domenica 27 dicembre 2015

IL RELITTO DEL FILICUDI



Il Filicudi era un rimorchiatore spagnolo che si chiamava Pedro. Venne acquistato dalla Regia Marina il 26 Marzo 1916, trasformato e impiegato per compiti di scorta e di dragaggio; affondò per aver urtato una mina il 2 aprile 1917 vicino a Trapani.
Da quanto risulta, fu costruito nel 1898 nel cantiere Earle's Co. Ltd. Hull. Il dislocamento era di centosettanta tonnellate.

Il dragamine Filicudi è affondato la mattina del 2 aprile 1917, la piccola unità della Regia Marina era impegnata in una missione che sembrava di routine: rastrellare i fondali in una zona non ritenuta particolarmente pericolosa. Improvvisamente, però, una tremenda esplosione la squassò da poppa a prua e la fece affondare. aveva urtato un ordigno depositato dal sottomarino austroungarico U-78. Soltanto due i superstiti, il comandante e un marinaio, che si trovavano in coperta.

Adagiato su di un fianco e avvolto dalle immancabili nuvole di Anthias anthias (Linnaeus, 1758), conosciute comunemente come castagnole rosse ,con la loro bellezza fanno da cornice al relitto , pochi colpi di pinneggiata e si vede il suo cannoncino di prua ancora in posizione, bellissimo. Non è molto grande il relitto, ma ci sono svariati spunti interessanti per fare delle belle foto e delle belle riprese. Tutto in torno al relitto, sparsi ovunque, pezzi d’imbarcazione, l`esplosione deve essere stata devastante.

Nel periodo tra il 1906 e il 1921, la Regia Marina acquistò ottantacinque battelli, per lo più rimorchiatori, pescherecci, piccoli piroscafi, che sarebbero stati utilizzati come navi scorta, cannoniere e dragamine. La loro stazza variava dalle centosette alle seicentoquindici tonnellate, la velocità dagli otto ai dodici nodi. Furono armati con un cannone da cinquantasette millimetri, oppure con uno da tre pollici, e con una o due mitragliatrici di tipo MG da sei millimetri e mezzo.

Alcune di queste "navi vedette ausiliarie", come vennero definite, andarono perdute in battaglia o in qualche sinistro marittimo durante la Prima Guerra Mondiale, altre vennero demolite o vendute dopo la guerra, altre ancora si trovarono a combattere nella Seconda Guerra Mondiale. Una dolcissima mattina di aprile, il mare di Sicilia è tranquillo, luminoso; le bianche case di Trapani, investite dal primo sole, sembrano tanti lenzuoli stesi ad asciugare. E' il 1917, l'anno più terribile di tutta la Prima Guerra Mondiale a causa degli affondamenti fatti dai sommergibili tedeschi. Su e giù con il suo ritmo lento e uguale, a cinquecento metri dall'isolotto dei Porcelli, l'ex rimorchiatore, ora dragamine, Filicudi, naviga a lento moto trainando di poppa uno strano arnese destinato a incocciare le mine austriache e tedesche. Il Filicudi è un buon piccolo bastimento. Viene dalla Marina Spagnola e coloro che l'hanno venduto all'Italia ne hanno raccontato cose magnifiche. Sembra che in altri tempi fosse una delle "colonial gunboat". Si chiamava Pedro, allora, e faceva servizio lungo le coste del Marocco, dove riusciva a tenere il mare anche quando i grossi vapori che collegavano le Canarie erano costretti a rimanere in porto o poggiare per non prendere le onde direttamente di prua.
Ora il Filicudi è lì, fuori dalle coste della Sicilia, occupato a rastrellare mine che probabilmente non ci sono nemmeno; lo comanda il tenente di vascello di complemento Giacomo Pastore, di Imperia, uno di quei duri, coriacei uomini di mare liguri che ha iniziato a navigare ai tempi della vela e ha fatto l'allievo e l'ufficiale nella Marina Mercantile. Parla poco, Pastore, e niente lo meraviglia. Vive la guerra con la stessa indifferenza con cui piloterebbe il suo cargo in tempi normali. Sono le otto, gli uomini hanno poco da fare; l'arnese del dragaggio si incarica di tutto e a poppa si vede l'acqua aprirsi sotto quella specie di aratro, e poi richiudersi in un rigurgito blu. A bordo sono in un trentasei, un marinaio è rimasto a terra. E' De Franceschi, incaricato di rifare la provvista della frutta e della verdura per i prossimi giorni. E ai cavoli e alle verze De Franceschi dovrà eterna riconoscenza per essere rimasto vivo. Sulla nave, però, ci sono sei nuovi fuochisti, in soprannumero addirittura; quei ragazzi li ha inviati all'ultimo minuto il Comando della Piazza quando già il Filicudi si stava staccando dalla banchina. La motivazione è che devono imparare, e quindi esercitarsi. Così adesso sono tutti giù, sottocoperta, vicino alle caldaie. L'acqua è tersa, come uno specchio; il comandante Pastore guarda il mare distrattamente, appoggiato al cofano di coperta dei motori. Chiede un caffé all'ordinanza e dopo due minuti è servito. Prende la tazza e distrattamente guarda l'orologio. Sono le otto e diciotto minuti, Pastore porta il caffè alle labbra... E' l'ultimo gesto di cui si ricorda.



Poi vede il pomo della testa d'albero, capisce di trovarsi in aria e chiude gli occhi. Quando li riapre il Filicudi non c'è più e lui è in mare, vicino a dei rottami, qualche pezzo di legno, pochi detriti informi. Pastore si guarda, ma non vede nessuno: trentacinque uomini sono scomparsi, polverizzati dall'esplosione. Ha una strana sensazione al braccio destro, che ciondola come se fosse staccato dal corpo: è spezzato in tre punti. Poi nota un grosso pezzo di legno e riesce ad aggrapparvisi, quindi, aiutandosi con i denti, ci si lega con la manica vuota e aspetta. E' ancora lucido, padrone di sé e tende l'orecchio: un grido giunge da sinistra. E' il sottocapo nocchiere Natale Mastelli, di Marettimo, l'unico superstite, dopo il comandante. Più tardi, Mastelli racconterà che si trovava all'estrema poppa, vicino all'asta della bandiera, quando l'esplosione avvenne sotto i suoi piedi. Anche lui venne proiettato in alto, tre salti mortali, e ricadendo in acqua batté la testa contro qualche cosa. Infatti, gronda sangue. Pastore e Mastelli si sentono, non si vedono per la distanza ma si incoraggiano l'un l'altro. Intanto, da terra hanno visto tutto: il semaforista di San Giuliano ha sentito una gran detonazione, ha scorto un'alta colonna d'acqua e ha fatto una serie di segnalazioni a Trapani, chiedendo aiuto alla torpediniera Orfeo, comandata dal tenente di vascello Repetti che sta arrivando da Palermo. Il messaggio trasmesso è il seguente: "Dragamine Filicudi saltato su mine a cinque miglia da Trapani al traverso dell'Isola Porcelli. Probabilmente pochi superstiti sono in mare; accorrete d'urgenza". In effetti, come si saprà dopo, il Filicudi era saltato su una mina depositata dal sommergibile austroungarico U-78. La silurante vola sull'acqua, a prua un guardiamarina scruta con il binocolo ed effettivamente non si vedono superstiti. Ma poi ecco due punti neri, sembrano stracci abbandonati sull'acqua. Repetti fa preparare le cinture di salvataggio, i cavi e un buon litro di vino caldo. Quando l'Orfeo arriva sul posto, deve rallentare di colpo altrimenti le grandi onde di scia rischiano di travolgere i naufraghi. Il comandante Pastore, ancora attaccato al legno, chiede che per primo venga recuperato il sottonocchiero e solo dopo acconsente a farsi trarre a bordo della torpediniera. Per la mezzora successiva l'Orfeo gira nel luogo dell'esplosione, ma non trova più nessuno, il mare rimane deserto: trentacinque uomini sono spariti con la loro piccola nave. Per oltre un anno e mezzo il comandante Pastore passò di ospedale in ospedale per complicazioni insorte a causa delle fratture al braccio. E dopo la guerra riprese a navigare sul cargo. Gli fu data una medaglia, ma quando gli chiedevano perchè non la portasse, lui alzava le spalle e mugugnava in dialetto ligure: "Sì, me l'hanno data! Ma io che cosa ho fatto?".

Lo scafo del dragamine Filicudi è praticamente distrutto, ma molti resti sono ancora perfettamente riconoscibili.L'esplosione l'aveva spezzata subito dietro l'argano e il paraspruzzi, per cui giaceva piegata sulla dritta di circa cinquanta gradi, conficcata nel fondale. In coperta era saldamente fissato un cannone da settantacinque millimetri e risultavano ancora al loro posto le due ancore di tipo ammiragliato.




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