venerdì 20 novembre 2015

RELITTI NEL MEDITERRANEO



Giace sul fondale sabbioso a 16 metri di profondità, a circa nove chilometri da Punta Tagliamento, lungo il confine fra Veneto e Friuli Venezia Giulia. È rimasto in fondo al mare dalla notte fra il 21 e il 22 febbraio 1812, quando naufragò durante la battaglia di Grado.

Il brigantino italo-francese Mercure - Mercurio - faceva parte della flotta del Regno d'Italia, lo stato satellite dell'impero francese fondato da Napoleone nel 1805, che comprendeva l’Italia centro-orientale e buona parte di quella settentrionale. Stava scortando il vascello francese Rivoli nella sua prima missione partita dal porto veneziano di Malamocco, quando venne attaccato dal brigantino inglese Weasel. Dopo circa 40 minuti di combattimento gli inglesi colpirono il deposito d'armi del Mercurio causando un'esplosione, che provocò il naufragio della nave e la morte dei membri dell'equipaggio.

Solo nel 2001 il relitto è stato scoperto per caso, dal peschereccio della famiglia Scala di Marano. Dal 2004 al 2011 il Dipartimento di Studi umanistici dell'Università Ca' Foscari di Venezia, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, ha compiuto otto campagne di scavo, sotto la direzione dell'archeologo subacqueo Carlo Beltrame, portando alla luce un consistente numero di reperti: sette scheletri umani e circa 900 oggetti, molti riferibili alla cucina e alla cambusa.

“Abbiamo trovato botti, posate, bottiglie, calderoni, flaconcini di profumi e medicinali, piatti e una tazzina da caffè in porcellana”, spiega Beltrame. “Ma la scoperta più interessante è stata quella di un contenitore in latta, il primo ritrovato finora, usato per la conservazione di cibi”.

Il Mercurio ha un'importanza fondamentale dal punto di vista archeologico”, prosegue Beltrame, "non solo per via dell'enorme quantità di oggetti recuperati, in eccellenti condizioni di conservazione, ma soprattutto perché siamo di fronte all'unico relitto noto di una nave del Regno d’Italia napoleonico. Mai prima d'ora, inoltre, era stato ritrovato un numero così elevato di scheletri in un così buono stato provenienti da un relitto affondato nel Mediterraneo”.

Il relitto di Cetraro (nota anche come nave dei veleni) si riferisce è un fatto di cronaca del settembre 2009 in Calabria, a seguito delle rivelazioni del pentito di 'Ndrangheta Francesco Fonti riguardo all'affondamento nel Mediterraneo, al largo della Spezia e di Livorno, ed in Somalia di navi contenenti di rifiuti tossici e radioattivi.

Nel 1994 Fonti diventa collaboratore di giustizia. Fino al 2003 la sua collaborazione aveva riguardato esclusivamente i traffici di droga e di armi. Dal 2003 inizia a rilasciare delle dichiarazioni ai giornalisti di Famiglia cristiana Barbara Carazzolo, Alberto Chiara e Luciano Scalettari sul traffico dei rifiuti. Nel 2005 esce un servizio de L'Espresso con un memoriale del collaboratore di giustizia sul traffico di rifiuti pericolosi in Italia e in Somalia, coinvolgendo servizi segreti e politici, soprattutto democristiani: Riccardo Misasi e Ciriaco De Mita.



Già nel marzo del 1994 la magistratura di Reggio Calabria aveva aperto un'inchiesta, nata da una denuncia di Legambiente su un possibile traffico di scorie industriali e radioattive in Aspromonte, provenienti dai porti calabresi. All'inchiesta partecipò il capitano di corvetta Natale De Grazia, che svilupperà a lungo l'ipotesi di affondamento nel Mar Mediterraneo di navi cariche di rifiuti. In particolare la Procura di Reggio Calabria aveva indagato sulla nave Rigel, affondata anni prima al largo di Capo Spartivento. Nel 2000, l'indagine dei magistrati reggini, passata dal 1996 alla Dda, viene archiviata.

Francesco Fonti nelle sue diverse dichiarazioni rese dopo il giugno del 2005 afferma di aver affondato direttamente 3 navi: la Cunski al largo di Cetraro, la Yvonne A a Maratea e la Voriais Sporadais a Melito Porto Salvo in collaborazione con i Muto e gli Iamonte.

Nel 2006 il pubblico ministero di Paola Franco Greco apre un'inchiesta dopo il rinvenimento da parte di alcuni pescatori di bidoni.

Nel 2009 con l'insistenza del nuovo procuratore di Paola, Bruno Giordano, e dell'assessorato all'ambiente calabrese, si ricerca nuovamente la nave Cunski, che si riteneva fosse stata affondata al largo di Cetraro con 120 fusti di materiale radioattivo. Le prime indagini in loco vengono fatte dall'Arpacal nei primi giorni di settembre. Sempre nell'estate del 2009 la Procura di Paola aveva iniziato ad approfondire le indagini sulla contaminazione del fiume Oliva, nella zona di Serra d'Aiello e di Aiello Calabro, zona dove da anni si stavano cercando le scorie della nave Jolly Rosso, spiaggiata ad Amantea il 14 dicembre del 1990. In quella zona - non distante da Cetraro - una perizia aveva stabilito un alto numero di tumori.

Il 12 settembre 2009 viene ritrovata una nave, inizialmente identificata come il Cunski, a circa 500 metri di profondità. Il relitto, secondo le stime realizzate dall'equipaggio della Copernaut Franca, aveva 110 metri di lunghezza. Legambiente insiste di cercare anche gli altri relitti e in particolare il Rigel, affondato nel 1987 a largo di Capo Spartivento.

Vengono incaricate delle analisi del fondale due navi: Copernaut Franca della cooperativa Nautilus su incarico della Regione Calabria e di Arpacal e la Mare Oceano di GeoLab incaricata dal ministero dell'Ambiente. Dalle analisi del ROV sottomarino di GeoLab della nave Mare Oceano si scopre che la nave non è la Cunski ma la Catania, costruita nel 1906 e affondata il 16 marzo 1917. Non vi è neanche presenza di radioattività. Il 29 ottobre 2009 il caso di Cetraro viene chiuso, dopo anche gli annunci del ministro per l'ambiente Stefania Prestigiacomo e del Procuratore Nazionale antimafia Piero Grasso. Lo stesso giorno il vice procuratore Pietro Borrelli afferma inoltre che la stiva della nave è vuota in contrasto però con Pippo Arena, pilota del ROV della Copernaut che fece la prima ispezione dichiarando che c'erano due stive entrambe piene.

Pochi giorni dopo emergono dubbi sollevati anche dal settimanale L'Espresso: i pescatori sono increduli che al largo non ci sia la nave con i fusti radioattivi, e l'annuncio del ministro ancor prima della completa analisi del robot sottomarino per l'identificazione della nave che fino all'annuncio non aveva fatto alcun video ma sono analisi acustiche; infine non coincidono le coordinate di dove è stata rilevata la Cunski a settembre 2009 con le coordinate del relitto Catania individuato, in quanto c'è una differenza di 3 miglia e mezzo. Riemerge inoltre anche un documento del 24 gennaio 2006 del PM Franco Greco che per primo aprì il caso Cetraro dopo il recupero di bidoni da parte dei pescatori, dove è scritto che le navi a largo di Cetraro affondate sono tre.

Il 5 novembre 2009 il ministero dell'ambiente conferma le sue dichiarazioni, dichiarando inoltre che nel video è ben visibile il nome del relitto, di aver perlustrato la zona di coordinate fornitegli a settembre dal primo ritrovamento e che la distanza di 3 miglia può essere un errore plausibile ai tempi dell'affondamento nel 1917. Le autorità giudiziarie inoltre potranno pubblicare tutta la documentazione. Il 6 novembre vengono pubblicate le foto sul sito del ministero.

Agli inizi di dicembre 2012 le autorità indiane comunicano agli inquirenti italiani che la Cunsky non risulta essere stata smantellata nel porto di Alang, come invece veniva riportato agli atti dell'archiviazione delle indagini.

Lo Stato si interessa della vicenda dopo la richiesta d'aiuto da parte della regione Calabria: il ministero dell'ambiente eseguirà indagini e analisi insieme ad Arpacal e tramite la nave Astrea dell'Ispra si constaterà il tipo di inquinanti presente nella Cunsky e la loro diffusione.

Sarebbero 30 le navi a perdere affondate nel Mediterraneo e quindi ben 22 paesi coinvolti. Il 12 ottobre 2009 i pescatori a Cetraro bloccano la ferrovia per protesta. Il 15 settembre 2009 il caso arriva anche in Commissione Europea, grazie all'eurodeputato calabrese Mario Pirillo del PD.

Il 21 settembre 2009 La procura di Livorno apre un fascicolo, su quanto detto dal pentito per una nave affondata al largo del comune. Il 23 settembre 2009 la Nave Asprea fa le prime indagini. Lo stesso giorno la Commissione ambiente e protezione civile degli assessori regionali ritiene che lo Stato si debba incaricare della bonifica di tutti i siti in cui le navi sono state affondate.

Il 13 ottobre 2009 a Diamante si sono incontrati i sindaci del Tirreno cosentino per discutere al riguardo delle scorie radioattive. Il 14 ottobre 2009 si sono incontrati una delegazione italiana con Stavros Dimas, commissario all'ambiente dell'Unione Europea per discutere sul fatto. Per il 24 ottobre si volge ad Amantea una manifestazione nazionale contro le scorie in Calabria.

Dopo le dichiarazioni del Ministro dell'Ambiente e del procuratore nazionale antimafia, il WWF chiede ad entrambi di confrontare con una perizia il video del Rov commissionato dalla Regione Calabria e Arpacal e quello della nave Asprea del Ministero dell'Ambiente. Il 3 novembre 2009 la Mare Oceano si dirige verso Maratea ad individuare l'altro relitto indicato da Fonti. Il 15 gennaio 2010 si aggiunge la testimonianza del pentito "Sigma", ex capobastone di un'importante 'ndrina di Amantea che confermerebbero quelle di Francesco Fonti. Poco tempo prima anche il pentito Emilio Di Giovine dell'omonima cosca si era dichiarato disposto a collaborare sul caso.






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