domenica 6 settembre 2015
IL DUGONGO
I dugonghi sono stati a lungo scambiati per le sirene della mitologia.
Il più antico resto di dugongo, risalente a 6000 anni fa, si trova nelle Akab Island (Umm al Qaywayn, Emirati Arabi Uniti, Jousse 1999).
L'analisi dell'animale ci ha rivelato che esso è stato lasciato a lungo invariato nell'evoluzione. Oggi esiste una sola specie di dugongo, il D. dugon, ma non è sempre stato così: fino al XVIII secolo, infatti, ne era esistita una seconda, l'Hydrodamalis gigas, la ritina o vacca di mare di Steller, poi estintasi per l'eccessiva caccia da parte dalle popolazioni locali e dai colonizzatori europei all'inizio del Settecento. L'unica specie di dugongo sopravvissuta è dunque oggi considerata protetta, malgrado la caccia abusiva o la pesca disattenta ne stiano lentamente causando la completa estinzione.
In alcuni altri stati, specialmente appartenenti al sud-est asiatico, si sono create diverse leggende sui dugonghi: alcune culture lo vogliono portatore di sfortuna, mentre altre ritengono la sua presenza di buon augurio; ci furono civiltà, sempre in quei luoghi, che credevano le lacrime di dugongo una magica pozione amorosa, mentre infine altre (appartenenti alle isole Filippine) utilizzavano le sue ossa per fabbricare amuleti contro la sorte avversa.
Questo enorme mammifero erbivoro vive nelle calde acque costiere che vanno dall’Africa orientale all’Australia, compresi il Mar Rosso, l’Oceano Indiano e il Pacifico. Il dugongo è imparentato con il lamantino, al quale somiglia per aspetto e comportamento, pur avendo la coda bilobata come quella della balena. Entrambi sono imparentati con l’elefante, anche se il gigantesco animale terrestre non ha un aspetto né un comportamento simile.
Il dugongo bruca giorno e notte le erbe acquatiche, di cui va in cerca con il muso sensibile ricoperto di setole e che mastica fragorosamente con le labbra ruvide. Questi mammiferi possono rimanere sott’acqua per sei minuti prima di tornare a galla. A volte prendono fiato “alzandosi” sulla coda con la testa fuori dall’acqua. I dugonghi trascorrono la gran parte del tempo da soli o in coppia, anche se a volte sono avvistati in grandi gruppi di un centinaio di individui.
L'accoppiamento dei dugongo può durare anche ore. La femmina partorisce solitamente un solo cucciolo dopo una gravidanza di 12 mesi che, poi, allatta utilizzando le pinne anteriori per tenere il piccolo 'in braccio'. Subito dopo la nascita la madre aiuta il piccolo a salire a galla per compiere il primo respiro. Restano accanto alla madre per 18 mesi restando aggrappati al suo dorso. In questo periodo i maschi diventano più aggressivi e non sono rari i casi di combattimenti per la conquista della femmina.
Oggigiorno il dugongo è diffuso solamente nell'Oceano Indiano, all'estremità occidentale di quello Pacifico, in corrispondenza a particolari gruppi di isole equatoriali e tropicali come l'Australia, l'Indonesia, la Thailandia (in particolare nel mare nelle Andamane nell'arcipelago di Trang, spesso avvistato nei pressi dell'isola di Koh Libong) o lo Sri Lanka, e nel Mar Rosso.
Il luogo in cui la densità della popolazione di dugonghi raggiunge il valore massimo è l'Australia, soprattutto nelle sue coste settentrionali, seguita dalle sponde egiziane del Mar Rosso; negli altri stati i dugonghi sono invece una specie rara, raggiungendo al massimo i 100 individui a nazione: basti pensare che il Kenya, luogo dove una volta i manatee abbondavano, oggi conta una popolazione totale di soli 6 individui. Anche nelle già nominate isole giapponesi Ryūkyū, habitat da millenni di questi animali, la situazione è tragica, così come in Madagascar e nelle isole al largo della costa orientale africana: ciò ha spinto importanti organizzazioni mondiali, come il WWF, a dichiarare il dugongo un animale in via d'estinzione da salvaguardare.
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