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venerdì 15 luglio 2016

LAGO MAGGIORE E INQUINAMENTO



"Anno dopo anno la situazione non migliora". Queste le lapidarie parole di Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia, nel presentare in Comune a Varese i dati del monitoraggio della Goletta dei Laghi sul Lago Maggiore. "Non diamo patenti di balneabilità, chiosa, ma queste analisi restituiscono un'istantanea utile per individuare i problemi e ragionare sulle soluzioni. Varese deve fare da capofila per la gestione del lago.

Sulla sponda lombarda, 6 punti su 8 sono fortemente inquinati. Nel dettaglio, al di sopra dei limiti di legge ci sono Germignaga, presso il lido comunale, Laveno Mombello, Brebbia, Monvalle Bardello e Ispra, località frequentate in massa da turisti tedeschi, svizzeri ed olandesi. Promossi alcuni punti di Angera e Sesto Calende.

Stesse gravi criticità rilevate dall'associazione ambientalista riguardano alcuni punti sulla sponda piemontese. A Dormelletto, Arona e Stresa i dati consegnano uno specchio d'acqua fortemente inquinato. Entro i limiti di legge gli altri 6 campionamenti, taluni situati a poca distanza dai tre fortemente inquinati. Segno che si tratta proprio di scarichi civili fognari o malfunzionamenti nelle stazioni di sollevamento degli impianti di depurazione. "La situazione sul Maggiore, ha detto Meggetto, è il frutto di troppi localismi e delle buone intenzioni lasciate a metà. Quanto ancora dovremmo aspettare per evitare inquinamenti a lago"?



Nelle analisi della Goletta dei laghi vengono prese in esame le foci dei fiumi, torrenti, gli scarichi e i piccoli canali che si trovano lungo le rive dei laghi, punti spesso segnalati dai cittadini attraverso il servizio SOS Goletta: queste situazioni sono i veicoli principali di contaminazione batterica di origine fecale, dovuta all’insufficiente depurazione degli scarichi civili che attraverso i corsi d’acqua arrivano nel lago. Quello di Legambiente è un campionamento puntuale che non vuole sostituirsi ai controlli ufficiali, né pretende di assegnare patenti di balneabilità, ma restituisce comunque un’istantanea utile per individuare i problemi e ragionare sulle soluzioni.

“Abbiamo la presunzione di pensare che i monitoraggi della Goletta dei Laghi – spiega Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia – dovrebbero non solo completare i dati sulla buona qualità delle acque ma aiutare le amministrazioni ad individuare le maggiori criticità. La situazione del Maggiore è il frutto dei troppi localismi e delle buone intenzioni lasciate a metà. Le tristi situazioni dell’Acquanegra, del Monvallina, del Bardello e del Boesio sono note. Quanto ancora dovremo aspettare evitare inquinamenti a lago?”

I campioni prelevati dai tecnici dell’equipaggio hanno rilevato cariche batteriche fortemente al di sopra dei limiti di legge a Germignaga, alla foce del canale presso il Lido Comunale. ‘Fortemente inquinato’ è il giudizio assegnato anche ai punti analizzati a Laveno Mombello, a Brebbia alla foce del torrente Bardello e a Ispra, alla foce del torrente Acqua Negra. Peggiora la situazione di Monvalle, che nel 2015 risultava entro i limiti e quest’anno presenta un livello di inquinamento molto elevato. Promosse, invece, Angera e Sesto Calende, dove l’Oasi Bruschera e Lisanza risultano entro i limiti.

“Ogni anno ci ritroviamo con rammarico a commentare risultati pessimi per i punti campionati sulla sponda varesotta del Lago Maggiore; nonostante le nostre ripetute denunce la situazione non cambia. Scontiamo purtroppo la lentezza con cui si è dato vita all’ATO e alla società che dovrebbe gestire le reti. Purtroppo però l’inquinamento non aspetta!” dichiara Alberto Minazzi, coordinatore dei circoli di Legambiente Varese. Grande assente nell’Ambito Territoriale Ottimale è il Comune di Varese, la cui uscita dall’ente potrebbe avere ripercussioni anche sulle prospettive di risanamento del Lago di Varese, già aggravate dalla mortificazione istituzionale della Provincia. Il rischio è di vedere spostato nel tempo le soluzioni da mettere in campo: “Varese, tramite l’Osservatorio Lago Varese, potrebbe assumere un ruolo di tutta rilevanza e creare il giusto trait d’union con gli altri Comuni che si affacciano sul lago per spingere gli investimenti a favore del lago” conclude Minazzi.

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domenica 26 giugno 2016

IL BAGNINO



Nel 1918 una circolare del Ministero dei Trasporti Marittimi e Ferroviari, imponeva alla Capitanerie di Porto del regno di fare obbligo a tutto il personale addetto agli stabilimenti balneari di comprovare l’idoneità nel nuoto, nella pratica del primo soccorso e della respirazione artificiale.
Le Capitanerie di porto si rivolsero alla S.N.S. che, dopo un propedeutico corso ed un esame di idoneità, rilasciava un brevetto di “Soccorritore di spiaggia”, antesignano del Bagnino di Salvataggio.
Si arriva successivamente ad ipotizzare la figura del Bagnino di Salvataggio che, vista la sua utilità, diventa, con Legge dello stato dei primi anni ’30, obbligatoria in tutti gli stabilimenti balneari.

Il Ministero delle Comunicazioni – Marina Mercantile con Foglio d’Ordine n. 43 del 6 maggio 1929 concede alla S.N.S. l’autorizzazione al rilascio del “certificato di abilitazione all’esercizio del mestiere di bagnino”.

Il bagnino di salvataggio è colui che vigila sulla sicurezza di chi frequenta piscine, stabilimenti balneari al mare o al lago.

Nello specifico deve:
prevenire gli incidenti in acqua o farvi fronte se avvenuti, mettendo in atto quelle tecniche di salvataggio e di primo soccorso acquisite nel corso di formazione e periodicamente aggiornate;
regolare le attività di balneazione vegliando sul comportamento degli utenti;
applicare e far rispettare le ordinanze della Capitaneria di porto o il regolamento della piscina;
verificare periodicamente la chimica delle acque nelle piscine e le condizioni igieniche dell'ambiente.

Le competenze acquisite nel corso di formazione gli consentono di intervenire in modo adeguato per praticare le tecniche di primo soccorso, anche in caso di asfissia e arresto cardiaco (Basic Life Support).

In Italia necessita dell'abilitazione dalla Società Nazionale di Salvamento di Genova, dalla Federazione Italiana Nuoto sezione salvamento, o dalla Federazione Italiana Salvamento Acquatico, ed ha compiti di soccorso verso chi si trova in situazione di pericolo in acqua.

Le prove devono essere sostenute in un tempo massimo di 8 minuti (le prove per il superamento del corso di assistente bagnino per la piscina hanno invece il tempo massimo di 5 minuti).

Primo soccorso e parte medica:
avere nozioni di primo soccorso valutate da un medico (ufficiale sanitario)
abilitazione a B.L.S. (basic life support in conformità agli standard della E.R.C. - European Resuscitation Council) e P.B.L.S. (pediatric basic life support).
Esistono anche dei corsi per la somministrazione dell'ossigeno e all'uso del defibrillatore semiautomatico, ciascuno di essi con esami a parte.

Spingere il pattìno in acqua e saltarci sopra, iniziando la voga verso il gavitello
Voga a banco o scia verso il gavitello posto a 70-100 metri dalla banchina
Inforcare la boa (avvicinamento da prua), agguantare e dimostrare di saper sollevare il gavitello
Voga a banco o scia di ritorno verso la banchina.
Rientrare posizionando i remi del pattino sugli scafi di prua e attraccare eseguendo un nodo a gassa d'amante all'estremità della cima legata alla barca e un nodo parlato attorno ad un palo dall'estremità opposta.
Durante la prova l'ufficiale della Capitaneria di porto può chiedere di effettuare una manovra a 360°. Nel caso il concorrente non sia in grado di eseguire le indicazioni sopra citate, la Capitaneria di porto si riserva il diritto di interrogare il concorrente su nodi marinareschi, meteorologia di base ed altri elementi di teoria.

La prova pratica segue le linee guida dell'ILS - International Life Saving, per questo il brevetto rilasciato dalla FIN è riconosciuto in tutti gli Stati facenti parte dell'ILS.



L'esame teorico pratico consiste in un colloquio con la commissione d'esame, oppure con la compilazione di un test a quiz. In seguito si procede all'esecuzione completa della sequenza BLS (Basic Life Support, rianimazione cardio-polmonare) con simulatore (manichino)

Il superamento della prova di salvataggio a nuoto, unitamente alle prove teoriche e di simulazione del protocollo BLS sul manichino, consentono il conseguimento del brevetto P (Pool - piscina).

La prova in mare è effettuata con l'ausilio dell'attrezzatura idonea, come il moscone di salvataggio o pattino. Consiste nel simulare un intervento raggiungendo un gavitello a circa 150 m da riva ed effettuare una doppia rotazione con l'imbarcazione intorno allo stesso senza mai toccarlo, ritorno e riposizionamento corretto del moscone (pattino).

Il superamento di questa prova, permette di estendere la validità del brevetto P, valido solo per le piscine, anche alle acque interne e alle spiagge marine. Il brevetto è denominato MIP (Mare, acque Interne, Piscina).

Il bagnino di salvataggio è un incaricato di pubblico servizio, non è un pubblico ufficiale.

Il bagnino di salvataggio è una professione che richiede particolare attenzione ed una discreta preparazione tecnica.

Chi desidera diventare bagnino di salvataggio deve frequentare un corso al termine del quale il candidato deve sostenere un esame che, se superato, permetterà di ottenere un brevetto. Con questo brevetto il candidato potrà operare all'interno delle piscine e nei parchi acquatici. Per poter lavorare in mare occorre sostenere un ulteriore esame.

Il termine "bagnino di salvataggio" viene usato solo ed esclusivamente per indicare i brevettati dalla Società Nazionale di Salvamento mentre il termine "assistente bagnanti" per i brevettati dalla FIN Salvamento. Entrambi i termini corrispondono alle stesse mansioni e agli stessi diritti/doveri. I rispettivi brevetti sono equipollenti.

Il bagnino di salvataggio vigila sull'incolumità dei bagnanti. Risponde, infatti, in prima persona della loro sicurezza, sia sotto il punto di vista civile sia penale. Dovrà, inoltre, mantenersi costantemente aggiornato e sempre in allenamento.

In Italia sono tre gli enti che possono preparare i futuri bagnini: S.N.S. (Società Nazionale di Salvamento), F.I.N. Salvamento (Federazione Italiana Nuoto, Sezione Salvamento) e F.I.S.A. (Federazione Italiana Salvamento Acquatico).

Per poter frequentare i corsi sono necessari determinati requisiti: età compresa tra i 16 e i 65 anni (dipende dalla didattica dell'ente), idoneità al nuoto, idoneità fisica (mediante un certificato rilasciato dal medico di famiglia).

Il candidato ritenuto idoneo deve poi presentare la domanda di partecipazione al corso, ricevute di pagamento delle quote, e una foto–tessera.

I Bagnini di Salvataggio possono fare molto per la sicurezza degli altri, non solo dal punto di vista professionale, ma anche di aiuto concreto e di solidarietà, vivendo un’esperienza unica, di apertura verso il prossimo.
I giovani, attraverso i corsi della S.N.S., sviluppano la loro crescita personale creandosi una mentalità di approccio attivo nel volontariato di Protezione Civile, maturando il senso di responsabilità nei confronti dell’ambiente, acquisendo il senso della cittadinanza solidale e attiva.


lunedì 23 maggio 2016

LAGO DI AVIASCO



Il Lago di Aviasco è un lago artificiale, dall'estensione pari a 70.500 metri quadrati, situato nelle Alpi Orobie in alta valle Seriana,, racchiuso in una vallata contenente i  bacini artificiali: il Lago Nero, il Lago Campelli, il Lago Sucotto e il Lago Cernello.
La zona si raggiunge per la via più breve partendo da Valgoglio, in alta Valle Seriana. Il sentiero parte dalla zona nord-est del paese, ed è ben segnato. Si sale seguendo inizialmente le condotte d'acqua fino a giungere in vista della diga del Lago Sucotto, quindi si prosegue a sinistra, cioè in direzione ovest, su per una salita che, poco più in alto, porta alla diga del Lago Nero. Qui si prosegue a sinistra, ovvero verso nord-Est, costeggiando il lago nero a sud. Dopo 800 metri circa giungerete in vista del Lago di Aviasco, riconoscibile per il rivestimento in pietra della diga che lo contiene.

Il lago, racchiuso in una conca creata dai monti Cabianca e Pradella, è raggiungibile anche da nord-est passando per il Passo di Aviasco, che separa la Valle Brembana dalla Valle Seriana, e da nord-ovest lungo passando per il sentiero che fa il giro dei laghi sul lato della Valle Seriana passando per i laghi Campelli, Cernello e Sucotto

Il Lago di Aviasco deriva dall'ampliamento di un preesistente lago naturale ottenuto tramite la costruzione di una diga nell'anno 1923.
Nelle sue acque si specchiano il Monte Pradella a SW (m. 2626) e il Monte Cabianca a NE (m. 2601).

Il lago Sucotto raccoglie le acque provenienti dal lago Cernello, l'acqua piovana, quella di scioglimento delle nevi e da piccole falde minori. L'acqua rilasciata attraverso la sua diga alimenta il torrente Goglio.

La zona si raggiunge per la via più breve partendo da Valgoglio. Il sentiero parte dalla zona nord-est del paese, ed è ben segnato. Si sale seguendo inizialmente le condotte d'acqua fino a giungere in vista della diga del lago Sucotto. Si prende quindi il sentiero che sale in direzione della diga sul lato est del torrente. Il sentiero prosegue poi in direzione del vicino lago Cernello.

Il lago può essere raggiunto anche dal rifugio Fratelli Calvi, in val Brembana, seguendo il percorso che conduce al passo della Portula e che prosegue poi in direzione del Giro dei Laghi, sentiero che mette in comunicazione i laghetti della vallata sopra descritti. Il sentiero è ripido in alcuni tratti ma ben segnato e in buone condizioni.


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giovedì 19 maggio 2016

IL LAGO GELT



Il lago Gelt si trova in alta valle Seriana (provincia di Bergamo) ai piedi delle Cime di Caronella verso il Pizzo del Diavolo della Malgina.

Situato a quota 2562 m s.l.m., il lago è ghiacciato da ottobre/novembre fino a giugno, ed è relativamente poco profondo.

Per raggiungerlo si parte da Valbondione, si prende per il rifugio Curò e si costeggia il Lago del Barbellino in direzione del Lago del Barbellino Naturale.

Costeggiato il lago si prosegue per il sentiero fino alla deviazione che si diparte a sinistra/dir. nord verso il Lago della Malgina – Pizzo del Diavolo della Malgina.



Arrivati al Lago della Malgina si prosegue verso destra/dir. est e poi ancora a destra lungo il sentiero più alto che va verso la cresta.

Si segue quindi per il sentiero che, in quota, procede tra massi levigati dall'erosione dei ghiacciai fino a raggiungere il lago.

Da qui vi è la possibilità di proseguire verso il Passo di Caronella, poco più in alto, e quindi discendere verso il Rifugio Barbellino.

In qualsiasi stagione si vada è consigliabile portare abiti pesanti.

Il lago è bellissimo con la sua forma a cuore, si trova  dentro una conca di pura roccia.


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IL LAGO DI MALGINA



Il lago della Malgina è situato in Alta valle Seriana, in provincia di Bergamo, a quota 2.339 m s.l.m. Situato all'interno di una conca circondata da ripide salite e aperta a sud da un canalino, il lago è riparato dal vento, ma anche dai raggi del sole, per buona parte del giorno.

Meta di occasionali passeggiatori in agosto, il lago è per lo più punto di transito di alpinisti diretti al Pizzo del Diavolo della Malgina, al Lago Gelt, al passo di Caronella e alle soprastanti Cime di Caronella.

La via più breve per raggiungere il lago parte da Valbondione. Si prende il sentiero che conduce al Rifugio Curò e, una volta giunti in prossimità del rifugio e in vista del Lago del Barbellino, si costeggia il lago lungo il sentiero che lo percorre sulla sponda sud in direzione del Lago del Barbellino Naturale. Passato il lago si prosegue sul sentiero principale fino alla deviazione che si dirama verso nord in direzione del lago della Malgina - Pizzo del Diavolo della Malgina. Si prosegue quindi lungo il sentiero fino al canalino, unico tratto scosceso della passeggiata che conduce al lago.

Severa e solitaria, la Val Malgina si offre al visitatore come una valle aspra e poco accessibile proprio perché non vi sono strade d’accesso se non gli antichi sentieri; questo comporta un notevole isolamento ma rappresenta certo anche il grande fascino di questo territorio.
Oltre ad essere coperta da una fitta vegetazione già dal fondovalle, è segnata per quasi tutta la sua lunghezza da una profonda incisione, chiamata Canalone di Val Malgina, dove d’inverno si accumulano grandi quantità di neve, che in anni non particolarmente caldi può resistere fino all’inverno successivo.
La valle, proprio per questa depressione interna, si differenzia dalle altre valli laterali del versante, in quanto ha quasi totalmente perso la caratteristica di valle sospesa, ancora ben evidente nel resto della catena; proprio a causa della forte erosione causata dalla presenza della frattura trasversale, la Val Malgina appare iperscavata rispetto alle altre valli adiacenti.



Per quanto riguarda la vegetazione partendo dall’alto si possono scorgere una serie di ambienti diversi caratterizzati ciascuno da un tipo particolare di vegetazione. Nella parte più alta, la prateria alpina, più sotto le vaste distese di rododendri, ontani e ginepri. Fino a circa 1500 m sono i boschi di conifere a dominare, con una larga prevalenza di abete rosso, intervallato da larici e, nelle zone più umide, da abete bianco. Al di sotto di questi boschi si estendono quelli di latifoglie, dove domina incontrastato il castagno, un tempo molto curato perché di esso si utilizzavano i frutti, il legno e le foglie, quest’ultime come strame per le stalle.
La zona è ricca di fauna caratteristica di tutto il versante. Si possono ricordare: caprioli, camosci, stambecchi, il gallo cedrone, emblema del Parco delle Orobie Valtellinesi, picchio nero, la civetta, nana e capogrosso.


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domenica 13 settembre 2015

IL MAR MORTO



Il Mar Morto è  un lago situato nel vicino Oriente tra Israele, la Giordania e la Cisgiordania, nella regione storico-geografica della Palestina. Chiamato anticamente Asfaltide, il mar Morto si trova nella depressione più profonda della Terra, generatasi nei millenni per effetto dell'evaporazione delle sue acque non compensate da quelle degli immissari, che è anche causa della sua nota forte salinità.
Il Mar Morto è in realtà un lago: è un bacino chiuso, da dove l’acqua esce solo per la forte evaporazione causata dal clima caldo e secco. Proprio per questo motivo, nel corso di migliaia di anni, i sali presenti nelle acque si sono sempre più concentrati: oggi la salinità media del Mar Morto (23%) supera di dieci volte quella degli oceani. Questa situazione provoca anche una maggiore densità dell’acqua, per cui l’ossigeno si diffonde con difficoltà: lo si trova solo nei 40 metri d’acqua superficiali, mentre più sotto è assente, e anzi c’è acido solfidrico, velenoso. È evidente quindi quanto sia difficile vivere in situazioni così estreme: non risulta che nel Mar Morto vi siano pesci. Sono stati però ritrovati diversi microrganismi: un protozoo ciliato, alcune specie di alghe azzurre, un’alga verde e vari batteri che ricavano energia sfruttando lo zolfo, il ferro, l’azoto, l’ammoniaca o la cellulosa. Alcuni tra loro sono in grado di vivere anche in assenza di ossigeno. Tra questi, grandi un millesimo di millimetro e non nocivi per l’uomo, il Flavobacterium marismortui, diversi Halococcus e l’Halobacterium halobium, che possiede un pigmento rosso che gli permette di utilizzare l’energia solare e di espellere il sale in eccesso.

Questo gigantesco bacino, lungo 75 chilometri e largo 15, vecchio di mille secoli, è il luogo al mondo in cui è possibile riscontrare un’a altissima combinazione di benefici termali. La radiazione solare perfettamente filtrata, le condizioni climatiche peculiari, l'atmosfera arricchita da ossigeno, le sorgenti e i fanghi fanno di questa regione un luogo ideale per ricevere trattamenti di vario genere, finalizzati in particolare a ristabilire l'equilibrio della pelle, sotto la guida di centri medici locali. A garantire i risultati un dato su tutti: l'acqua qui ha il 27% di contenuto in sali e minerali, con particolare concentrazione di calcio, che pulisce la cute dalle impurità, magnesio dall’effetto antiallergico, bromina (effetto rilassante), bitume (antinfiammatorio). Bitume, calcio e magnesio abbondano anche nel fango nero, che in più si compone di silicati dal benefico potere astringente. Con questo concentrato di sostanze benefiche si curano molte malattie della pelle tra cui psoriasi, vitiligine, acne, micosi e sclerodermia. Anche le vie respiratorie traggono giovamento dall'umidità praticamente inesistente tutto l'anno, dalla pressione atmosferica molto alta e dall'aria purissima e ricca di ossigeno.
Se poi, dopo tanto benessere, vi venisse voglia di visitare alcuni luoghi della Valle del Giordano, tra i più belli ci sono. la città di Betania, il Monte Nebo, e la città di Madaba. La Valle del Giordano è un luogo di profondo significato spirituale ed è meta tradizionale di pellegrinaggi. Una serie di scoperte archeologiche, effettuate a partire dal 1996, ha permesso di identificare questa area come quella di Betania, città in cui visse Giovanni il Battista. L'’insediamento di Betania è stato recentemente identificato sulla riva meridionale del piccolo ruscello perenne chiamato Wadi Kharrar, ad est del Giordano e di fronte a Gerico.
Dopo aver effettuato gli scavi, la zona è stata adeguatamente protetta ed è quindi accessibile ai visitatori. L'’ubicazione di questo luogo è stata incerta in passato, tanto che si arrivò persino a dubitare della sua esistenza. Gli archeologi hanno invece rintracciato frammenti di ceramiche del primo secolo, resti di recipienti in pietra di epoca giudaica, tessere di mosaici e schegge di ceramica bizantina. Grazie a questi reperti è stato possibile dimostrare che presso la sorgente del Wadi Kharran esisteva un insediamento di epoca romana, identificandolo appunto con la città da cui Giovanni il Battista annunciò Gesù Salvatore e predisse il suo sacrificio per la salvezza umana



La riva est del fiume Giordano è stata anche testimone della vita e dalle opere dei profeti Abramo, Giacobbe, Mosè, Giosuè, Elia, Eliseo.
Il lavoro degli archeologi negli ultimi due anni ha identificato più di 20 siti appartenenti all’'epoca romana, bizantina e del primo periodo islamico. Le scoperte chiave sono il monastero bizantino ed i resti di epoca romana di Tell el-Kharrar, l'’antica Betania, diverse chiese di dimensioni minori, cappelle, caverne e celle; un complesso bizantino adiacente al fiume Giordano, che commemora il battesimo di Gesù; una grande piscina con cappella adiacente a metà strada tra l’'insediamento di Betania e il fiume Giordano; una stazione di sosta per i pellegrini e le carovane ad est di Betania, sulla strada verso il Monte Nebo, ed altri resti la cui funzione non è ancora stata chiarita.

Un altro luogo di grande significato religioso è poi il Monte Nebo, uno dei luoghi più venerati della Giordania dove, secondo la tradizione, morì e fu sepolto il profeta Mosè. Il piazzale antistante la chiesa dedicata al profeta offre una vista mozzafiato sulla Valle del Giordano e sul Mar Morto. Già dal quarto secolo i cristiani vi avevano edificato una piccola chiesa che fu poi progressivamente ingrandita e di cui restano alcuni blocchi di calcare, collocati all'’esterno della costruzione attuale. Nel VII secolo divenne un vasto complesso bizantino, meta di grandi pellegrinaggi: gli scavi archeologici, iniziati nel 1933 sotto la Custodia Francescana della Terra Santa, hanno riportato alla luce i meravigliosi mosaici pavimentali, con scene di caccia e di pastorizia in cui sono raffigurati animali esotici (leoni, struzzi, zebù, cammelli e altri ancora).
Altri splendidi mosaici bizantini si possono ammirare a Madaba detta appunto la “città dei mosaici”, per le centinaia di tessere che impreziosiscono le sue case e le sue chiese. Il più celebre è la famosa mappa bizantina del VI secolo che offre una “visualizzazione” geografico-religiosa dell’'ubicazione di Gerusalemme ed altri luoghi sacri biblici. Il mosaico si trova all'’interno della chiesa ortodossa di San Giorgio: è composto da oltre due milioni di tessere e nella sua dimensione originale era grande 25 metri per 5. E’ ancora in buona parte visibile e raffigura valli e colline, il corso del fiume Giordano, il Mar Morto, Gerusalemme con le sue dodici porte, villaggi e città fino al delta del Nilo.
Attualmente il livello dell'acqua del bacino superiore (settentrionale) è a circa 415 m sotto il livello del mare ed il divario continua ad aumentare, dato che il livello continua inevitabilmente a scendere, ponendo anche il problema della sua possibile scomparsa nel medio-lungo termine.

È un mare chiuso che ha come immissari le acque del fiume Giordano, del fiume Wadi Mujib e di altri corsi d'acqua di minore importanza, senza avere però alcun emissario, risultando dunque un bacino endoreico.

Suddiviso in due distinti bacini, quello superiore di profondità elevate, mentre quello inferiore non ha mai superato i 2 metri di profondità massima; quest'ultimo è oggi quasi prosciugato, mantenuto in vita solamente da un canale scavato appositamente attraverso lo spartiacque (oltreché sporadicamente alimentato dallo Wadi Araba).

Le acque del Mar Morto vengono usate per la produzione di cloruro di potassio sia da società israeliane che giordane: vengono anche estratti bromo e magnesio, di cui il mare è ricco. L'estrazione viene fatta partendo dalle saline, visibili dallo spazio nella estremità sud del mar Morto.

Secondo il dottor Alon Tal, perdurando la situazione attuale di bilancio negativo tra evaporazione e acqua immessa, il Mar Morto è destinato pian piano a scomparire completamente, in quanto, essendo esso il punto più basso della superficie terrestre è anche uno tra i più caldi, la conseguente notevole evaporazione non è sufficientemente compensata dall'afflusso delle acque del Giordano e degli altri più aridi corsi d'acqua: a partire dalla metà del secolo scorso, quando i contadini israeliani e giordani iniziarono a deviare le acque dei fiumi, soprattutto del Giordano, per uso agricolo, la portata del Giordano si è ridotta del 10% rispetto alla sua portata naturale. Inoltre le industrie giordane e israeliane del carbonato di potassio che si trovano nella regione meridionale del mar Morto esasperano la discesa del livello del lago, che si è già abbassato di 27 metri circa.

Sono state studiate diverse soluzioni per rialzare il livello del lago e, nonostante l'opposizione degli ambientalisti, al momento, la Banca Mondiale ha effettuato uno stanziamento equivalente a 15 milioni di dollari per lo studio di fattibilità di un collegamento col mar Rosso, battezzato "Condotto della Pace", che incanalerebbe l'acqua ad Aqaba e la porterebbe per circa 170-200 chilometri alle sponde meridionali del mar Morto, con una grande possibilità di produzione di energia elettrica (idroelettrica), sfruttando il dislivello tra Mar Rosso e Mar Morto, fornendo energia, tra l'altro, ad un impianto di desalinizzazione che fornirebbe l'acqua dolce ad Amman, con un costo previsto di circa 5 miliardi di dollari americani. L'opposizione ambientalista è dovuta alla possibilità di una non ben definita "non naturale" reazione chimica delle acque a differente salinità .

La maggiore obiezione è comunque costituita dal fatto che la zona è politicamente molto instabile.



Laddove una volta sorgeva il litorale, è rimasta una terra quasi desertica: è il drammatico scenario che ormai sempre più spesso sta caratterizzando le rive del Mar Morto.
Alcuni villaggi turistici sono stati ormai abbandonati poiché è diventato impossibile svolgere l’attività economica dato l’accellerato ritiro delle acque. I turisti ormai, scelgono altre mete, abbandonando lidi e locali che fino a qualche anno fa brulicavano di turismo. Alcune strutture ricettive sono addirittura crollate, o meglio, sprofondate sotto terra a causa della fragilità del territorio che sta subendo modifiche anomale. Sono persino rimaste scoperte le tubature dell’acqua, un tempo ricoperte completamente dal mare: oggi, sembrano sfiorare la superficie marina.






giovedì 10 settembre 2015

IL MOSTRO DI LOCH NESS



Tanto era il fascino per il mostro di Loch Ness negli anni Cinquanta e Sessanta da portare un noto studioso del fenomeno, Sir Peter Scott, a scrivere a Buckingham Palace nel 1960 chiedendo alla regina di dare il suo nome alla creatura mitica che secondo la leggenda vivrebbe in un lago della Scozia settentrionale. Scott propose anche un nome per il mostro, 'Elizabethia Nessiae', che tuttavia fu rigettato dalla casa reale nel timore che la regina potesse incappare in uno scherzo di cattivo gusto oppure diventare lo zimbello di mezzo mondo.
La notizia e' stata rivelata dopo che i documenti dello scambio epistolare sono stati scoperti nell'archivio dell'Universita' di Cambridge da Zac Baynham-Herd, uno storico della scienza. "Non siamo completamente sicuri che sia genericamente appropriato dare all'essere il nome di Sua Maesta', in quanto per cosi' tanti anni e' stato conosciuto come 'il Mostro'", scrisse in risposta alla singolare richiesta Martin Charteris, allora assistente personale di Elisabetta.
Tuttavia, dai documenti emerge anche come la sovrana in realta' fosse assai incuriosita e affascinata dalla caccia a 'Nessie', che in quegli anni riempiva le pagine dei giornali di tutto il mondo. (AGI)

Ha trascorso 24 anni della sua vita a scrutare le acque di Loch Ness, il lago scozzese che da decenni custodisce la leggenda del mostro “Nessie”. Ma alla fine si è arreso pure lui, Steve Feltham, l’ultimo irriducibile: non ci sono misteri da scoprire - ammette ora - tutto potrebbe essere nato da banali avvistamenti di grandi pesci gatto, scambiati per creature minacciose e ignote a causa della distanza o della suggestione.

Una conclusione prosaica che sa di beffa, dopo un quarto di secolo di caccia instancabile e osservazioni certosine con binocoli sempre più sofisticati, talora persino telescopi. E che presta il fianco a qualche ironia. Ma il Times non nega l’onore delle armi a un personaggio eccentrico e un po’ strampalato, accampato permanentemente in una roulotte sulle rive del lago, che da quelle parti - e fra gli appassionati del genere - si è guadagnato negli anni un’aura quasi epica.



«Ho cambiato idea lentamente», ammette Feltham, che per anni è stato un cultore del mito di Loch Ness. Poi, come racconta al giornale, ha capito che una spiegazione era a portata di mano: i pesci gatto gallesi introdotti nel lago in epoca vittoriana come prede da pesca per il bel mondo in vacanza. Pesci che vivono a lungo e possono crescere fino a dimensioni notevoli, ma che nella zona erano fino ad allora sconosciuti.

Non è un caso - argomenta l’ormai ex cacciatore di mostri - che i presunti avvistamenti di presenze misteriose, destinati ad alimentare l’immagine fantomatica di Nessie, siano in effetti «cominciati negli anni ’30, quando i primi esemplari raggiunsero la maturità».

La delusione, se c’è, viene in ogni caso dissimulata bene. Steve Feltham, che adesso ha 52 anni, si è giocato a causa dell’insana mania di Nessie - nomignolo popolare attribuito con il tempo all’immaginario mostro di Loch Ness - legami e affetti. Ventottenne, lasciò casa e si fece piantare dalla fidanzata pur di seguire la sua idea fissa. E tuttavia oggi non si piange addosso. O almeno prova a consolarsi.
«Devo essere onesto - confessa infine al Times senza giri di parole - non credo più che Nessie sia un mostro preistorico. Ma il mistero del mostro resisterà per sempre e continuerà ad attrarre persone quassù. Io certamente non ho rimpianti per questi 24 anni».
Il primo avvistamento di questo mostro lacustre viene fatto da alcuni risalire al 566: il monaco irlandese Adamnano di Iona descrive, nella sua Vita Sancti Columbae, il funerale di un abitante delle coste del fiume Ness, emissario del Loch Ness, assalito ed ucciso da una "selvaggia bestia marina", uscita strisciando dalle acque, che San Columba scacciò con le preghiere. Fino al ventesimo secolo non esistono altre testimonianze in merito. Alcuni avvistamenti, in cui la sagoma era confusa, sarebbero avvenuti anche sulla terraferma, a partire dal 1930.

Il 2 maggio 1933 l'Inverness Courier riferì che nel Loch Ness era stato avvistato uno strano animale: i coniugi MacKay, proprietari di un albergo a Drumnadrochit, una località sulla riva del lago, avevano scorto due strane gobbe emergere dall'acqua. Il "mostro" era stato osservato dalla nuova strada appena costruita sulla riva settentrionale. Nel novembre 1933 venne scattata la prima fotografia da Hugh Gray; essa mostra un lungo "oggetto" sinuoso che nuota in superficie facendo ribollire l'acqua all'intorno.



In dicembre, un cineasta della Scottish Film Productions, Malcolm Irvine, riuscì a girare un film: il "mostro" è visibile per quasi un minuto mentre nuota alla velocità di quindici chilometri l'ora. Irvine nel 1936 fece anche un secondo filmato nel quale si vede quella che può sembrare la testa di un animale alzarsi e abbassarsi a ogni movimento del corpo. Una delle testimonianze più influenti riguardo al mostro è "La foto del chirurgo" scattata da Robert Kenneth Wilson nei pressi di Invermoriston con l'ausilio dell'amico Maurice Chambers il 19 aprile 1934. La foto finì in prima pagina dello Scottish Daily Record con il titolo "Misterioso oggetto nel Loch Ness".

Wilson, in realtà, di fotografie ne scattò diverse; la più importante mostra una silhouette nera, leggermente ricurva all'estremità, circondata di mulinelli concentrici. Alla base della silhouette sembra apparire quello che potrebbe essere un corpo. Su un'altra foto, "l'oggetto" in questione è quasi sparito nell'acqua. Ad ogni modo nel 1994, sessant'anni più tardi, la foto fu smascherata dal Centro di Loch Ness come un falso: non era infatti un'autentica foto di Nessie, ma di un modellino creato dal patrigno del dottor Wilson aggiungendo a un sottomarino giocattolo una testa e una coda.

Un avvistamento tipico di "Nessie" si deve alla signora Marjory Moir ed è dell'ottobre 1936:

« Piovigginava leggermente, il lago era grigio, il cielo era grigio e il colore della creatura era grigio scurissimo, in netto contrasto con lo sfondo più chiaro dell'acqua e del cielo. Il mostro era immobile in superficie, rivolto in direzione di Inverness. La lunghezza era di quasi dieci metri; è difficile valutare la distanza esatta che ci separava, tuttavia era abbastanza vicino a noi perché potessimo vederlo molto distintamente. C'erano tre gobbe, la più grande nel mezzo e la più piccola dietro il collo, che era lungo e snello, con una testa piccola e priva di tratti visibili. Immergeva spesso la testa nell'acqua, come per mangiare o forse semplicemente per divertirsi.»
Quasi altrettanto celebre della foto del dottore, quella scattata nel 1951 dal boscaiolo Lachlan Stuart, mostra tre gobbe che emergono dall'acqua. Nel 1955, P. MacNab dichiarò di essersi fermato nei pressi del castello di Urquhart, che domina il lago, per scattare una foto, quando a un tratto sentì un rumore nell'acqua: ebbe appena il tempo di sostituire l'obiettivo con un teleobiettivo da 150 millimetri e un enorme animale uscì dall'acqua. MacNabb lo fotografò: la foto è interessante perché si vedono sia il mostro sia il castello. In confronto con l'altezza del castello, che è di venti metri circa, si può valutare intorno alla stessa lunghezza la parte emersa dell'animale, ma secondo alcuni la foto mostrerebbe due esemplari.

Infatti se la si esamina attentamente si può notare che le due gobbe non sono esattamente l'una sul prolungamento dell'altra: siccome la seconda è più piccola della prima, si è potuto pensare che si trattasse di un maschio accompagnato dalla femmina o di un giovane che seguiva la madre. Effettivamente, in varie occasioni dei testimoni hanno dichiarato di avere visto più animali insieme. Il guardiacoste Alexander Campbell asserì di aver visto il dorso di tre mostri apparire alla superficie del lago: il primo e il secondo erano nettamente più grandi del terzo, e mentre il movimento in avanti dei primi due era regolare, il terzo si muoveva a zig zag, come per divertimento. Nel giugno del 1937, due allievi dell'abbazia di Fort August videro tre piccoli mostri, lunghi appena un metro, che fuggirono via quando essi cercarono di acchiapparli.

Nell'aprile del 1960, un ingegnere dell'aeronautica, Tim Dinsdale, filmò una gobba che attraversa l'acqua in una scia potente a differenza di quella di una barca. La JARIC (centro di analisi delle immagini e di intelligence inglese storicamente conosciuta come MI4) dichiarò che l'oggetto era "probabilmente animato".
Nel 1993 Discovery Communications realizzò un documentario chiamato Loch Ness Discovered che si avvalse di un miglioramento digitale del film di Dinsdale. Un esperto di computer che aveva migliorato il film notò un'ombra nel negativo che non era molto evidente nel positivo. Attraverso il rafforzamento e la sovrapposizione dei fotogrammi, trovò quello che sembrava essere il corpo posteriore, le pinne posteriori e 1-2 gobbe aggiuntive del corpo simile a un plesiosauro. Egli affermò che: «Prima di vedere il film, pensavo che il mostro di Loch Ness fosse solo un mucchio di sciocchezze. Dopo aver fatto la valorizzazione, non sono così sicuro.»

Gli ultimi avvistamenti o testimonianze di un certo rilievo e riportate dai mass media risalgono agli anni ottanta del Novecento. Gli ultimi avvistamenti sono piuttosto recenti: un avvistamento del celebre mostro è avvenuto il 26 maggio 2007 ad opera di Gordon Holmes, un tecnico di laboratorio che ha filmato una sagoma nuotare nel lago, mentre l'ultimo risale a fine agosto 2009, ad opera di Jason Cooke, guardia di sicurezza che, per fotografare il presunto mostro, ha utilizzato Google Earth (Coordinate: Latitudine 57°12'52.13"N, Longitudine 4°34'14.16"W.)

La comunità scientifica degli zoologi pensa che il mostro semplicemente non esista, per due serie di ragioni, la seconda delle quali di ordine teorico:

Nessun ritrovamento di tracce, resti animali al di sopra di ogni ragionevole dubbio, è stato mai documentato.
La piramide alimentare di un lago relativamente piccolo come il Loch Ness non potrebbe sostenere la vita di una famiglia di predatori delle dimensioni del presunto mostro.
Se per assurdo esistesse un solo mostro di Loch Ness, la specie sarebbe da considerarsi irrimediabilmente estinta; al contrario, se ne esistesse una popolazione in grado di perpetuarsi, non si spiegherebbe il fatto che non vi siano prove più convincenti di quelle portate dai sostenitori.
Per tentare di controbattere i dubbi relativi all'alimentazione della creatura è stata avanzata l'ipotesi che vuole l'esistenza di un canale segreto che colleghi il lago al Mare del Nord. Questa teoria spiegherebbe anche l'assenza di ossa e altri resti sul fondale del lago. Non vi sono tuttavia prove dell'esistenza di canali che conducono al mare.

L'ipotesi che riscuote più successo fra i sostenitori dell'esistenza del "mostro" è che si tratti di uno o più esemplari di plesiosauro o di elasmosauro sopravvissuti in qualche modo all'estinzione. Bisogna precisare che, in ogni caso, la creatura non si potrebbe comunque definire un dinosauro, poiché i rettili marini dell'era mesozoica erano solo "parenti" dei dinosauri.

Alcuni sostenitori dell'esistenza del mostro affermano che vi sono testimonianze in cui Nessie sarebbe stata vista entrare in acqua con prede cacciate sulla terraferma, e che questo starebbe ad indicare che non si ciba (o almeno non in via esclusiva) di pesce, mentre riguardo agli spazi essa in tal modo non avrebbe a disposizione solo il piccolo Loch Ness ma anche la terraferma, dove avrebbe potuto rifugiarsi. Le pinne però indicherebbero che Nessie è un animale marino, e quindi avrebbe avuto bisogno di ritornare almeno periodicamente in acqua. Gli scettici fanno tuttavia notare che un animale della stazza di un dinosauro assai difficilmente potrebbe passare inosservato sulla terraferma e che nessuna testimonianza finora è risultata effettivamente credibile.

Dal 1956, attraverso l'uso di imbarcazioni dotate di ecoscandaglio, diverse volte e con diversi metodi si è scandagliato il lago con l'unico risultato di rilevare tre grandi masse in movimento, che gli scettici identificano come banchi di pesci, mentre secondo alcuni sostenitori della teoria del mostro potrebbero essere stati gli altri componenti della famiglia del mo

Il posizionamento di esche di vario tipo (soprattutto salmoni) non ha portato ad alcun risultato. I sostenitori dell'esistenza del mostro negano il fallimento ipotizzando che in quel momento il mostro potrebbe non essere stato in acqua o comunque non aver gradito il tipo di cibo. Riguardo alle esche ipotizzano invece che il presunto mostro sia un predatore attivo (che si nutre solo di prede vive) o che non si tratti affatto di un predatore.





martedì 11 agosto 2015

IL CASTELLO DI MAREDOLCE



Il castello di Maredolce alla Favara, mantiene ancora oggi, nelle sue rovine, il fascino dell’antico splendore.

Dal punto di vista artistico rientra nel grande quadro dell’architettura siciliana del periodo arabo e normanno e rispecchia la cultura del tempo in cui è stato concepito. È il segno evidente della sintesi delle grandi tradizioni culturali ed architettoniche isolane che hanno caratterizzato la Sicilia fino alla realizzazione della fabbrica: quella bizantina, quella araba e quella normanna.

Si inserisce all’interno del vasto Parco Normanno della Fawarah ("sorgente che bolle") che si estende dalle pendici del monte Grifone fino al mare, in un luogo particolarmente ricco di acque, come testimonia Ibn Hawqal, che nel 937 scrive: «...nell’angolo della montagna (il monte Grifone) che sovrasta a Sud la città di Palermo erano due fawwàra, cioè due sorgenti una grande ed una piccola». Proprio questa abbondanza d’acqua permise al normanno re Ruggero la realizzazione di un bacino artificiale sul quale si specchiava il palazzo ricreando dei suggestivi effetti scenici tanto cari alla cultura artistica araba e normanna.

Una delle prime notizie di questo Palazzo è quella riportata da Romualdo Salernitano nel suo Chronicon, secondo il quale Maredolce non è da considerarsi una fabbrica ex novo, quanto una ricostruzione voluta da Ruggero II sul precedente palazzo dell’emiro Giafar.

Sotto i re normanni, a cui piacquero la posizione e l’organizzazione del complesso architettonico, ed in particolare con Ruggero II, il castello  subisce un vasto intervento di trasformazione e di ampliamento, diventando così uno dei“solatii regii”, i luoghi di delizia dei sovrani normanni. Sempre al primo re normanno di Sicilia va attribuita la realizzazione della bella peschiera  chiamata con  termine arabo “Albehira”, che  era alimentata da una copiosa fonte esistente ai piedi del Monte  (la sorgente della Fawwarah), che sgorgava da tre grandi fornici ad arco acuto e da li veniva incanalata.
L’edificio primitivo infatti, come ancora può vedersi, era circondato per tre lati dall’acqua di un lago artificiale che per le sue grandi dimensioni prese il nome di “Maredolce”, nella quale furono immessi, provenienti da diverse regioni, pesci di svariate specie, come si sa dalle cronache coeve.

Il lago veniva navigato dal re e dalla sua corte per soddisfare i loro momenti di piacere personale , ed era anche utilizzato, data la gran quantità di pesci, come riserva di pesca.
Celebri rimangono i versi del poeta arabo nato a Trapani nel XII secolo,’Abd’ar Rahman:
”Ho quanto è bello il lago delle due palme e la penisola nella quale s’estolle il gran palagio!
L’acqua limpidissima delle due polle somiglia a liquide perle e il bacino a un pelagio.
Par che i rami degli alberi si allunghino per contemplare il pesce nell’acqua e gli sorridano.
Nuota il grosso pesce in quelle chiare onde e gli uccelli tra que’ giardini modulano il canto.”
Al centro del lago sorgeva una piccola isola artificiale di forma irregolare, piantata ad agrumi e con un palmeto, dove il re si recava per stare immerso nelle delizie.



L'edificio ha pianta quadrangolare, e possiede al centro un cortile molto spazioso, dotato in origine di un portico con volte a crociera, del quale rimane solo qualche traccia. L'esterno è formato da blocchi di tufo con arcate a sesto acuto. Nel lato non bagnato dal lago artificiale si aprono quattro entrate, due delle quali portano alla grande Aula regia e alla cappella palatina, di forma rettangolare ad una sola navata coperta da due volte a crociera, con transetto sormontato da una cupola semisferica e dedicata ai santi Filippo e Giacomo già dal XIII secolo.

La struttura dell'adiacente hammam è dal XIX secolo inglobata in una palazzina, ed è riconoscibile con difficoltà.

Il prospetto principale del complesso è quello di nordovest, l’unico che non era bagnato dalle acque del lago, dove si aprono quattro varchi che consentono  l’accesso nell’edificio, il primo immette nell’Aula Regia, il secondo nella cappella, il terzo all’interno del grande cortile mentre l’ultimo ingresso è tamponato. In questa parte del castello, che oggi troviamo in miglior stato di conservazione, si trovavano gli spazi destinati alla rappresentanza, mentre gli ambienti privati erano disposti lungo i lati meridionale, orientale ed occidentale. Una simile distribuzione degli spazi è stata assimilata e confrontata con quella dei “ribat” dell’architettura islamica, veri e propri conventi fortificati che ospitavano i combattenti della fede mussulmana.

La cappella della Favara  collocata  forse sullo stesso luogo della originaria moschea privata dell’emiro, è formata da una nave unica di forma rettangolare con due campate coperte con volte a crociera e da un piccolo transetto non aggettante che attraversa il presbiterio, che si conclude nell’abside. Il centro del presbiterio è coperto da una piccola cupola semisferica, posta su un alto tamburo ottagonale che si raccorda alla nave mediante nicchie angolari pensili. Nelle pareti si conservano ancora le tracce di affreschi , purtroppo andati perduti, ma ancora visibili ai tempi del Mongitore e del Di Giovanni ( XVIII-XIX sec.).
La cappella riprende i temi tradizionali dell’architettura ecclesiale bizantina. Di chiara impronta bizantina è infatti la tipologia dell’impianto ad unica navata, ma anche la sua disposizione, essa ha infatti l’abside rivolto ad oriente secondo la tradizione della chiesa di Bisanzio.

All’esterno del palazzo molti storici citano la presenza  di un complesso termale (Vincenzo Auria lo raffigura come una struttura coperta da cupole in un disegno del XVII secolo e Gaspare Palermo lo vede ancora nel 1816), ciò conferma che l’antica” Portae Thermarum” (Porta Termini), aveva preso questo nome , non per la città di Termini, ma per le terme di Maredolce, che si trovavano  distanti qualche miglio dalla città.

Durante la sua plurisecolare vita il castello della Favara ha registrato vari cambi di proprietà, che ne hanno determinato continue manomissioni. Infatti, estinta la dinastia normanna, il castello appartenne al demanio regio fino a quando, nel 1328, Federico II d’Aragona lo cedette all’Ordine dei Cavalieri Teutonici della Magione, che lo trasformarono in ospedale, utilizzando le acque termali a fini terapeutici.
Nella prima metà del XV secolo fu concesso in enfiteusi alla potente famiglia dei Bologna cui appartenne fino alla fine del XVI secolo, che vi impiantò un’azienda agricola. Nel secolo XVII passato in proprietà del duca di Castelluccio Francesco Agraz, mantiene la stessa funzione, fin quando tra il 1777 e il 1778 si riduce a caseggiato agricolo opportunamente adattato a tale scopo dall’architetto Emanuele Cardona. Negli anni successivi  l’edificio cadde in abbandono, le sue strutture andarono in rovina, e tutto il complesso cadde nell’oblio al punto che fu utilizzato come ricovero di animali meritandosi l’appellativo di “Castellaccio”.
Acquisito infine al demanio regionale, la Soprintendenza ai BB.CC. e AA. di Palermo ha condotto un esteso e impegnativo restauro del castello eliminando tutte le superfetazioni che nel tempo avevano cambiato la fisionomia del manufatto, avviando anche, un programma di recupero dell’intera area così da poter essere restituita alla pubblica fruizione.
Poco o quasi nulla rimane però del grande lago, ormai prosciugato da tempo e sostituito da un agrumeto.




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