di alcune sepolture e di avanzi di insediamento urbano, ma gli studi sono ancora in corso. Del periodo arabo la testimonianza più efficace, rimasta pressoché intatta nei secoli, è la lingua. Il dialetto siciliano, infatti, risulta molto ricco di influenze arabe e, allo stessomodo, sono numerosi i toponimi che si rifanno apertamente ad una matrice islamica (a Palermo, ad esempio, Cassaro, Kalsa, Kemonia, ecc.). Anche i mercati palermitani hanno un'impronta islamica che risulta evidente, inoltre, nella quasi totalità dei monumenti dell'epoca normanna, edificati da maestranze arabe.
La Cappella Palatina fu iniziata nel 1130, anno dell'incoronazione di Ruggero II a primo re di Sicilia, fu completata nell'arco di 13 anni e consacrata, come attesta un'iscrizione nella cupola, nel 1143. In questa chiesa, definita da Maupassant "il più bel gioiello religioso sognato dal pensiero umano", si attua, tradotto in termini visivi, la fusione dei molteplici caratteri diversi di cui la Sicilia era formata: l'europeo, il siciliano, il bizantino, l'arabo. La cappella ha la forma di una basilica occidentale a tre navate, divise da colonne di granito con ricchi capitelli corinzi dorati; sempre di stampo occidentale, seppure influenzati dal gusto meridionale, i pavimenti decorati e gli intarsi dei gradini, delle balaustre e della parte inferiore dei muri, come anche, infine, il gigantesco ambone,incastonato d'oro, malachite e porfido, ed il candelabro pasquale, un vero e proprio bestiario di marmo, donato dall'arcivescovo Ugo di Palermo in occasione dell'incoronazione di Guglielmo, figlio di Ruggero II. I mosaici sono i più bei prodotti dell'arte bizantina, senza eguali in alcuna delle chiese di Costantinopoli. Si distinguono fra gli altri il Cristo Pantocratore della cupola, gli angeli che lo circondano e gli Evangelisti assorti nei loro studi, che sono i mosaici più antichi. La tradizione islamica è infine rappresentata dal soffitto ligneo a "muqarnas" (stalattiti), la più imprevedibile copertura per una chiesa cristiana. Si tratta infatti del classico soffitto che ci aspetteremmo di trovare nelle moschee più grandi ed eleganti, ma mai in una chiesa. Intricate decorazioni ornano le stalattiti e, caso più unico che raro nella storia dell'arte islamica, si tratta di decorazioni comprendenti figure umane. Gli artisti arabi infatti, nell'atmosfera tollerante della Palermo normanna, si convinsero ad azzardare questo tipo di figurazioni e così, con l'aiuto di un binocolo, possiamo distinguere oggi realistiche scene di vita quotidiana di dignitari ed ancelle affaccendate.
La Chiesa del Gesù (Casa Professa) sorge su un rialzo ricco di anfratti tenebrosi dove, secondo la tradizione, un tempo si rifugiavano santi eremiti e dove ancora si trovano catacombe paleocristiane.La prima costruzione sul poggiolo fu un convento di monaci basiliani, edificato nel IX secolo. A partire da quella data furono diversi gli edifici costruiti in questo luogo, fra i quali cinque chiese che furono assorbite dalla prima chiesa dei Gesuiti, fondata nel 1564. A sua volta questa chiesa fu inglobata in un'altra, la cui costruzione fu intrapresa nel 1591 e terminata nel 1633. Un violento bombardamento, nel 1943, distrusse gran parte del prestigioso monumento. I restauri hanno portato al ripristino di quasi tutti gli stucchi e gli affreschi, restituendo alla chiesa il suo aspetto originario. L'interno fonde il rigore tardo rinascimentale alla nuova spazialità barocca. Per ogni dove si estende un manto ininterrotto di decorazioni, composto dagli elementi più diversi: fiori, frutta, foglie, animali, puttini, in un intarsio marmoreo di estrema mobilità e grazia in una gamma pressoché infinita di colori.
Castello della Zisa. La costruzione di questo "sollatium" (luogo di piacere) fu intrapresa negli ultimi anni di vita di re Guglielmo I e terminata dal figlio Guglielmo II. Si può datare quindi tra il 1165 ed il 1167. Il suo nome deriva dall'arabo Al-Aziz, cioè splendido, e ancor oggi si tratta in effetti di uno dei più magnifici edifici civili arabo-normanni. Secondo la testimonianza di Romualdo di Salerno, il re fece costruire il palazzo nel parco Genoardo e "lo circondò di magnifici alberi da frutto e di bellissimi giardini che rese ameni con vari corsi d'acqua e grandi vasche per pesci". La Zisa ha subito nel corso degli anni restauri e rifacimenti non sempre felici, e solo recentemente è stata restituita - per quanto possibile nella sua integrità - alla fruizione pubblica. Il castello è stato infatti trasformato in "Museo dell'Islam" e raccoglie interessanti testimonianze del mondo arabo in Sicilia. Inoltre, poiché nel corso del restauro si è cercato si rispettare il più possibile la struttura originaria dell'edificio, la visita dell'interno consente di apprendere quale fosse l'architettura dei palazzi medioevali islamici. Di particolare interesse risulta il sistema di areazione e refrigerazione delle sale e, tra queste, la cosiddetta Sala della Fontana, decorata di mosaici.
La Cattedrale (Madonna Assunta) si trova nella più antica area sacra di Palermo, dove già i fenici, i romani, i bizantini e gli arabi avevano elevato i loro luoghi di culto. I normanni, preso il potere, si preoccuparono subito di sostituire la moschea musulmana con una chiesa cristiana. Nel 1184 l'arcivescovo di Palermo, Gualtiero Offamilio, fece abbattere l'edificio e intraprendere la costruzione di una nuova splendida cattedrale, simbolo del potere religioso in città. Dopo un anno la chiesa fu consacrata e dedicata a Maria Assunta. Nel corso dei secoli seguenti, aggiunte e restauri hanno modificato l'edificio originario. L'unione, pittorescamente incongrua di stili, dà vita ad un insieme grandioso e nel complesso non sgradevole. La facciata, serrata tra le alte torri a bifore e colonnine, è unita da due archi ogivali al campanile che la fronteggia. Vi si apre un grande portale trecentesco dai battenti bronzei. Il lungo fianco destro si orna di uno scenografico portico in stile gotico-catalano, sotto il quale si apre un ornatissimo portale, anch'esso quattrocentesco. Infine, di particolare bellezza e suggestione, la parte absidale, l'unica ad avere mantenuto le forme originarie del XII secolo. L'interno, ampio e candido, risulta freddo a confronto dell'esterno. Lungo le pareti si allineano statue gaginesche in marmo, raffiguranti santi. Nella prima e seconda cappelladella navata destra si trovano le sepolture reali ed imperiali. Tra gli altri vi riposano Ruggero II, Enrico VI di Svevia, Costanza d'Altavilla e Federico II di Svevia, tutti in imponenti sarcofagi di porfido: nella tomba di famiglia si trovano così il fondatore del regno normanno di Sicilia, il suo distruttore, l'involontaria causa della sua fine ed il suo ultimo beneficiario. Fra le numerose cappelle, segnaliamo quella di santa Rosalia, dove, in un'urna argentea del 1631, sono custodite le ceneri della santa patrona di Palermo. Pregevole infine il tesoro, comprendente oggetti preziosi e ricami rinvenuti nelle tombe reali ed imperiali (da notare, in particolare, la tiara d'oro di Costanza d'Aragona), paramenti sacri, calici, ostensori, ecc.
La Chiesa di S. Maria dell'Ammiraglio o Martorana fu completata nel 1143 grazie ad una generosa donazione dell'ammiraglio Giorgio d'Antiochia. Un viaggiatore arabo, Ibn Jubair, che la visitò nel 1184, la definì "l'opera più bella che vi sia al mondo". Oggi, dopo un attento restauro, resta uno tra gli edifici religiosi più belli di Palermo e della Sicilia. Nel 1436 fu ceduta alle monache del vicino convento "della Martorana", da cui deriva il suo secondo nome, come cappella del convento. Nel 1588, al fine di poter contenere il sempre crescente numero di suore, l'edificio venne sottoposto a lavori di ampliamento: fu allungato abbattendo la facciata originale (sostituita da una barocca), atrio e nartece furono incorporati nella nuova costruzione. Nel 1683 fu demolita l'abside, sostituita da un'ampia cappella affrescata. Intatto nelle sue splendide proporzioni rimase solo il campanile romanico, elevato sull'ingresso della chiesa originaria, seppure privo, purtroppo, a causa di un terremoto nel 1726, della cupoletta che lo sormontava. Entrando nella chiesa è ancora possibile cogliere l'originario impianto a croce greca che tanto aveva colpito Ibn Jubair. I mosaici della Martorana, come quelli di Cefalù ed i più belli della Cappella Palatina, sono opera di un gruppo di artisti fatti venire apposta da Costantinopoli a Palermo e che qui lavorarono tra il 1140 ed il 1155. A differenza di essi, però, non comprendono aggiunte posteriori. Presso l'ingresso, sul lato settentrionale della navata, c'è un mosaico dedicatorio in cui è ritratto Giorgio Antiochieno ai piedi della Vergine, quest'ultima giuntaci in perfetto stato di conservazione. Sul lato opposto troviamo il tesoro forse più prezioso della Martorana: un mosaico raffigurante Ruggero II simbolicamente incoronato da Cristo.
Fontana Pretoria fu creata originariamente per la villa fiorentina di Don Pietro di Toledo dall'architetto manierista Francesco Camilliani. Il figlio del committente però preferì venderla al Comune di Palermo, che la pagò una cifra esorbitante. Nel 1574 fu trasportata a Palermo in 644 pezzi e per montarla fu interpellato il figlio dell'autore, Camillo Camilliani. L'antica piazza, su cui prospettano vari eleganti edifici, tra cui il Palazzo delle Aquile, sede del Municipio, fu risistemata in funzione della fontana che da allora fu onore e vanto della città. Di pianta circolare, è formata da bacini sovrapposti sui quali si susseguono allegorie, divinità, teste di animali, il tutto animato da piacevoli giochi d'acqua. La cancellata che la circonda fu disegnata da Giovan Battista Basile e collocata nel 1858.
L'Oratorio del Rosario di San Domenico fu costruita nel 1578 a spese della compagnia del Rosario, fondata dieci anni prima e che riuniva i più facoltosi commercianti e artisti della città. Giacomo Serpotta la decorò internamente nel corso della seconda decade del '700, lasciando qui un'opera di eccezionale bellezza. Lungo le pareti candide sculture, animate qui e là da qualche tocco dorato, si offrono all'ammirazione del visitatore, la cui attenzione è calamitata soprattutto dalle belle figure femminili - non esattamente ascetiche! - che raffigurano le Virtù, circondate da una miriade di puttini. Tra le statue pendono quadri raffiguranti i Misteri, e la volta è decorata da un affresco del Novelli. L'altare si orna di una pregevole tela del van Dyck, raffigurante la Madonna del Rosario.
L'Oratorio di San Lorenzo fu edificato intorno al 1569 dalla compagnia di S.Francesco, nei pressi della chiesa dedicata al santo di Assisi. Tra il 1699 ed il 1706 fu decorato da Giacomo Serpotta che qui raggiunse una grande perfezione formale, creando il suo capolavoro. La fantasia dell'artista, libera da ogni legame esplica un'esauribile capacità creativa. Un ininterrotto fluire di puttini festosi incornicia rilievi con scene della vita di San Lorenzo e statue allegoriche, dando vita ad un insieme di grande bellezza.
Il Palazzo dei Normanni è probabile che sia i fenici che i romani abbiano edificato sulla collinetta, dove oggi è il palazzo, una cittadella fortificata a dominare l'intera area della città. Di queste prime costruzioni, però nulla è rimasto. Gli arabi, dopo avervi costruito a loro volta un castello, lo abbandonarono, poiché l'Emiro preferì trasferirsi con tutti i suoi funzionari e le truppe nel quartiere a mare diAl-Halisah Si deve così ai normanni il restauro e la trasformazione dell'edificio in una reggia sontuosa. Il cuore di essa era costituito da una spaziosissima aula regia, detta anche aula verde, dove il re teneva assemblee e banchetti. Gli appartamenti di soggiorno, i servizi e gli alloggi del personale erano ubicati in ali diverse, collegate da terrazze, loggiati e giardini ricchi di verde e bacini d'acqua, che rivelavano già il gusto arabeggiante dei sovrani che qui come altrove si avvalsero di architetti islamici. Dal punto di vista dello stile il palazzo rappresenta uno dei culmini dell'arte palaziale fatimita dell'Occidente, sia per le qualità architettoniche che per le decorazioni che gli artisti profusero nei vari ambienti. Dopo il 1250, alla morte di Federico II, iniziò la decadenza del palazzo, che continuò per circa tre secoli, fin quando i vicerè spagnoli non lo elessero a loro residenza. Essi però, se da una parte salvarono il palazzo dal completo abbandono, dall'altra lo modificarono secondo il proprio gusto. Così ben pochi degli ambienti originari normanni hanno mantenuto l'aspetto originale. Tra essi però si celano due autentici gioielli: la Sala di Ruggero e la Cappella Palatina. La Sala di Ruggero era originariamente una camera da letto. Si tratta di un ambiente belvedere che si affaccia sul golfo di Palermo. Le pareti sono elegantemente decorate da mosaici raffiguranti scene di caccia animate da figure e piante stilizzate. Si tratta di una rara testimonianza dell'arte musiva secolare dell'epoca, che affondava le proprie radici nell'Oriente persiano e nel Nord Africa.
Quattro Canti di Città è il nome più comune della piccola Piazza Vigliena, centro della parte più antica della città. È detta anche "teatro del sole", perché illuminata dai suoi raggi dall'alba al tramonto. Il progetto per la sistemazione della piazza fu redatto nel 1608 ed i lavori iniziati quello stesso anno. Una volta terminata la sistemazione delle parti architettoniche si poté procedere alla decorazione delle quattro pareti su tre ordini: in basso quattro fontane, sormontata da una statua raffigurante una delle stagioni; sopra le statue dei monarchi spagnoli Carlo V e Filippo II, III e IV; in cima le quattro sante protettrici della città: S. Caterina, S. Oliva, S. Ninfa, S. Agata. La piazza fu a lungo il centro della città, luogo di elegante passeggio, di scambio di pettegolezzi, mercato di servitori in cerca di padrone. Fu anche simbolo della riforma urbanistica spagnola, che volle dare magnificenza alle due arterie principali della città, la via Maqueda ed il Cassaro, (oggi corso Vittorio Emanuele), aprendo una piazza al loro incrocio.
La Chiesa di San Francesco d'Assisi fu edificata nel corso del XIII secolo, fu più volte ampliata e modificata nei secoli seguenti. Dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale se ne intraprese il graduale restauro che ha restituito alla chiesa il suo aspetto duecentesco. Sulla severa e alta facciata si apre un magnifico portale gotico sormontato da un grande rosone. Il vasto interno, che mostra discendenza da modelli tardo-romanici, è a tre navate con ampie arcate gotiche. Vi si custodiscono numerose opere d'arte di scultori e pittori famosi fra i quali la famiglia Gagini, Pietro Novelli, Francesco Laurana, Giacomo Serpotta.
San Giovanni degli Eremiti fu fondata per volere di Ruggero II nel 1142 e durante gli anni più splendidi della dominazione normanna l'annesso monastero fu il più ricco e privilegiato convento siciliano. La chiesa, oggi sconsacrata, è molto piccola e, nonostante le tracce di piastrelle, mosaici ed affreschi ed il soffitto a stalattiti della moschea sulla quale fu edificata, non ha elementi di particolare interesse per un profano. Quello che affascina è piuttosto l'esterno dell'edificio. Colpiscono anzitutto le sue cinque cupole rosse, elemento caratterizzante di diversi edifici arabo-normanni. E poi il giardino: la costruzione è immersa nel verde e nei colori di alberi di agrumi, di agavi, bouganvillee, rose, melograni e alti cespugli fioriti. Le piante lussureggianti si arrampicano sulle pareti, insidiano le bianche colonnine del piccolo chiostro, stordiscono con il loro profumo. È uno dei monumenti più caratteristici della Palermo normanna, spesso scelto come simbolo della città.
Il Palazzo Chiaramonte o Steri è il più pregevole monumento che ci sia rimasto della potente famiglia di Chiaramonte che a partire dal XIV secolo, ebbe parte importantissima nella storia politica ed economica della Sicilia. Capo storico della famiglia fu Manfredi I, che volle dimostrare tutta la propria potenza anche attraverso la costruzione di un grande, magnifico palazzo fortificato, un "Hosterium", la cui prima pietra fu posta nel 1307. La costruzione fu proseguita dal figlio Manfredi II e dal nipote Manfredi III. Dopo il declino della famiglia Chiaramonte, l'edificio fu adibito a sede della corte da re Martino ed in seguito fu sede dei tribunali, dei vari governi che si susseguirono in Sicilia, nonché del tribunale dell'Inquisizione. Attualmente nei suoi locali è ospitato il rettorato dell'università di Palermo. Da un punto di vista artistico lo Steri è il principale esempio di architettura siciliana del '300 detta appunto "chiaramontiana", che risente fortemente delle esperienze islamica e normanna.
Piazza Armerina è ricca di monumenti medievali, palazzi barocchi, eleganti edifici religiosi e giardini,si dispone in cima a tre alture nella zona collinare interna della Sicilia.
La città è di origine tardo medievale, essendo sorta nel XII secolo dalle rovine della più antica Piazza, distrutta da Guglielmo I perché colpevole di aver dato ospitalità a baroni ribelli. Il duomo, dedicato all'Assunta, domina dall'alto l'intera città. Fu edificato al principio del Seicento su una chiesa preesistente, di cui rimane solo la parte inferiore del campanile, di stile gotico-catalano. Al suo interno, tra le altre numerose opere d'arte, si custodisce un prezioso crocifisso in legno del Quattrocento, opera di un non meglio identificato "maestro della croce di Piazza Armerina". A breve distanza dall'abitato, su una collina, si visita il Priorato di Sant'Andrea, costruito su ordine di un nipote di Ruggero I, Simone conte di Butera, nel 1096. L'interno è decorato di affreschi dei secoli XII, XIII e XV, raffiguranti, tra l'altro, scene della Passione di Cristo.
A Piazza Armerina si lega, soprattutto, la Villa Romana del Casale, uno tra i più insigni ritrovamenti archeologici della Sicilia. Fu costruita nel III - IV secolo d.C. per un ignoto committente, identificato dagli studiosi ora in questo ora in quel membro dell'aristocrazia senatoria romana o addirittura della famiglia imperiale. Chiunque sia stato, il padrone della villa era un uomo molto ricco, amante del lusso, della comodità e dell'arte. Per la decorazione della sua prestigiosa residenza di campagna fece venire dall'Africa valenti mosaicisti che per cinque anni si dedicarono alla creazione di splendidi mosaici che ancora oggi ci danno un'immagine vivida della vita romana e della mitologia di quel popolo. Su una superficie di ca. 3500 mq si susseguono infatti scene di caccia e di danza, personaggi mitologici ed animali, pescatori ed ogni sorta di piante e frutti, modelli e capostipiti di uno stile di mosaici che nei secoli seguenti ebbe ampia diffusione in Italia, Francia e Spagna. Arabi e normanni vissero, secoli dopo, fra queste mura, apportando tutte le modifiche che ritennero necessarie per adattare l'antica villa alle loro esigenze, causando anche danni, purtroppo, alle originarie strutture. Nel XII secolo, una terribile alluvione diede origine ad un fiume di fango che, invasa la valle, distrusse la parte superiore della villa, ricoprendola interamente. Ma non tutto il male viene per nuocere, si dice, ed in questo caso il detto trova conferma: il fango, infatti, se da una parte ha distrutto le volte, che dovevano essere splendide, ha protetto per secoli i mosaici che, così, sono giunti pressoché intatti fino ai giorni nostri. Campagne di scavi, condotte quasi amatorialmente, prima, sempre più sistematicamente, poi, hanno portato, nel 1950, al recupero della villa, sotto la guida dell'archeologo Gino Gentili. Il complesso residenziale è costituito da quattro gruppi distinti di costruzioni, ognuno adibito alle diverse funzioni della vita sociale, dell'ospitalità, del riposo ecc.. Ancora sottoterra si trovano le abitazioni della servitù, le stalle, i magazzini e altro. Tra gli ambienti di particolare interesse le terme, che si sviluppano in varie stanze, e che, oltre ai mosaici, mostrano tracce del sistema di approvvigionamento idrico della villa; l'ambulacro della grande caccia, decorato con scene di caccia e cattura di fiere; la sala delle dieci palestrite, nel cui pavimento sono raffigurate ginnaste intente a vari sport; gli appartamenti del signore della villa, nei quali, fra l'altro, vi sono la decorazione di Ulisse e Polifemo e la celebre "scena erotica".
San Vito lo Capo, di tradizione marinara, si è sviluppato intorno all'antica fortezza saracena, in seguito trasformata in santuario dedicato a San Vito. Oggi l'attività principale è il turismo. Le sue viuzze ornate di fiori, il pesce fresco, i profumi intensi e i suoi panorami caraibici vi offriranno una vacanza indimenticabile, proprio come la sua cucina, con il couscous a far da primo e l'originale caldofreddo da dessert. Chi viene a San Vito lo fa soprattutto per il suo mare e la sua spiaggia: quasi tre chilometri di sabbia dorata, bella da fare invidia ai più rinomati paradisi dei mari del sud. Arrivando in paese dall'unica strada di accesso, si vede il mare ancora prima di incrociare le prime case. Un altro chilometro e si arriva dritti filati al cospetto di un mare cristallino al quale si accede attraversando un tappeto di sabbia pulita. Consigliare un particolare tratto di spiaggia ai bagnanti è impossibile, l'uno vale l'altro, e tutti sono incantevoli. Il fondale marino degrada dolcemente verso il largo e le correnti non lambiscono minimamente questa zona, che dunque è particolarmente indicata anche per chi non è nuotatore provetto e per i più piccoli. Chi invece preferisce gli scogli alla sabbia ha solo l'imbarazzo della scelta: a levante (splendida la Tonnara del Secco) come a ponente le possibilità di fare me ravigliosi bagni e di godere nel contempo di un paesaggio splendido sono innumerevoli. Il lungomare consente di passeggiare a pochi metri dalla battigia della spiaggia e così anche la strada che porta all'altissimo faro - 40 metri e un raggio di oltre venti miglia - dopo aver superato i due moli del porto. Una strada panoramica attraversa l'altopiano offrendo alla vista lo splendido paese e il suo golfo. Per chi ama, poi, le passeggiate a cavallo o il trekking c'è solo da scegliere tra l'infinita serie di maneggi e di accompagnatori esperti che assicurano rilassanti cavalcate per la campagna invasa dal sole e dalle margherite, mentre le pendici dei rilievi e i sentieri che portano fin sopra Monte Monaco sono ottime occasioni per escursioni a piedi accessibili anche a chi non ha fisico e polmoni d'atleta. L'ascensione del Monte Monaco (532 metri) è una esperienza interessantissima per la possibilità di incontrare tanti esemplari di flora endemica e,infine, di godere di un paesaggio bellissimo con lo sguardo che può spaziare sui golfi di Cofano, San Vito e Castellammare, fino a scorgere nelle giornate più limpide l'isola di Ustica.
Ragusa sta proprio nel cuore della "terra
del carrubo, dell'ulivo e del miele" che
mirabilmente racconta Gesualdo Bufalino...
La cattedrale dedicata a San Giovanni, si eleva imponente presso l'incrocio dei due viali principali di Ragusa superiore, via Roma e Corso Italia. Fu costruita a partire dal 1694 e prospetta con un'ampia terrazza pensile sulla piazza San Giovanni. La larga e movimentata facciata è affiancata da una massiccia torre campanaria terminante a cuspide. All'interno, a tre navate, le cappelle ottocentesche sono decorate da pregiati stucchi.
S. Maria delle Scale è una piccola chiesa fondata per i cistercensi nel XIV secolo, nei pressi della lunga scalinata che collega Ragusa superiore a Ragusa Ibla. Fu riedificata in seguito al terremoto, conservando, all'esterno, l'originale portale ed il pulpito gotici e, all'interno, quattro cappelle con le arcate gotiche e rinascimentali.
Giardino Ibleo è il parco comunale a Ragusa Ibla. Al suo interno c'è la Chiesa di San Domenico. Poco lontano la Chiesa dei Cappuccini, la cui importanza è legata al fatto che in essa è conservato un trittico dipinto da Pietro Novelli e l'antico portale della diruta chiesa di San Giorgio Vecchio, pregevole esempio d'architettura gotica.
Il Duomo intitolato a San Giorgio, domina alto sulla piazza Duomo dalla cima di un'imponente scalinata che conduce al portale sormontato da bellissimi altorilievi raffiguranti scene dal martirio di San Giorgio. La facciata altissima e slanciata, quasi a voler raggiungere il cielo, è un capolavoro di Rosario Gagliardi (che firmò anche, tra l'altro, la simile, splendida facciata di San Giorgio a Modica). All'interno, a croce latina, spicca il maestoso organo Serassi, dal 1881 chiamato Organum Maximum, in quanto il più grande che sia mai stato costruito dalla ditta Serassi. Oltre agli archi e alle volte decorate, risaltano 33 vetri istoriati, dodici dei quali rappresentano episodi del martirio di San Giorgio, il santo protettore di Ibla (San Giovanni lo è di Ragusa superiore).
A Sciacca, tombe paleolitiche, unitamente a numerosi reperti venuti alla luce negli ultimi anni, dimostrano che già nel corso della preistoria gli uomini si stabilirono su questo tratto di costa. La frequentazione di questi siti proseguì per tutto il periodo seguente: sicani, fenici, greci ed ancora romani, bizantini, arabi. Durante il dominio di questi ultimi, Sciacca, detta Xacca, (dal latino Ex Aqua - con chiaro riferimento alle acque termali che copiosamente ancora sgorgano dal terreno, formando un bacino idrotermale fra i più ricchi e completi del mondo) divenne uno dei porti più attivi dell'isola, com'è ancor oggi. Si abbellì inoltre di monumenti e rafforzò le proprie mura difensive. Tutti coloro che in seguito governarono Sciacca la arricchirono a loro volta di opere d'arte, tanto che - come si legge nella guida della città di Salvatore Cantone - vi sono "significativi esempi di architettura, scultura, pittura (per non parlare delle cosiddette arti minori) di tutti i tempi". Il duomo, nell'omonima piazza, è dedicato a Santa Maria Maddalena, e fu fondato nel XII secolo dalla figlia del conte Ruggero, Giulietta. Della costruzione originaria, è oggi visibile solo l'esterno delle tre absidi: tutto l'edificio, infatti, fu rifatto nel '700. All'interno, diviso da pilastri in tre navate, si custodiscono pregevoli opere d'arte, fra le quali spicca, nella quarta cappella a destra, una statua della Madonna della Catena attribuita a Francesco Laurana. All'estremità occidentale del Corso Vittorio Emanuele sorge maestoso il Palazzo Steripinto, uno tra i più classici esempi di arte plateresca in Sicilia. L'edificio, fondato nel XV secolo, ha un'ampia facciata a paramento di conci a punta di diamante, coronata da merli. Sopra l'elegante portone rinascimentale si aprono tre bifore che mitigano alquanto l'aspetto severo dell'antico palazzo. La Chiesa di Santa Margherita, di stile gotico-rinascimentale, fu fondata nel 1342 e rifatta circa 250 anni dopo. La facciata si orna di un bel portale gotico risalente all'anno della fondazione, mentre un altro elegante portale, capolavoro di Francesco Lauurana, si può ammirare sul fianco della chiesa. La Porta di San Salvatore è una delle tre superstiti di quelle che si aprivano nella possente cinta muraria che nel XVI secolo cingeva la città e di cui in più punti è possibile scorgere qualche rovina. La porta, che si trova proprio di fronte alla Chiesa di Santa Margherita, è un mirabile esempio dell'apparato decorativo spagnolesco che fonde insieme architettura e scultura. Il nome deriva da una chiesa vicina, ormai scomparsa, inglobata in parte nella settecentesca chiesa del Carmine, in cui elementi decorativi più interessanti sono la cupola majolicata ed il rosone gotico sulla facciata. Le sorgenti termali di Sciacca sono circa dieci e le acque vanno a costituire un bacino idrotermale di rara completezza - di cui si ha notizia fin dall'antichità - e che curano una vastissima gamma di affezioni di vario genere. Rinomate le Stufe di San Calogero, due grotte naturali in cui, grazie all'unione di un fenomeno carsico con una manifestazione di vulcanesimo secondario, aleggia un vapore di temperatura oscillante fra i 38° e i 42° C, ottimo per la sauna. Secondo la leggenda, le stufe sarebbero opera di Dedalo che raccolse nelle grotte il vapore cocente che fuoriusciva dal sottosuolo.
Siracusa, nelle parole di Guy de Maupassant, che la visitò sul finire dell'Ottocento, è tutt'altra cosa rispetto alla magnifica metropoli che era stata nel V secolo. Allora, quando sedeva sul trono Dionisio I, era una tra le più grandi e potenti città del Mediterraneo, ornata di templi e palazzi, giardini e fontane, ricca di denaro, cultura e potere. Una città ideale secondo Platone, che la visitò più volte, riponendo in essa le proprie speranze di rinnovamento politico e sociale. Una città magnifica secondo Simonide, Pindaro, Bacchilide, Eschilo, che ne cantarono la bellezza. Una città di enorme potenza militare, capace di dare scacco alle temibili Cartagine ed Atene. Siracusa fu fondata nel 734 a.C. da coloni di Corinto che si ispirarono, per il nome, a quello indigeno di una vicina palude, chiamata Syraka. È impossibile che questi coloni avessero già un'idea del grande futuro che era riservato alla loro colonia, ma certo è che l'espansione iniziò quasi subito, con la sottomissione di piccoli centri vicini. Nel V secolo l'influenza di Siracusa si faceva sentire in tutto il Mediterraneo e a questa città sono legati eventi decisivi per la storia di quegli anni: la sconfitta dei cartaginesi presso Imera nel 480 a. C.; la sconfitta degli etruschi a Cuma nel 474, che ne impedì l'espansione a sud; la vittoria sugli ateniesi nel 413, in una battaglia navale fra le più grandiose dell'antichità. Solo con grandi sacrifici e con l'inganno i romani, nel 212 a.C., riuscirono ad espugnare la città, difesa dalle mirabili opere di Archimede. Nonostante la decadenza, Siracusa rimase la città più nota ed importante della Sicilia, tanto che lo stesso imperatore d'Oriente Costante II per un periodo ne fece la capitale del suo impero. Con la conquista da parte degli arabi, nel 1878, le fu tolta la supremazia fra le città siciliane e iniziò il suo lento declino. Le dominazioni comuni a tutta la Sicilia furono condivise anche da Siracusa che mai più raggiunse gli incredibili vertici del V secolo, trasformandosi nella tranquilla cittadina che è oggi, silenziosa ed orgogliosa erede di un magnifico passato.
Ai piedi dell'aspro monte Erice, che sembra vigilare su di essa, Trapani si stende fino al mare, allungandosi su un promontorio arcuato. Lungo la sponda adiacente alla città e poi via via lungo la costa, fino a Marsala, cumuli di sale biancheggiano lungo la riva, custoditi da mulini a vento che, con le loro grandi pale, si stagliano contro il mare simili a fantastici mostri. Di fronte, spesso avvolte da una leggera foschia che ne rende incerti i contorni, emergono tre isole, le Egadi, che danno il benvenuto al visitatore che giunge dal mare. Città piccola, Trapani, nella sua culla di mare, l'aspetto un po' dimesso di chi cela i suoi tesori per mostrarli solo a chi li sa apprezzare. Le origini di Trapani storicamente si fanno risalire ai Sicani, che qui avrebbero fondato un loro villaggio, ma forse, come narrano antichi scrittori, sorse sulla falce caduta a Cerere mentre, disperata, vagava per il mondo alla ricerca della figlia Proserpina, rapita da Plutone. Certo è che su questi lidi si avvicendarono numerose popolazioni, più o meno fantastiche. A cominciare dai Ciclopi, vissero qui gli Elimi, i Giganti, i Troiani, i Fenici e numerosi altri, ma Trapani acquistò importanza solo nel 260 a.C., quando Amilcare fece trasportare qui gli abitanti di Erice, città della quale era stata lungamente l'emporio (porto). Durante la dominazione romana la città perdette molto del suo prestigio. L'unico avvenimento di rilievo fu l'arrivo degli ebrei, che si trovarono così bene da fondare qui una importantissima comunità israelita. Trapani seguì nell'ombra le vicende della Sicilia, tornando alla ribalta della storia nel Duecento, quando Ferdinando d'Aragona le concesse il proprio favore. Fiorivano i commerci: sale, tonno e pregevoli lavorazioni artistiche in corallo, pietre dure, legno, venivano venduti ed esportati in tutto il mondo allora conosciuto. La città era base d'appoggio per le navi dei crociati che si recavano in Terrasanta, e ospitava i consolati di Catalani, Genovesi, Veneziani, Pisani, Francesi e molti altri. L'apice della potenza fu raggiunto nel corso del governo di Carlo V, che sbarcò qui di ritorno dalla vittoria di Tunisi e concesse alla città particolari privilegi, permettendole di migliorare ancor più la propria posizione. Nel diciassettesimo secolo sorsero gli edifici barocchi che ancor oggi caratterizzano il suo centro storico. L'attività del porto andò sempre più incrementandosi, e ancora oggi, sebbene in misura minore rispetto ai tempi d'oro, è al centro dell'economia cittadina.
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